GANIMEDE (Γανυμήδης, Ganymēdes)
Figlio di Tros secondo l'Iliade, figlio di Laomedonte secondo la Piccola Iliade (Ellanico indicherà poi Callirhoe come sua madre), ad ogni modo proveniente dalla stirpe di Dardano, G. venne rapito dagli dèi per servire da coppiere a Zeus, essendo egli "il più bello dei mortali" (Il., xx, 231 e v, 265); al padre furono dati in compenso dei cavalli immortali, o, secondo fonti più tarde (Piccola Iliade), un aureo tralcio di vite.
Nell'Inno Omerico ad Afrodite (v. 200 ss.) rapitore è un vento impetuoso. Ibico (Schol. Apoll. Rhod., iii, 158, 30), Teognide (1345, ed. Bergk) e Pindaro (Olymp., 1, 44) indicano lo stesso Zeus come suo rapitore e amasio. Durante l'ellenismo alcune singole varianti danno quali rapitori Tantalo o Minosse; nel IV sec. a. C. venne introdotta la leggenda dell'aquila di Zeus che rapisce il fanciullo e fu questa la versione che s'impose (un precedente iconografico di un mortale, portato in cielo da un'aquila si ha in Mesopotamia; v. etana). Luogo del ratto è talvolta Ilio, talvolta più precisamente il monte Ida: G. è un pastore; più tardi anche un cacciatore. Le testimonianze letterarie della leggenda si perdono in confronto alla copia delle rappresentazioni dell'arte figurativa.
Rara sui vasi a figure nere, la leggenda di G. viene raffigurata molto sovente sui vasi a figure rosse dall'inizio del V sec. a. C. in poi, nella forma ben nota dell'inseguimento: Zeus rincorre il fanciullo, che tiene generalmente tra le mani un gallo, dono che deve cattivarne il favore. L'inseguimento presenta molte varianti, dal semplice rincorrere al raggiungere e trattenere. Mancano completamente gli accenni all'originario ambiente frigio, la scena è trasferita in ambiente attico. Il ratto vero e proprio non viene raffigurato sui vasi (fatta forse eccezione di una coppa di Douris, al Louvre), però, l'unico monumento del V sec. che, oltre ai vasi, ci sia conservato, un gruppo fittile da Olimpia, - interpretato peraltro come ratto di Pelope da parte di Posidone dal Mingazzini - non raffigura l'inseguimento, ma il ratto. Alcuni yasi rappresentano G. nelle sue funzioni di coppiere (lèkythos di New York, coppa di Oltos, proveniente da Tarquinia); il saluto di Zeus a G. è raffigurato sopra un'anfora a figure nere di Monaco. Nella seconda metà del V sec. a. C. queste rappresentazioni cessano. Solo a partire da circa il 375 a. C. si trova nuovamente che G. ha una parte importante nelle arti figurative, ma ormai è sempre raffigurata l'aquila che rapisce il fanciullo. Sono da ritenere prime testimonianze del nuovo aspetto assunto dal ratto alcuni orecchini aurei (New York e Berlino) e una teca di specchio in bronzo (Berlino); questo tipo iconografico si afferma per secoli sino alla tarda antichità ed influenza, al di là di questa, l'arte indiana e quella europea. Particolarmente noto un gruppo dello scultore attico Leochares, che fu forse ideatore di questo tipo, risalente a circa la metà del IV sec. a. C. Plinio riferisce (Nat. hist., xxxiv, 79) che in questo gruppo l'aquila, per non ferire il fanciullo, lo afferra per le vesti, particolare che si nota in un mediocre gruppo marmoreo in Vaticano, in cui si è voluto perciò ravvisare una copia dell'opera di Leochares; bisogna però immaginarselo libero dalle aggiunte posteriori e completato secondo lo spirito delle altre raffigurazioni conservate. Tra queste vanno ricordati alcuni piccoli bronzi (Parigi e Berlino); una variante più tarda si riscontra nel gruppo marmoreo di Venezia. Un gruppo grandioso in pavonazzetto con la testa di G. in marmo bianco è stato trovato nella grotta, detta di Tiberio, a Sperlonga; probabilmente era collocato nell'alto della grotta stessa. Risalgono con probabilità pure al IV sec. il G. afferrato al suolo dall'aquila, noto da un gruppo marmoreo di Efeso e da mosaici di Roma e di Susa, e il fanciullo seduto in terra che abbevera l'aquila in una coppa (medaglione di Heidelberg). Su vasi dell'Italia meridionale l'aquila è spesso sostituita da un cigno; su vasi a rilievo di età ellenistica si vede ancora una volta un uomo, dietro al quale compare un'aquila, rapire G.; singolare il dipinto della Domus Aurea nel quale Zeus vien portato con G. dall'aquila. Occasionali sviluppi o varianti della scena del ratto o del soggiorno di G. in Olimpo sono senza importanza. In età romana si hanno nuove varianti del ratto; così, ad esempio, in cinque pitture di Pompei: G. siede quieto o dorme, mentre l'aquila gli si avvicina o si posa accanto a lui. Un rilievo in stucco della Basilica sotterranea di Porta Maggiore a Roma presenta il rapitore sotto forma di un dèmone alato. Ricercati in questo periodo i raggruppamenti statici di G. e l'aquila; se ne sono conservati un intera serie tanto nella piccola quanto nella grande scultura. Pur riallacciandosi ai noti tipi statuari, per lo più risalenti al IV sec. a. C., essi non rappresentano un particolare momento della leggenda, ma solo un semplice accostamento dei suoi elementi. Vanno ricordati i gruppi di Napoli, di Londra e del Vaticano. Da ricordare è il rilievo di G. e l'aquila su uno dei pilastri (provenienti da Salonicco, al Louvre) detti Las Incantadas. Se rappresentato su pietre sepolcrali, il mito di G. assurge a simbolo della morte e dell'Oltretomba.
Sopra uno dei bicchieri in vetro a decorazione policroma probabilmente provenienti da Alessandria, trovati nel palazzo di Begram (v.) in un deposito databile dalla metà del II alla metà del III sec. d. C., è raffigurato il momento precedente il ratto: G. caduto porta scudo e giavellotto.
Dall'arte ellenistica e romana il motivo del ratto di G. si espande in oriente. L'arte indo-battriana, dove l'iconografia del ratto fu interpretata con il ratto di una Nāga da parte dell'aquila Garuda, sembra aver avuto il ruolo di intermediaria.
Alla fine dell'epoca sassanide, quando la cultura figurativa dell'indo esercitò una considerevole influenza sulla Persia, la scena di Garuda fu spesso imitata nell'arte iranica (cfr. un piatto sassanide dell'Ermitage trovato a Redikor nel governatorato di Perm).
Monumenti considerati. - Tutti gli esemplari citati sono riprodotti in H. Sichtermann, Ganymed, tavv. 1-16. Coppa di Douris al Louvre: E. Pottier, Vas. Ant. du Louvre, iii, Tav. iii, G. 123. Gruppo di Olimpia: E. Kunze, V Bericht uber die Ausgrabungen in Olympia, tav. 57 e 100; id., in Berlin. Winckelmannsprogr., 1940; P. Mingazzini, in Festschrift A. Rumpf, Krefeld 1952, p. 113 ss. Coppa di Oltos da Tarquinia: J. D. Beazley, Red-fig., p. 38; Alinari 26045. Domus Aurea: G. E. Rizzo, Pittura ellenistico-romana, tav. 29-30. Basilica sotterranea: L. Curtius, in Röm. Mitt., lxix, 1934, p. 139, fig. 16. Gruppo statuario di Napoli: Alinari 11080. Gruppo di Sperlonga: G. Jacopi, I ritrovamenti dell'antro cosiddetto "di Tiberio" a Sperlonga, Roma 1958, fig. 20. Ara funebre: Einzelaufnahme, 4555. G. di Las Incantadas: P. Perdrizet, in Mon. Piot, xxxi, 1930, p. 51 ss.
Bibl.: Drexler, in Roscher, I, cc. 1595-1603; P. Friedländer, in Pauly-Wissowa, VII, cc. 737-749; H. Sichtermann, Ganymed, Berlino 1953; O. Elia, in Boll. d'Arte, XXXVI, 1951, p. 40 ss.; A. Alföldi, in Cahiers Archéol., VI, 1952; id., in Jahresbericht Ges. Pro Vindonissa, 1953-54, p. 61 ss.; Fasti Archaeol., VII, 1954, n. 115; H. Sichtermann, in Antike Kunst, II, 1959, p. 10 ss.; H. J. H. v. Buchem, Puer pileatus, in Bull. Ant. Beschaving, XXXIV, 1959, p. 39 ss.; C. Vermeule-O. v. Bothmer, in Am. Journ. Arch., LXIII, 1959, tav. 35 (7); A. Alföldi, in Cahiers Arch., VI, 1957, p. 43 ss.