Garanzia della difesa ed abuso del diritto
La nozione di abuso del diritto, già consueta in altri rami dell’ordinamento, ha trovato, per effetto della pronuncia della Corte di cassazione a sezioni unite del 29.9.2011, n. 155, riconoscimento anche nel campo del processo penale. Si è affermata non meritevole di alcuna tutela un’utilizzazione delle facoltà processuali che, pur formalmente legittima, miri in realtà a finalità improprie rispetto all’interesse in funzione del quale la stessa è riconosciuta. La dottrina ha tuttavia evidenziato gli aspetti problematici di una esegesi che – ad esempio con riguardo alla configurabilità delle nullità processuali – finisce per richiedere il requisito, non previsto dalla legge, della “sostanziale” lesione del diritto di difesa, in attrito con il principio di legalità.
Il codice di procedura penale non conosce norme che sanzionino esplicitamente comportamenti delle parti private del processo che, sotto l’apparenza di un legittimo uso degli strumenti e delle facoltà ad essi formalmente riconosciute, siano in realtà volti ad ottenere risultati sostanzialmente contrastanti con la ratio delle norme che tali facoltà assicurano, in quanto esorbitanti rispetto alla tutela del diritto di difesa e financo lesivi di altri profili parimenti costituzionalmente garantiti (tra cui in particolare quello della ragionevole durata del processo). Già un tale elemento potrebbe, per vero, per un interprete che si arresti al solo dato formale, suonare come una implicita ma precisa scelta di campo del legislatore, nel senso di escludere che l’uso di una facoltà consentita dalla norma possa, in quanto legittimo, comportare conseguenze pregiudizievoli per chi se ne avvalga indipendentemente dalla congruità rispetto al diritto tutelato. Ciò non ha impedito, tuttavia, che sia in dottrina che in giurisprudenza si sia fatto strada, anche nell’ambito del processo penale, sull’onda di elaborazioni intervenute in particolare nel campo del processo civile1 e nell’ambito del diritto europeo2, il concetto di “abuso del processo”. La stessa nozione di “processo giusto”, costituzionalmente presidiata dall’art. 111 Cost., comporterebbe il necessario rispetto della salvaguardia delle ragioni e delle finalità insite in ogni istituto processuale mentre, più in generale, sarebbe propria di ogni ordinamento che aspiri a completezza e razionalità l’esigenza di prevedere misure finalizzate ad evitare che i diritti da esso garantiti siano esercitati o realizzati, sia pure a mezzo di un intervento giurisdizionale, in maniera abusiva ovvero eccessiva e distorta3.
In tale contesto, dunque, già quanto meno in una precedente occasione, la Corte di cassazione, nella sua più autorevole composizione, aveva avuto modo di sottolineare, con riferimento specifico alla disciplina della prescrizione, le responsabilità per l’andamento del processo incombente anche sulle parti private e derivante dal potere loro attribuito dal nuovo codice di rito di contribuire autonomamente a determinare tempi, modalità e contenuti delle attività processuali, così lasciando prefigurare la necessità di interpretazioni delle norme attributive di facoltà difensive volte a scongiurare effetti distorsivi4. Ed un tale epilogo è, alla fine, inevitabilmente maturato per effetto della sentenza delle Sezioni Unite, 29.9.2011, n. 155, in uno scenario processuale di primo grado caratterizzato da numerosi rinvii dovuti all’intervenuta rinuncia e nuova nomina, via via, nel corso del giudizio, dei difensori di fiducia dell’imputato con la conseguenza dell’intervenuto subentro, all’originario difensore, di ben sette difensori, compreso quello che, poi, era tornato ad assistere l’imputato in appello e cassazione, senza che peraltro i difensori sostituiti e i nuovi nominati fossero mai comparsi. La Corte ha infatti avuto buon gioco, in un siffatto contesto, ad affermare che, in tal caso, lo svolgimento e la definizione del processo sono stati ostacolati da un numero “esagerato” di iniziative difensive, ciascuna in astratto di per sé espressione di una facoltà legittima, ma che, essendo in concreto del tutto prive di fondamento e di scopo conforme alle ragioni per cui dette facoltà sono riconosciute, hanno realizzato un abuso del processo; evocando tale figura la Corte ha poi testualmente affermato che «l’uso arbitrario della disciplina del termine a difesa trasmoda in patologia processuale quando l’arbitrarietà degrada a mero strumento di paralisi o di ritardo e il solo scopo è la difesa dal processo, non nel processo: in contrasto e a pregiudizio dell’interesse obiettivo dell’ordinamento e di ciascuna delle parti a un giudizio equo celebrato in tempi ragionevoli». E, con riferimento al caso di specie, ha osservato che «l’avvicendamento di difensori, realizzato a chiusura del dibattimento secondo uno schema reiterato non giustificato da alcuna reale esigenza difensiva, non ha avuto altra funzione che ottenere, come le eccezioni di nullità manifestamente infondate ... e la ricusazione dichiarata inammissibile, una dilatazione dei tempi processuali: che ha poi sortito, anche se solo nel prosieguo, l’effetto della declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione». Di qui, dunque, una volta realizzato lo “sviamento” della funzione cui la norma è diretta, la conclusione della Corte, in primis, circa la mancanza in capo agli imputati di titolo alcuno per invocare la tutela degli interessi garantiti dalle previsioni di nullità collegate alla violazione dell’art. 108 c.p.p., e, in secondo luogo, ed in stretta connessione, circa l’impossibilità di configurare alcuna reale lesione al diritto di difesa dell’imputato o di altri suoi diritti fondamentali.
L’individuazione della “categoria” del vizio processuale innocuo, da rapportare essenzialmente a tutte quelle ipotesi nelle quali la violazione della norma processuale istitutiva di facoltà difensive in tanto rileva in quanto abbia cagionato un reale pregiudizio per il diritto di difesa, non rappresenta, evidentemente, una novità nel panorama della giurisprudenza della Corte, posto che una tale affermazione, da sempre vivacemente contrastata da numerosi contributi dottrinali sul presupposto per cui la stessa violazione della norma posta a pena di nullità è, “per definizione legale”, produttiva di una lesione5, risulta da tempo presente nelle decisioni di legittimità6. Piuttosto, è da vedere se il ricorso alla figura dell’abuso del processo penale, compiutamente definita per la prima volta dalla Corte con la sentenza in questione, possa fornire – per l’immanenza al sistema di tale nozione, tale dunque da informare di sé le singole previsioni – il parametro di “legalità”, la cui mancanza è stata più volte stigmatizzata in dottrina, al principio di non rilevanza del vizio non realmente lesivo delle garanzie difensive. Così, per la verità, non parrebbe, ove si tenga conto delle considerazioni critiche mosse a tale impostazione, ancora una volta attente a ritenere insuperabile, e insuperato anche dalla Corte con la sentenza in esame, il necessario rispetto del principio di legalità7.
Resta, in ogni caso, allo stato, eluso il nodo di una ragionevole modalità di contemperamento tra principio di legalità da una parte e necessario stigma di condotte volte ad utilizzare abusivamente le garanzie difensive dall’altra.
1 Cass. civ., S.U., 15.11.2007, n. 23726.
2 Si veda in particolare l’interpretazione della Corte di Strasburgo dell’art. 35.3 CEDU, che prevede che il ricorso sia dichiarato irricevibile allorquando è incompatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi Protocolli, manifestamente infondato o abusivo.
3 Per tutti, in dottrina, Catalano, E.M., L’abuso del processo, Milano, 2004 e Leo, G., L’abuso del processo nella giurisprudenza di legittimità, in Dir. pen. e processo, 2008, 508 ss.
4 Cass. pen., S.U., 28.11.2001, n.1021.
5 Tra gli altri, Cordero, F., Nullità, sanatorie, vizi innocui, in Riv. it. dir. proc. pen., 1961, 704 ss.
6 Si vedano, per alcune applicazioni, Cass. pen., 22.11.2005, n. 1528 e Cass. pen., 8.4.2010, n. 15081.
7 Tra le altre, Caprioli, F., Abuso del diritto di difesa e nullità inoffensive, in Cass. pen., 2012, 2444 ss.; Corso, P., Quale difesa dall’abuso nella difesa?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 104 ss; Amodio, E., Il fascino ingannevole del pregiudizio effettivo (a proposito di abuso del processo), in Cass. pen., 2012, 3596 ss.