GAND
(fiammingo Gent; Ghendt, Ganda nei docc. medievali)
Città del Belgio settentrionale, capoluogo della Fiandra orientale, posta in una regione pianeggiante, caratterizzata da una fitta rete di corsi d'acqua navigabili, alla confluenza dei fiumi Schelda e Lys. Il toponimo deriva dalla parola celtica ganda, che con ogni probabilità significa 'confluenza, foce'.Le testimonianze più antiche del primo nucleo di insediamento preistorico risalgono al Paleolitico medio. Al tempo della conquista romana il territorio di G. era occupato da due tribù celtiche, a S della Schelda i Nervi e a N i Menapi. Durante tutto il periodo della dominazione romana, il più importante nucleo insediativo della zona, occupato per tutto il periodo del Basso Impero, si trovava a E della confluenza tra i due fiumi e tutto fa pensare che esso sia da identificare con il vicus di Ganda.Quando all'inizio del sec. 5° i Franchi attraversarono il Reno si produssero importanti cambiamenti delle strutture esistenti; tuttavia, sebbene si possano citare ritrovamenti d'epoca merovingia più o meno interessanti nel territorio di G., fino a oggi esiste solo una scarsa conoscenza della fisionomia e delle caratteristiche delle zone abitate. All'epoca merovingia (secc. 6°-7°) alcune parti dell'od. abitato di G. erano più popolate di altre; tra queste, il sito più conosciuto è indiscutibilmente quello di Port Arthur, posto a N del centro attuale; quanto al sito del vicus gallo-romano, alcune tracce attestano l'esistenza in quest'epoca di un piccolo agglomerato a carattere rurale, mentre è noto un altro insediamento sulla cresta sabbiosa parallela alla Schelda, a S dell'od. cattedrale.La storia di G. nell'Alto Medioevo è strettamente legata alla genesi di due monasteri precursori di abbazie benedettine: quella di Blandinium, o abbazia di S. Pietro (Sint Pieters), sulle pendici del mons Blandinus (Blandijnberg), e quella di Ganda, o abbazia di S. Bavone (Sint Baafs), vicino alla confluenza tra Schelda e Lys. Fu grazie all'intervento del re Dagoberto I (629-639) che Amando, missionario proveniente dall'Aquitania, e i suoi compagni fondarono questi monasteri, in cui si può supporre che i religiosi abbiano adottato inizialmente una regula mixta che combinava quella di s. Benedetto e quella di s. Colombano. Non è pervenuto tuttavia alcun elemento relativo alla struttura o all'architettura di questi monasteri. Anche il sec. 8° rimane ancora un periodo oscuro; nondimeno - come testimonia la presenza di prodotti importati, trovati durante le campagne di scavo - nelle immediate vicinanze del monastero di Ganda sembra che si trovasse un insediamento commerciale e mercantile.La prima metà del sec. 9° fu un periodo di fioritura per i due monasteri durante il governo dell'abate commendatario Eginardo, biografo di Carlo Magno, che ottenne da Ludovico il Pio (814-840) per le due istituzioni la conferma del privilegio d'immunità, già concesso dal suo predecessore.Nell'edificio a tre navate scoperto durante gli scavi dell'abbaziale medievale a Ganda può essere individuata la chiesa costruita all'epoca di Eginardo; un capitello messo in luce nello stesso sito, con motivi decorativi di ispirazione ionica, sembra vicino a un gruppo di sculture, ispirate all'arte dell'Antichità classica eseguite in ambienti direttamente legati a Eginardo. Un complesso di fornaci per la produzione della calce, scoperto sulle pendici del Blandijnberg, indica una rilevante attività costruttiva in seno al monastero di Blandinium; tuttavia, la localizzazione di una chiesa carolingia sotto quella barocca di Nostra Signora di S. Pietro rimane ancora ipotetica.Le fonti del sec. 9° attestano chiaramente che Ganda era il più importante dei due monasteri di G., ma la situazione mutò con l'arrivo dei Normanni. Dopo un primo attacco di Vichinghi danesi (851), che portò saccheggi e incendi, i religiosi riuscirono a salvare i beni e le reliquie perché si erano dati alla fuga quando il pericolo era diventato imminente. Nell'879 il grande esercito normanno, proveniente dall'Inghilterra, sbarcò sulla costa settentrionale dell'od. Francia e risalì i fiumi; nel novembre dello stesso anno stabilì il proprio accampamento invernale a Ganda, rimanendovi per diversi mesi e portando devastazioni lungo tutta la valle della Schelda. Alcune tracce messe in luce nei siti monastici si riferiscono a questo periodo di invasioni normanne o piuttosto al ripristino delle istituzioni quando cessò il pericolo.I canonici di Blandinium poterono reinsediarsi in breve tempo, grazie a donazioni ricevute già nell'888-892; al contrario la comunità di Ganda dovette trascorrere ancora alcuni decenni in territorio francese, prima di poter fare ritorno, nel 937 circa. Per tutto questo tempo il monastero di S. Pietro rimase l'unico nel territorio di G. e ottenne concessioni di privilegi da parte dei conti delle Fiandre. Il conte Arnolfo I (918-965), uno dei grandi benefattori del monastero, ne incrementò il rinnovamento materiale e spirituale, introducendo una comunità di Benedettini al posto dei canonici voluti da Eginardo nel sec. 9° e rivolgendosi al riformatore lotaringio Gerardo di Brogne (m. nel 957). Nei secc. 10° e 11° la chiesa abbaziale divenne così luogo di inumazione per diversi membri della famiglia comitale. Il rinnovamento comportò anche l'avvio di un'ampia campagna costruttiva: diverse vestigia in pietra calcarea della regione di Tournai risalgono a questo periodo. La chiesa abbaziale - il cui nucleo antico si doveva trovare sotto la cupola della chiesa barocca - venne ampliata secondo un impianto che ricorda quello dell'abbaziale di Cluny III di Ugo di Semur-en-Brionnais (1048-1109). All'inizio del sec. 13° venne dotata di una cappella assiale, costruita su una pianta trilobata. A causa delle devastazioni avvenute nella seconda metà del sec. 16°, la conoscenza relativa alla sistemazione interna, all'arredo liturgico e alle opere d'arte risulta molto scarsa.Inizialmente non sembra che Arnolfo I avesse avuto l'intenzione di restaurare il monastero di Ganda, anche per la tenace opposizione da parte dei monaci di S. Pietro. Va comunque ricordato che la storia medievale dei due monasteri risulta gravemente alterata da numerose manipolazioni effettuate nei secc. 10° e 11° a causa della rivalità tra le due istituzioni. Tuttavia nel 946-947, anche grazie alle reiterate istanze di Transmar, vescovo di Noyon-Tournai, il conte Arnolfo I diede inizio al restauro del complesso, che era diventato abbazia di S. Bavone. Fu però soprattutto l'imperatore Ottone II (973-983) a sostenere la ricostruzione dell'abbazia, che rientrava nella sua strategia difensiva, costituendo una frontiera del suo impero lungo la Schelda. La chiesa abbaziale, realizzata in differenti fasi tra la fine del sec. 10° e la fine del 12°, è oggi in rovina. I resti architettonici e le testimonianze iconografiche permettono di ricostruire un edificio con pianta a cinque navate, coro, transetto, cappelle orientali e un gruppo di torri sormontanti l'incrocio. Caratteristiche che trovano analogie in centri vicini, come Messines, Soignies e Nivelles. Altri elementi, come la cripta orientale e l'avancorpo occidentale, sono tipici dell'architettura medievale mosana e renana. Analogie si riscontrano anche con l'architettura della regione di Tournai diffusa in tutta la valle della Schelda. Degli edifici monastici si conservano parte della sala capitolare e del chiostro posto, eccezionalmente per la tradizione dei monasteri delle Fiandre, a N dell'abbaziale, nonché il lavatorium ottagonale, datato tradizionalmente al 1170, con mensole figurate con protomi umane, caratteristiche della scultura architettonica della regione di Tournai, a sostegno della cupola a nervature. Le più antiche vestigia della cinta monastica sono in calcare di Tournai e fanno pensare a una costruzione tra l'11° e la fine del 13° secolo. Diverse trasformazioni, testimoniate da membrature gotiche in laterizio e in pietra bianca, sono dovute all'abate Raphael de Mercatel (1478-1508). Con un decreto del 1540 Carlo V soppresse l'abbazia di S. Bavone, destinando il luogo alla creazione di una fortificazione con bastioni, denominata castello degli Spagnoli.Nel Medioevo gli insediamenti abitativi presso questi monasteri diventarono veri villaggi satellite. Di quello sorto intorno a S. Bavone, alcune tracce sono state messe in luce attraverso scavi archeologici; vi si trovava tra l'altro la parrocchiale consacrata alla Vergine, una chiesa a tre navate, di cui una fase può essere messa in relazione con una dedicazione del 1067. Nel Basso Medioevo, tramite un accordo firmato tra G. e gli abati, questi villaggi furono riuniti alla città e inclusi nella cinta urbana. Mentre il villaggio annesso a S. Bavone scomparve nel sec. 16°, durante la creazione dei bastioni, quello annesso a S. Pietro conservò alcuni privilegi fino alla Rivoluzione francese. La chiesa, nota soprattutto attraverso documenti iconografici, risaliva prevalentemente al sec. 13° e aveva caratteristiche comuni a quella di S. Nicola (Sint Niklaas) e ad altre costruzioni tipiche del Gotico della regione della Schelda; la parte orientale, su pianta trilobata, invece trova analogie in Francia.La storia medievale di G. non si limita a queste due abbazie e ai villaggi a esse annessi; diversi elementi permettono di localizzare un primo nucleo urbano sulla riva sinistra della Schelda. La scoperta di un fossato semicircolare ha rivelato l'ubicazione di una prima cinta - il cui tracciato si è potuto completare grazie ad antiche piante catastali - all'interno della quale, per lo meno fino alla fine del sec. 11°, erano situati gli edifici più significativi. Tra questi si può ricordare la prima chiesa parrocchiale di S. Giovanni (Sint Jans) - poi divenuta l'od. cattedrale di S. Bavone (Sint Baafs) -, menzionata per la prima volta nel 964, ma che potrebbe essere anche di origine più antica. Ancora alla fine del sec. 12° davanti a questa chiesa si riuniva il banco scabinale della città e nelle immediate adiacenze si trovavano edifici con funzioni pubbliche. Non vi sono resti di case in pietra e le costruzioni, che dovevano essere in legno, hanno in genere lasciato poche tracce; invece, il ritrovamento di suppellettile, tra cui numerosi pezzi di importazione, indica un livello socioeconomico di un certo rilievo. Di notevole interesse è anche una casa fortificata, detta il castello di Gerardo il Diavolo, situata sulle rive della Schelda. Per il carattere del suo donjon originario, 'restaurato' alla fine del sec. 19°, e per la sua appartenenza nel sec. 13° al visconte di G., si può supporre che esso non avesse inizialmente la funzione di semplice dimora signorile, ma fosse più probabilmente postazione di controllo fortificata del traffico fluviale.La prima cinta, che racchiudeva un territorio di ha 7 ca., seguiva il corso della Schelda. È probabile che l'insediamento avesse una funzione commerciale ed è logico ipotizzarne una relazione con la menzione di un portus Ganda, citato intorno all'865 nel Martyrologium Usuardi. Le conoscenze acquisite a tutt'oggi permettono di datare la sistemazione della cinta intorno a quell'epoca, inserita in un progetto molto più ampio, che aveva lo scopo di proteggere i centri abitati e le popolazioni contro il pericolo crescente delle invasioni normanne.Dai dati finora conosciuti sembra risultare che la fortificazione circolare abbia perso la sua funzione a partire dalla metà del sec. 10°, in quanto il nucleo abitato aveva superato questa delimitazione, sviluppandosi verso O fino alla Lys e anche sulla riva occidentale di questo fiume. Al più tardi verso il 1100 l'insediamento, ormai esteso, era probabilmente circondato da una nuova cinta, elemento di difesa e al tempo stesso simbolo di autonomia. Sembra che in un primo tempo questa cinta, formata da corsi d'acqua (Lys, Schelda) e qualche fossato, fosse stata protetta da un terrapieno e da una palizzata in legno. La datazione è sostenuta da numerosi dati storici, e in effetti G. deve i suoi primi privilegi comunali al conte Roberto il Frisone (1073-1093). Dalla metà del sec. 10° il portus forse beneficiò di uno statuto specifico - per quanto riguarda il regime della proprietà fondiaria, la giustizia e l'organizzazione ecclesiastica - diverso da quello delle zone vicine, sottomesse alla diretta autorità delle due abbazie o del conte di Fiandra e diverso anche da quello che regolava la campagna circostante. L'istituzione dello scabinato, la formazione del patriziato e anche l'influenza di una corporazione di potenti mercanti risalirebbero alla fine dell'11° secolo.Al principio del sec. 13° le strutture difensive di questi insediamenti erano considerevoli, come attestano sia le fonti scritte della fine del sec. 12° relative ad altre fortificazioni sia i resti in calcare di Tournai ancora conservati all'interno della cinta; le fortificazioni dovevano comprendere quattro porte principali e altre secondarie, torri e tratti di muratura a rinforzo dei punti più deboli della cinta preesistente.Nel corso della seconda metà del sec. 10° i conti di Fiandra si insediarono a O del nucleo commerciale, sulla riva sinistra della Lys. La proprietà comitale comprendeva diverse aree: un nucleo centrale, contraddistinto dalla presenza del castello dei Conti ('s Granvensteen) propriamente detto; la prima corte, riservata a differenti edifici a carattere ufficiale e alla chiesa castrense di S. Farailde (Sint Veerle); un'area oblunga a E, circondata da corsi d'acqua e abitata da artigiani al servizio del conte. Solo nel 1274 queste parti della proprietà comitale furono sottomesse all'autorità cittadina.Il sito del castello ha rivelato diverse fasi di occupazione in epoca medievale. La prima costruzione centrale in pietra risale verosimilmente al sec. 11°; essa sostituiva un grande edificio in legno, circondato da parecchi annessi - riconducibile secondo le fonti forse al sec. 10° -, e costituisce tuttora la base del donjon conservato. La residenza, lussuosissima per l'epoca, era su tre piani e disponeva di una scala in pietra, di latrine e di camini a nicchia. Edifici in legno circondavano il nucleo centrale, e una torre, citata nella Passio Caroli (1127) di Galberto di Bruges, era stata eretta di fronte alla facciata occidentale. All'inizio del sec. 12° la base della residenza fu inglobata in una motta e numerose costruzioni in legno, poi in pietra, furono erette sulla piattaforma di quest'ultima. Un'ampia campagna di ricostruzione fu intrapresa intorno al 1180 dal conte Filippo d'Alsazia (1168-1191): la torre fu trasformata in un donjon, alto m. 30, e completamente riorganizzata. Il castello fu provvisto di una cortina con ventiquattro torri aggettanti che si ricongiungevano al castelletto d'ingresso fortificato, ricostruito con estrema accuratezza. Seppure molto restaurato intorno al 1900, il castello dei Conti presenta ancora nel suo complesso l'assetto della fine del 13° secolo.Lo sviluppo del centro urbano fu contrassegnato tra la fine del sec. 11° e l'inizio del 12° dalla fondazione di nuove parrocchie: S. Giacomo (Sint Jacob; 1093) e S. Nicola (post 1093), a detrimento della parrocchia madre di S. Giovanni, e S. Michele (Sint Michiels; ante 1105) sulla riva occidentale della Lys, dipendente dalla chiesa di S. Martino d'Akkergem (Sint Maartens). Partendo dai numerosi resti conservati nel sottosuolo e in alzato, è stato possibile ricostruire la fisionomia delle chiese del 12° secolo. L'importazione della pietra di Tournai e della calce giocò un ruolo importante sullo sviluppo dell'architettura a G., che infatti risentì fortemente dell'influsso del Romanico sviluppatosi nella regione della Schelda a partire proprio dalla città di Tournai. L'apogeo di questa corrente si colloca nella seconda metà del 12° e all'inizio del 13° secolo. Si possono riscontrare tuttavia alcune differenze: la chiesa di S. Giacomo, per es., era dominata da due torri occidentali che delimitavano una facciata molto articolata, mentre nella chiesa di S. Giovanni le torri in corrispondenza dell'incrocio e la cripta orientale costituivano gli aspetti più caratteristici; questa cripta ha conservato diversi elementi di quell'epoca, come le colonne ottagonali monolitiche dal capitello stilizzato.Solo da pochi anni la ricerca archeologica ha messo in luce il numero rilevante delle grandi dimore medievali al centro della città. Attualmente si sono potute localizzare più di duecento case in pietra di origine medievale, ed è stato possibile anche ricostruire meglio lo sviluppo dell'abitato urbano. Si tratta di un'evoluzione che prese l'avvio da proprietà molto estese, collegate a una casa centrale lontana dallo spazio pubblico. In una seconda fase, particelle catastali più o meno uguali, comprendenti una casa con facciata che immetteva sulla strada, con una corte dove si disponevano edifici secondari, si svincolarono da queste prime proprietà. Già in epoca medievale numerose strade principali avevano una larghezza considerevole (da m. 8 a 12). Le proprietà erano delimitate da vicoli, parecchi dei quali sono sopravvissuti all'urbanizzazione dei tempi moderni. Prima della fine del sec. 14° nuove abitazioni, spesso già in laterizio, furono costruite sugli spazi liberi tra le case prospicienti la strada. Nello stesso secolo cominciò anche il frazionamento dei terreni lungo i vicoli secondari e dietro le proprietà antistanti. È là che apparvero le prime case ad ambiente unico in laterizio, destinate ad alloggiare una classe sociale diversa da quella delle grandi dimore in pietra. Vi fu un'evidente relazione tra l'evoluzione dei fondi e la devoluzione di una proprietà tramite matrimonio o eredità, come si può dedurre da alcune fonti scritte. Diversi indizi d'altronde sottolineano un rapporto tra le case medievali in pietra e i viri probi o i viri hereditarii, un gruppo d'élite di ca. trenta-cinquanta famiglie, che comprendeva grandi proprietari terrieri e mercanti divenuti potenti per le loro molteplici attività economiche. Queste famiglie controllavano la produzione e l'esportazione del panno attraverso tutta l'Europa. In seno alla corporazione di tali commercianti furono designati i primi scabini. Essi governavano la città detenendo anche funzioni giuridiche relative all'organizzazione e al funzionamento della comunità urbana. La ricchezza di questi viri hereditarii si manifestò tra l'altro nelle case-torri, di cui danno testimonianza ancora alcune fonti scritte a partire dalla metà del 12° secolo.L'analisi più dettagliata dei dati materiali consente di distinguere diversi tipi di case in pietra raggruppate nel centro della città. La pianta quadrata si apparenta alle torri e ai donjons, per quella rettangolare sono possibili confronti nell'architettura religiosa e civile. La combinazione di un corpo su pianta quadrata con uno su pianta rettangolare sembra avere avuto ampia diffusione e le case che uniscono questi due corpi sotto un unico tetto hanno a volte una lunghezza che supera i m. 25. Un buon numero di case ha conservato una parte rilevante di alzato. Al di sopra di un primo livello, piano terreno o sala semi-sotterranea, vi erano generalmente tre piani. Il piano nobile, al di sopra della sala semisotterranea, era quello di maggiore rappresentanza. La sala inferiore era generalmente divisa in due o tre navate da travi in legno o da colonne con capitelli 'a foglie' o 'a crochets', ispirati a quelli di Tournai, che tuttavia non permettono di stabilire una precisa cronologia degli edifici. Le aperture potevano infatti essere contemporaneamente ad arco a tutto sesto, così come ogivale o segmentato. A eccezione dei camini, di qualche nicchia o di un fregio isolato, l'architettura di queste case si rivela sobria e massiccia. Sebbene la funzione militare non fosse quella primaria, il possesso di una costruzione così solida e di grande effetto doveva risultare molto rassicurante in tempo di guerra o di rivolta.Nessuna struttura in legno ha potuto essere rilevata al centro della città per la facile deperibilità del materiale e anche perché la densità dell'abitato ha contribuito a cancellare molte tracce. È evidente che le Stenen, come venivano chiamate le case in pietra nei testi scritti a partire dal Basso Medioevo, sostituivano costruzioni più antiche in legno e pisé, per le quali le notizie restano molto frammentarie. Fori di pali o frammenti di torchis, sorta di malta di fango e paglia o erba utilizzata nel Fachwerk, rinvenuti nei depositi e negli strati archeologici, ne rivelano talvolta la presenza. Nel sec. 13° le case in legno erano concentrate soprattutto nelle zone di minore interesse e nei quartieri suburbani.La ricerca archeologica, pur non avendone chiarito le cause, ha messo in luce le tracce di un considerevole strato di innalzamento del sec. 13°, che ricopre tutta la città all'interno della cinta del 12° secolo. Forse ciò fu in relazione con la rettifica dei corsi d'acqua, in quanto la regolazione della Lieve assicurava un collegamento con il porto dello Zwin a Damme e con la sistemazione di lungofiumi. Tuttavia questo rialzamento del livello di calpestio, che raggiunge talvolta m. 2 di altezza, trasformò la fisionomia della città: le chiese romaniche furono sostituite da chiese gotiche, le case in pietra furono adattate alla nuova situazione o ricostruite. Anche lo spazio pubblico subì sostanziali cambiamenti; un gruppo di case dovette scomparire per la creazione del mercato del Venerdì (Vrijdagmarkt), altre zone ancora disabitate furono lottizzate. Le case in pietra costruite presso la Lys e il mercato del Grano (Koornmarkt) si presentavano più ravvicinate tra loro e non circondate da ampie corti; il primo livello era sempre un piano terreno con un maggior numero di aperture rispetto alle altre case medievali. Per parecchie di queste costruzioni è attestata una funzione di magazzino, soprattutto per le granaglie (il dazio sul passaggio del grano sulla Lys è noto a partire dal sec. 14°); furono le famiglie ereditarie le prime proprietarie di tali magazzini.Nel sec. 13° e in seguito al rialzamento del piano di calpestio le chiese parrocchiali furono ricostruite su una pianta più ampia e secondo una tradizione architettonica ormai gotica. La trasformazione fu attuata per gradi e venne portata a termine soltanto nel Basso Medioevo. Oggetto di un restauro molto rigoroso, la chiesa di S. Nicola viene considerata come uno dei vertici dell'architettura della regione della Schelda realizzata sotto l'influenza di Tournai. Al tempo di una prima campagna di ricostruzione, l'alzato della navata si articolava su quattro livelli, con tribuna e triforio, come nelle cattedrali di Noyon, Laon, Parigi e Tournai. La facciata occidentale, delimitata da torrette decorate, si caratterizzava anche per la scultura che sormontava l'ingresso principale. La trasformazione delle navate si poneva in relazione con la ricostruzione del transetto, della torre nolare e di un coro a terminazione piatta: tutti elementi che sottolineano l'evoluzione dell'architettura della regione della Schelda, caratterizzata inoltre dal ricorrente impiego di motivi a nicchia o ad archetti ciechi.Parallelamente all'evoluzione del patriziato, le proprietà si moltiplicarono, divenendo meno consistenti e più frammentate. L'incremento di un'architettura molto rappresentativa annuncia già il regresso delle attività economiche e commerciali dei loro proprietari; infatti nel corso della seconda metà del sec. 13° si manifestarono i primi indizi del declino. Gli avvenimenti contemporanei alla battaglia degli Speroni d'oro (1302) contribuirono ad accelerare un processo che aveva cominciato a determinarsi già da alcuni decenni. Il declino del patriziato ereditario e l'apparizione di un ceto di 'nuovi ricchi' influenzarono indiscutibilmente il passaggio dalla solida architettura in pietra a quella in laterizio. Tuttavia questa evoluzione fu lenta e si protrasse per quasi tutto il 14° secolo. In effetti le grandi costruzioni pubbliche come il battifredo (Belfort), realizzato tra il 1321 e il 1380, mostravano un'architettura ancora in pietra blu della regione di Tournai, anche se il nucleo della struttura era stato costruito in laterizio. Già nel sec. 14° a coronamento del battifredo, simbolo dell'autonomia della città, venne collocato un dragone (quello attuale è frutto di un recente restauro).Il processo di urbanizzazione coincise anche con l'apparizione degli Ordini mendicanti nel 13° secolo. Francescani, Domenicani e Carmelitani cercarono di stabilirsi entro le mura o nei pressi della città, ma resta assai poco dei loro edifici medievali. Il convento dei Domenicani, stabilitisi a G. nel 1228, ha conservato alcune parti antiche, come l'ala che costeggia la Lys risalente ancora in gran parte al sec. 13°, mentre della magnifica chiesa in stile gotico della Schelda non rimane che qualche brano di muro. La chiesa dei Carmelitani Scalzi, a N del centro, consacrata nel 1329, si presentava come una semplice costruzione a navata unica e a terminazione rettilinea, realizzata prevalentemente in laterizio e conosciuta come uno degli esempi tipici dell'architettura gotica nelle Fiandre.All'inizio del sec. 13° alcune famiglie ereditarie fondarono ospizi insediandoli in edifici di loro proprietà. L'esempio più noto è l'ospedale consacrato alla Vergine, eretto intorno al 1200 dalla famiglia uten Hove in una casa vicina alla chiesa di S. Michele. Nel 1228 le autorità e la famiglia uten Hove decisero di trasferire l'ospedale verso le paludi della Bijloke, situate all'esterno della cinta urbana. Di questa nuova costruzione è tuttora visibile l'antica sala dei malati, con la considerevole struttura a capriate, realizzata negli anni 1251-1255. Nel 1276 venne aggiunta una cappella in corrispondenza dell'angolo sud-ovest. Le facciate occidentali si inseriscono nella tradizione dell'architettura della regione della Schelda.Come in tante altre città dei Paesi Bassi, anche a G. sorsero numerose comunità di beghine, le più antiche delle quali erano state fondate dalle contesse Giovanna e Margherita di Costantinopoli (1205-1278). Il beghinaggio dedicato a s. Elisabetta si insediò nel 1242 in una zona paludosa all'esterno della cinta urbana. Nel sec. 13° la chiesa era una costruzione in stile gotico della Schelda a tre navate, di cui alcuni resti sono inglobati nell'edificio del 17° secolo. Delle case medievali, realizzate in laterizio e pisé, non resta alcuna traccia.Relativamente a quegli stessi quartieri suburbani che furono inclusi in una nuova cinta urbana nel Basso Medioevo, bisogna tenere conto della presenza di diversi castelli a motta, proprietà di famiglie nobili, come il Dobbelslot, lasciato in legato testamentario nel 1200 dal visconte di G. ai Templari. Scavi archeologici hanno rivelato al suo interno, tra l'altro, una magnifica statuetta di cavaliere in ceramica molto decorata, che rappresenta presumibilmente il motivo araldico della nobile famiglia.Parecchie zone abitate sono state individuate all'esterno della cinta urbana del 12° secolo. Nel corso del sec. 13° la città consolidò gradualmente la sua influenza in questi quartieri suburbani, acquisiti in diverse fasi. Nel sec. 14° una nuova cinta urbana, lunga più di km. 14, munita di porte fortificate, fu costruita in tempi diversi intorno alla città ampliata. Così delimitata, G., con un'estensione di ha 644 ca., divenne una delle più grandi città dei Paesi Bassi.
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A partire dai secc. 11° e 12° l'attività architettonica, di pari passo con lo sviluppo economico della città, assunse grande rilevanza: la prosperità del centro e, collegato a questa, l'incremento demografico resero di fatto G. la città più importante a N delle Alpi, dopo Parigi.Le testimonianze scultoree conservatesi dell'epoca medievale sono per la maggior parte costituite proprio da un considerevole numero di elementi architettonici, come capitelli, mensole, chiavi di volta, segmenti di trabeazione, mentre opere d'arte più significative, come statue, gruppi scultorei autonomi, rilievi o polittici, furono vittime delle distruzioni iconoclaste.Staccati dai monumenti per i quali erano stati realizzati, gli elementi architettonici sono per la maggior parte confluiti nel Mus. voor Stenen Voorwerpen dell'abbazia di S. Bavone o nell'Oudheidkundig Mus. van de Bijloke, sistemato negli edifici dell'antica abbazia femminile cistercense della Bijloke, o ancora nel castello dei Conti ('s Gravensteen). Numerose sono le mensole o elementi di trabeazione, sia in pietra sia in legno, che presentano un repertorio decorativo costituito da teste femminili e maschili circondate da fogliame. Si tratta di opere, databili generalmente al sec. 14°, delle quali difficilmente è possibile ricostruire l'esatta provenienza.Un'eccezione in tal senso costituisce la piccola testa in pietra, utilizzata come mensola, conservata nel Mus. voor Stenen Voorwerpen. La scultura, che ha mantenuto anche la policromia originale, apparteneva alla decorazione di una grande dimora patrizia, l'Utenhovesteen, risalente al sec. 13° e distrutta nel 1839.Oltre a questi elementi legati direttamente alla decorazione architettonica, appaiono scarse, per quanto significative, le altre testimonianze della scultura medievale. Di fattura piuttosto rozza sono alcune opere in pietra di Tournai databili all'epoca romanica: fra queste il fonte battesimale (1125-1150 ca.) proveniente dalla parrocchiale del Salvatore, distrutta poco dopo il 1540, che sorgeva nei pressi dell'abbazia di S. Bavone (Mus. voor Stenen Voorwerpen). Prodotto ed esportato direttamente dalle officine della regione di Tournai, tale tipo di fonte battesimale conobbe una considerevole diffusione non solamente nelle Fiandre, ma anche, per es., in Inghilterra. Uno stile vicino a quello del fonte presenta una scultura della chiesa di S. Nicola, risalente al 1150-1160 ca., rinvenuta durante i lavori di restauro dell'edificio e pertinente a un complesso architettonico scomparso. Il carattere di queste sculture è in parte condizionato dalla natura del materiale: una pietra calcarea, proveniente appunto dalla regione di Tournai, dall'aspetto di marmo nero quando è levigata e tutt'altro che adatta a consentire una resa sottile del modellato o morbida dei panneggi.Opere di fattura più agile e raffinata, eseguite in una pietra più chiara, meno dura e quindi più adatta a essere scolpita, sono gli importanti architravi di S. Bavone (Mus. voor Stenen Voorwerpen), scolpiti su entrambe le facce, in origine facenti parte di una recinzione di cappella o di coro dell'abbaziale. Vi sono raffigurati episodi relativi alla predicazione e al culto delle reliquie nella stessa abbazia, con uno stile che in alcuni tratti mostra punti di contatto con le espressioni proprie dell'arte mosana e che quindi ha fatto ipotizzare la presenza a G., intorno al 1160, di uno scultore originario di quell'area.Di notevole livello sono i rilievi con scene della Passione, ritornati alla luce durante il recente restauro della chiesa di S. Nicola. Si tratta di pannelli rettangolari scolpiti, situati sul timpano del portale, che dal 1681 erano rimasti occultati al di sotto di uno strato in muratura. Rispetto a una prima ipotesi che riteneva i pezzi pertinenti a tale timpano, a costituirne l'originaria decorazione, una recente rilettura (den Hartog, in corso di stampa) sembra accreditare la possibilità di una loro pertinenza al jubé o a una recinzione del coro della chiesa comitale di S. Farailde a G.; i rilievi sarebbero stati realizzati quando, per iniziativa del conte di Fiandra Filippo d'Alsazia, questa chiesa fu elevata a collegiata, tra il 1202-1204 e il 1207, e poi sarebbero stati trasportati a S. Nicola intorno al 1585, quando la chiesa comitale fu demolita e il Capitolo di S. Farailde trasferito a S. Nicola. Il fatto che tali sculture fossero state qui utilizzate come pezzi di reimpiego trovava del resto già conferma sia nelle incongruenze che la disposizione delle scene prive di una sequenza logica denunciava, sia nell'iconografia insolita per un timpano, sia infine nella distribuzione, tecnicamente poco soddisfacente, dei rilievi nello spazio. Riconoscibili pertanto come una delle manifestazioni del mecenatismo comitale, queste sculture acquistano rilevanza notevole, in quanto testimonianza delle tendenze stilistiche che, a partire già dagli ultimi decenni del sec. 12°, caratterizzarono le Fiandre e i territori nordoccidentali della Francia, allora sottoposti all'autorità dei conti delle Fiandre.Il Mus. voor Stenen Voorwerpen conserva ancora numerose lastre tombali, databili fra il sec. 13° e il 16°, provenienti da diverse chiese di Gand. Le figure dei defunti, scolpite nella pietra, sono spesso di un raffinato grafismo che attesta l'alto livello raggiunto dai lapicidi specializzati. Realizzate in genere direttamente nella lastra, in pietra di Tournai, le immagini venivano talvolta incise in lamine di rame e successivamente applicate sul monumento, come testimoniano, per es., alcuni esemplari conservati nell'Oudheidkundig Mus. van de Bijloke. Di singolare qualità sono le effigi di Willem Wenemaer (m. nel 1325), e della moglie Marguerite (m. nel 1350). Lo stile lineare, a volte molto accentuato, di tale scultura funeraria, che si tratti di opere in pietra o in metallo, trova più di un riscontro con lo stile della miniatura, della pittura murale e della pittura su vetro contemporanee, in cui straordinaria importanza assumono l'espressività del tratto e l'incisività dei contorni.La tomba del castellano di G. Ugo II (m. nel 1232), sotterrata nel 1578 per preservarla dalla furia distruttrice iconoclasta, fu rinvenuta intatta nel 1948 (Oudheidkundig Mus. van de Bijloke). Si tratta di un monumento funebre, ancora una volta realizzato in pietra calcarea di Tournai, in cui il giacente è raffigurato in veste di cavaliere, con la spada in mano. L'imponente figura è collocata sotto un baldacchino di ispirazione ancora romanica.Verso il 1337 fu realizzata la figura di uomo d'armi, in pietra di Feluy, l'unica conservata di una serie di quattro guardie collocate in origine agli angoli della torre del beffroi. Questa statua, oggi all'interno dell'edificio, e la citata tomba di Ugo II sono pressoché le uniche testimonianze rimaste ad attestare, ciascuna a proprio modo e a distanza di un secolo l'una dall'altra, una tradizione artigianale e artistica di alto livello, che anche quantitativamente doveva essere rilevante, se solo si pensa al numero davvero elevatissimo di opere purtroppo andate perdute. È il caso della dozzina di tombe dei secc. 11° e 12°, relative agli antichi conti delle Fiandre e ai membri della loro famiglia, che si trovavano nell'abbazia di S. Pietro, come delle diverse tombe di abati e di altri personaggi di spicco, testimoniate in altre chiese di Gand.Nei secc. 14° e 15° l'attività dei lapicidi continuò a rivestire un ruolo di notevole importanza. Di alcuni di essi la documentazione d'archivio consente una più attenta conoscenza, come nel caso della famiglia di scultori De Meyere. È a Jan III De Meyere che viene attribuita la tomba di Marguerite de Ghistelle (m. nel 1431), attualmente nella cripta della cattedrale di S. Bavone (Dhanens, 1965, pp. 114-115), il cui livello qualitativo, malgrado sia andata perduta la figura della giacente, è ancora oggi attestato dai rilievi che ornano lo zoccolo della tomba (Didier, Steyaert, 1975, p. 438).La documentazione d'archivio tramanda peraltro un numero considerevole di nomi di artisti e scultori di opere sia su legno sia su pietra, impegnati in questo periodo nella decorazione di cappelle delle chiese e dei conventi di G., nell'esecuzione di complessi scultorei e statue, come di polittici. Di questi ne possedeva uno, di particolare importanza, l'abbazia della Bijloke: quando nel 1390 Filippo l'Ardito, duca di Borgogna e conte di Fiandra, commissionò due opere di questo genere allo scultore Jacques de Baerze per la certosa di Champmol a Digione, fu precisato che esse dovessero assumere a modello l'una il polittico realizzato per la chiesa dedicata alla Vergine di Termonde e l'altra quello eseguito appunto per l'abbazia della Bijloke. Jacques de Baerze, di cui si conserva il polittico del Mus. des Beaux-Arts di Digione, aveva lavorato nel 1399 anche per l'abbazia di S. Pietro a G., dove aveva concluso un importante contratto per l'esecuzione degli stalli del coro della chiesa. Figura di spicco nell'ambito del Gotico internazionale, egli seppe fornire di questo un'interpretazione regionale di singolare effetto (Die Parler, 1978, pp. 56-58).
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La più antica notizia relativa all'attività di pittori a G. risale a un conflitto tra Ildeberto, quinto abate dell'abbazia di S. Bavone (728-752), e i legati dell'imperatore Costantino V (741-775), riguardante alcune immagini e il culto di rappresentazioni di Cristo e di santi, che probabilmente si riferivano a mosaici realizzati in un'epoca anteriore non meglio precisabile.Di un'antica attività in questo ambito, per quanto concerne l'abbazia di S. Pietro, resta traccia in un disegno che raffigura un ritratto del re merovingio Dagoberto, ritenuto il fondatore di questa abbazia (Arch. de la Ville; Dhanens, 1987, p. 78, fig. 42); il disegno però non permette di precisare l'epoca di esecuzione del modello riprodotto.Le più antiche pitture murali di G. si trovano nel vano delle finestre del refettorio dell'abbazia di S. Bavone; si tratta delle rappresentazioni di quattro santi locali (Macario, Brizio, Cafrailde, un diacono) e di due medaglioni allegorici raffiguranti Pietas e Sapientia, databili alla fine del 12° secolo. Esse facevano parte di un esteso ciclo, del quale sussistono ulteriori resti in stato estremamente frammentario in un vano di finestra situato nello stesso ambiente. Questo complesso è noto anche attraverso due disegni del sec. 16° (Bibl. van de Rijksuniv., 308, fogli di guardia), che rappresentano probabilmente altri dipinti dello stesso gruppo, oggi perduti.Uno dei primi disegni architettonici dei Paesi Bassi giunto finora è il progetto del beffroi di G., realizzato poco dopo il 1314 (Oudheidkundig Mus. van de Bijloke). Il disegno differisce dal monumento ed è abbellito con due vedette in cima alla torre - una delle quali in atto di suonare la tromba - e più in basso con un fregio, che mostra un falconiere in ciascun angolo e altri due gruppi di due personaggi, dei quali uno appare intento a suonare. Questo fregio sembra suggerire la possibile presenza di una decorazione dipinta all'esterno dell'edificio (Martens, 1989, pp. 171-172, fig. 91).A partire dal 1322 sono regolarmente registrati nei conti della città di G. pagamenti a pittori; in questo anno Jan de Scrivere è pagato per lavori di pittura decorativa realizzati nel palazzo comunale della città (Vuylsteke, 1900). Già prima del 1355 i pittori gandesi erano riuniti in una corporazione; i documenti d'archivio permettono di fissare a sessanta ca. il numero di pittori attivi nel sec. 14°, e anche in altre città sono attestati in documenti in francese artisti indicati come 'di G.'.Ai pittori erano per lo più richiesti lavori decorativi o raffigurazioni araldiche, per es. i blasoni e le insegne spesso ornati di figure; inoltre essi collaboravano ad apparati effimeri allestiti in occasione di eventi particolari, come i trionfali ingressi dei sovrani o il matrimonio di Filippo l'Ardito e Margherita di Mâle, che fu celebrato a G. nell'abbazia di S. Bavone nel 1369.Molte opere pittoriche medievali vennero gravemente danneggiate durante le ondate di iconoclastia del 1566 e del 1578, mentre altre sparirono al tempo della Rivoluzione francese e anche in seguito. Nel 1911 andò perduto uno dei principali complessi di pitture murali gandesi, con i ritratti dei conti delle Fiandre e un corteo di milizie urbane e di corporazioni, dipinto verso la metà del sec. 14° sui muri della cappella dell'ospizio dedicato ai ss. Giovanni e Paolo, il c.d. Leugemeete. Durante il terzo quarto del sec. 14° la cappella venne inoltre decorata con un'importante serie di scene a carattere religioso, tra le quali la Crocifissione, la Risurrezione di Cristo, due re e la regina di Saba, la Vergine in maestà, un angelo che agita un turibolo, scene della Vita di s. Giovanni Evangelista, i Ss. Giovanni Evangelista e Paolo, l'albero di Iesse. Questi dipinti sono noti solo grazie a copie (Martens, 1989, pp. 120-138, figg. 69-71).Le pitture murali del refettorio dell'abbazia della Bijloke (od. Oudheidkundig Mus. van de Bijloke) costituiscono uno dei gioielli della produzione artistica gandese della fine del Medioevo e sono da datare verso il 1350. Sul muro ovest sono raffigurati S. Giovanni Battista e S. Cristoforo, di grandezza superiore al vero; sul muro orientale appare l'Ultima Cena, con sopra un quadrilobo con la Benedizione della Vergine. L'artista esprime la gravità del momento evocato dall'Ultima Cena nello stile raffinato ed elegante fiorito nel sec. 14° a Parigi.Un'altra scena dell'Ultima Cena e la rappresentazione del Miracolo di s. Domenico che ottiene con la preghiera il pane che manca per il pasto dei suoi confratelli ornarono fino al 1927 il refettorio dell'antico convento dei Domenicani. Di queste pitture, eseguite tra il 1369 e il 1378, di una qualità artistica che non raggiungeva lo stesso livello di quella dei dipinti della Bijloke, si conserva oggi solo un frammento con la testa di Cristo, dall'Ultima Cena (Mus. voor Schone Kunsten).A G., come a Bruges, spesso si decorava con pitture a soggetto religioso l'intonaco delle pareti interne delle tombe. Esempi interessanti dei secc. 14° e 15°, alcuni dei quali di altissima qualità, sono stati trovati nell'abbazia di S. Bavone, in quella di S. Pietro e nella chiesa di S. Nicola. Eseguiti in breve tempo e destinati a essere sottratti agli sguardi appena compiuti i funerali, questi dipinti rispondevano principalmente a un intento religioso (L'Age d'Or des grandes Cités, 1958, nr. 13, tav. XXV; Dhanens, 1989, pp. 199, 225).Il palazzo comunale fu ornato fin dal sec. 14° con una serie di ritratti dei conti delle Fiandre; nel 1419 si affidò a Willem van Axpoele e a Jan Martins l'incarico di ridipingerli secondo il gusto del momento, precisando anche che dovevano realizzarli utilizzando pitture a olio di buona qualità. La maggior parte delle pitture murali gandesi furono eseguite 'a secco' (Martens, 1989, pp. 22-32).I documenti lasciano supporre che dal sec. 14° si producesse a G. un buon numero di polittici dipinti o scolpiti con ante dipinte. Nel 1373, per es., Joos Waytop fu pagato per la pittura delle ante di un polittico destinato alla gilda dei tessitori di lana (De Potter, 1886-1887; Martens, 1989, p. 154). Jan van der Asselt, un artista gandese che dal 1365 fu pittore del conte di Fiandra Luigi di Mâle, dipinse nel 1386 un polittico per la chiesa dei Francescani a G., su commissione di Filippo l'Ardito (Prost, Prost, 1909).La produzione gandese di polittici dovette raggiungere un alto livello qualitativo. A riprova di questo è il fatto che a Jacques de Baerze fu indicato, come modello per quella commissionata da Filippo l'Ardito, il polittico dell'abbazia gandese della Bijloke, probabilmente anch'esso dotato di ante dipinte.Si può supporre che entro certi limiti la produzione della fine del sec. 14° e dell'inizio del 15° abbia contribuito a generare la tradizione artistica e artigianale che sarebbe diventata famosa con Hubert e Jan Van Eyck, la cui pala dell'Agnello mistico fu realizzata a G. per Josse Vijdt, primo scabino di G., per l'antica chiesa di S. Giovanni, oggi cattedrale di S. Bavone.
Bibl.: E. De Busscher, Recherches sur les peintres gantois des XIVe et XVe siècles, Gand 1859; F. De Potter, Gent, van den oudsten tijid tot heden [G. dai tempi antichi a oggi], Gent 1886-1887, IV, p. 437; V. Van der Haeghen, Mémoire sur les documents faux relatifs aux anciens peintres flamands, Bruxelles 1899; J. Vuylsteke, Compte de la Ville et des Baillis de Gand (1280-1336), Gand 1900, I, p. 277; B. Prost, H. Prost, Inventaires mobiliers et extraits des comptes des ducs de Bourgogne, II, Paris 1909, p. 279, nr. 1615; L'Age d'Or des grandes Cités, cat., Gand 1958; E. Dhanens, Het retabel van het Lam Gods in de Sint-Baafskathedraal te Gent [Il retablo dell'Agnello Mistico nella cattedrale di S. Bavone a G.] (Inventaris van het Kunstpatrimonium van Oost-Vlaanderen, 6), Gand 1965; id., De artistieke uitrusting van de Sint-Janskerk te Gent in de 15de eeuw [La sistemazione artistica della chiesa di S. Giovanni a G. nel sec. 15°], Brussel 1983; id., Actum Gandavi. Zeven bijdragen in verband met de oude kunst te Gent [Sette contributi relativi all'arte antica di G.], Brussel 1987, pp. 1-137; id., Les arts jusqu'en 1800, in Gand. Apologie d'une ville rebelle, a cura di J. Decavele, Gand 1989; M.P.J. Martens, De Muurschilderkunst te Gent. XIIde tot XVIde eeuw [La pittura murale a G. dal 12° al 16° secolo] (Verhandelingen van de Koninklijke Academie voor Wetenschappen, Letteren en Schone Kunsten van België. Klasse der Schone Kunsten, 46), Brussel 1989.A. de Schryver, M.P.J. Martens
I primi libri miniati a G. furono probabilmente realizzati nelle due locali abbazie, in cui l'attività di produzione di manoscritti si dovette stabilire fin da epoca romanica. La Crocifissione che illustra il canone di un messale proveniente dall'abbazia di S. Bavone (Londra, BL, Add. Ms 16949) sembrerebbe rivelare una notevole maestria dei miniatori, appartenenti senza dubbio all'ambiente monastico, operanti nel sec. 12° a G.; peraltro di quest'opera, contraddistinta tra l'altro dall'allungamento e dalla stilizzazione delle figure della Vergine e di S. Giovanni, non è accertata la produzione locale. Dalla fine del sec. 12° o dall'inizio del 13° è possibile che le abbazie facessero ricorso anche ad artigiani laici; l'attività svolta da questi ultimi nel sec. 13° rivela che la pratica locale della miniatura non era più ai suoi inizi.Già dalla fine del sec. 12° e durante il 13°, G., come Bruges, fu un attivo centro di produzione di libri miniati. Il notevole sviluppo economico della città, così come il crescere dell'istruzione tra le classi privilegiate contribuirono a una diffusione più ampia dei testi scritti. I salteri miniati furono il tipo di libro prodotto in maggior numero di esemplari: essi infatti erano all'epoca molto diffusi come libri di devozione privata.I salteri del sec. 13°, spesso di piccole dimensioni, sono illustrati da cicli iconografici diversi, scene della Vita di Davide, di Cristo e dei santi. Anche la raffigurazione degli apostoli si ritrova nei salteri gandesi e forse fu ripresa da modelli di Bruges. Questi temi corrispondevano almeno in parte a quelli delle pitture murali, delle sculture e forse anche delle vetrate che ornavano chiese o cappelle, opere alla cui realizzazione i miniatori talvolta collaborarono: la luminosità dell'oro brunito e i contrasti di colori in cui dominavano i rossi e i blu ricorrono nelle miniature, le cui figure sono caratterizzate da un accentuato linearismo e presentano influenze molto varie, dovute tanto agli intensi scambi commerciali con l'Inghilterra e con le regioni tedesche quanto ai contatti con le vicine regioni del Nord della Francia e con Parigi.Gli ultimi decenni del sec. 13° e i primi del 14° appaiono come il periodo più fecondo della produzione gandese. Le illustrazioni di un messale dell'abbazia di S. Pietro, di stile sobrio ma espressivo (Gand, Oudheidkundig Mus. van de Bijloke, 60-1), illustrano perfettamente l'alto livello che l'arte della miniatura aveva raggiunto a G. intorno al 1280. Nella raffigurazione affrontata al canone, in un'inquadratura che si ispira all'architettura gotica, la Crocifissione e le Marie al sepolcro si delineano armoniosamente su un fondo di un blu profondo, raggiungendo esiti molto efficaci nel gioco studiato dei colori e nella resa contenuta del dolore di Cristo, della Vergine e di s. Giovanni. Nel c.d. cerimoniale Blandiniense, del 1322 ca. (Gand, Bibl. van de Rijksuniv., 233), proveniente dalla stessa abbazia, si ritrovano, tra gli altri, gli stessi soggetti, anche qui riuniti in una medesima pagina, resi con un colorito più leggero, mentre variano le decorazioni dei fondi e delle inquadrature e la pagina è divisa in riquadri. Vi si riconoscono la grazia e le raffinatezze decorative proprie della miniatura parigina, in particolare di Jean Pucelle. L'opera deve essere assegnata a un maestro che aveva avuto contatti con l'ambiente parigino o che apparteneva a esso. Un'influenza così marcata in un manoscritto gandese rimane tuttavia un'eccezione; non si ritrova per es. niente di analogo in altri manoscritti di G., come un piccolo salterio a Oxford (Bodl. Lib., Douce 5-6) o un breviario a Londra (BL, Add. Ms 29253), che, per lo stile e per le drôleries nei margini, sono senza dubbio più rappresentativi della produzione gandese degli anni 1320-1330.La produzione dalla metà alla fine del sec. 14° è ancora poco nota, in quanto il numero di opere documentate o riconosciute come gandesi è tuttora abbastanza limitato. I dati sui manoscritti e sull'attività dei miniatori di quest'epoca fanno supporre che la produzione di libri miniati di qualità dovette proseguire in questo secolo, anche se forse venne rallentata a causa delle tensioni, dei disordini e dei conflitti sociali e politici che agitarono a lungo la città in questo periodo. Un'accentuata tendenza verso il realismo non mancò tuttavia di manifestarsi: una fattura più pittorica, tendente a suggerire i volumi con un gioco di tocchi e di toni, a scapito dei contorni tracciati nettamente e delle sinuosità grafiche delle figure e dei panneggi che avevano caratterizzato la produzione gotica anteriore. Questo si può osservare per es. nel messale che Laurent d'Anvers terminò a G. nel 1366 per Arnold de Rummen (Aia, Rijksmus. Meermanno-Westreenianum, 10 A 14) o nel breviario del 1373 (Gand, Bibl. van de Rijksuniv., 3381), proveniente dall'abbazia di S. Pietro. Si può rilevare una parentela stilistica tra questi due manoscritti e alcuni codici di Bruges della stessa epoca. Questa città e G. sembrano avere avuto momenti di stretta comunanza sul piano artistico; le loro relazioni frequenti, la loro vicinanza, così come la mobilità degli artisti, delle opere e dei destinatari favorivano gli scambi.All'inizio del sec. 15°, alla vigilia della nascita della nuova arte dei Van Eyck e dei loro contemporanei, si producevano a G. manoscritti miniati raffinati, di cui sono esempio i molti cartulari della città dell'inizio del sec. 15° (per es. Arch. de la Ville, 93, C; Arch. de l'Etat, Fonds Gent, nr. 223; Vlaamse Miniaturen, 1993, figg. 49-50). Il fastoso libro d'ore eseguito per il duca di Borgogna Giovanni senza Paura (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 3055) rende conto del carattere della produzione gandese nel momento in cui si sviluppavano le tendenze che contribuirono alla nascita della pittura fiamminga del 15° secolo. Queste opere costituiscono in un certo senso il risultato dell'evoluzione dell'arte del sec. 14°, che aveva visto crescere l'interesse per le realtà semplici e quotidiane e la tendenza verso un realismo contraddistinto non solo da uno stile e una tecnica volti a suggerire lo spazio, i volumi e le materie, ma anche dall'attenzione rivolta agli elementi secondari della decorazione e ai dettagli aneddotici e talvolta popolari, così nelle miniature come nelle decorazioni marginali.Tra i manoscritti non di produzione locale conservati a G. sono da menzionare due codici che fecero parte del tesoro dell'abbazia di S. Bavone. Nell'evangeliario detto di s. Lebuino, del sec. 9° (Gand, Arch. della cattedrale, 13), realizzato probabilmente nell'abbazia di Saint-Amand (Sint Amands), alcuni elementi della decorazione, perduta in parte, sono vicini alla miniatura anglosassone: due miniature con S. Matteo e s. Giovanni che offrono il loro libro a Cristo si ispirano a modelli della Tarda Antichità. La tradizione che assegnava il manoscritto a s. Lebuino, patrono di G., ha fatto sì che l'evangeliario fosse conservato come una reliquia. Notevole e singolare compilazione che documenta il rinnovamento del pensiero enciclopedico del sec. 12°, il manoscritto autografo del Liber floridus del canonico Lamberto di Saint-Omer (Gand, Bibl. van de Rijksuniv., 92), terminato nel 1120, fu conservato forse nell'abbazia di S. Bavone dal 1136 e in ogni caso anteriormente al 1300. La sua illustrazione è di grande interesse iconografico; spesso allegorica come il testo, essa non è omogenea nella concezione: alcuni soggetti rivelano la persistenza delle influenze bizantine, mentre altri partecipano del genere fantastico romanico. Copie e adattamenti del Liber floridus vennero realizzati molto presto e fino al 16° secolo.
L'importante attività architettonica che si era sviluppata dal sec. 12° fino al 15° implicò una corrispondente attività di vetrai, testimoniata dai documenti d'archivio; maestri vetrai gandesi furono inoltre chiamati a eseguire lavori in altre città, come Tournai, Lille, Douai o Cambrai. Non si conoscevano tuttavia opere prodotte a G., fino a quando nel 1982 numerosi frammenti di vetrate furono recuperati durante i lavori di restauro dell'antico convento dei Domenicani (de Schryver, Van den Bemden, Bral, 1991); essi hanno permesso di stabilire che le finestre della chiesa del convento erano dotate di vetrate miste: numerosi pannelli decorati con motivi dipinti a grisaille circondavano i temi principali, situati senza dubbio a metà dell'altezza delle ogive; la maggior parte di questi frammenti risale alla prima metà del 14° secolo. Le figure provenivano in parte da scene la cui iconografia non può essere precisata e da pannelli a grisaille decorati con fogliami e drôleries. I loro motivi sono da avvicinare a quelli delle decorazioni marginali di manoscritti coevi. Alcune drôleries inscritte in quadrilobi, la cui grazia o vivacità dell'atteggiamento o del gesto sono colte con un tratto fermo e agile, così come alcuni frammenti di drappeggi, attestano un'indiscutibile abilità. Altrettanto si può dire di un bell'angelo, simbolo dell'evangelista s. Matteo, dinamicamente inserito in un medaglione.
Bibl.: A. de Schryver, De miniatuurkunst te Gent [L'arte della miniatura a G.], in Gent. Duizend jaar kunst en cultuur [Gand. Mille anni di arte e cultura], cat., Gent 1975, II, pp. 323-396; K. Carlvant, Thirteenth-Century Illumination in Bruges and Ghent, New York 1978; id., De verluchte boeken van de gegoede stand in 13deeeuws Brugge [I libri miniati dei ceti agiati del sec. 13° a Bruges], in Vlaamse kunst op perkament [Arte fiamminga su pergamena], cat., Bruges 1981, pp. 139-161: 142-147, nrr. 46-47; M. Smeyers, Miniatuurkunst [Arte della miniatura], in Vlaamse kunst van de oorsprong tot heden [L'arte fiamminga dalle origini a oggi], Antwerpen 1985, pp. 142-173; A. de Schryver, Y. Van den Bemden, G.J. Bral, Drôleries à Gand. La découverte de fragments de vitraux médiévaux au couvent des dominicains, Kortrijk 1991; Vlaamse Miniaturen voor Van Eyck (ca. 1380-ca. 1420) [Miniature fiamminghe prima di Van Eyck], cat., Louvain 1993, pp. 139-161.A. de Schryver