GALLIANO
(lat. vicus Gallianatium, Galianus)
Centro della Lombardia, in Brianza, situato nel circondario nordorientale di Cantù (prov. Como). L'antichità dell'insediamento è testimoniata da numerosi reperti romani, soprattutto epigrafi funerarie e are con iscrizioni dedicatorie, anche di età tardoantica (Sannazaro, 1991).Il monumento più importante di G. è la chiesa di S. Vincenzo, al cui interno sono state rinvenute in diverse epoche alcune lapidi sepolcrali datate alla seconda metà del sec. 5° o all'inizio del 6° (Ecclesius, Savinus, Adeodatus), che costituiscono un terminus ante quem per la costruzione di un primo edificio cultuale sulla collina. Recenti scavi (Brogiolo, 1981; 1991) ne hanno evidenziato a grandi linee le caratteristiche: un'aula unica absidata di modeste dimensioni, contenuta entro l'attuale navata centrale, il cui pavimento, come si deduce dalle impronte rinvenute, era decorato da opus sectile geometrico. L'edificio subì in seguito una ristrutturazione che sembra aver comportato l'allungamento verso O e la costruzione degli attuali muri della navata centrale; in un momento ancora successivo sarebbero state aggiunte le navate laterali, collegate da arcate sostenute da pilastri di pietra reimpiegati da un recinto funerario romano. Non sono finora disponibili dati archeologici o testuali che possano datare queste fasi intermedie: resta perciò solo l'evidenza delle pareti della navata centrale, pur se in parte modificate da interventi successivi, la cui cortina muraria piuttosto irregolare è formata da ciottoli, pietre e, in minor misura, laterizi. Nella parete meridionale si aprivano quattro finestre ad arco, mentre nella parete settentrionale le monofore erano otto, alternate a sette insolite aperture verticali a losanga, accostabili ad analoghi partiti decorativi, come quelli del battistero di Lomello, del 7° secolo. Per il corpo della navata è stata suggerita una datazione ai secc. 9°-10° del tutto ipotetica e ancora da verificare (Caramel, 1976).Di cronologia certa è invece l'intervento architettonico che condusse l'edificio allo stato attuale (ma la navata destra e il campanile furono demoliti nel corso del sec. 19°) e che consistette nella creazione di una nuova abside con presbiterio sopraelevato e della sottostante cripta a oratorio. Una lunga iscrizione, incisa su di una lastra di marmo cipollino, ricorda infatti la consacrazione avvenuta il 2 luglio 1007 e il committente dell'impresa, Ariberto da Intimiano (v.), allora suddiacono e dal 1018 arcivescovo della chiesa milanese e custos di S. Vincenzo. L'immagine dello stesso Ariberto in atto di offrire al Cristo il modello dell'edificio e un'altra iscrizione, entrambe affrescate nel semicilindro absidale, sottolineano enfaticamente l'opera di ristrutturazione. La posteriorità dell'abside rispetto alle pareti della navata centrale trova giustificazione sia in un distacco murario sul lato nord (Annoni, 1949), sia nella presenza di un massiccio contrafforte congruo all'abside, sempre sul fianco settentrionale (Caramel, 1976), sia infine in un più regolare ed evoluto trattamento della superficie esterna, scandita da arcate cieche e traforata da un doppio ordine di finestre, di cui quelle della cripta con accentuata doppia strombatura. Si colloca intorno al Mille la stessa cripta, uno dei primi esempi in area lombarda del tipo a oratorio con volte a crociera e archi trasversi su quattro colonne. Nel nuovo presbiterio sopraelevato venne reimpiegata la pavimentazione in opus sectile a piastrelle bianche e nere della chiesa precedente, caratteristica degli edifici paleocristiani e altomedievali dell'Italia settentrionale.L'intervento di Ariberto culminò nella decorazione pittorica, estesa dalla zona absidale alle pareti della navata centrale, ove furono occluse alcune delle più antiche finestre. La lettura degli affreschi, oggi in parte compromessa da lacune, è agevolata da tre litografie acquarellate ottocentesche (Cantù, Bibl. Com.; Annoni, 1835; Bertelli, 1993b). La grandiosa visione teofanica del catino absidale è dominata al centro dalla gigantesca figura di Cristo entro una mandorla verso la quale si inchinano Geremia ed Ezechiele, seguiti dalle figure stanti degli arcangeli Michele e Gabriele, che recano cartigli con le scritte "Peticio" e "Postulatio", e che si fanno quindi interpreti, con valenza giuridica, delle istanze dei fedeli; completano la composizione due gruppi di santi. Nel semicilindro absidale si dispongono tra le finestre le scene del Martirio e del Seppellimento di s. Vincenzo di Saragozza - il più antico ciclo affrescato del santo - e, a destra, la figura di S. Adeodato che presenta al Cristo il suddiacono Ariberto con il modello della chiesa; sulla fronte dell'arco absidale, a sinistra, è infine raffigurato Elia sul carro di fuoco. Tutte le scene sono incorniciate da fasce decorative con meandri prospettici e altri motivi geometrici, vegetali e animali.La decorazione della navata centrale, la cui superficie pittorica è stata distaccata dal muro e restaurata a più riprese negli ultimi decenni, si articola in tre registri sovrapposti completati in alto da busti di profeti e in basso, tra gli archi, da busti di santi. Sulla parete settentrionale si trovano, a partire dall'alto, Storie di Adamo ed Eva e, forse, di Giuditta e di s. Margherita; sulla parete meridionale Storie di Sansone e di s. Cristoforo, estese queste ultime su due registri, collegati da una gigantesca figura del santo. Si tratta di cicli iconograficamente piuttosto insoliti, che si ricollegano in parte ad altre decorazioni di ambito lombardo del sec. 11° come quella del S. Calocero di Civate per le Storie di Sansone o quelle del S. Pietro di Agliate (v.), del S. Martino di Carugo e del S. Vittore di Muralto (Canton Ticino) per le Storie dei progenitori (Bertelli, 1989).La posizione della critica è abbastanza concorde, tranne qualche eccezione (Bertelli, 1993a), sulla contemporaneità tra gli affreschi dell'abside e quelli della navata, ma è decisamente unanime nel riconoscere comunque la netta prevalenza dei primi rispetto agli altri dal punto di vista stilistico. Nell'abside operò infatti un maestro di altissimo livello, abile interprete delle nuove tendenze figurative della cultura ottoniana, riflesse, per es., dalla miniatura della Reichenau e dagli affreschi in St. Marien a Oberzell (de Francovich, 1942-1944; 1955; Salvini, 1954). Le figure sono rese con dinamica volumetria, accentuata da violente e quasi metalliche lumeggiature che contribuiscono a collocare gli eventi in una dimensione irreale e metafisica. Gli artisti che affrescarono la navata appaiono invece, rispetto alla modernità del maestro dell'abside, più legati alla tradizione pittorica precedente (Toesca, 1912) e solo in parte seguono il fare vigoroso e luministico del primo pittore.Pertinenti al complesso di S. Vincenzo sono infine alcune testimonianze scultoree, di stile ed epoca notevolmente diversi. All'inizio del sec. 7° appartengono tre lastre con motivi decorativi resi a incisione: una, con chrismon e colombe, era reimpiegata all'interno del battistero (Caramel, 1976), mentre le altre due, con le epigrafi sepolcrali di Manifrit e Odelbertus, si trovano oggi a Milano (Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica; Romanini, 1971; Russo, 1974); ai secc. 8°-9° sono stati attribuiti i quattro capitelli corinzi a foglie lisce in opera nella cripta (Magni, 1984); al primo sec. 11° si ricollega stilisticamente l'aquila marmorea che doveva far parte dell'antico ambone, mentre di discussa collocazione sono, infine, i due capitelli all'ingresso settentrionale della cripta (Zastrow, 1981; Magni, 1984).A breve distanza dal fianco meridionale della chiesa di S. Vincenzo si trova il battistero di S. Giovanni, che, nelle sue forme attuali, viene generalmente attribuito a una fase successiva del medesimo intervento aribertiano, con l'aggiunta di poco posteriore del pronao. Poiché è ignota l'epoca in cui S. Vincenzo divenne chiesa plebana, non si è quindi a conoscenza se il battistero sia stato preceduto da una costruzione più antica, della quale peraltro non è stata finora rinvenuta, in sede archeologica, alcuna traccia. L'edificio presenta un'insolita pianta quadrilobata, che è stata confrontata (Caramel, 1976) con il sacello carolingio di S. Satiro a Milano (v. Ansperto), ed è articolato in due piani raccordati da scale in spessore di muro; il vano centrale, delimitato da quattro pilastri ottagoni, è coperto da una cupola a otto spicchi su ampie trombe d'angolo, alla quale corrisponde esternamente un tiburio, pure ottagonale, aperto da tre monofore e una bifora. La struttura esterna, costituita da ciottoli, pietre e scarsi laterizi, come quella della chiesa ma di aspetto più regolare, è modulata da singolari trombe tra le emergenze lobate e presenta una decorazione ad archetti pensili in gruppi di due, di sapore ancora arcaico, ma giudicata formalmente più evoluta rispetto alle arcate cieche dell'abside di S. Vincenzo. All'interno resta al centro dell'edificio una grande vasca monolitica, a O della quale fu rinvenuta, alla fine del secolo scorso, un'ampia piscina di forma ovoidale con i resti di numerosissime ampolle vitree collegabili evidentemente con il rito battesimale (Garovaglio, 1884-1886). Da segnalare, infine, la presenza, piuttosto insolita, di ben tre altari, uno al piano terreno e due al piano superiore, la cui funzione liturgica nell'ambito del battistero è ancora da definire (Brenk, 1988).
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