Garanzia della difesa e nomina del terzo difensore
Nell’ultimo anno, le Sezioni Unite hanno risposto al quesito se e a quali condizioni la nomina del terzo difensore di fiducia dell’imputato effettuata per proporre impugnazione sia valida in assenza di revoca espressa di almeno uno dei due già nominati. Il risultato è una pronuncia di indubbio rilievo teorico e sistematico con cui la Corte fissa fondamentali principi in tema di gestione e di funzionamento dell’ufficio defensionale. Il contributo che segue ricostruisce le ragioni sottostanti alla pronuncia de qua per poi analizzarne, da ultimo, le criticità e le possibili soluzioni.
È considerazione alquanto ovvia che il presupposto base perché il difensore eserciti proficuamente le facoltà riconnesse alla sua funzione è l’esistenza a monte di una valida investitura. A tal proposito occorre sottolineare la massima libertà di forme che caratterizza la materia: ai fini del conferimento del mandato difensivo, il codice di rito richiede, infatti, soltanto la sicura identificabilità del nominato, del nominante e dell’ufficio verso cui la dichiarazione di nomina è diretta; la dichiarazione può, peraltro, essere resa all’Autorità procedente in forma orale o in forma scritta, non necessitando, in tale ultimo caso, di alcuna autenticazione di paternità della firma del nominante da parte del professionista incaricato.
Se, dunque, è assai raro che la nomina del difensore rimanga senza effetto per ragioni strettamente formalistiche, conseguenze di maggior rilievo possono scaturire dall’assegnazione del patrocinio a più professionisti. A ben vedere, la possibilità di una nomina multipla è, con riferimento alle parti private, riconosciuta al solo imputato. Tale facoltà, evidentemente giustificata dal ruolo chiave che l’imputato assume nel processo, non può però essere dallo stesso esercitata incondizionatamente: ai sensi dell’art. 96 c.p.p., il numero massimo dei difensori di fiducia designabili dall’imputato è, infatti, pari a due.
Il significato di questa disposizione è chiaro: l’ufficio di difensore non può essere esercitato contemporaneamente da tre o più soggetti. Ma quali sono i criteri per stabilire chi, tra i difensori nominati, debba essere considerato in esubero o comunque non (o non più) abilitato a svolgere l’incarico conferitogli, con conseguente difetto di legittimazione rispetto a qualsiasi attività processuale dallo stesso eventualmente posta in essere? A tale interrogativo il codice di rito dedica una specifica disposizione: l’art. 24 disp. att. c.p.p. L’attenzione rivolta alla materia non ha, però, scongiurato il formarsi, nella giurisprudenza di legittimità, di un quadro interpretativo composito che, protrattosi per molti anni, ha, infine, trovato il suo momento di sintesi in una recente pronuncia delle Sezioni unite1.
Nelle pagine che seguono, dapprima si analizzano le posizioni assunte dalla Cassazione circa la rilevanza e le conseguenze scaturenti dalla nomina del terzo difensore, per poi giungere alla individuazione delle importanti affermazioni di principio cui il Supremo Collegio è pervenuto in materia, dando conto delle argomentazioni giuridiche ad esse sottostanti e dell’impatto che esse generano sul sistema.
2.1 Le radici e i termini del contrasto
Per un’esatta rilevazione della quaestio iuris presa in esame dalle Sezioni Unite è opportuno partire dal dibattito formatosi, sotto la vigenza del vecchio codice di rito, intorno all’art. 125 c.p.p. abr. Tale disposizione, al pari di quanto oggi prevede l’art. 96 c.p.p., stabiliva che l’imputato non potesse nominare più di due difensori di fiducia. Le conseguenze riconnesse all’esistenza di nomine in sovrannumero non erano, però, normativamente contemplate e proprio l’assenza di dati normativi certi aveva condotto la Cassazione ad orientarsi principalmente verso due direzioni: nel senso che la nuova nomina provocasse ex se una revoca implicita del difensore di più remota designazione2, ovvero nel senso che la nomina del terzo difensore ponesse nel nulla quelle fatte in precedenza soltanto laddove fosse emerso, per facta concludentia, il venir meno del rapporto fiduciario tra l’imputato e i precedenti difensori3.
Con il passaggio al nuovo sistema processuale, il legislatore ha assunto una posizione più netta in merito ai rapporti tra nomine fatte in eccedenza rispetto al numero legale stabilendo, ex art. 24 disp. att., che ogni nuova nomina resta priva di effetto finché non intervenga la revoca di quelle ultronee. Ad onta di ciò, la giurisprudenza di legittimità non si è, però, coagulata intorno ad una soluzione unitaria del problema. Vero è che la presenza, nel codice vigente, di una disposizione come l’art. 24 disp. att. ha portato ad un automatico rigetto della tesi, sostenuta in precedenza, per cui la nomina di più recente fattura prevale e vanifica sic et simpliciter le nomine fatte inizialmente.
A differenza di questa interpretazione, la teorica della revoca implicita fondata su comportamenti concludenti ha, invece, continuato a trovare sostegno da parte della Cassazione. Si è, infatti, sostenuto che, laddove il legale designato in terza battuta provveda in via autonoma ed esclusiva al patrocinio, ciò comproverebbe la volontà dell’imputato di non avvalersi più dei precedenti difensori che, per l’effetto, risulterebbero tacitamente revocati4.
In contrapposizione a tale orientamento, vi è poi altro indirizzo che nega all’istituto della revoca implicita qualsiasi dignità normativa. Secondo questa impostazione, l’assunto per cui a porre nel nulla un mandato precedentemente conferito sarebbero sufficienti fatti concludenti frustra la ratio ispiratrice dell’art. 24 disp. att. c.p.p. finalizzata a garantire l’ordine processuale ed a scongiurare pericolose incertezze circa la titolarità dell’ufficio di difesa, senza contare le difficoltà per il giudice di stabilire quale nomina sia effettivamente operativa alla luce di un indagine circa l’attività concretamente svolta dal professionista5.
2.2. La primazia del difensore nominato pro impugnatione
Chiamate a comporre il contrasto, le Sezioni Unite rilevano che essenziale nell’economia della decisione è il fatto che il ricorso sia stato proposto avverso una sentenza di appello che aveva dichiarato l’inammissibilità del gravame perchè proposto da un difensore a tal fine nominato dall’imputato senza che vi fosse stata, però, la revoca di almeno uno dei due difensore che lo avevano preceduto.
A fronte di ciò, le Sezioni Unite ritengono non risolutivo del problema il riferimento al disposto di cui all’art. 24 disp. att. c.p.p. venendo, nel caso esaminato, in rilievo la specifica previsione contenuta nell’art. 571, co. 3, c.p.p.6. Per stabilire se il terzo difensore proponente il gravame fosse o meno legittimato a farlo la Corte incentra, dunque, l’attenzione sull’individuazione della natura dei rapporti che legano l’art. 24 disp. att. c.p.p. con lo specifico congegno di designazione del difensore dettato in tema di legittimazione ad impugnare. Invero, nell’ottica restrittiva caldeggiata da una parte della giurisprudenza di legittimità, il fatto che la nomina del terzo difensore sia stata fatta al fine di impugnare non sposterebbe i termini della questione: l’art. 571, co. 3, c.p.p. andrebbe, infatti, comunque interpretato in chiave sistematica con conseguente impossibilità per tale regola di dispiegare effetti ove questi si pongano in contrasto con le prescrizioni contenute nell’art. 24 disp. att.7
Che, però, tra le due disposizioni sia in realtà l’art. 571, co. 3, c.p.p. a dover prevalere si giustificherebbe, ad avviso delle Sezioni Unite, in ragione del carattere speciale che la regola de qua assume rispetto alla previsione di cui all’art. 24 disp. att. c.p.p. In altri termini, se è vero che, in generale, la legittimazione del difensore a porre in essere qualsiasi atto che inerisca specificamente all’ufficio defensionale è un precipitato del legittimo conferimento del mandato, quando l’atto in questione sia l’impugnazione allora i termini del discorso possono anche ribaltarsi: presupposto di validità della nomina viene (eventualmente) ad essere proprio il legittimo conferimento della legittimazione ad impugnare ex art. 571, co. 3, c.p.p. e non viceversa. E la giustificazione logico-giuridica di questa peculiare forza trainante della legittimazione ad impugnare sarebbe da rintracciarsi proprio nel carattere topico proprio dell’impugnazione quale espressione massima e cruciale della funzione defensionale all’interno del processo.
Rilevano, peraltro, le Sezioni Unite come l’interpretazione de qua sia l’unica compatibile con il dettato normativo. Il fatto che l’art, 571, co. 3, c.p.p. riconosca disgiuntamente la potestas impugnationis al difensore dell’imputato al momento del deposito del provvedimento «ovvero» al difensore nominato a tal fine dimostrerebbe proprio l’efficacia derogatoria di tale previsione rispetto al regime generale: se, infatti, scopo della norma fosse soltanto quello di riconoscere al difensore, purché validamente investito ex art. 24 disp. att., autonoma potestà di impugnazione rispetto all’imputato, tale risultato si sarebbe potuto conseguire semplicemente obliterando ogni riferimento nella disposizione de qua anche alla legittimazione ad impugnare del difensore nominato a tale fine.
2.3. Ricadute logico-sistematiche del principio de quo
In un’ottica di ricostruzione organica della materia, le Sezioni Unite delineano anche i criteri prodromici alla risoluzione dei problemi sollevati dal riconoscimento della valida investitura del terzo difensore nominato ex art. 571, co. 3, c.p.p.
In particolare, stante il limite numerico fissato dall’art. 96 c.p.p., l’esigenza che si impone è, innanzitutto, quella di stabilire quali e quanti difensori, ulteriori rispetto al legale specificamente legittimato ad impugnare, risultino automaticamente revocati, con conseguente perdita di ogni facoltà e diritto ivi compresi quelli inerenti agli avvisi e alla partecipazione al giudizio.
A questo proposito, la Corte, rilevata l’assenza di dati normativi atti a chiarire quale dei due difensori debba ritenersi revocato, estende l’effetto revocatorio ad entrambi, sempre che l’imputato non manifesti espressamente la diversa volontà di circoscrivere la portata della revoca ad uno soltanto dei due difensori precedentemente nominati8. E se alla nomina di un nuovo difensore effettuata ex art. 571, co. 3, c.p.p. non si associano conseguenze revocatorie allorquando la stessa provenga da un imputato già assistito da un solo professionista, anche quest’ultimo risulterà, però, spogliato dell’incarico laddove, invece, i legali nominati al fine di proporre impugnazione siano due.
Chiariscono ancora le Sezioni Unite che la designazione del difensore ex art. 571, co. 3, c.p.p. non vale però sempre a conferire a quest’ultimo la titolarità della legittimazione ad impugnare. Poiché, infatti, la legge attribuisce a ciascun difensore dell’imputato tale prerogativa e questi non può avere più di due difensori di fiducia, ciò implica che non possono esservi più di due impugnazioni del difensore validamente proposte: un’eventuale terza impugnazione, laddove non provenga dall’imputato o dal suo procuratore speciale, sarà, quindi, inammissibile perché proposta da chi non vi era legittimato; né può dirsi che la proposizione dell’impugnazione da parte del difensore all’uopo nominato rimuova retroattivamente la validità delle impugnazioni precedenti essendo un simile assetto confliggente con il principio generale del tempus regit actum che informa la materia processuale penale.
Ma la consunzione della legittimazione ad impugnare del terzo difensore non è l’unica conseguenza della proposizione del gravame da parte dei difensori preesistenti. Precisa, infatti, il plenum che ciò si riverbera negativamente anche su un piano più generale impedendo che la nomina effettuata ex art. 571, co. 3, c.p.p sia idonea al valido conferimento del mandato. La relazione biunivoca che, come detto, intercorre tra conferimento del mandato ex art. 571, co. 3, c.p.p. e legittimazione all’impugnazione ha, infatti, quale corollario logico il fatto che la designazione del terzo difensore resti tout court priva di effetti – a meno che non effettuata ex art. 24 disp. att. c.p.p. – laddove la facoltà di proporre impugnazione sia stata esercitata dai precedenti difensori. Nessun problema scaturirebbe, invece, qualora uno soltanto dei preesistenti difensori abbia proposto impugnazione essendo il terzo difensore legittimato a coltivare il secondo dei due gravami “defensionali” previsti dalla legge e, quindi, ben potendo egli essere validamente nominato ex art. 571, co. 3, c.p.p. Qualora, poi, a fronte di un solo gravame già presentato, le nomine funzionalizzate all’impugnazione siano due, di queste sarà, al contrario, valida soltanto quella rilasciata nei confronti del legale che abbia per primo depositato o spedito l’impugnazione.
Con la pronuncia in esame, le Sezioni Unite hanno completamente respinto quell’orientamento giurisprudenziale che, in linea di sostanziale continuità con analogo indirizzo sviluppatosi sotto il codice previgente, ammette l’esistenza della categoria della revoca tacita imperniata sull’esistenza di fatti concludenti. Tale conclusione appare pienamente condivisibile posto che l’indirizzo in questione pare collidere con un preciso limite di ordine logico. Se, infatti, è vero che è all’atto della nomina del difensore che devono sussistere i requisiti per un valido conferimento del mandato, alquanto paradossale appare l’assunto per cui una nomina ab initio invalida ex art. 24 disp att. c.p.p. possa ex post acquistare valore in forza del compimento da parte del terzo difensore di attività la cui validità discende, però, proprio dall’atto che a loro volta tali attività dovrebbero convalidare.
Nel vizio logico ora descritto sembrano, però, incorrere anche le Sezioni Unite. L’affermazione secondo cui, quando il precedente difensore dell’imputato abbia già proposto gravame, risulta validamente nominato soltanto quello tra i due difensori designati ex art. 571, co. 3, c.p.p. che abbia per primo depositato o spedito l’impugnazione appare, infatti, corretta soltanto a patto che i due difensori siano stati nominati contemporaneamente. In caso contrario, l’assunto de quo appare del tutto privo di pregio essendo evidente che quello tra i due difensori nominati al fine di proporre impugnazione che sia stato designato per secondo non può dirsi validamente investito dell’incarico defensionale avendo la prima nomina effettuata ex art. 571, co. 3, c.p.p. sterilizzato ogni potere dell’imputato di nominare ulteriori difensori. Per far sì che il difensore di più recente nomina prevalga su quello nominato ex art. 571, co. 3, c.p.p. non sembra, dunque, esservi altra strada che non quella della revoca espressa ex art. 24 disp. att. c.p.p. essendo la regola de qua espressione di un principio di portata generale capace, dunque, di porre nel nulla anche le nomine fatte al fine di proporre impugnazione.
Da ultimo, si impongono due ulteriori precisazioni.
Innanzitutto, occorre rilevare che il principio per cui l’esercizio della facoltà di proporre impugnazione da parte di entrambi i precedenti difensori dell’imputato consuma la facoltà di impugnare del terzo difensore nominato ex art. 571, co. 3, c.p.p. può essere reso inoperante facendo leva sull’istituto della rinuncia all’impugnazione: se, infatti, è vero che entro la pendenza del termine per impugnare, la rinuncia al gravame non preclude la possibilità di una nuova impugnazione9, allora non sembra peregrino affermare che, per tale via, si realizzi una sorta di restituito in integrum che apre anche al terzo difensore successivamente nominato ex art. 571, co. 3, c.p.p. la strada della legittimazione ad impugnare. Al di là di questo profilo, occorre poi sottolineare che la teoria per cui la facoltà del terzo difensore è consumata dalla proposizione dell’impugnazione ad opera dei precedenti difensori sembra, comunque, valere a patto che la nomina effettuata ex art. 571, co. 3, c.p.p. non sia precedente alla data di deposito o di spedizione delle due impugnazioni. Come riconoscono le Sezioni Unite non è la proposizione del gravame da parte del terzo difensore ad implicare la revoca dei difensori precedenti ma, a monte, il conferimento allo stesso dell’incarico ex art. 571, co. 3, c.p.p.; è giocoforza, dunque, che nessun effetto consuntivo e quindi nessuna preclusione postuma alla nomina del terzo difensore ex art. 571, co. 3, c.p.p. possa farsi discendere dall’esercizio della facoltà di impugnare da parte di soggetti ormai non più legittimati.
1 Cass. pen., S.U., 15.12.2011, Di Cecca, in CED Cass., n. 252027.
2 Cfr., Cass. pen., sez. I, 31.5.1982, Rufino, in CED Cass., n. 159543.
3 Cfr., Cass. pen., sez. III, 9.11.1964, Cicchellero, in CED Cass., n. 168039.
4 Cass. pen., sez. I, 10.9.1998, Schiavone, in CED Cass., n. 211879; Cass., sez. V, 3.10.2002, Zulianello, ivi, n. 222678.
5 Cass. pen., sez. V, 17.6.1999, Bergamaschi, in CED Cass., n. 214888; Cass. pen., sez. III, 19.1.2007, Cambise, ivi, n. 236118.
6 In generale, sull’argomento, cfr. Marandola, A. Le disposizioni generali, p. 78, in Spangher, G., a cura di, Le impugnazioni, V, in Id., diretto da, Trattato di procedura penale, Torino, 2010.
7 Cfr., Cass. pen., sez. III, 11.11.2010, n. 43009, Cavallo, in CED Cass., n. 248671.
8 Va precisato che la revoca espressa rende del tutto superflua la nomina del terzo difensore fatta ex art. 571, co. 3, c.p.p.
9 In tal senso si esprime autorevolmente, in dottrina, Spangher, G., Pluralità di difensori, pluralità di gravami ed inammissibilità della prima impugnazione, in Cass. pen., 1997, 1074.