GARIBALDO
Figlio di Iso, compare per la prima volta nelle fonti, già titolare della diocesi di Bergamo, nel marzo 867, in occasione di una permuta fondiaria riguardante la chiesa di S. Pietro d'Almenno dipendente dal vescovato. La sua ascesa alla cattedra episcopale doveva essere avvenuta pochi anni prima in sostituzione di Aganone, di origine franca (840-863) e si inseriva a pieno titolo nella politica di completo rinnovamento delle élites laiche ed ecclesiastiche del Regno italico. In tal modo l'imperatore Ludovico II si affrancava negli anni Sessanta del IX secolo dalla schiera di dignitari nominati a suo tempo dal padre Lotario e poteva assicurarsi un maggiore controllo sulla corte regia.
La scelta di G. è stata spesso interpretata come una precoce manifestazione della nuova tendenza perseguita da Ludovico a reclutare in qualità di vescovi esponenti dell'aristocrazia locale, interrompendo in tal modo la pratica ben consolidata di insediare personalità estranee alla diocesi. Secondo l'interpretazione più accreditata G. avrebbe avuto un fratello, Autprando, vassallo imperiale, dato questo che avvicinerebbe G. all'abituale immagine dei vescovi del X secolo, aventi una propria clientela di natura feudale. Autprando appare però più rappresentativo del ceto superiore dei vassi, di livello pari a quello dei potentes ecclesiastici, che un loro cliente: fu lui infatti, con tutta probabilità, a essere inviato da Ludovico II a Costantinopoli, in occasione dell'importante ambasceria svoltasi nell'871 presso la corte di Basilio I per presentare a quest'ultimo le rivendicazioni politiche sostenute dai sovrani carolingi. Per quanto riguarda, poi, il padre di G., Iso, la tesi ricorrente lo dice di legge longobarda e presenta lo stesso G., designato nelle fonti come "Garibaldus de vico Vestrica" (Valtrighe, presso Terno d'Isola) una località del comitatus di Bergamo, come un "lombardo di vecchia razza" (Bognetti), un esponente di rilievo di quel "riequilibrio etnico" che caratterizzò la classe dirigente attiva nel regno di Ludovico II. L'esame del testamento di G., redatto nel marzo 870, induce però a sfumare fortemente questo ritratto. Nell'atto G. disponeva la fondazione di uno xenodochio all'interno di una sua proprietà a Inzago Brianza. I possedimenti di Inzago provenivano da una vendita, verosimilmente fittizia, compiuta da un certo Autelmus pochi giorni prima, il 26 febbraio. La gestione dell'intero complesso era affidata allo stesso Autelmus, cui era destinato a subentrare il figlio Gundelassius; solo dopo la morte di quest'ultimo lo xenodochio era destinato a far parte del patrimonio della basilica milanese di S. Ambrogio. Il testamento di G. stabiliva altresì che alla moglie di Autelmus, Gattinia, se rimasta vedova, fosse assegnato l'usufrutto di una parte della curtis di Inzago nonché altri possedimenti presso Gessate e Bellinzago, che suo marito aveva ottenuto a suo tempo dal suocero Garibaldo, forse cugino del G., stando a un'allusione presente nel testamento di quest'ultimo. Alla figlia di Autelmus, infine, Gariverga, monaca a S. Maria "Wigilindae" (il futuro monastero di S. Radegonda) spettavano i proventi di alcuni possedimenti in Brianza, destinati a confluire nei possedimenti fondiari dei monasteri milanesi dei Ss. Gervasio e Protasio e di S. Vincenzo. Tutti questi dati inducono fortemente a ritenere che G. fosse un esponente dell'aristocrazia franca più che longobarda. Il nome di suo padre, Iso, come del resto quello di Autelmus, è uguale a quello di alcuni proprietari fondiari radicati nelle località di Gessate e di Inzago intorno alla metà del IX sec.; badessa del monastero di S. Maria "Wigilindae" era Alacharda, dal nome di probabile origine germanica. Non sorprende quindi che G., insieme con il padre e il fratello, siano ricordati nel Necrologio del monastero di S. Salvatore (S. Giulia) di Brescia, a fianco di personaggi di dichiarata origine transalpina. La localizzazione delle terre in possesso di G., infine, perora più in favore di suoi legami milanesi che bergamaschi: Valtrighe, posta a una quindicina di chilometri da Inzago sull'altra sponda dell'Adda, sembra avere svolto un ruolo minore all'interno di un complesso fondiario che si estendeva non solo nei due comitatus, ma anche verso Piacenza e Cremona, all'interno dei fines Aucienses. Tutti questi dati inducono quindi a ritenere che G. fosse, con più probabilità, membro dell'aristocrazia franca insediata a pieno titolo alla guida del Regno italico da più di un secolo.
G. poté manifestare un'ultima volta la sua fedeltà a Ludovico II, al quale in sostanza doveva la sua promozione, nell'estate dell'875, poco dopo la scomparsa dell'imperatore avvenuta il 12 agosto, nei pressi di Brescia. Il vescovo di Brescia aveva accolto la sua salma, ma l'arcivescovo di Milano volle a tutti i costi che fosse sepolto nel capoluogo lombardo e inviò a tale scopo G. insieme con il vescovo di Cremona, accompagnati dalla loro cerchia di chierici, per appropriarsi delle spoglie mortali di Ludovico, che furono solennemente traslate cinque giorni più tardi. Niente di strano quindi se Carlo il Grosso, in Italia per sostenere le pretese di Ludovico il Germanico nei confronti di Carlo II il Calvo, insediò la sua base operativa presso il monastero di Fara sull'Adda, posto al centro del comitatus di Bergamo, una presenza fra l'altro ricordata più per i danni recati dalle truppe nella zona che per la sua efficacia politica e militare. La fedeltà di G. a Ludovico II, e alla politica da questo perseguita, è rilevabile anche dall'assenza del vescovo di Bergamo nell'assemblea di Pavia del febbraio 876 che sancì la supremazia di Carlo il Calvo. L'anno seguente però, con il declino politico di Engelberga, vedova di Ludovico II, la fazione "orientale" del Regnum si vide costretta ad avvicinarsi al vincitore del momento e, nell'agosto 877, G. rientrava nei ranghi partecipando al sinodo di Ravenna, convocato dal nuovo imperatore e presieduto da papa Giovanni VIII.
L'avvento al potere di Carlo il Grosso, due anni più tardi, permise a G. di ottenere per la sua Chiesa e la sua famiglia il massimo profitto. Il vescovo di Bergamo fu infatti tra i beneficiari di una serie di diplomi d'immunità concessi dall'imperatore in occasione dell'assemblea generale tenutasi a Ravenna nel febbraio 882. Nell'estate 883, il soggiorno dell'imperatore, all'epoca ammalato, presso la curtis di Murgula (ora Borgo Palazzo, nella provincia di Bergamo) si tradusse nella redazione di diversi praecepta, datati 30 luglio e 1° agosto, volti principalmente a ristabilirvi il precedente assetto patrimoniale perturbato dagli ultimi conflitti. La chiesa di S. Alessandro di Fara fu riassegnata all'episcopio bergamasco che si vedeva confermare l'insieme dei suoi possedimenti e otteneva la possibilità di ricorrere all'inquisitio in occasioni di vertenze riguardanti il patrimonio fondiario. Il fratello di G. da parte sua riceveva l'usufrutto vitalizio di S. Michele "de Cerretum" (ora Monasterolo, nella provincia di Cremona) di pertinenza del vescovato, con l'incarico di ristabilirvi la regola monastica.
Ugualmente al regno di Carlo il Grosso sono datate la maggior parte delle transazioni relative alla gestione episcopale di G. (sei sulle nove conservate) che sembra essere stata abbastanza attiva; proprio sotto il suo governo è fra l'altro menzionata per la prima volta la carica di vicedominus. Le transazioni riguardavano in primo luogo scambi di beni, dove G. rappresentava sia la cattedrale sia le chiese dipendenti. Uno di questi atti stabilisce in particolare la locazione di una chiesa appartenente alla diocesi, per il censo piuttosto elevato di 10 soldi; una precaria in favore di un chierico di Bergamo attesta infine l'espansione della sua cerchia clientelare.
Nella crisi per la successione a Carlo il Grosso, apertasi con la morte di questo nell'888, G. probabilmente sostenne la causa di Berengario I, stando al tenore della datazione dell'ultimo atto in cui egli compare, uno scambio registrato nel mese di febbraio.
Il suo successore, Adalberto, è attestato solo nell'894: in questo torno di tempo va collocata, con tutta probabilità, la data della sua morte.
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