Gano di Lapo da Colle
Rimatore toscano (G., o Galgano, di Lapo de' Pasci da Colle in Valdelsa), fiorito fra il 1346 e il '53, non ignoto al Petrarca, autore di sette componimenti caratterizzati da un'adesione non sempre ortodossa al linguaggio ‛ comico ' di Dante.
Il ternario Avie Titan suo' carri in sul Leone rifrange suggestioni o calchi letterali della Commedia sulla trita tematica dell'innamoramento stagionale e del regno di Venere. Il sonetto L'amaro colpo della fredda morte profila l'oltretomba fra reminiscenze dell'Inferno e presagi di ‛ disperata '. La più popolare fra le quattro canzoni morali, Udirò tuttavia senza dir nulla, sviluppa con lusso di riferimenti leggendari la topica dei peccati mortali. Un'altra (Favole d'Elicona io vo' lassare) si ritma in quadri di manieristica palinodia: l'abbandono di ogni finzione letteraria (" del sulmonese Naso "), il rimpianto sul tempo perduto, e il ritorno a Dio; mentre la terza (Qual uom si veste dell'amor carnale) va diluendo le scaturigini dantesche nei luoghi comuni di un gramo catechismo.
Quando non fa sfoggio di erudizione mitologica o di grezzi dantismi, G. ama adagiarsi nell'alveo di una tonalità conversevole, sulla linea di Bindo Bonichi; pur non uscendo dall'ambito di una minore letteratura gnomica dominata dall'ombra della Commedia. Tuttavia egli è capace di soluzioni in parte autonome dai canoni vulgati. Così, la prosopopea della Fortuna (Io son la donna che volto la rota) si distingue sia dallo svolgimento di Brizio Visconti (orientato in senso preumanistico, verso la dialettica di Virtù e Fato), sia dagli orientamenti di frate Stoppa de' Bostichi (ambigui fra la trenodia dell'ubi sunt? e la nozione ‛ provvidenziale ' di D.), sia da posizioni sterilmente scettiche o polemiche. In G. invece la Fortuna, se ammonisce a non censurare i suoi procedimenti, pretende che si debbano invidiare non i ricchi e i potenti, ma gli umili e i diseredati, in quanto paghi della propria condizione. Il problema del destino umano si lega alla vasta pubblicistica sul tema della povertà: con aderenza alle motivazioni reali della società trecentesca (o almeno all'ideologia della classe conservatrice), ma non senza un assiduo contrappunto ai modi stilistici del grande esemplare dantesco. In tale luce s'inquadra il suo rapporto col maggior poeta di questa provincia letteraria, Antonio da Ferrara. La loro corrispondenza per le rime è un tipico esempio di tecnica allusiva nei confronti del grande esemplare dantesco, di una prassi anzi non aliena dall'inserire esatti tasselli della Commedia.
Così G. entra a far parte di quel nobile " soddilizio " di ammiratori del " padre Dante " costituitosi nell'Italia settentrionale, ma con diramazioni al centro: accanto al corifeo, Antonio Beccari, e ai minori colleghi di dantismo militante (Braccio Bracci, Lancillotto Anguissola, Menghino Mezzani, Cecco di Meletto de' Rossi), vi spiccano Antonio Pucci e Fazio degli Uberti.
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