Galilei, Galileo
Fosse o no iscritto all'Accademia Fiorentina, il giovane G. vi tenne in due consecutive riunioni, tra la fine del 1587 e il principio dell'anno seguente, forse dietro invito del console Baccio Valori, due ‛ lezioni ' circa la figura, sito e grandezza dell'Inferno di Dante. Un dialogo sul medesimo argomento era già stato pubblicato, nei primi anni del secolo, per opera di G. Benivieni, desunto dalle opinioni di A. Manetti, quattrocentista fiorentino, matematico e studioso di cose cittadine, le cui opinioni, divulgate anche attraverso il commento del Landino, divennero quelle ufficiali degli accademici. Così essi si sentirono impegnati a difenderle e a difendersi quando furono duramente confutate dal Vellutello, affidandone il compito a una ‛ promessa ' della scienza.
G. accettò, più che per interesse letterario (citerà D. ancora un paio di volte, e di sfuggita, in tutta la sua opera), probabilmente per farsi un titolo che gli aprisse la strada alla cattedra universitaria di matematica; e certamente il taglio dell'esposizione, la partizione metodica degli argomenti, il giro scolastico della frase mirano dritto al ‛ come volevasi dimostrare ', e le lezioni non presentano alcuno spunto di carattere critico.
La prima è interamente dedicata a esporre il pensiero manettiano: forma, grandezza (in assoluto e relativamente a quella della terra) e collocazione della voragine infernale; quindi numero, estensione e intervallo degli scaglioni in cui degrada l'immenso anfiteatro; infine, in veloce sintesi, il tracciato del viaggio dantesco; si conclude riconoscendo la mirabile aderenza del Manetti alla struttura espressa dal poeta. La seconda illustra l'opinione del Vellutello, mostrando in pari tempo le concordanze e le discordanze rispetto al Manetti, discordanze che riguardano le grandezze di quasi tutti gli elementi architettonici, e in più la direzione itinerale (dal Vellutello erroneamente indicata come destrorsa) e il numero dei ponti di Malebolge; l'esito del confronto, condotto con stringente argomentare e perfetta conoscenza della materia, dà in effetti ragione all'ortodossia fiorentina. Come si rileva da diversi passaggi e dalla testimonianza di F. Valori - che fu il solo a lasciare pubblico ricordo delle due conferenze (Termini di mezzo rilievo e d'intera dottrina tra gli archi di casa Valori, Firenze 1604, 12-13) -, G. accompagnò il suo dire con esemplificazioni grafiche che però non ci sono rimaste.
Bibl. - Le due lezioni - conservate in originale e in una copia sincrona - vennero primamente fatte conoscere da O. Gigli, in Studi sulla D.C. di G.G., Vincenzio Borghini ed altri, Firenze 1855, quindi furono inserite da A. Favaro - che poté escludere l'autografia della lettera e del disegno che le seguono nell'ediz. Gigli - nel vol. IX dell'ediz. nazionale, ibid. 1899 (ristampata nel 1934); da ultimo in G.G., Scritti letterari, a c. di A. Chiari, ibid. 1970².
Studi: O. Gigli, prefazione a Studi sulla D.C., cit., V-XIV; M. Barbi, Della fortuna di D. nel secolo XVI, Pisa 1890, 142-144, 354-355; a. Favaro, G.G., Modena 1910, 16-17; V. Spampanato, il culto di D. nel Campanella, in " Giorn. Crit. Filosofia Ital. " II 4 (1921) 35-41; A. Chiari, prefazione agli Scritti letterari di G., cit. , XI-XII.