DUGHET, Gaspapd (detto Gaspard Poussin o Le Guaspre)
Figlio di Jacques, cuoco di origine parigina, e di Dorotea Scaruffo, italiana, nacque a Roma il 4 giugno 1615. Poco dopo il matrimonio di sua sorella Anne-Marie con Nicolas Poussin, egli entrò come apprendista nella bottega del cognato prima della Pasqua del 1631 e vi restò fino all'inizio del 1635; è probabilmente da quest'epoca che si cominciò a chiamarlo Gaspard Poussin.
Fin dall'inizio Poussin incoraggiò il talento paesistico dell'adolescente osservando "che inclinava più a disegnar paesi che figure. E come era fuor di modo inclinato anche alla caccia, gli diceva che considerasse fissamente in cacciando così da vicino, che di lontano qualunque sito, e veduta che si presentasse allo sguardo, e che delle più belle ne facesse e' disegni" (Pascoli, 1730, p. 58).
I primi biografi del D., il fratello Jean (in Baldinucci, ed. 1975), Baldinucci (1681-1728) e Pascoli (1730), sono scarsi di notizie sulla sua vita, né riferiscono le date dei quadri o i nomi dei numerosi amatori che se li contendevano. Rari sono anche i documenti che forniscono date per quanto riguarda sia i quadri sia, perfino, i suoi cicli di affreschi. Secondo le fonti, prima della fine del 1635, il D. soggiornò brevemente ad Attino, nel Regno di Napoli, presso Francesco Ariti, e, per qualche mese, a Castiglione del Lago presso il duca Della Cornia. L'ordine di questi viaggi è invertito dal Baldinucci e dal Pascoli; il primo si basa sulla biografia di Jean Dughet la cui cronologia è peraltro inesatta, come provano le date conosciute dei cicli di affreschi; e d'altra parte è legittimo ritenere che il Pascoli, originario di Perugia, fosse meglio informato circa le date del soggiorno del D. presso il signore della sua regione.
Ritornato a Roma prima della fine del 1635, il D. dovette rendersi conto di essere stato dimenticato; e fu probabilmente allora che, come spesso facevano gli artisti che volevano farsi conoscere, incise all'acquaforte la sua piccola serie di otto Paesaggi (quattro tondi e quattro rettangolari): lo stile di queste incisioni è molto vicino a quello degli affreschi in palazzo Muti Bussi a Roma, che possono essere collocati tra la fine del 1635 e il 1637.
Prima del 1646 il D. si assentò di nuovo da Roma; secondo il Pascoli (1730, p. 60), dopo una grave malattia "... andò a trovare il suo duca della Cornia a Perugia per meglio ristabilirsi in quell'aria salubre. Ristabilito che fu, lo condusse il duca a Castiglione e d'ivi in sua compagnia a Firenze ...".
Secondo il Baldinucci, questo soggiorno fiorentino sarebbe avvenuto mentre Pietro Berrettini da Cortona stava dipingendo "le stanze" di palazzo Pitti, quindi tra il 1640 e il 1647 (vedi Boisclair, 1986, pp. 20-24). Dice inoltre il Baldinucci che il D. "ad istanza dello stesso Pietro fece un paese di cinque palmi per lo quale gli fece dare cento scudi": è molto probabile che il dipinto sia stato acquistato dal granduca Ferdinando II, ma non se ne è trovata traccia nelle collezioni medicee. Ritornò quindi con il suo mecenate a Perugia e di li si recò a Napoli dove, secondo il Pascoli (1730, p. 60), sarebbe rimasto "poco meno d'un anno".
Prima della Pasqua 1646 il D. era di ritorno a Roma; affittò quattro studi: due "ne' siti più eminenti di Roma" (ibid., p. 59), uno a Frascati e uno a Tivoli. La cronologia qui proposta e il testamento del D. (Boisclair, 1973-74) fanno ritenere che il pittore mantenne almeno lo studio di Tivoli durante quasi tutta la sua attività. Il D. fu lavoratore instancabile e al di fuori dell'arte la sua vita sembra essersi svolta senza grandi avvenimenti. Fu eletto accademico di S. Luca nel 1657 insieme con Guillaume Courtois; nello stesso anno i due artisti lavorarono insieme nel palazzo Pamphilj di Valmontone, e nel 1662 furono incaricati dall'Accademia di testimoniare sul valore degli affreschi che P. F. Mola aveva eseguito nello stesso palazzo e che don Camillo Pamphilj aveva fatto distruggere in seguito a un processo che il Mola gli aveva intentato (per questo processo si veda Montalto, 1955).
Il D. morì di idropisia, male di cui soffriva da due anni, il 25 maggio 1675 a Roma e fu inumato nella chiesa di S. Susanna.
Nel primo periodo di attività del D. si collocano i dipinti che erano stati raggruppati dal Blunt (1950) sotto il nome convenzionale di "maestro della betulla" (ma cfr., per un'attribuzione a N. Poussin di questi dipinti, C. Whitfield, Poussin's early landscapes, in The Burlington Magazine, CXXI [1979], pp. 10 ss.; Salerno, 1980, III, p. 1017, n. 4). Tale periodo ebbe termine verso il 1638, benché se ne trovi qualche eco fino a circa dieci anni dopo. I suoi quadri sono caratterizzati da alberi simili a betulle, con rami sparsi e spesso spezzati, alberi che occupano tutta l'altezza delle tele. Lo spazio poco profondo dei paesaggi è bloccato da questi alberi o da rocce voluminose; il realismo dei semplici motivi sembra restituire i luoghi osservati nella loro integrità. La debolezza delle composizioni è compensata dal sensibile eromatismo degli ocra o dei verdi saturi e dalla fattura impetuosa del terreno: si veda, per esempio, Paesaggio con sentiero nella foresta (Londra, Victoria and Albert Museum), Paesaggio con bovaro (Londra, National Gallery) e Paesaggio con guardiano di capre (Chicago, Art Institute).
Al principio della sua carriera il D. concepiva i paesaggi senza pensare alle figure: Lo stagno (1635 c., Roma, Gall. naz. d'arte antica), e il Paesaggio roccioso (1635 c., Firenze, Fondazione Longhi). Anche più tardi continuò a dipingere paesaggi senza figure: come nel Ponte Lucano, per Innocenzo X o don Camillo Pamphilj (1651-1653; Roma, pal. Doria Pamphilj) e negli affreschi del palazzo di Valmontone, nel 1658. Quando doveva aggiungere figure nei paesaggi dei suoi primi anni era quindi costretto a relegarle sul bordo inferiore delle tele. È questo un elemento importante per identificare le sue opere giovanili; un tale errore infatti non si puo certo imputare a Poussin, al quale pure sono state spesso attribuite anche di recente, le figure nei quadri del D.: Paesaggio con capraio che nutre il suo cane (1635 c.; propr. P. e D. Colnaghi, cfr. French, 1980, p. 36 n. 1, fig. 1), Paesaggio con capraio (1635 c.; Chicago, Art Inst.), Paesaggio con bovaro e Paesaggio con capraio (1635 C.; Chantilly, Musée Condé). Tuttavia col tempo il D. si esercitò a predisporre uno spazio per eventuali figure: Burrasca (1635 c.; Firenze, Fondazione Longhi), Caccia all'airone (1635 c.; Minneapolis, University of Minnesota Art Gallery), Caccia al cervo (1635 c.; Cleveland, Museum of art). Il Paesaggio del Rijkmuseum di Amsterdam (inv. A 95) dimostra che verso il 1640 il D. dipingeva paesaggi senza figure riservandosi di aggiungerle su richiesta della clientela.
Come è testimoniato da queste opere giovanili, il D. elaborò molto presto un tipo particolare di figure che adottò senza grandi modifiche per tutta la sua carriera: sono figure eleganti, dal portamento sciolto, vestite di una corta tunica vagamente anticheggiante, per solito anonime: cacciatori, pescatori, pastori, bovari, bighelloni; tant'è che le figure mitologiche o religiose di alcuni dei suoi quadri, quando furono eseguite direttamente da lui, dovettero essergli richieste specificatamente: per es. il Paesaggio con Aminta e Silvia (?) del 1635 c. (Adelaide, National Gallery of South Australia), il Paesaggio con s. Giovanni Battista (1657 c.; propr. del duca di Buccleuch e Queensberry), o i due quadri della National Gallery di Londra con il Sacrificio di Abramo e la Tempesta con Elia e l'angelo, verosimilmente acquistati dal connestabile Colonna nel 1660 (Boisclair, 1986, cat. 197, 201). Secondo il Pascoli (1730, p. 58), Poussin "osservò che [il D.] inclinava più a disegnare paesi che figure, e perciò più a quelli che a queste lo fece applicare"; e Jean Dughet (p. 125) aggiunge: "senza però tralasciare il disegnare qualche volta di figure, per potersene servire ad ornare li suoi paesi". È peraltro probabile che Poussin abbia insegnato al cognato a dipingere le figure come lasciano supporre i due quadri dipinti nel 1634-35, quando il D. era ancora nello studio del maestro: Ninfa a cavallo di una capra e Satiro che offre frutti a una ninfa (Boisclair, 1986, figg. 2 s.). In seguito, i personaggi dei suoi affreschi nella chiesa di S. Martino ai Monti a Roma hanno atteggiamenti tanto accademizzanti che sono stati addirittura attribuiti al Poussin o al Testa sin dal 1765 (cfr. Sutherland, 1964), ma Jean Dughet (p. 126) afferma esplicitamente che suo fratello fu l'autore anche delle figure di questi affreschi.
La fama del D. fu precoce: "non avea finiti i vent'anni, quando lasciar volle la soggezione della scuola di Niccolò, ed aprirne una da se, siccome fece. Ma ... innumerabili erano le commessioni, che giornalmente da diversi signori riceveva" (Pascoli, 1730, p. 58). Fu forse alla fine del 1635 che ricevette la prima commissione di ampio respiro: un fregio a fresco con quattordici paesaggi illustranti scene di vita quotidiana o di soggetto bucolico "nel palazzo del marchese Muti vicino a Campidoglio" (ibid., p. 60): non è possibile oggi stabilire con precisione il committente (secondo il Baldinucci la marchesa Diamante Muti) né la data esatta del ciclo, per l'inaccessibilità dell'archivio Muti Bussi; ma poiché lo stile è quello del "maestro della betulla" si può ritenere senz'altro che furono eseguiti tra il 1635 e il 1637 (Boisclair, 1986, figg. 56-71).
I dipinti del primo periodo del D., nonostante i debiti verso Poussin e Tiziano, adottano, in generale, la formula del paesaggio asimmetrico reso popolare a Roma da A. Elsheimer e dai Brill. Ben presto però egli si interessò anche al paesaggio ideale dei bolognesi, soprattutto del Domenichino: dal 1638-39 dipinse composizioni simmetriche come il Paesaggio con cacciatori (Roma, Gall. naz. d'arte antica, inv. 437) o il Paesaggio con viaggiatori, dipinto in collaborazione con J. Miel (Cambridge, Fitzwilliam. Museum), che si ispira direttamente al Domenichino (cfr. E. Borea, Aspetti del Domenichino paesista, in Paragone, XI [1960], 123, fig. 11a). Comunque, fra il 1637 e il 1650 il D. si servì alternativamente di ambedue i sistemi compositivi. Fra le composizioni asimmetriche si collocano il Paesaggio con eremita che predica agli animali (verso 1637-38; Madrid, Prado) e il Paesaggio con cacciatori (verso 1640; Londra, Iveagh Bequest; già coll. sir. O. Sargent); per contro, il Paesaggio con pescatori della Staatliche Gemäldegalerie di Kassel (verso il 1640), il Paesaggio del Rijksmuseum (inv. 1351) di Amsterdam (verso il 1641) e il Paesaggio con s. Girolamo del Museum of fine arts di Boston sono caratterizzati da una bella simmetria.
Nei paesaggi degli affreschi della chiesa carmelitana di S. Martino ai Monti a Roma si trova applicata ora l'una ora l'altra soluzione. Si tratta del più famoso ciclo di paesaggi a fresco del sec. XVII: sedici episodi della Vita dei profeti Elia ed Eliseo ai quali il D. cominciò a lavorare al più tardi poco prima della Pasqua del 1646. Sette episodi, secondo la testimonianza scritta del priore, erano terminati nel 1647 (Sutherland, 1964, p. 120) e tutto il ciclo nel 1650 0 '51. Con questi affreschi il D. si assicurò come paesaggista una gloria che non si è mai affievolita e consacrò la parità fra il paesaggio e la pittura storica.
Non esistono documenti per datare i quattro paesaggi affrescati dal D. nel palazzo di Innocenzo X in piazza Navona; stilisticamente sono molto vicini a quelli della chiesa carmelitana e potrebbero essere stati eseguiti nel 1649 (durante una interruzione dei lavori in S. Martino) o nel 1650-51. Poco dopo gli affreschi di piazza Navona, lo stesso pontefice commissionò al D. le sette immense tele, con figure dipinte da G. Courtois, tuttora conservate nel palazzo di via del Corso: sono paesaggi con S. Maria Egiziaca, S. Agostino e il mistero della Trinità, Adamo ed Eva, Caino e Abele, S. Giovanni Battista, S. Eustachio, e il Buon samaritano. La serie pare fosse terminata nel 1653 (nel giugno di quell'anno il Courtois ricevette un pagamento; cfr. J. Garms, Quellen aus dem Archiv Doria Pamphilj ..., Rom-Wien 1972, p. 77, n. 303). Dello stesso periodo sono il Ponte Lucano ed altre tele tuttora conservate in palazzo Pamphilj al Corso.
Tra il 1651 e il 1655 il D. dipinse i paesaggi che più si avvicinano a quelli del maestro, generando notevole confusione attributiva. Sulle orme del cognato, egli sottopose le sue composizioni a un ordine più razionale, a una struttura più regolare e geometrica, curando, nello stesso tempo, di più l'esecuzione e dando maggior corpo al fogliame: Tempesta con Giona e la balena (Londra, coll. della regina Elisabetta II), Vallata dopo la tempesta (Sarasota, Flo, J. and M. Ringling Museum of art), Paesaggio con pescatore (Leningrado, Ermitage), Paesaggio con profeta disobbediente (Le Havre, Musée des beaux-arts "A. Malraux"). Questo genere culminò nei paesaggi ideali delle Quattro stagioni che egli eseguì a fresco, assai probabilmente verso il 1654-55 (ma non si sono trovati documenti in merito), nel palazzo del Bernini (oggi al Musée des beaux-arts di Bordeaux).
Ma l'ideale poussiniano non poteva soddisfare a lungo il temperamento entusiasta del D.; le sue opere posteriori agli affreschi Bernini, pur se ancora idealizzate, al punto da ingenerare anch'esse confusioni sull'attribuzione, abbandonano il ritmo quieto delle linee rette. Il loro assetto poggia oramai su una rete ingegnosa di diagonali; la vegetazione diventa più lussureggiante, i motivi più complessi e la fattura, pur mantenendosi attenta, recupera maggiore spontaneità attraverso tocchi spessi di colore luminosissimo distribuiti attraverso tutto il paesaggio in una cadenza più animata.
I più begli esempi di questa maniera sono, nel 1656-57: Paesaggio con Maddalena penitente (Madrid, Prado), con Tancredi ed Erminia (Roma, Galleria naz. d'arte antica), con Piramo e Tisbe (Liverpool, Walker Art Gallery), Marina e scena di brigantaggio (Birmingham, City Museum and Art Gallery), Paesaggio di Tivoli con incendio (Dresda, Gemäldegalerie, n. 737), i due paesaggi affrescati nel palazzo del Quirinale nel 1657, Cascata nei dintorni di Tivoli (Torino, Galleria Sabauda), Paesaggio con Diana e Atteone dipinto con il Maratta (Chatsworth, Trustees of the Chatsworth Settlement), Paesaggio con il Battista (coll. duca di Buccleuch e Queensberry), Campagna romana (coll. duca di Westminster). La stessa vivacità dei quadri del 1657 si ritrova in quelli dell'anno dopo: Paesaggio con Euridice e Paesaggio composito (Stourhead House, Wiltshire), Paesaggio della Campagna romana (Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz), Paesaggio con castello in cima a una collina (Ickworth, Suffolk), Uragano con figure che si rifugiano sotto una roccia (Praga, Gall. naz, inv. 4248).
Sempre nel 1658 il D. decorò una sala del palazzo di Camillo Pamphilj a Valmontone con affreschi che dovettero suscitare molto scalpore; nessun pittore, infatti, prima di lui aveva coperto intere pareti con paesaggi così aridi, assolutamente privi di esseri viventi. In quest'opera il D., oramai pienamente padrone dei suoi mezzi, sfidò le convenzioni con audacia straordinaria (Montalto, 1955, pp. 272, 279-81, 292, 299).
Verso il 1659 gli sforzi dell'artista tendenti a realizzare una spazialità sempre più vasta approdarono a panorami immensi; anche se è possibile che abbia conosciuto i paesaggi contemporanei degli artisti olandesi, il D. affrontò il genere con spirito assai diverso, tanto che questi suoi dipinti possono anche essere considerati come il risultato di una evoluzione logica della sua stessa riflessione: Lago di Nemi (Boisclair, 1986, cat. 187); Paesaggio panoramico con quattro figure (Cambridge, Fitzwilliam Museum); Paesaggio con acquedotto (Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz); Veduta di Tivoli con fuga in Egitto eseguito per il principe Colonna, in collaborazione con F. Lauri (Houston, Texas, Blaffer Foundation: Boisclair, 1986, cat. 193); Paesaggio con acquedotto (Elton Hall, Peterborough, coll. William Proby); Lago di Nemi (Glasgow, Art Gallery); Campagna italiana (Parigi, Louvre).
Caratteristiche analoghe presentano il Sacrificio di Abramo e La tempesta con Elia e l'angelo (Londra, National Gallery), che senza dubbio sono le due tele d'imperatore acquistate da Onofrio Colonna nel 1660. La tempesta con Elia e l'angelo è considerata a giusto titolo una delle più affascinanti tempeste del D., ma questo tema l'aveva appassionato sin dalla giovinezza e la Burrasca (1635 c.) della Fondazione Longhi a Firenze è uno dei primi esempi conosciuti. Nella Tempesta n. 31 (Londra, National Gallery) l'artista ha messo a punto la sua tecnica per suggerire le raffiche di vento che scuotono gli alberi rovesciando le foglie ammassate in grappoli, i lampeggiamenti sui ruvidi tronchi, il sollevamento dalla polvere, il terrore degli uomini e degli animali. Da allora burrasche, temporali e uragani non hanno più avuto segreti per il pennello del Dughet. Quando negli anni dopo il 1660 il suo tocco cominciò a intorpidirsi e a perdere in precisione, le foglie degli alberi si appesantirono e si allungarono, come per esempio nella Tempesta con Didone ed Enea dipinta con il Maratta (1664 c.; Londra, National Gallery), nella Tempesta della Gall. naz. d'arte antica di Roma (1672 c.) e nella tempera della Galleria Colonna a Roma con Incendio durante un temporale (1671-72). Ma la storiografia ha avuto torto nel fondare la reputazione dei D. soprattutto sulla trattazione di questo tema. Certamente egli è forse l'artista che più d'ogni altro ha reso la tempesta con verosimiglianza, ma è pur vero che non ne ha poi dipinte moltissime: appena una trentina su più di quattrocento opere che formano il suo catalogo.
Se negli anni posteriori al 1650 il D. esplorò procedimenti compositivi molto variati, nel decennio posteriore ne inventò di assolutamente inediti. Tra il 1659 e il 1667 non ricevette commissioni di affreschi, quindi dipinse quadri in gran numero anche perché spesso di formato molto piccolo. Volle rinnovare il suo repertorio usuale, e i suoi motivi preferiti furono quindi le cascate (di Tivoli e di altri luoghi), le foreste con belle radure, i laghi ovali fronteggianti edifici romani o ville dalle forme cubiche che nella definizione spaziale si sostituiscono alle montagne, a volte rovine, e soprattutto siti modesti col fascino della semplicità selvaggia. In queste opere lo spazio è molto circoscritto e in molte di esse si scorge solo un sottile bordo di cielo blu. Un tocco vaporoso e rapido anima questi piccoli paesaggi incantevoli e poetici, che sono i più copiati e imitati: Cascatelle di Tivoli (Ponce, Puerto Rico, Museo de arte); Cascata (Seattle Art Museum); Cascate di Tivoli (Londra, Wallace coll.); Paesaggio con due personaggi vicino ad un lago (Brocklesby Park, Habrough, coll. conte di Yarborough); Paesaggio con un paese sul fianco di una collina (Colonia, Wallraf Richartz Museum); Paesaggio con lago (Madison, Univ. of Wisconsin, Elvehjem Art Center); Paesaggio boscoso (Petworth, Sussex, coll. lord Egremont); Paesaggio con la basilica di S. Giovanni in Laterano (Chatsworth, coll. del duca di Devonshire); Paesaggio con pescatori (Petworth House, Sussex, National Trust).
Tuttavia, quando nel 1667-68 decorò il "romitorio" di palazzo Colonna, il D. dimostrò di non aver dimenticato il prestigio delle grandi composizioni; gli splendidi paesaggi affrescati coprono le quattro pareti della piccola sala a guisa di fregio ininterrotto, diviso soltanto dalle colonne dipinte a trompe-l'oeil da G.B. Magno (Bandes, 1981).
Alla fine della carriera del D. risalgono dúe altri bellissimi complessi decorativi: le tempere della Galleria Colonna (1670-71 c.) e i mezzanini di palazzo Borghese. Il primo mezzanino fu dipinto nel 1671 in collaborazione con F. Lauri (cfr. B. Riccio, Vita di F. Lauri..., in Commentari, X [1959], p. 12) e il secondo l'anno seguente dal solo D.; in ognuno il D. dipinse quattro paesaggi, uno per parete.
La delicata raffinatezza del colore di questi complessi, la sontuosità della fattura e il carattere lirico delle composizioni esprimono l'amore sincero e appassionato del pittore per la sua terra natale, che egli descrisse senza pregiudizi, indagandone i misteri e svelandone i segreti con tenerezza.
Con questa nota poetica si chiuse la carriera del Dughet. I suoi ultimi quadri, generalmente di piccolo formato, riprendono spesso motivi già sfruttati negli anni dopo il 1660, ma in essi la pennellata è divenuta sempre più sciolta e febbrile, al punto che i quadri appaiono pura vibrazione di luce e colori. Si vedano ad esempio: Paesaggio pastorale (Londra, coll. T. G. Winter); Paesaggio con cascata e pescatore (Petworth, Sussex, coll. lord Egremont); Veduta di Tivoli con cascata (Newcastle-upon-Tyne, University, Hatton Gallery); Paesaggio ideale (Bolton, Art Gallery and Museum); L'uragano (Madrid, Prado, n. 135); Terme di Diocleziano (Londra, coll. D. Sutton).
Le fonti non spiegano come il D. venne in contatto con i suoi collaboratori occasionali; è possibile che alcuni di essi facessero parte della cerchia di Poussin, o di quella di Pietro da Cortona. Ma non bisogna esagerare l'importanza di queste collaborazioni; Jean Dughet infatti scrisse che il D. "non volse mai aiutanti" (p. 127); perciò dobbiamo pensare che abbia dipinto da solo quasi tutte le sue opere e questo ci fa ritenere che quando le figure furono eseguite da un altro artista l'iniziativa della collaborazione sia venuta piuttosto da questo, o talora dal committente, che non dal Dughet.
Per fare un esempio, fu lo stesso Charles Le Brun, di passaggio a Roma tra il 1642 e il 1646, a chiedere al D. di dipingere sfondi paesistici nella sua Allegoria del Tevere (Beauvais, Musée du Dept. de l'Oise: Miller, 1863) e nella Deificazione di Enea (Montréal, Musée des beaux-arts).
Un altro caso di collaborazione è quello con Francesco Allegrini a proposito del quale il Pio (1724, p. 36) ricorda "in Palazzo Costagliuti le superbe figurine da lui fatte nelli paesi di Gaspero Posino, dipinti in tavola in tutte le porte e sportelli di finestre di un appartamento di detto palazzo, quali poi sono stati tagliati e fattone quadri, molti dei quali... si vedono nell'appartamento del palazzo nuovamente fatto dal Signor Livio de' Carolis incontro a San Marcello" (oggi dispersi; cfr. anche ibid., p. 45; Pascoli, 1730, p. 60; Boisclair, 1986, pp. 52 s., cat. R. 146-R. 149).
Nel 1658 il D. affrescò i paesaggi di sfondo alla Creazione di Adamo ed Eva e al Sacrificio di Caino di F. Lauri nel palazzo del Quirinale (Wibiral, 1960): non sappiamo se fu Pietro da Cortona, soprintendente alla decorazione della galleria, o se furono i pittori di figura a richiedere la collaborazione del Dughet.
I disegni giovanili del D. eseguiti con inchiostro e penna o pennello e acquarello sono ancora poco studiati e nessuno di essi è accettato all'unanimità; i rari fogli che sembrano collegabili a suoi quadri fanno pensare che a quell'epoca il D. non eseguisse dei veri studi preparatori.
I suoi disegni dovevano formare piuttosto un repertorio al quale egli attingeva all'occorrenza: un disegno del Louvre (inv. R. F. 32464) presenta un luogo somigliante ma non identico a quello del Paesaggio con sentiero nella foresta (Londra, Victoria and Albert Museum; Boisclair, 1986, figg. 8 s.); un altro foglio della stessa collezione (inv. R. F. 763) s'avvicina alla Burrasca della Fondazione Longhi di Firenze, mentre quello del Museo di Marsiglia (D-20, catalogato come Poussin) potrebbe essere servito al Paesaggio con Agar ed Ismaele della coll. del conte di Pembroke (Boisclair, 1986, figg. 30 s., 38 s.). Facevano eccezione le opere importanti come gli affreschi del palazzo Muti Bussi; infatti ne esistono nel Kunstmuseum di Düsseldorf due fogli preparatori, uno dei quali (FP 8049) dev'essere un frammento di bozzetto.
Dopo gli studi ad acquarello e pennello preparatori degli affreschi in S. Martino ai Monti (due sono al Louvre; cfr. Chiarini, 1969), il D. sembra che abbia usato soprattutto la pietra nera su carta colorata, e qualche volta la sanguigna. Tali disegni, per la maggior parte, riproducono i quadri comprese le figure, piuttosto che prepararli. La più bella collezione di disegni del D. si conserva al Kunstmuseum di Düsseldorf, ma parecchi splendidi fogli si trovano anche nel British Museum, nel Kupferstichkabinett di Berlino (Staatl. Museen Preuss. Kulturbesitz), nella Crocker Art Gallery di Sacramento (California); altri disegni sono disseminati in numerose collezioni pubbliche e private.
Il D. ebbe una carriera estremamente fruttuosa, tanto feconda in invenzioni da esercitare un influsso considerevole sui paesaggisti dei secoli seguenti, particolarmente in Inghilterra e Germania, attirando a Roma gran numero di imitatori che ripercorsero i suoi itinerari; e pertanto il numero delle sue opere è ben inferiore a quello che vogliono ancora far credere certi storici dell'arte.
Tuttavia avrebbe avuto solo due allievi veri e propri, Crescenzio Onofri e Jacques de Rhoster; quest'ultimo, di Malines, coabitò col D. nei suoi ultimi tre anni di vita e secondo il Baldinucci (V, p. 304) raggiunse ottima reputazione, ma non ne conosciamo un solo quadro. Onofri d'altra parte assimilò così perfettamente la maniera del maestro che molti dei quadri precedenti la sua partenza per Firenze nel 1690 sono stati a lungo attribuiti al D. stesso. Più ancora dei quadri di quest'ultimo, le copie e i pastiches eseguiti da J. F. van Bloemen hanno ingannato alcuni conoscitori fra i più competenti: i suoi quadri hanno alimentato il mercato quando quelli autentici del D. vennero a mancare.
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