TOSCANI, Galeotto
– Figlio di Maffiolo del fu Giorgio, tesoriere di Filippo Maria Visconti (nel 1411), e di madre ignota, nacque in data imprecisata tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento.
Dotata di un cospicuo patrimonio (che Maffiolo incrementò, ad esempio con una consistente investitura fondiaria nel 1402) e di liquidità, derivante dall’attività di banca e mercatura, la famiglia risiedette a Milano in Porta Nuova, nella parrocchia di S. Fedele. Maffiolo ebbe anche una figlia, Margherita, dama di corte di Bianca Maria Visconti, che sposò Gaspare del Conte, un banchiere del Broletto di Milano (cittadino eminente, politicamente assai impegnato, anch’egli tra i fondatori della Repubblica ambrosiana e poi collaterale e funzionario di Francesco Sforza).
Da un Liber clericorum della cattedrale risulta che Toscani fu tonsurato il 30 settembre 1411, con i fratelli Giacomo e Luchino, presso la sacrestia parva.
Fra i testi compare lo zio Marcolo, prevosto di S. Tecla, tra i canonici prebendati almeno dal 1402 (Archivio di Stato di Milano, Notarile, cart. 5104, 21 marzo 1402); a tale istituzione nel 1434 Toscani donò un codice membranaceo (breviarium ambrosianum) impreziosito dallo stemma di famiglia.
La carriera funzionariale e bancaria di Toscani fu facilitata dal matrimonio con domina Franceschina Borromeo, sorella di Vitaliano; al potente banchiere, a lungo tesoriere generale di Filippo Maria Visconti, egli succedette nel 1431. Detenne l’incarico in maniera forse continuativa sino al 1443 e poi ancora nel 1447 per alcuni mesi, quando fu forse anche maestro delle entrate ducali ordinarie (come segnala un libro di ricordanze del collega e consuocero Bartolomeo Morone); sostenne finanziariamente il duca, ottenendone in cambio feudi e benefici.
Nel 1434 per le sue benemerenze gli fu concessa l’esenzione da qualsiasi onere e tassa su beni presenti e futuri per sé e per i discendenti. «Promptissimus, liberalis, indefessus in necessitatibus nostris et status nostri non defuisse de suis pecuniis, gratis et liberaliter serviendo sepissime» (Cengarle, 2007, p. 469): così viene descritto nel 1441, allorché a garanzia di un prestito complessivo di 19.050 fiorini il duca lo investì in feudo di Casalino e Galliate con il castello (11 luglio 1441) e pochi mesi più tardi di Carpignano e Sizzano (10 ottobre; tutte e quattro queste località sono nel Novarese, e furono costituite in terre separate). I finanziamenti allo Stato furono peraltro una costante della condotta di Toscani: nel 1447 egli vantava un credito di oltre 22.650 fiorini. Partecipò in prima persona alla fondazione della «libertas illustris et excelse communitatis Mediolani», meglio nota come Repubblica ambrosiana, un’originale sperimentazione politica nata subito dopo la morte di Filippo Maria (13 agosto 1447), allorché si aprì una crisi dinastica molto grave, non avendo il duca eredi legittimi.
Di fronte alle aspirazioni di molte potenze (Alfonso V e Venezia, gli Orléans e Federico III, Ludovico di Savoia e Carlo Gonzaga, oltre a Sforza) al governo di Milano, i gruppi dirigenti cittadini, preoccupati, si erano preventivamente organizzati per la libertas (15 giugno 1447), ma ugualmente lo Stato si disgregò. Fu giocoforza mantenere robusti elementi di continuità nei caratteri e nelle persone con il precedente governo: buona parte dei primi ventiquattro capitani e difensori – la principale magistratura di governo reclutata per porta – provenne dai vertici della corte, della municipalità, dello Stato e della élite mercantile-finanziaria.
Toscani partecipò ai primissimi atti istitutivi della Repubblica ambrosiana insieme con i parenti e colleghi Vitaliano Borromeo e Bartolomeo Morone e con Gaspare del Conte: tutti esponenti della fazione ghibellina aristocratica, inizialmente preponderante. Fu subito nel novero dei primi capitani nell’agosto del 1447; l’anno seguente fu censore per Porta Nuova. Né si limitò alla partecipazione politica: insieme a Borromeo, a Teodoro Bossi e a Giorgio Lampugnani, finanziò il governo con 60.000 ducati, e lo fece ancora nel 1449 quando con Innocenzo Cotta sborsò 15.430 lire di imperiali (aprile del 1449, Il libro di ricordi, 2010, p. 21; Del Bo, 2010, p. 72).
Rivestì poi l’incarico di priore dei capitani, la carica di vertice del regime repubblicano, nel 1449, in una congiuntura particolarmente drammatica, allorché il gruppo dirigente era spaccato come mai tra moderati aperti al dialogo con Sforza, tra i quali lui stesso, ed estremisti animati in maniera più vigorosa dallo spirito della libertà (capeggiati da Giovanni da Ossona e Giovanni Appiani). A costoro, che avevano prevalso, si oppose, e pagò con la vita, come ebbe a scrivere Pietro Verri (1824): «per rimediare al disordine, Guarnerio Castiglione, Pietro Pusterla e Galeotto Toscani formarono un triumvirato e si posero alla testa della città. Chiusero in carcere l’Ossona e l’Appiano. La plebaglia liberò dal carcere costoro; indi a furore insurgendo contro i triumviri, Galeotto Toscano venne scannato sulla piazza del palazzo ducale; i due altri si sottrassero con la fuga. Taluni furono trucidati, uomini di virtù e di merito» (pp. 40 s.).
Il 31 agosto 1449 infatti il palazzo dell’Arengo fu preso d’assalto; non essendo riuscito a fuggire per l’età e la gotta («per le doglie di piedi inabile al fugire et nasconderse»: Corio, 1503, p. 1297), Toscani fu ucciso. In una grida del 10 ottobre successivo, ancorché defunto, egli ancora compare nell’elenco dei ribelli, insieme tra gli altri al genero Tommaso Morone.
Molte sue pendenze finanziarie restarono in sospeso. Più di una lettera di cambio (lo strumento finanziario impiegato soltanto dai banchieri internazionali, che consentiva il trasferimento di denaro da una piazza all’altra senza spostamento fisico), risalente agli anni della Libertà, rimase non saldata, e ciò per ragioni di impegno politico, come ebbe a giustificarsi Toscani: «tempore dicte presentationis ex capitaneis et deffensoribus illustris et excelse communitatis Mediolani et attendere non possit ipsi negotio» (Del Bo, 2010, p. 67). Oltre che con il banco Borromeo, Toscani era stato in affari con quello di Cecco di Tommaso da Venezia, come attesta appunto il traffico di lettere di cambio (p. 212). Egli fu dunque tra gli operatori attivi, a Milano, sotto i portici del Broletto. Fu inoltre creditore di eminenti personaggi legati alla corte, come il conte Luigi dal Verme (Archivio di Stato di Milano, Famiglie, cart. 188).
Di un certo rilievo le vicende della discendenza di Toscani, che dalla moglie Franceschina Borromeo ebbe almeno cinque figli, tre maschi e due femmine. Azzone (o Azzino), probabilmente il maggiore, affiancò il padre nella gestione del banco (contraddistinto dalla lettera A nel Broletto di Milano). Dopo la sua morte fu giudice delle vettovaglie (sino al 1456) e gestì poi l’eredità paterna, riscuotendo i crediti e tentando di recuperarne i feudi (reincamerati da Sforza). Allo scopo inoltrò alla duchessa una supplica, nella quale protestava fedeltà alla famiglia ducale. A sua volta, uno degli altri due maschi, Giovanni Antonio (il terzo aveva nome Niccolò) si rivolse, anche per conto dei fratelli, alla duchessa Bianca Maria, per ottenere la revisione di una sentenza relativa a una causa contro gli eredi dell’azienda di Cecco di Tommaso di Siena, in ragione dei «benemeriti di suo padre e il suo sangue e roba per il segnore vostro padre sparso e sachegiata» (ibid.). Nel 1489 si occupò di comporre il dissidio tra i fratelli Giovanni e Vitaliano Borromeo relativo alla suddivisione dei loro beni mobili, immobili e feudali. L’esperienza delle due figlie di Toscani mostra invece la compattezza del gruppo politico e professionale cui Galeotto appartenne: esse furono protagoniste di matrimoni endogamici. Lucia sposò Gian Tommaso Morone, dottore in utroque iure a Pavia (1447), figlio dell’illustre giureconsulto Bartolomeo (morto in giovane età nel 1457), dal quale ebbe cinque figli (Angelo Giacomo, morto infante, Bianca, Caterina, Gian Galeotto, Maria). L’altra figlia, Isabella, che aveva sposato Gian Rodolfo Vismara (nipote di Gaspare da Vimercate), morì nel 1479 lasciando come erede la Confraternita della Penitenza del terz’ordine di S. Francesco.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Famiglie, cart. 188; Notarile, cartt. 5104-5105. B. Corio, Storia di Milano, riveduta e annotata, Milano 1503, p. 1297; L. Osio, Documenti diplomatici tratti dagli archivj milanesi, III, Milano 1872, ad ind.; I Registri viscontei, a cura di G. Manaresi, I, Milano 1915, ad ind.; Gli atti cancellereschi viscontei, a cura di G. Vittani, I-II, Milano 1920-1929, ad ind.; I Registri dell’Ufficio di Provvisione e dell’Ufficio dei sindaci sotto la dominazione viscontea, a cura di C. Santoro, Milano 1929, ad ind.; I Registri delle lettere ducali del periodo sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1961, ad ind.; A. Noto, Gli amici dei poveri di Milano (1305-1964), Milano 1966, p. 116; Gli offici del comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco (1216-1515), a cura di C. Santoro, Milano 1968, ad ind.; A. Noto - B. Viviano, Visconti e Sforza fra le colonne del Palazzo Archinto. Le sedi dei 39 Luoghi pii elemosinieri di Milano (1305-1980), Milano 1980, pp. 65 s.; C. Santoro, La politica finanziaria dei Visconti. Documenti, III, 1412-1447, Milano 1983, pp. 207, 212, 263-266, 272, 299, 324; Acta libertatis Mediolani. I registri n. 5 e n. 6 dell’archivio dell’Ufficio degli statuti di Milano (Repubblica ambrosiana 1447-1450), a cura di A.R. Natale, Milano 1987, pp. 142, 200, 639-641, 733 s.; F. Cengarle, Feudi e feudatari del duca Filippo Maria Visconti. Repertorio, Milano 2007, pp. 183, 469 s., 480 s., 526; Il libro di ricordi di Bartolomeo Morone, giureconsulto milanese (1412-1455). Edizione e commento, a cura di M.N. Covini, Milano 2010, pp. 21, 23, 27, 29, 40, 44-48, 50 s., 105 s., 108, 110 s.
P. Verri, Storia di Milano, III, Milano 1824, pp. 40 s.; F. Cognasso, La Repubblica di S. Ambrogio, in Storia di Milano, VI, Il ducato Visconteo e la Repubblica Ambrosiana (1392-1450), Milano 1955, pp. 385-448; G. Barbieri, Origini del capitalismo lombardo. Studi e documenti sull’economia milanese del periodo ducale, Milano 1961, pp. 103, 155; G. Chittolini, Borromeo, Vitaliano, in Dizionario biografico degli Italiani, XIII, Roma 1971, pp. 72-75; M. Spinelli, Ricerche per una nuova storia della Repubblica Ambrosiana, in Nuova rivista storica, LXX (1986), pp. 231-252; G. Albini, Città e ospedali nella Lombardia medievale, Bologna 1993, p. 254; G. Soldi Rondini, Filippo Maria Visconti, in Dizionario biografico degli Italiani, XLVII, Roma 1997, pp. 772-782; M. Spinelli, Finanza pubblica e modalità di «raccatto del denaro» a Milano durante il triennio della Repubblica Ambrosiana (1447-1450), in Politiche finanziarie e fiscali nell’Italia settentrionale (secoli XIII-XV), a cura di P. Mainoni, Milano 2001, pp. 409-432; A. Gamberini, Lo stato visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali, Milano 2005, p. 50; F. Cengarle, Immagine di potere e prassi di governo. La politica feudale di Filippo Maria Visconti, Roma 2006, pp. 47, 131, 155 s., 160; M.N. Covini, Tra patronage e ruolo politico: Bianca Maria Visconti (1450-1468), in Donne di potere nel Rinascimento, a cura di L. Arcangeli - S. Peyronel, Roma 2008, pp. 247-280; B. Del Bo, Banca e politica a Milano a metà Quattrocento, Roma, 2010, pp. 67, 79, 72, 136 s., 194 s., 212; M.N. Covini, Morone, Bartolomeo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXVII, Roma 2012, pp. 53-56; Ead., Le difficoltà politiche e finanziarie degli ultimi anni di dominio, in Il ducato di Filippo Maria Visconti, 1412-1447..., a cura di F. Cengarle - M.N. Covini, Firenze 2015, pp. 71-105 (in partic. p. 78); F. Del Tredici, Un’altra nobiltà. Storie di (in)distinzione a Milano. Secoli XIV-XV, Milano 2017, pp. 83 s., 94-96, 234.