CHINI, Galileo
Nacque a Firenze il 2 dic. 1873 da Elio, sarto e suonatore di fliscorno, e da Aristea Bastiani.
Il nonno, Pietro Alessio, pittore e decoratore, trascorse la vita a Borgo San Lorenzo (Firenze), dove nacque il 18 giugno 1800e morì nel 1887. Le condizioni economiche della famiglia, alquanto modeste, non gli permisero studi regolari: fu perciò autodidatta volenteroso ed eclettico. Fornito di buone conoscenze in matematica e in architettura, progettò il teatro Giotto in Borgo San Lorenzo, curandolo anche nei particolari, dall'arredamento agli elementi decorativi, alle macchine per il palcoscenico. Nei suoi Appunti... (I, 1949), il C. ricorda come il nonno si interessasse alla conservazione dei monumenti del Mugello, intervenendo personalmente con operazioni di restauro.
Rimasto orfano di padre a otto anni, e interrotti gli studi alla terza elementare, il C. venne accolto come apprendista alla bottega dello zio paterno Dario, decoratore, che in quel periodo attendeva anche a restaurare vari affreschi per conto dell'Ufficio regionale della Toscana.
Dario, nato a Borgo San Lorenzo nel marzo 1847, fu conoscitore appassionato della musica (secondo fliscorno), ma interessato soprattutto alla decorazione; all'età di quindici anni si era trasferito a Firenze; e qui era stato accolto dal pittore e decoratore Ottavio Pucci. In seguito collaborò, per modesti cicli decorativi in abitazioni private e locali pubblici, col pittore Annibale Gatti, finché l'Ufficio regionale per la conservazione delle belle arti diretto da Luigi del Moro, Guido Carocci e Giuseppe Castellazzi gli affidò l'incarico di restauratore d'affreschi. Così fu tra i restauratori delle pitture di S. Trinita (Arte e storia, VII [1888], p. 127; IX [1890], p. 202) e partecipò ad opere di ripristino in S. Apollonia e in Orsanmichele. La scaltrezza tecnica raggiunta gli procurò incarichi di restauro anche fuori Firenze, in S. Frediano a Lucca, in S. Niccolò a Prato, in S. Biagio a Passignano. A Livorno progettò il teatro Goldoni, curandone anche gli elementi decorativi. Morì in Firenze il 18 sett. 1897.
Entrato in contrasto con la famiglia dello zio, il C. si diede anche all'attività di imbianchino (Appunti..., I, 1949), ma presto ritornò dal parente e con lui partecipò nel 1890 ai restauri in S. Trinita a Firenze (ibid.; F. Tarani, Cenni storici e artistici della chiesa di S. Trinita..., Firenze 1897, ad Indicem). In quello stesso anno, dietro suggerimento dell'amico Giulio Bargellini, si iscrisse alla scuola libera di nudo all'Accademia di Belle Arti di Firenze, frequentandola però saltuariamente: ebbe tuttavia modo di conoscere, tra gli altri, Plinio Nomellini, Ludovico Tommasi, Giuseppe Graziosi, Libero Andreotti. Frequentando il Circolo degli artisti divenne amico di R. Papini, di Sem Benelli, e, negli anni '92-'93, di Telemaco Signorini. Nel 1897, morto lo zio Dario, il C. gli successe nell'incarico dei restauri a Prato, Siena e San Miniato (Arte e storia, XVII [1898], pp. 40, 88; L'Arte, I [1898], p. 214), rilevando anche la sua bottega. Nel frattempo si era occupato di pittura di cavalletto: nel 1895 aveva mandato un suo quadro alla prima mostra fiorentina "Dell'Arte e dei Fiori"; ma l'opera era stata rifiutata perché "troppo decorativa" (così il C. stesso negli Appunti..., I, 1949), ed esposta poi a una mostra dei rifiutati.
Il C. fece nel corso del 1896 le sue prime prove come ceramista (Note storiche delle Manifatture..., ms., 1935) e tra la fine di quell'anno e l'inizio del successivo, in cooperazione con gli amici Vittorio Giunti, Giovanni Montelatici, Giovanni Vannuzzi, rilevò in Firenze una piccola manifattura di ceramiche che stava per chiudere, fondando la fabbrica "Arte della ceramica", con sede in via Arnolfo e sala di vendita in via Tornabuoni (marchio: una melagrana stilizzata con le iniziali "A. D. C." oltre alla "F" di Firenze, con due manine intrecciate nei primi esemplari).
I vasi e gli oggetti decorativi dovuti al C. si situarono subito all'avanguardia in Italia per il loro precoce adeguarsi a repertori iconografici di matrice modernista con forti influenze orientali, ottenendo significativi riconoscimenti in numerose esposizioni (medaglia d'oro all'Esposizione d'arte decorativa, Torino 1898:vedi E. Thovez, in L'arte all'Espos. del 1898, IV, pp. 30-32; Grand Prix all'Universale di Parigi, 1900; Grand Prix a Pietroburgo, 1901) e riscuotendo una grande affermazione alla Rassegna internazionale di arti decorative di Torino nel 1902 (Melani, 1902; Pica, 1903) dove, oltre ad un gran numero di vasi, anfore e piatti, era stata esposta l'ambientazione di due locali (sala da pranzo e bagno) costruita con materiale policromo a lustri metallici; la facciata del settore espositivo era decorata da quattro bassorilievi in grès dovuti a D. Trentacoste, che con il C. dal 1898 aveva la direzione tecnica dell'impresa (Mostra del Liberty, 1972, p. 220).Frattanto il C. continuava anche la pittura di cavalletto: ci rimangono due ritratti della moglie del 1899 (Lido di Camaiore, eredi Chini) e La quiete, opera di impianto un poco scenografico, ma alleggerita dai toni luminosi, con cui il pittore iniziò la sua partecipazione alla Biennale di Venezia, nel 1901. Il primo decennio del nuovo secolo costituì per il C. un periodo di indiscussa fortuna: la sua attività non conobbe soste e si profuse nei campi più diversi. Nella pittura innanzitutto, dove, stimolato forse dall'amico Nomellini e dalle opere di Segantini e di Previati, si volse a tematiche simbolistiche (non del tutto estranee alla sua sensibilità, solo che si pensi alla forte carica allegorica delle sue ultime opere), cui si improntarono i quadri esposti nelle varie edizioni della Biennale: nel 1903, La sfinge e Un tramonto; nel 1905, Il trionfo e La campagna; nel 1907, un tondo dipinto a fresco, Il Battista (ill. n. 26 del catal.), e due tele, Icaro e Il giogo.
E con la pittura il C. sviluppò l'attività di decoratore: alla fine del 1903 iniziò contemporaneamente una serie di decorazioni pittoriche alle pareti e ai soffitti del palazzo della Cassa di risparmio di Pistoia (G. Carocci, in Arte e storia, XXVIII [1909], pp. 333 ss.), e dell'Hotel Pace di Montecatini e nello stesso anno partecipò alla decorazione e all'arredamento della sala toscana alla Biennale, dipingendo la volta, realizzando il fregio in terracotta e maiolica attorno alle pareti, disegnando i modelli di due lampadari e di due porte a intarsio di pietre dure; nel 1906 eseguì decorazioni per la Cassa di risparmio di Arezzo. Nello stesso giro di anni, in collaborazione con l'architetto Giovanni Michelazzi, si diede a decorare numerose ville fiorentine (Cresti, 1971). Dopo aver arredato la sala della "Giovine Etruria" all'Esposizione di Milano del 1906, e dopo aver collaborato alla sala "L'arte del Sogno" per la Biennale del 1907 (tra l'altro con un pavimento in ceramica, assieme al cugino Chino), ricevette nel 1909 l'incarico di affrescare la sala della cupola (ingresso principale) della Biennale con i periodi più importanti della civiltà e dell'arte: la decorazione venne risolta in tre fasce, quella superiore a motivi ornamentali; quella centrale con i seguenti otto episodi, ognuno "spiegato" da un endecasillabo del Fradeletto, Le origini,Le arti primitive,Grecia e Italia,Arte bizantina,Dal Medioevo al Rinascimento,Michelangelo,L'impero del Barocco,La civiltà nuova; quella inferiore infine con motivi tratti dal simbolo astrologico dello scarabeo. Nell'opera, coperta nel 1936 quando Giò Ponti ebbe l'incarico di ristrutturare l'edificio, ma visibile nelle tavole 52-58 dei Modelli d'arte decorativa, II, Milano 1909, e nel catalogo della Biennale, sembrano prevalere, pur non mancando compromessi con la retorica classicistica, il gusto e il ritmo felice del racconto, addirittura con cadenze ironiche. La rassegna dei cicli decorativi comprende ancora la sistemazione del padiglione italiano all'Universale di Bruxelles (1910), e la partecipazione alle esposizioni celebrative del 1911 a Roma, Torino, Firenze. Il C. non interruppe neppure la sua attività di ceramista, perché, se abbandonò nel 1904 l'"Arte della ceramica" che si era appena trasferita in via Settignanese presso Fontebuoni, nel 1907, in società con i cugini Chino e Pietro, diede vita alla "Manifattura Fornaci S. Lorenzo - Chini e C. Borgo S. Lorenzo - Ceramiche e vetri d'arte", la cui attività durò fino alla seconda guerra mondiale (marchio: grata con o senza giglio stilizzato e scritta "Mugello") con il C. direttore artistico e Chino direttore. Questa manifattura aggiunse alla tradizionale produzione in vasi e oggetti decorativi, con frequente uso, soprattutto fino al 1911, di grès, quella di vetrate d'arte e piastrelle.
Nel 1908, realizzando le scene per la Maschera di Bruto di Sem Benelli, il C. iniziò anche la sua attività di scenografo, pregevole per l'alleggerimento della farragine ottocentesca grazie all'immissione di caratteri stilistici propri del liberty. Nel 1909 preparò le scene, i costumi e i "manifesti per la réclame" per la prima, all'Argentina di Roma, della Cena delle beffe benelliana e curò le scene per il Sogno d'una notte di mezza estate (pure all'Argentina); nel 1910 ancora sue furono le scene per L'Amore dei tre re, sempre del Benelli, e per l'Orione di Ercole L. Morselli.
Di rilievo anche la sua azione nel campo della grafica e della cartellonistica: dal manifesto, per l'"Arte della ceramica" (riprodotto nelle pagine pubblicitarie del catalogo della Biennale 1901) a quelli per la Cena delle beffe (1909), per l'Etnografica di Roma (1911), per Piccolo harem di G. Costa, per una mostra canina del 1925 e per Fiorenza del Benelli (1930) fino alla cartellonistica pubblicitaria (per il risparmio, ad esempio). Illustrò il volume benelliano (Firenze, Calvelli, 1901) dedicato agli scultori della Biennale e L'Amore dei tre re (Milano, Treves, 1910), subendo influenze varie, da Morris a Crane a Beardsley; dal 1906 collaborò con vignette al Giornalino della Domenica.
Ad attestarne la fama vennero gli incarichi ufficiali di insegnamento: nel 1908 la cattedra per le arti decorative pittoriche all'Accademia di Belle Arti di Roma e nel 1911 quella di decorazione pittorica all'Accademia di Firenze. Nel 1910 ebbe l'incarico da parte del re del Siam Chulalongkorn, che aveva ammirato la decorazione della cupola alla Biennale dell'anno precedente, di decorare il palazzo reale di Bangkok, allora in avanzata fase di costruzione ad opera di un gruppo di architetti (Rigotti e Tamagno) e ingegneri (Allegri e Gollo) italiani.
Il soggiorno siamese durò dal 1911 al '14 (salvo un breve ritorno in patria nel 1913): il C. dipinse, nel palazzo reale, parte a fresco e parte a calce (calce viva, per garantire stabilità all'intonaco e al colore), tre mezze cupole, una grande lunetta e la vasta cupola dello scalone (con fatti storici e raffigurazioni allegoriche), e diresse l'ornamentazione delle altre parti dell'edificio secondo stilemi di matrice orientale. Ma l'esperienza siamese è importante per la messe di impressioni, immagini, sperimentazioni: che si riflette subito, vivamente, in un gruppo di quadri, eseguiti in Siam e ora conservati presso gli eredi Chini a Lido di Camaiore (Tramonto sul Me-Nam, 1912; Plenilunio sul Me-Nam, 1913, e altre consimili immagini d'Oriente), i quali presentano marginali punti di contatto col divisionismo italiano; ma in realtà sono ad esso irriducibili, nella loro personalissima sintesi di quotidiano realismo e senso del mistero. Partecipa di una medesima atmosfera il capolavoro chiniano. Fine d'anno cinese a Bangkok del 1913 (attualmente conservato dagli eredi a Lido di Camaiore), opera per la quale è forse lecito un accostamento a un Boccioni prefuturista intorno al 1910 (Vianello, 1964). Al soggiorno siamese si riferiscono ancora un folto insieme di studi (ora presso gli eredi Visconti) per costumi e personaggi, dalle tinte luminosissime, e un congruo numero di nature morte, realizzate con statuette, vasi cinesi, maschere teatrali, di un grottesco rilievo.Tornato in Italia, il C. presentò alla Biennale del 1914 una personale con quindici "impressioni d'Oriente", un buon numero di vasi in ceramica e in grès e curò l'allestimento del salone centrale (destinato alle sculture del dalmata I. Meštrović), creando in diciassette giorni diciotto pannelli a tecnica mista (su un fondo dipinto a tempera e oro risaltano figure in olio, stucco e oro). I pannelli, i cui temi erano: La vita e l'animazione dei prati; Ninfe e fanciulle nella primavera classica; L'incantesimo dell'amore e la primavera della vita; Le ninfe e le fanciulle nella foresta; La primavera che perennemente si rinnova, sconcertarono non poco, né bastarono le spiegazioni che l'autore stesso scrisse nel catalogo della rassegna: ma con essi il C., mescolando le influenze d'Oriente col modello klimtiano, perveniva a uno dei risultati più alti del modernismo in Italia, condividendo un certo esito astratto proprio di taluni aspetti del liberty. La grande guerra non interruppe l'attivismo del C., che non disdegnò le vetrate per chiese e i mosaici per cappelle cimiteriali; nel 1917, poi, pubblicò il manifesto Rinnovando rinnoviamoci, sottoscritto da un gruppo di artisti raccolti nell'Associazione propaganda artistico-industriale, il cui scopo principale era l'abolizione delle accademie e l'instaurazione di scuole artistiche industriali atte a rinnovare tutte le forme delle arti applicate. Intanto (1915) si era costruito una casa al Fosso dell'Abate, oggi Lido di Camaiore (aveva progettato anche il piano urbanistico del luogo: presso eredi Chini, Lido di Camaiore), che diventerà la sua residenza preferita e luogo di ritrovo di alcune personalità artistiche del tempo.
Nel '17 iniziò pure la collaborazione al teatro pucciniano per dar vita ai diversi ambienti del Trittico (Tabarro,Gianni Schicchi,Suor Angelica), ma alcune divergenze impedirono che i bozzetti di Tabarro fossero accolti, e vennero utilizzate solo le scene del Gianni Schicchi (in prima al Metropolitan di New York nel 1918). Nel dopoguerra, riprendendo le Biennali, il C. presentò nel '20 tre dipinti e curò la decorazione pittorica del salone centrale con una serie di pannelli un po' estranea alla sua sensibilità: La glorificazione dell'artigliere e dell'ardito lanciafiamme,del nocchiero,dell'aviatore,del fante,del lanciere.
A Salsomaggiore, tra il '20 e il '23, completò la decorazione delle Terme Berzieri e, più tardi (1926) nel Grand Hotel des Termes, curò l'allestimento del salone moresco, della sala delle cariatidi e della taverna rossa; nella cittadina decorò pure alcuni ambienti della villa Fonio (poi Baciocchi), dell'Hotel Porro (coperti in seguito in occasione di un rammodernamento), dell'Hotel Valentini (in parte coperti) e di un locale notturno a Poggio Diana. Tra il '21 e il '22 decorò la villa Scalini a Carbonate (Como), illustrando la funzione specifica di alcune stanze (la camera per i bambini, la sala dei giochi, ecc.). Nel '23 riprese la collaborazione con Puccini per la Turandot, realizzando tre serie di bozzetti (Lido di Camaiore, eredi Chini; Casa Ricordi e Museo teatrale alla Scala a Milano) di cui la prima, in strettissima collaborazione col compositore (nel bozzetto per il secondo atto, secondo quadro, sono ancora visibili i segni a matita tracciati dal maestro), appare particolarmente vivace; del '24 furono le scene per Manon Lescaut, pure del Puccini. In questi anni (tra il '20 e il '25) si dedicò anche ad enormi pannelli per soffitti e pareti di navi ("Roma", "Augustus", "Ausonia"), con episodi tratti dalla storia della marineria. Ininterrotto era stato il susseguirsi di riconoscimenti alle esposizioni internazionali, culminati nel 1925 con l'assegnazione, a Parigi dei due "Granda Prix": uno per i materiali ceramici e uno per la produzione di vasi.
Dopo un ultimo ciclo decorativo, eseguito a villa Donegani, sul lago di Como, nel 1927, il C., partecipando di una sorta di "ritorno all'ordine", si diede ad una pittura naturalistica, in rapporto col clima dei post-macchiaioli, dipingendo nature morte, alcuni nudi e numerosi brani di paesaggio della Versilia: una pittura la cui distanza dal "decorativismo secessionistico e le simbolerie" soddisfaceva il Carrà, che ne scriveva nell'Ambrosiano (1932). Negli anni '40, i paesaggi e le figure incominciano ad assumere una inflessione fauve e un ultimo gruppo di opere, dipinte tra il '50 e il '54 nel dramma di una incombente cecità (L'erede,I rifiuti del mare, entrambi del '50; La preda,Ultimo invito, entrambi del '51; Follia macabra, del '54, l'ultima opera: eredi Chini), assume toni di un tragico espressionismo, sul tema prevalente della morte.
Il C. morì a Firenze il 23 ag. 1956 nella sua casa di via del Ghirlandaio.
I cicli decorativi murali sono andati in parte perduti: quasi illeggibile l'affresco, del 1914, sulla casa fiorentina di via del Ghirlandaio, 52;coperta la cupola della Biennale del 1909 (ma forse ne è possibile il recupero); scialbate numerose decorazioni salsesi. Alcuni esempi di pittura sono conservati in raccolte pubbliche: a Cà Pesaro a Venezia; alla Galleria d'arte moderna di Firenze; nella Galleria degli autoritratti degli Uffizi, dove è conservato un Autoritratto del '35;all'Accademia d'arte di Montecatini; nella Galleria nazionale d'arte moderna di Roma. Alcuni pannelli del '14e numerose opere del periodo siamese furono raccolte da L. Visconti e ora sono passate agli eredi. Ma il maggior numero di opere è ancora conservato dalla famiglia del C. nella villa a Lido di Camaiore: una quarantina di pezzi in ceramica (tra cui il piatto a lustri metallici del 1896 con due profili femminili e delle farfalle che è destinato al Museo della ceramica di Faenza); tra le pitture, oltre a quelle nel catalogo del 1964, alcuni Ritratti della moglie (1899-1905); alcune opere del periodo siamese (L'ora nostalgica sul Me-Nam,Il mio cortile a Bangkok,Fine d'anno cinese a Bangkok,Giardino diun tempio buddista a Bangkok);un pannello del 1914; Il sole che abbaglia (1916);alcune versioni di Icaro; numerose opere eseguite dopo il 1927 (Ore calde al Lidodi Camaiore,Fosso dell'Abato,Campagna inVersilia,Zucche, tutti del '28; Dalla mia finestra,Pomeriggio in pineta,Intimo motivo, tutti del '30; Paesaggio, del '31; Fiori, del '32; Rovine di Firenze, del '45; La danza folle, del '47).Numerose ceramiche sono anche in raccolte private di Milano e di Firenze, a Torino nella collezione Agosti; a Dormelletto, propr. Soc. Razza Dormello-Olgiata, oltre che al Museo della ceramica di Faenza. Pure a Lido di Camaiore sono conservati alcuni originali teatrini per la Manon Lescaut (1924), per L'orodel Reno, per Cenerentola di Rossini (1936).
Nutrito è l'elenco delle mostre postume (si vedano i relativi cataloghi): Lido di Camaiore, villa Chini, 1964;Arezzo, Galleria comunale, 1965;Firenze, Saletta Gonnelli, 1967;Arezzo, Galleria comunale, 1968; Ibid., Circolo artistico, 1968; Milano, galleria del Levante, 1971; Borgo San Lorenzo, Biblioteca comunale, 1971; Firenze, Galleria d'arte di Palazzo Vecchio, 1971; Roma, galleria Canova, 1971; Città di Castello, Il Pozzo, 1971; Siena, La Mossa, 1972; Firenze, Il Fiorino, 1972; Massa, Castello Malaspina, 1973; Salsomaggiore, Terme Berzieri, e Terme Zoja, 1974; Roma, La Nuova Pesa, 1974; Casola in Lunigiana, 1975; Firenze, Teatro della Pergola, 1976; Milano, Pal. della Permanente, 1977; Firenze, Gall. d'arte di Pal. Vecchio, 1979.
Artista ufficiale fino al 1920, poi a lungo misconosciuto, il C. sta subendo un processo di revisione e di riscoperta (Vianello, Marsan, Bossaglia, Nuzzi, Masciotta), pur nella difficoltà di render ragione di esperienze così diverse e irriducibili a un denominatore comune. Emerge tuttavia chiaramente la sua posizione ragguardevole all'interno del liberty nostrano, dovuta ad una non marginale azione di rinnovamento dei repertori figurativi (ceramica, cicli decorativi), e forse preminente: i pannelli per la Biennale del '14, ancorché tardi, si pongono tra i valori assoluti del liberty. Indiscutibile appare poi la coerenza dell'uomo, cui è da riferire la mancanza di contatti con le avanguardie: il che non impedì affinità con la dinamica futurista (Fine d'anno cinese a Bangkok), anche se gli costò posizioni alquanto arretrate (decorazione del Berzieri e del Grand Hotel a Salsomaggiore). Intensa appare infine l'originalità della pittura di paesaggio degli anni '30 e '40 e dell'espressionismo allegorico dell'ultimissimo periodo.
Chino, il cugino del C., capofabbrica dal 1889 dell'"Arte della ceramica", nacque da Tito, pittore e decoratore, a Borgo San Lorenzo il 27 luglio 1870 e a Borgo frequentò le scuole fino alla quinta elementare. Apprese dal padre l'arte della decorazione murale, collaborando con lui in più occasioni; alla sua morte, nel 1887, ne proseguì l'attività fino al 1899, quando si trasferì a Firenze. Assunto dall'"Arte della ceramica", nel 1901 ne divenne direttore tecnico, in sostituzione di Vittorio Giunti. Ebbe parte non piccola nei successi che la giovane fabbrica mieté ovunque in Europa; e nel 1906 diede vita alla nuova fabbrica della "Manifattura Fornaci S. Lorenzo". Morì a Borgo San Lorenzo il 19 febbraio del 1957.
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