Galli
A differenza, per esempio, di Francesco Guicciardini, che distingue sempre e con rigore i G. antichi dai moderni francesi, M. si riferisce usualmente agli abitanti dell’antica Gallia con il nome di «franciosi», così come può indicare i francesi del suo tempo come G. (nello scritto cancelleresco De natura Gallorum, che mette a frutto l’esperienza diretta delle sue legazioni nel regno di Francia, ma anche nei Decennali). Il ricordo dei G. segna due temi diversi, ma egualmente portanti, della riflessione machiavelliana. Da un canto, in Discorsi II viii, M. nota che i «nomi nuovi che sono nella Italia e nelle altre provincie, non nascono da altro che da essere state nomate così da nuovi occupatori: come è la Lombardia che si chiamava Gallia Cisalpina; la Francia si chiamava Gallia Transalpina, e ora è nominata da’ Franchi, che così si chiamavono quelli popoli che la occuparono»; e l’esempio viene a confortare l’idea che i conquistatori rinnovano tutto, imponendo anche una nuova lingua per «spegnere la memoria» dell’antica (cfr. Discorsi II v). Dall’altro, una presunta identità di temperamento tra antichi G. e francesi (Discorsi III xxxvi: «Le cagioni per che i franciosi siano stati e siano ancora giudicati, nelle zuffe, da principio più che uomini e dipoi meno che femine») offre lo spunto per considerazioni su tratti permanenti della «natura» dei popoli, comunque mai tali che «ordini» appropriati non possano correggerli. In Discorsi II viii, M. ricorda la migrazione di Celti in Spagna e in Italia, ai danni degli Etruschi (che persero il dominio della Lombardia) e degli stessi Romani (assedio del Campidoglio, 390 a.C.; presentato in Discorsi III i come una «battitura estrinseca» addirittura «necessaria», «a volere che [Roma] rinascesse e... ripigliasse nuova vita e nuova virtù»); nonché la successiva guerra tra G. e Romani, conclusasi con la vittoria dei secondi in una sanguinosa battaglia presso la foce dell’Ombrone (225 a.C.; ricordata anche in Discorsi II i 15).