GALLI BIBIENA
Famiglia di architetti e scenografi, pittori e quadraturisti originari di Bibbiena nel Casentino, attivi anche in ambito europeo tra il XVII e il XVIII secolo. L'autonomia professionale delle singole personalità, l'omogeneità di espressione tecnica e stilistica, nonché la capacità di lavorare in équipe caratterizzarono questa celebre dinastia di artisti.
Ad aprire la secolare vicenda artistica della famiglia fu Giovanni Maria il Vecchio, nato a Bibbiena intorno al 1618-19.
Nel 1628 si recò a Bologna presso lo zio don Bartolomeo, cappellano dell'ospedale di S. Maria della Vita, che si era assunto la responsabilità dell'educazione dei nipoti. Questi lo introdusse nella bottega di Francesco Albani ove, per distinguersi da un omonimo pittore, Giovanni Maria aggiunse al cognome il toponimo "Bibiena", che passò quindi a tutti i suoi discendenti. Si sposò con la bolognese Orsola Maria Possenti da cui ebbe cinque figli, fra i quali Ferdinando, Francesco e Maria Oriana.
In uno scarno elenco delle opere di Giovanni Maria, il figlio Ferdinando annota che alcune furono vendute come opere "del famoso Albani", suo maestro (N. Clerici Bagozzi, in Meravigliose scene…, 1992, p. 15): pertanto è difficile individuare le diverse mani di Giovanni Maria e degli allievi dell'Albani. Dell'esiguo catalogo delle sue opere vanno ricordate l'Ascensione di Cristo, il solo dipinto autografo che di lui ci resta, e le tele laterali raffiguranti il Beato Giacomo Urannert e il Beato Giovanni Bochester, eseguite nel 1651 per la chiesa bolognese di S. Gerolamo alla Certosa. A lui si debbono anche la tela con S. Agostino, proveniente dall'oratorio della Compagnia della Cintura in S. Giacomo (Bologna, Pinacoteca nazionale), e il ciclo con i Fatti della storia di Bologna, affrescato nella sala Farnese del palazzo comunale fra il 1658 e il 1660 per volontà del cardinal legato Girolamo Farnese.
A Giovanni Maria spetta infine il quadro raffigurante Papa Urbano II benedice l'insegna dei crociati bolognesi, nel quale egli inscena un "gentile, anche se un po' antiquato teatrino albanesco" (ibid., pp. 15 s.).
Morì a Bologna il 20 giugno 1665.
Primogenita di Giovanni Maria il Vecchio e di Orsola Maria Possenti fu Maria Oriana, nata a Bologna nel 1656. Dapprima allieva del padre, passò a bottega con M.A. Franceschini, presso il quale si dedicò allo studio della figura; passando prima, secondo il Crespi, attraverso la bottega di Carlo Cignani. Si sposò con Giacomo Antonio Pizzoli, paesaggista e quadraturista, e dopo la morte di questo andò a vivere con il fratello Ferdinando quando anche questi rimase vedovo.
Maria Oriana eseguì copie di opere altrui, alcuni ritratti e quadri di sua invenzione. Tra le sue opere giovanili si ricorda la pala dell'altare maggiore della chiesa della Madonna del Sasso a Fossombrone (ibid., p. 104).
Morì a Bologna il 13 genn. 1749 all'età di novantatré anni.
Alessandro, figlio di Ferdinando e di Corona Stradella, nacque il 15 ott. 1686 a Parma dove si formò presso il padre. Nel 1708 si recò a Barcellona, alla corte di Carlo (III) d'Asburgo, al seguito del padre, e lì collaborò all'allestimento dell'apparato per le esequie dell'imperatore Giuseppe I (1711). Nel 1712, divenuto Carlo d'Asburgo imperatore (VI di questo nome), Alessandro si trasferì con il padre e alcuni dei fratelli alla corte di Vienna. Da lì si allontanò intorno al 1717 per entrare al servizio del principe elettore del Palatinato, Carlo Filippo. E per questo prestigioso committente Alessandro lavorò a Neuburg e a Heidelberg. Per la cappella di corte di Heidelberg, in particolare, realizzò apparati effimeri come attesta il disegno presso la Staatliche Graphische Sammlung di Monaco (Lenzi, 1992, p. 107). In qualità di scenografo collaborò all'allestimento di Crudeltà consuma amore per il teatro di Neuburg (1717).
Dal 1719 svolse attività di architetto e scenografo alla corte del principe Carlo Eugenio del Palatinato, per la cui residenza approntò anche una sala appositamente destinata alla commedia francese (Lenzi, 1989). Nello stesso anno sposò la dama di corte Carlotta Francesca Becker.
Seguirono anni di lunga e intensa attività in cui lavorò nei castelli e nelle residenze del Palatinato in qualità di ingegnere e sovrintendente alle Fabbriche e agli Spettacoli. Incarichi e ruoli di prestigio si susseguirono numerosi già a partire dal 1720 soprattutto a Mannheim, dove fu attivo come scenografo e architetto.
Nel 1724 curò l'allestimento di Ester e nel 1742 di Meride, lo spettacolo che inaugurò il teatro di corte di Mannheim. Sempre a Mannheim fu responsabile della costruzione di numerosi edifici; fra questi si ricordano il collegio (1730-31), il ginnasio (1737) e la chiesa dei gesuiti, i cui lavori furono avviati nel 1738, anche se la consacrazione avvenne solo nel 1760. Nella medesima città progettò la facciata, oggi perduta, del Kaufhaus (1736-46) e soprattutto il teatro di corte (1737-42), costruito su suo disegno, ma distrutto per cause belliche nel 1795 (Lenzi, 1992, figg. 5 s.).
Nel 1740 fu nominato cavaliere del Sacro Romano Impero; e tre anni dopo, nel 1743, l'elettore Carlo Teodoro lo riconfermò nelle cariche di ingegnere e sovrintendente alle Fabbriche e agli Spettacoli. La sua attività è documentata anche per la residenza di Schwetzingen tra il 1722 e il 1748. In particolare si conservano i progetti per la vecchia orangérie, poi demolita, per il piccolo teatro, per il Zirkelhaus, per il mercato; lavorò infine al piano della cosiddetta città nuova. Nel 1746-47 elaborò perizie e progetti, non eseguiti, per la residenza di Stoccarda.
Morì a Mannheim il 5 ag. 1748.
Il ricco corpus dei disegni di Alessandro si conserva presso la Staatliche Graphische Sammlung di Monaco tra il materiale della collezione avviata dal principe Carlo Teodoro intorno al 1758 e confluita poi a Monaco nel 1777.
Giovanni Maria il Giovane, altro figlio di Ferdinando e di Corona Stradella, nacque a Piacenza il 19 genn. 1693. Seguì il padre quando questi si recò a Vienna chiamato alla corte dell'imperatore Carlo VI, e vi rimase anche dopo il rientro del padre in Italia. La sua figura non deve essere confusa con quella di Giovanni Battista, che nacque a Parma nel 1700 e morì a soli diciassette anni (D. Lenzi, in L'arte del Settecento…, 1980, p. 266). Giovanni Maria dovette partecipare, in luogo del padre Ferdinando, all'allestimento delle luminarie del palazzo d'Althann in occasione dei festeggiamenti per la nascita dell'arciduca Leopoldo, primogenito di Carlo VI, e si trasferì con il fratello Alessandro alla corte di Carlo Filippo del Palatinato. Nel 1723 si sposò a Praga con una ricca donna boema, Regina Maria Ryba.
Nel 1730-32 fu attivo a Bologna dove si conserva l'affresco con la dea Flora in una sala della casa paterna di via S. Vitale. Al periodo bolognese risalgono anche gli elaborati di progetto per il concorso per la facciata di S. Giovanni in Laterano a Roma (1732: Berlino, Kunstbibliothek). Fu accademico d'onore della Clementina.
Ancora a Vienna nel 1737 Giovanni Maria lasciava trasparire, in una lettera del maggio, la volontà di trasferirsi a Londra con il fratello Giuseppe (Lenzi, 1972, p. 368). A questo periodo potrebbe risalire, secondo la Lenzi, la Veduta architettonica con porticati, firmata da lui.
Le notizie della sua attività sono piuttosto esigue. Nel 1746 era a Napoli, architetto e ingegnere di re Carlo di Borbone. Dopo i lavori al teatrino della villa reale di Portici, distrutto nel 1757, non si hanno più sue notizie fino al 1762 allorché fu contattato per gli interventi di restauro al teatro S. Carlo, ma declinò l'incarico, forse per rientrare a Praga dove ancora viveva la moglie, che morì in quella città nel 1764 (D. Lenzi, in L'arte del Settecento…, 1980, p. 267).
Giovanni Maria ritornò comunque a Napoli e qui morì il 27 sett. 1777 (Prota Giurleo, 1960, p. 181).
Giuseppe, anch'eglifiglio di Ferdinando e di Corona Stradella, nacque a Parma nel 1695. La sua formazione avvenne presso il padre che seguì a Barcellona nel 1708 e quindi a Vienna nel 1712.
Iniziò la propria attività nel 1715 a fianco del padre nell'allestimento dei castra doloris per Luigi XIV e per Carlo di Lorena nella Augustinerkirche, la cui memoria visiva è affidata alle tavole di Architetture e prospettive (II, tavv. 1-4; III, tav. I), importante raccolta delle opere che Giuseppe realizzò per feste e teatri. Dedicata all'imperatore Carlo VI, quest'opera vide la luce ad Augusta nel 1740, in quattro parti rispetto alle dieci previste; due tomi furono poi stampati nel 1744.
Gli studiosi tuttavia concordano nel riconoscere il vero esordio di Giuseppe nell'allestimento teatrale di Angelica vincitrice di Alcina di Pietro Pariati. La rappresentazione (1716) si svolse sulla grande peschiera della Favorita per celebrare la nascita dell'arciduca Leopoldo (Zanotti).
In qualità di apparatore e architetto al servizio della corte riscosse ampi riconoscimenti anche dopo il rientro del padre in Italia. Nel 1718 fu, infatti, insignito del titolo di secondo ingegnere teatrale dell'imperatore. Negli anni 1721, 1723 e 1725, all'epoca della residenza viennese, Giuseppe fu eletto inoltre docente di architettura presso l'Accademia Clementina di Bologna, carica nella quale fu però sostituito dal padre.
In occasione dell'incoronazione di Carlo VI re di Boemia (1723), eresse un grandioso anfiteatro lungo le rive della Morava, nei pressi di Hradiète, e si occupò sia dell'allestimento delle scene per l'opera Costanza e Fortezza, sia dell'allestimento della sala per il banchetto dell'incoronazione (Lenzi, 1992, tav. 7, p. 32).
Nel 1727 Giuseppe fu nominato primo ingegnere teatrale di corte. Il soggiorno viennese fu intervallato da viaggi a Graz (1728), a Praga, ove lavorò agli apparati per celebrare la canonizzazione di Giovanni Nepomuceno (1729), e a Linz (1732).
È stata segnalata dal Galavics l'attività svolta per la nobile famiglia Kohary, per cui avrebbe realizzato nel 1736 gli affreschi nella sala delle feste del castello a Ebenthal, in Austria.
Dopo la morte di Carlo VI (1740) rientrò in Italia ove accettò alcuni incarichi. A Torino, dove allestì lo spettacolo inaugurale del teatro Regio di Benedetto Alfieri e gli spettacoli per il carnevale successivo, eseguì anche i disegni per la decorazione a quadratura della cupola della chiesa della Consolata, poi dipinta da G.B. Alberoni, e per quella del santuario di Vicoforte presso Mondovì, realizzata dal milanese F. Biella.
A Bologna fu attivo al teatro Malvezzi (1742); a Venezia, ove si trattenne fino al carnevale dell'anno successivo, fu impegnato al S. Giovanni Crisostomo (Povoledo, 1951). Il soggiorno italiano si concluse nel 1743 allorché Giuseppe rientrò a Vienna per organizzare i festeggiamenti indetti per l'onomastico di Maria Teresa e per dirigere (gennaio 1744) i lavori di trasformazione della cavallerizza coperta in sala da ballo. L'occasione fu offerta dalle nozze di Carlo Alessandro di Lorena con Maria Anna d'Austria. La vita teatrale viennese all'epoca del regno di Maria Teresa non era tuttavia particolarmente vivace e Giuseppe preferì lasciare Vienna. La fama acquisita da lui d'altronde era tale da richiedere la sua partecipazione ai più importanti progetti teatrali in Europa. Valgano, fra gli altri, i disegni per il teatro (poi non realizzato) di Stoccolma, nonché quelli per il teatro dell'Opera di Bayreuth, costruito nel 1745-48 per volere della margravia Gugliemina Sofia, sorella di Federico II il Grande di Prussia. Per il progetto dell'interno, cavea-palcoscenico, la sovrana si rivolse a Giuseppe che intervenne nel cantiere dapprima tramite il figlio Carlo Bernardo Giuseppe, quindi personalmente nel 1748. Ebbe inoltre grande successo a Dresda nel 1747, quando progettò gli allestimenti per le duplici nozze di Maria Antonia, figlia dell'imperatore Carlo VI, con Federico Cristiano di Sassonia e di Maria Anna di Sassonia con Giuseppe Massimiliano di Baviera (Hadamowsky).
Sempre a Dresda curò il restauro del teatro e delle scene dell'Opera (1753). Nel 1754 passò a Berlino al servizio di Federico II di Prussia, e qui morì nei primi mesi del 1757.
Antonio Luigi, altro figlio di Ferdinando e di Corona Stradella, nacque a Parma nel 1697. Non è ancora stato chiarito se egli si sia recato a Barcellona (1708-11) e a Vienna (1712-17) al seguito del padre, come fecero due suoi fratelli, Alessandro e Giuseppe.
I biografi riferiscono di una sua formazione bolognese presso Giovan Gioseffo Dal Sole, Felice Torelli e Marc'Antonio Franceschini. Studiò poi con il padre iniziando la carriera di architetto, quadraturista, scenografo e pittore e con lui partecipò ai lavori di restauro del teatro della Fortuna di Fano. È documentato a Roma con lo zio Francesco nel 1720, nel cantiere di ristrutturazione del teatro Alibert. Dell'intensa attività svolta in ambito teatrale si segnalano i prestigiosi allestimenti di Astarto e Sirita approntati al teatro Formagliari di Bologna (1721) e di Caio Marzio Coriolano al teatro Vicini di Cento.
Il periodo di maggiore attività fu quello viennese, siglato dal conferimento del prestigioso incarico di secondo ingegnere teatrale, avvenuto nel gennaio 1727. A Vienna si sposò con Eleonora, figlia di Santino Bussi, stuccatore e suo collaboratore in numerose altre imprese (Hadamowsky).
Durante il lungo soggiorno viennese fu annualmente impegnato come scenografo negli spettacoli di corte, che eseguì in collaborazione con il fratello Giuseppe, secondo l'abitudine familiare a impegnarsi all'estero in lavori di équipe di indiscusso rilievo. Realizzò, quindi, la decorazione a fresco (perduta) della galleria di palazzo Questenberg a Vienna (1723), in collaborazione con Gaetano Rosa, e della biblioteca (1724). Fu attivo inoltre nella cattedrale di Veszprém in Ungheria (1726). La critica più recente ha ritenuto di potergli ascrivere anche gli sfondati prospettici nelle cupolette delle navate, date le consonanze stilistiche con le opere bolognesi (Bergamini, 1991, pp. 195-197). Sul volgere degli anni Venti del secolo elaborò i disegni (1729) per l'ammodernamento del presbiterio della Peterskirche. In particolare si devono a lui l'ancona dell'altare maggiore, le cantorie e la decorazione a quadratura della volta della chiesa, che eseguì tra il 1730 e il 1732.
Al 1732 risalgono anche i fuochi d'artificio approntati a Klosterneuburg per il genetliaco di Carlo VI. Progettò inoltre nel 1740 scenografici catafalchi per le esequie di Carlo VI che furono eretti nel collegio spagnolo di Vienna e a Bratislava.
Sul volgere degli anni Quaranta, forse in un momento a lui non troppo favorevole, accettò l'invito e la protezione di Emerigo di Esterházy, vescovo di Veszprém e poi arcivescovo di Esztergom, che nei domini degli Asburgo lo impegnò in una intensa attività sia nel settore civile, sia in quello religioso. Nel 1738, a Bratislava, eresse un arco trionfale in onore dell'Esterházy. Realizzò probabilmente lo scalone del castello di Ansbach e progettò nel 1739 l'altare della cappella della Madonna nel duomo di Nagyszombat (oggi Trnava), in Slovacchia (Galavics, 1984, pp. 186 s.). Fra il 1744 e il 1745 realizzò gli affreschi prospettici della cupola della chiesa dei trinitari di Bratislava, eloquente testimonianza di una sapienza acquisita nel settore dell'architettura costruita (Bergamini, 1991, p. 195).
In seguito alla morte del cardinale Esterházy (1745), rientrò a Vienna e nel 1747 progettò la ristrutturazione del grandioso teatro di corte realizzato dallo zio Francesco. L'anno successivo ottenne la carica di "primo architetto imperiale".
Nel 1751 rientrò in Italia. La lunga esperienza maturata nell'oltre trentennale soggiorno alla corte viennese e le sue non comuni capacità di architetto teatrale lo imposero sulla scena italiana ove fu impegnato dapprima nella ricostruzione del teatro dei Rinnovati di Siena (1751-53), quindi in quella dei teatrini di Colle di Val d'Elsa e di Pistoia (1754-55), fino a ideare le scene e la decorazione del fiorentino teatro della Pergola (1755).
Il rientro a Bologna data invece al 1756, in concomitanza con il concretizzarsi dei lavori al nuovo teatro pubblico, inaugurato il 14 maggio 1763 con sue scene per la rappresentazione del Trionfo di Clelia di C.W. Gluck, testo di P. Metastasio.
La vicenda progettuale dell'edificio procedette non senza difficoltà. L'ambizioso progetto fu infatti ridimensionato sia per problemi di ordine economico, sia perché ritenuto troppo innovativo. L'architetto elaborò pertanto un secondo e poi un terzo progetto, nel quale raggiunse soluzioni di maggiore semplicità, secondo un più "moderno" formulario che a Bologna andava diffondendosi per influenza dell'Algarotti. Il modello approvato presenta pianta a campana, proscenio profondo con palchetti, cavea a balconcini secondo un assetto che il teatro conserva tuttora (Lenzi, 1975, pp. 310, 319).
Fra il sesto e il settimo decennio del Settecento l'attività teatrale di Antonio Luigi fu molto intensa. Fu impegnato ad allestire scenografie teatrali a Milano (1751-53), Parma (1753, 1761, 1763), Reggio Emilia (1759) e a Bologna. Nell'ambito dell'architettura teatrale si devono a lui anche la progettazione interna del teatro di Lugo, il teatro Scientifico di Mantova (1767-69) e il teatro dei Quattro Cavalieri associati a Pavia (1771-77).
Il cantiere del teatro Scientifico di Mantova, per la cui costruzione gli accademici avevano cercato contatti con lo zio Francesco nel 1716, fu aperto nel 1767. Più che al vicentino teatro Olimpico del Palladio, il progetto pare afferire a soluzioni di età imperiale, che Luigi Antonio poteva conoscere attraverso le stampe (Lenzi, 1992, pp. 35 s.). L'impianto della cavea è a campana, la saldatura tra le due parti ad arcoscenio. I quattro ordini di palchi, con balconcini architettonicamente definiti, posano su una sorta di porticato a bugnato rustico, richiamando così nel partito architettonico il modello del teatro bolognese.
Pianta a campana e quattro ordini di palchi presenta anche il teatro dei Quattro Cavalieri associati di Pavia, la cui costruzione, promossa da quattro patrizi pavesi, ebbe inizio nell'ottobre 1771. Il teatro, inaugurato con l'opera Il Demetrio (24 maggio 1774) su testo di Metastasio, si caratterizza per la presenza di camerini in corrispondenza dei palchi e ove lo spazio lo consentiva aperti anche lungo i percorsi anulari di scorrimento, nonché per la realizzazione nella sala di un arcoscenico a doppio intercolumnio che rimanda, come è stato osservato, a quello progettato per il teatro Comunale di Bologna (L. Giordano, in L'arte del Settecento…, 1980, p. 129).
Tra le architetture costruite si ricordano inoltre lo scalone e il salone del palazzo comunale di Forlì, all'interno del quale realizzò anche la decorazione a fresco fra il 1762 e il 1763.
In qualità di decoratore eseguì gli affreschi (perduti) della sala del Consiglio di Ravenna, a Bologna progettò l'impaginazione pittorica della sala degli Anziani nel palazzo comunale (1756-58) e la finta cupola dipinta su tela nella chiesa di S. Maria della Vita (1759: distrutta), che aveva riscosso l'ammirazione del Crespi (p. 93).
Ad Antonio Luigi spettano inoltre complesse prospettive dipinte in atri e cortili di dimore storiche bolognesi, tra cui la prospettiva nel cortile di palazzo Sanguinetti e quella nel secondo cortile di palazzo Lambertini a Bologna, eseguita nell'ambito degli ampliamenti condotti al palazzo per volere degli eredi di papa Benedetto XIV nel 1761. Quest'ultima fu un vero e proprio exploit scenografico, sintesi di molteplici esperienze, dall'attività svolta Oltralpe, agli insegnamenti del padre Ferdinando.
La sua intensa attività di quadraturista lo portò a operare in chiostri e cappelle, decorazioni in larga parte scomparse. Fuori Bologna si conservano le quadrature della sagrestia del duomo di Cremona (1763-65), e i contemporanei progetti per la decorazione del grande salone di palazzo Ferrari, ora Cartolari, a Verona.
Della quadratura realizzata sulle pareti e sulla volta del salone, che lo Zannandreis riferiva a F. Maccari e L. Pavia, giunti da Bologna a Verona al seguito di Antonio Luigi, si conservano tre fogli preparatori presso il Museo Luxoro di Genova-Nervi, datati 1762 e 1763 e firmati "A. Galli Bibiena". G. Biavati (in L'arte del Settecento…, 1980, pp. 28 s.), tuttavia, per le affinità dell'assetto compositivo del motivo centrale della fuga prospettica, sottolineava le tangenze con l'affresco di uno dei cortili di palazzo Legnani a Bologna, noto da un'incisione di Carlantonio Pisarri del 1760. Argomentazioni di stile inducevano la studiosa a ipotizzare che i disegni non fossero stati ideati per una stessa committenza, date le divergenze del formulario decorativo che caratterizzano gli elaborati delle pareti lunghe del salone da quelli delle pareti brevi, attardati su stilemi ancora rococò.
La sua tarda attività si espletò fra Emilia e Lombardia. Si deve a lui infatti la chiesa parrocchiale di Villa Pasquali (1765), nella campagna mantovana, informata a quella particolare ricerca degli effetti scenografici che caratterizza la produzione della famiglia Galli Bibiena.
Il cantiere di questa imponente parrocchiale durò diciannove anni. Delle due torri campanarie previste nel progetto, solo una fu terminata. Caratterizza lo sviluppo interno dell'edificio la netta divaricazione fra lo spessore murario dell'ordine inferiore e la trasparenza della cupola e dei catini a doppio cielo, con la calotta inferiore traforata. Le nicchie con timpani triangolari costituiscono un partito strutturale successivamente adottato nei progetti bibieneschi. In particolare la Matteucci (in L'arte del Settecento…, 1980, pp. 83 s.) ricordava i disegni di progetto per palazzo Paveri Fontana a Piacenza che il marchese Gaetano commissionò ad Antonio Luigi nel 1773.
Per quanto riguarda l'attività lombarda di Antonio Luigi, l'Oretti documentava le prospettive dipinte nel giardino del palazzo Del Majno e le decorazioni della scala e della sala nella residenza Gambarana entrambe a Pavia (Bergamini, 1991, p. 196).
Antonio Luigi morì a Milano il 28 genn. 1774.
Giovanni Carlo Sicinio, figlio di Francesco e di Anne Mitté, nacque a Bologna nel novembre 1717. Fu l'unico dei numerosi figli di Francesco a seguire la professione paterna; dal padrino, il conte Sicinio Pepoli, derivò il suo terzo nome.
Si formò presso la bolognese Accademia Clementina ove frequentò la scuola del padre e dello zio Ferdinando. Non tardò a dare prova delle proprie capacità operative, come dimostrano i risultati ottenuti: primo premio Marsili per la classe di architettura nel 1735 e nel 1739 (D. Lenzi, in L'arte del Settecento…, 1980, p. 266). Nel 1742 fu nominato direttore di architettura, incarico che ricoprì anche negli anni 1745-46 e dal 1749 al 1751.
Nel 1745 sposò la bolognese Maria Isabella Beccari, con la quale visse fino al febbraio 1755, quando quest'ultima morì. Si risposò quindi con la portoghese Rosa Maria de Jesus (Beaumont, 1973, p. 411).
L'attività di architetto teatrale lo impegnò dapprima a Verona al teatro Filarmonico nel 1740, per Alessandro nelle Indie di A. Hasse, e per Ezio di A. Carlone, quindi a Bologna, dove nel 1741 allestì le scene per l'Ezio di Metastasio e N. Jommelli, rappresentato al teatro Malvezzi.
Sempre a Bologna eseguì i sepolcri nella chiesa del Baraccano (1745) e nella chiesa di S. Tommaso su strada Maggiore (1748). Eseguì anche gli affreschi, perduti, sulla facciata di casa Malvezzi da San Sigismondo (Bassani). Si occupò inoltre della ristrutturazione di casa Banzi e progettò la scala elicoidale di palazzo Malvasia, ora Garagnani (1750: Lenzi, 1982). Di recente è stata precisata la sua partecipazione nelle prospettive dipinte nel salone delle feste della villa dei conti Lechi a Montirone (1746: Lenzi, 1997).
Fra il 1751 e il 1752 si trasferì a Lisbona su invito di Giuseppe I del Portogallo. Lo accompagnarono Antonio Dardani, Giacomo Azzolini, Giovanni Berardi e il macchinista teatrale Petronio Mazzoni. Giovanni Carlo Sicinio, che era stato incaricato da Giuseppe I di approntare l'ammodernamento dei servizi teatrali, costruì un teatro nella sala delle Ambascerie di palazzo Ribeira, inaugurato il 12 sett. 1752 con l'opera Il Siroe, cui seguì Demofoonte. Per entrambi gli spettacoli approntò egli stesso le scene. L'intensa carriera di architetto teatrale lo vide impegnato nella costruzione del teatro nel palazzo di Salvaterra de Magos, località nella quale la corte trascorreva i soggiorni invernali, per cui dipinse anche lo scenario, e che fu inaugurato il 21 genn. 1753 con la Didone abbandonata di Metastasio.
Sono stati ricondotti alla Didone e alla mano di Giovanni Carlo Sicinio i bozzetti a penna e acquerello raffiguranti Sala di trono con veduta di città e Salone regio del Museu nacional de arte antiga di Lisbona (Da Silva Correia).
Progettò inoltre il teatro dell'Ópera do Tejo (1755), che i contemporanei ricordano come "sontuoso" e "magnifico", ma che fu distrutto dal terremoto del 1756.
Negli anni successivi al terremoto Giovanni Carlo Sicinio attese alla ricostruzione dei quartieri reali e della residenza di Ajuda. Dapprima però si occupò della costruzione di una residenza temporanea per la corte, nota come "real barraca". Il progetto e la decorazione della nuova residenza reale gli offrirono l'opportunità di esibire le proprie capacità di architetto e di scenografo. Nel settembre 1760 fu nominato architetto aggiunto per i palazzi e le tenute reali; nel frattempo aveva anche ottenuto la cittadinanza portoghese.
In quello stesso anno fornì i disegni per la chiesa della Memoria di Belém (Beaumont, 1992). La chiesa, iniziata nel 1760, fu poi conclusa dall'architetto Mateus Vicente de Oliveira.
Morì il 3 ottobre di quello stesso anno, all'età di soli quarantatré anni, nella parrocchia di Ajuda ove aveva vissuto.
Carlo Bernardo Giuseppe, figlio di Giuseppe di Ferdinando e di Maria Eleonora Zlinskij, nacque a Vienna ove fu battezzato l'8 febbr. 1721. È segnalato a Bologna dal 1728 al 1743, allievo del collegio S. Luigi nel 1731 e ancora dal 1736 al 1738 (Lenzi, 1992, p. 111).
Dal padre apprese l'architettura e la prospettiva, secondo l'ormai consolidata tradizione di famiglia. La sua carriera iniziò all'insegna di ruoli di collaborazione: partecipò con il padre e con il cugino Giuseppe Carlo Sicinio alla decorazione a fresco della cupola del santuario di Vicoforte, presso Mondovì (1741). Esordì come scenografo con l'allestimento delle scene per la corte di Bayreuth (1746), cui seguì la partecipazione alla decorazione della cavea e delle scene del teatro dell'Opera (1748). Egli riscosse ampi consensi non solo per le scene dello spettacolo inaugurale, ma anche per le sontuose feste che allestì in occasione del matrimonio del duca Carlo Eugenio di Württemberg con la figlia della margravia Federica Sofia.
La tappa bolognese nel corso del viaggio in Italia, compiuto nel 1756, è segnata dalla decorazione (perduta) della cappella di S. Antonio nella chiesa dei teatini. La sua fu una carriera frenetica che lo vide al centro di numerosi viaggi nelle Fiandre, in Francia e in Olanda, a Londra e in Spagna. Nel 1763 ricoprì la carica che era stata del padre alla corte prussiana; ma in seguito alla guerra dei Sette anni fu costretto ad allontanarsi.
Carlo Bernardo Giuseppe lavorò probabilmente anche a Nancy per l'ex re di Polonia Stanislao Leszczyński, duca di Lorena dal 1753; è possibile che si sia poi trasferito in Spagna. Il 13 ag. 1770 è documentato a Napoli, dove esordì con Antigono, musiche di P. Cafaro, al teatro S. Carlo. La rappresentazione si tenne in occasione dei festeggiamenti per il compleanno della regina. Nel 1771 si recò a Caserta, dove fu attivo come scenografo del regio teatro, su incarico del sovrano Ferdinando IV. L'anno successivo fu chiamato da Luigi Vanvitelli a coadiuvarlo nell'impresa decorativa di palazzo Perrelli, di proprietà del duca d'Arcos, don Antonio Ponce León, e a dipingere le scene del teatro, per i festeggiamenti in occasione della nascita di Maria Teresa Carolina, primogenita del re, di cui si conservano le incisioni di C. Nolli (Civiltà…, 1979, p. 327). In quest'occasione ideò le scene della Cerere placata, con musiche di N. Jommelli, spettacolo presentato per la prima volta al pubblico di corte la sera del 14 sett. 1772. Fu questo l'ultimo allestimento napoletano documentato di Carlo Bernardo Giuseppe, che lasciò ufficialmente la corte, essendosi ormai rivelato inutile il suo tentativo di sostituirsi all'anziano Antonio Iolli.
Intorno alla metà degli anni Settanta fu attivo a Drottningholm e a Stoccolma; quindi, dal 1776 al 1778, a Pietroburgo ove si conserva un interessante corpus di disegni autografi.
G. Bianconi riferisce che morì a Firenze nel 1787.
Ferdinando Antonio, altro figlio di Giuseppe e di Maria Eleonora Zlinskij, nacque a Vienna nell'ottobre 1727 (Hadamowsky). La sua formazione avvenne assai verosimilmente presso il padre, giacché la sua presenza nella casa bolognese della famiglia è registrata solo dal 1751 al 1754 (Lenzi, 1992, p. 112). La sua attività è ancora in larga parte da ricostruire; e si suppone che possa essersi ampiamente svolta in Germania, ove poté operare al seguito del padre. Il Crespi infatti ricorda che Giuseppe nel 1769 era da tempo attivo a Dresda come attesta una sua lettera del 12 genn. 1776 ad Angelo Bianconi, agente a Bologna della corte sassone.
Gli sono state attribuite quattro scene dell'opera Talestri regina delle Amazzoni di Maria Antonia di Walpurgis, elettrice di Sassonia, composta su libretto proprio edito a Lipsia nel 1765. Le quattro scene, che vi sono riprodotte, recano l'indicazione "F. Bibiena fecit" e potrebbero riferirsi alle rappresentazioni ideate per il ritorno a Dresda nel 1763 di Federico Augusto III di Sassonia. Alle incisioni i medesimi studiosi ritengono di potere accostare anche il disegno di un Recinto destinato alla custodia dei prigionieri, conservato in un album della Biblioteca civica di Cagli (Mancini - Muraro - Povoledo, 1975).
Non sono note altre opere di Ferdinando Antonio che fu attivo a Dresda oltre il 1776. Non si conosce neppure la data della sua morte.
Filippo, figlio del medico Giuseppeepronipote di Ferdinando, nonostante si firmasse col solo cognome di "Bibiena", nacque nel 1765 a Bologna, dove si formò all'architettura presso la locale Accademia Clementina, con F. Tadolini, i quadraturisti Vincenzo Mazzi e Flaminio Minozzi e l'architetto Angelo Venturoli. Tra le poche notizie biografiche che ci sono giunte si ricorda il conseguimento del premio Fiori dal 1786 al 1788, cui seguirono i premi Marsili Aldrovandi per l'architettura nel 1789 e nel 1790 (D. Lenzi, in L'arte del Settecento…, 1980, pp. 250 s.). Filippo svolse attività di architetto e scenografo in Romagna a partire dal 1788, quando lavorò al teatro di Bertinoro. Nel 1792 realizzò il progetto per il restauro del teatro di Bagnacavallo e per la decorazione del sipario. Nel 1803 Filippo si recò in viaggio a Mosca, dove dipinse un sipario e dove ambiva trattenersi quel tanto "da farsi un piccolo stato" (lettera al padre, Mosca, 21 genn. 1803: Lenzi, 1992, p. 112). Di nuovo a Bologna, partecipò alle scenografie per I due gemelli di Giuseppe Gazzaniga, lo spettacolo allestito al teatro della Comune nel 1807 con Pietro Fancelli, Luigi Busatti e Mauro Berti. Nello stesso anno lavorò alla decorazione di casa Conti di via S. Vitale in collaborazione col paesista Busatti (Bassani). Fu ancora un'opera di collaborazione quella che lo vide impegnato con Vincenzo Carnevali all'allestimento delle scene della Vendetta di Nino, di F. Moretti, rappresentata nel 1808 a Reggio Emilia.
Di nuovo a Bertinoro, nel 1819, eseguì alcuni affreschi perduti nella sala consiliare del palazzo comunale. In qualità di architetto teatrale curò i lavori di ampliamento al teatro di Forlimpopoli (1833), dove affrescò un ambiente in palazzo Lolli Mignani (Gori, pp. 19 s.).
Morì a Bertinoro nel 1842.
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