PASCI, Gano
(o Galgano, o Gaetano) de’. – Nato a Colle Val d’Elsa in un anno imprecisato della prima metà del XIV secolo, fu il maggiore dei quattro figli del poeta Lapo di Gano, erroneamente annoverato da L. Frati (Gano di Lapo da Colle e le sue rime, 1893, p. 196), che lo confuse con Pascio di Lapo, tra gli ambasciatori inviati da Colle Val d’Elsa a Gualtieri VI di Brienne, duca d’Atene, nel 1342 (cfr. Biadi, 1859, p. 106; Mattone-Vezzi, 1934, p. 156 n.). I fratelli di Gano, che non ebbe successione, furono Marchese, Pascio e Agnolo.
In un quadro di estrema povertà di notizie a lui riferibili, risulta particolarmente rilevante l’episodio della sua corrispondenza con Francesco Petrarca, cui intorno al 1353 Pasci inviò un sonetto (ormai perduto): dalla lettera di risposta dell’aretino, affidata allo stesso Malizia Barattone latore del testo di Pasci, si evince che l’«oggetto della corrispondenza era l’inopportunità della scelta del soggiorno visconteo da parte del poeta» (Stoppelli, 1977, p. 22).
Difatti, Pasci aveva tentato di dissuadere Petrarca, da lui definito «unicum solem et singulare lumen» (stando alla didascalia che precede la lettera nel testimone ms. Vaticano latino 56, c. 56r), dal proposito di rimanere a Milano sotto la protezione dei Visconti, accusati da Pasci di tirannide. Nella sua lettera Petrarca istruiva Malizia su come rispondere al premuroso interlocutore, invitando Pasci ad abbandonare timore e sospetto sullo stato dell’amico, il quale riteneva propria «patria» non solo la terra milanese, «florentissima Italie pars», ma qualsiasi altro luogo della terra (cfr. Wilkins - Billanovich, 1962, p. 229).
L’episodio fu successivamente ripreso da Barbato da Sulmona, che in una lettera a Petrarca, inviata tra la fine del 1362 e l'inizio del 1363, faceva riferimento, tra le altre cose che andava raccogliendo dell’aretino, alla risposta a Pasci recapitata dal «garrulo […] Malitia» (cfr. Vattasso, 1904, p. 14).
Nell’aprile del 1348 fu decisa la demolizione di alcune case di Pasci, insieme con quelle della famiglia dei da Picchena, per favorire l’ampliamento della piazza di Colle. Il provvedimento potrebbe leggersi, però, quale prima misura punitiva, anche se non ufficiale, nei confronti di coloro che nel 1353 sarebbero stati riconosciuti dai Sei di Balìa, magistratura sorta allo scopo di provvedere al corretto mantenimento dei patti stabiliti con Firenze (Biadi, 1859, p. 108 n.), quali «capi palesi o occulti» (ibid., p. 111) delle sedizioni antifiorentine avvenute a Colle Val d’Elsa proprio nel 1348. Pasci, in conseguenza della «parte principalissima» (L. Frati, Gano di Lapo da Colle e le sue rime, cit., p. 198) attribuitagli in quegli eventi, subì nuovamente, e ancora una volta in compagnia dei da Picchena, la demolizione della propria casa nel giugno 1353 a opera dei soldati inviati dalla Repubblica fiorentina e guidati da Ugolino conte di Montemarti.
I pochi ulteriori dati biografici aggregabili intorno a Pasci presenti nelle carte dell’Archivio di Siena riportano l’acquisto da parte del colligiano dal Comune di Siena, «per un anno e per il prezzo di 140 fiorini d’oro», di «unam kabellam carnium frescarum» e la testimonianza dal rimatore prestata alla quietanza rilasciata il 4 settembre 1347 dal fiorentino Tingo di Lippo de’ Mancini per il salario dovutogli dal comune di Colle per la podesteria da lui tenuta (cfr. ibid., p. 199).
L'esile corpus poetico attribuito a Pasci consiste di 7 testi (4 canzoni, un capitolo in terza rima, 2 sonetti), «caratterizzati da un’adesione non sempre ortodossa al linguaggio ‛comico’ di Dante» (Pasquini, 1970, p. 95). Le canzoni svolgono alcuni fra i motivi topici della poesia di tipo gnomico, dai sette peccati capitali (I) alla deplorazione dell’amore carnale e la conseguente esaltazione del matrimonio (IV), alla palinodia del tempo perduto negli affanni terreni, con la professata volontà del ritorno a Dio (II). Si distingue per una sua certa originalità la canzone sulla Fortuna (III), argomento trattato «con spirito […] legato alle condizioni e ai problemi reali della società trecentesca», dove il motivo diviene un «mezzo di interpretazione e giustificazione dei profondi squilibri che travagliano la struttura di quella società» (Sapegno, 1952, p. 435). L’unico testo di argomento amoroso è il capitolo in terza rima sulla «trita tematica dell'innamoramento stagionale e del regno di Venere» (Pasquini, 1970, p. 95), mentre nel sonetto L’amaro colpo della fredda morte (VII) Pasci si abbandona alla tematica dell’oltretomba, «fra reminiscenze dell’Inferno e presagi di ‘disperata’» (ibid.).
Rilevante per la definizione del quadro dei rapporti culturali di Pasci appare lo scambio di sonetti, intessuto di dantismi, fino all’inserimento di «esatti tasselli della Commedia», con Antonio Beccari, il rappresentante maggiore di «quel nobile “soddilizio” di ammiratori del “padre Dante” costituitosi nell’Italia settentrionale, ma con diramazioni al centro» (ibid.), cui sembrerebbe appartenere anche Pasci.
Si segnala, inoltre, che nel congedo di Favole d’Elicona io vo’ lassare (II), Pasci invita la canzone a recarsi «a Siena, al gran palagio», presso un tale «Giacho Salimbeni» (vv. 105-106), mentre il «Maestro Tomaso» di III, v. 82, presso il quale Pasci si scusa per lo stile inadeguato all’argomento trattato, potrebbe essere Tommaso del Garbo (cfr. Sapegno, 1952, p. 438).
Nulla si sa circa la notizia della morte.
Opere. L’edizione delle rime di Gano si legge in L. Frati, Gano di Lapo da Colle e le sue rime, in Il Propugnatore, n.s., VI (1893), pt. 2ª, pp. 195-226.
Fonti e Bibl.: F.S. Quadrio, Della storia e della ragione di ogni poesia, II, Milano 1741, p. 59; L. Biadi, Storia della città di Colle in Val d’Elsa, Firenze 1859, pp. 108, 111 s.; F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico, Pisa 1891, pp. 508 s., 760; M. Vattasso, Del Petrarca e di alcuni suoi amici, Roma 1904, pp. 12-15; G. Volpi, Il Trecento, Milano 1907, pp. 275, 309; O. Bacci, Appunti su Gano di Lapo da Colle, in Miscellanea storica della Valdelsa, XVIII (1909), pp. 50 s.; E. Levi, Maestro Antonio da Ferrara rimatore del sec. XIV, Roma 1920, pp. 107-120, 161; E. Mattone-Vezzi, Gano da Colle, poeta trecentista, in Miscellanea storica della Valdelsa, XLII (1934), pp. 154-167; N. Sapegno, Poeti minori del Trecento, Milano-Napoli 1952, pp. 435-438; E.H. Wilkins - G. Billanovich, The miscellaneous Letters of Petrarch, in Speculum, XXXVII (1962), pp. 226-243; N. Sapegno, Storia letteraria del Trecento, Milano 1963, p. 364; E. Pasquini, Gano di Lapo da Colle, in Enciclopedia dantesca, III, Roma 1971, pp. 95 s.; U. Dotti, Petrarca a Milano, Milano 1972, p. 67 n.; Le Rime di Maestro Antonio da Ferrara (Antonio Beccari), introduzione, testo e commento di L. Bellucci, Bologna 1972; P. Stoppelli, Malizia Barattone (G. di Firenze) autore del Pecorone, in Filologia e critica, II (1977), pp. 1-34.