GASPARDONE, Bianca Maria, contessa di Challant
Nacque tra il 1499 e il 1501 a Casale Monferrato, figlia unica di Giacomo Gaspardone, facoltoso mercante e uomo d'affari, tesoriere generale del Marchesato, e di Margherita degli Inviziati.
Secondo la tradizione sviluppatasi sulla scorta della novella I, 4 di Matteo Bandello, ispirata alle sue tormentate vicende, la G. sarebbe stata la figlia di un anziano e ricco usuraio di Casale, e di una giovane greca, presumibilmente una dama di compagnia giunta nel Monferrato al seguito della serba Maria Branković, moglie del marchese Bonifacio III.
In realtà, con diploma del 3 maggio 1464, il marchese di Monferrato Guglielmo Paleologo aveva aggregato alla nobiltà cittadina Francesco Gaspardone, bisnonno della G., con tutta la sua discendenza, investendo inoltre il casato del feudo di Terruggia. Inoltre, la madre della G., Margherita, apparteneva a una delle più cospicue e illustri famiglie di Alessandria. Pertanto, ogni allusione a una probabile ascendenza umile o addirittura illegittima della G. è da considerarsi una semplice invenzione letteraria.
Nel 1513 la G., giovanissima e già nota per la sua bellezza oltre che per le notevoli fortune economiche paterne, sposò a Milano Ermes Visconti, più anziano di lei di circa venti anni.
Secondo la testimonianza del Bandello - che conobbe personalmente la coppia nella casa milanese di donna Ippolita Sforza Bentivoglio, e che non mancò di sottolineare l'accentuata gelosia del Visconti nei confronti della moglie, provocata soprattutto dall'accesa vivacità e irrequietezza di lei - l'ingresso in città della sposa avvenne su una carrozza lussuosamente addobbata, dono nuziale di Francesco Visconti, fratello di Ermes.
Poco dopo le nozze, la G. rimase unica erede delle sostanze di famiglia a seguito della morte del padre. Con atto rogato l'11 sett. 1514 la G., con il consenso del marito, assegnò alla madre una rendita vitalizia di 300 scudi l'anno sull'eredità paterna, oltre alla restituzione della dote alla casa familiare e alla fornitura annuale di 100 staia di vino. Ma evidentemente i patti tra madre e figlia rimasero a lungo lettera morta e non riuscirono a evitare una lite giudiziaria, dal momento che il 1° luglio 1518 il marchese Guglielmo dispose il sequestro di tutti i frutti, fitti, censi e redditi dei coniugi Visconti finché Margherita degli Inviziati non avesse ricevuto quel che le spettava.
L'unione tra la G. ed Ermes Visconti, dalla quale non nacquero figli, durò solo sei anni e si concluse tragicamente: il 22 ott. 1519 il Visconti, accusato probabilmente di cospirazione (gli atti del processo non ci sono pervenuti), fu giustiziato nel Castello di Milano. La ventenne G., vedova e ricchissima, fece ritorno a Casale, dove non tardarono a farsi avanti numerosi e spesso illustri pretendenti.
Tra essi spiccavano Sigismondo Gonzaga, cugino del marchese di Mantova, e il ventenne Renato (René) conte di Challant. Entrambi cercarono di procurarsi l'intercessione in loro favore della marchesa Maria di Monferrato, alla quale la G. era molto legata. In favore del Gonzaga intervenne il congiunto marchese Federico II, genero della marchesa. Per lo Challant scese invece in campo il duca Carlo II di Savoia. La vicenda assunse in tal modo toni marcatamente politici. Probabilmente, a far muovere tanti interessi contribuirono anche le cospicue disponibilità economiche della vedova, che erano già riuscite a procurarle il matrimonio con il Visconti.
La spuntò Renato di Challant e i due si sposarono in segreto nell'estate del 1522. Il 4 agosto, con atto rogato nel castello di Issogne, la G. si costituì in dote 25.000 ducati d'oro, la stessa somma che aveva portato in occasione delle sue prime nozze. Assicurò la cifra sui redditi che le derivavano dai suoi possedimenti in Frassineto, Guardapasso, San Salvatore, Occimiano, San Maurizio, Verolengo e Casale. Nominò inoltre due procuratori incaricati di riscuotere e vendere i crediti sul Banco di S. Giorgio di Genova intestati ai suoi genitori.
Frattanto, il 12 febbr. 1522, il suo corredo di sposa era stato rispedito da Milano a Casale. Qui giacque inutilizzato fino al dicembre successivo, quando venne trasportato a Ivrea, dove la G. aveva preso dimora col marito, presso il duca di Savoia.
Nel settembre 1523, prima di partire per la guerra al fianco di Francesco I nel conflitto che oppose il re di Francia al duca di Milano per il possesso del Ducato, lo Challant fece testamento, lasciando tra l'altro alla moglie "dilectissima" il castello di Chatillon per sua abitazione.
Nulla dunque che facesse trapelare alcun dissapore tra i due coniugi. Ben presto tuttavia cominciò a maturare tra loro una vera e propria rottura, almeno da parte della Gaspardone. Approfittando probabilmente dell'assenza del marito, impegnato nell'attività diplomatica e militare, la contessa, stanca del soggiorno valdostano, se ne andò a Pavia, ospite in casa di un suo parente, A. Lonate.
Alcuni autori, come G. Giacosa, hanno posto l'accento sulle scelte politiche e militari filofrancesi del marito per spiegare in parte il motivo del gesto della G., che avrebbe mal sopportato l'idea di portare guerra a Milano, città in cui aveva vissuto gli anni del suo primo matrimonio e per la quale avrebbe sempre continuato a nutrire un profondo attaccamento. Non a caso, sempre secondo il Giacosa, tutti i personaggi che d'ora in poi avrebbero ruotato attorno alla contessa facevano parte dell'entourage imperiale.
Durante questi anni la G. condusse una vita assai libera e sentimentalmente inquieta. Intrecciò varie relazioni, nessuna delle quali duratura, favorita dalla sua naturale avvenenza e dalle sue ricchezze. Probabilmente iniziò proprio a Pavia la sua storia d'amore con Ardizzino Valperga, conte di Masino, rapporto che, stando alla narrazione del Bandello, durò più di un anno.
Nel 1525, in seguito alle vicende belliche che coinvolsero pesantemente la città della Lomellina, la G. si trasferì nuovamente a Casale, dove il 26 dic. 1525 rogò il suo testamento, con il quale nominò sua erede universale la marchesa Maria di Monferrato, mentre, in caso di morte o rinuncia della designata, l'eredità sarebbe stata divisa a metà tra il marchese Guglielmo e Francesco Visconti, fratello del suo primo marito. Espresse anche il desiderio di venire sepolta accanto a Ermes Visconti. Non una parola, invece, per lo Challant.
Intanto, a Casale, la G. aveva conosciuto Roberto Sanseverino conte di Caiazzo, nobile napoletano al servizio dell'imperatore Carlo V. Per lui troncò il suo legame con il conte di Masino, trasferendosi successivamente a Milano.
Il Masino, offeso per essere stato soppiantato dal rivale, si vendicò della contessa ingiuriandone pubblicamente il nome, in modo che tutta Milano venisse a sapere del suo comportamento moralmente troppo libero e disinvolto.
Venuta a conoscenza delle dicerie che correvano sul suo conto a opera del Masino, la G. meditò una cruenta vendetta nei confronti di quest'ultimo, e tentò di istigare il Sanseverino a uccidere l'ex amante, colpevole di aver infangato la sua onorabilità. Il designato tuttavia si rifiutò di obbedirle.
Poco tempo dopo, la G., ancora ansiosa di vendicarsi, conobbe il giovane spagnolo Pietro Cardona, figlio naturale del conte di Golisano, anch'egli al servizio dell'imperatore, e iniziò con lui una nuova relazione. Il Masino, frattanto, continuava a infamare l'onore della contessa. Se il Sanseverino si era subito rifiutato di commettere un delitto per amore della G., il Cardona, più giovane e inesperto, accettò immediatamente il ruolo del vendicatore: e una notte di primo autunno del 1526, con alcuni complici, tese l'agguato mortale nel quale persero la vita il conte di Masino e il fratello Carlo Valperga, che tornavano a casa dopo un convivio.
Avuto la notizia del delitto, il Sanseverino, a conoscenza delle macchinazioni della G. e del suo nuovo amante spagnolo, rivelò i suoi sospetti al connestabile Carlo di Borbone. Il Cardona fu subito arrestato, insieme con la contessa e due ancelle di quest'ultima, una delle quali sarebbe morta tra i supplizi cui era stata sottoposta per ottenere un indizio a carico della sua padrona, che senza prove sufficienti non avrebbe potuto essere sottoposta a tortura.
A questa versione dei fatti, fornita dal cronista pavese A. Grumello (gli atti del processo sono purtroppo andati perduti), si oppone quella del Bandello, secondo il quale il Cardona, appena arrestato, fece subito il nome della G. quale mandante del delitto, e quest'ultima avrebbe addirittura tentato di riottenere la libertà offrendo in cambio la somma di 15.000 scudi.
Proprio quando gli arrestati stavano per essere liberati per mancanza di prove, la G. scrisse una lettera al Borbone rivelando la sua colpevolezza. E il 20 ott. 1526 la G. fu decapitata nel rivellino del Castello di Porta Giovia, a Milano.
Per quanto riguarda l'eredità della G., il testamento non fu rispettato. Tre giorni dopo la tragica morte della contessa il cugino A. Gaspardone prese possesso del palazzo di Casale e degli altri beni, in mancanza di figli legittimi o naturali della donna. Ma R. di Challant, che non compare mai in tutta la vicenda giudiziaria della moglie, e con il quale, nonostante la separazione di fatto, la G. aveva continuato a essere sposata, si appellò agli statuti casalesi, in virtù dei quali l'erede naturale era il marito, e impugnò il testamento della moglie. Si giunse poi a una transazione tra il Gaspardone e lo Challant, e il palazzo di Casale rimase a quest'ultimo.
La tragica vicenda della contessa di Challant ispirò numerosi romanzieri e drammaturghi, che attinsero i particolari del caso soprattutto dalla novella bandelliana. Una prima produzione, infatti, data tra i secc. XVI e XVII, e comprende le novelle di Fr. Belleforest, Vie desordonnée de la comtesse de Celant, in Histoires tragiques, II, 2, Lyon 1564; e di W. Painter, Palace of pleasures, II, 24, London 1566-67 (entrambi rielaborarono il Bandello), e la tragedia di J. Marston The insatiate countess, ibid. 1613. Elementi tratti dalla storia della G. sono rintracciabili anche in G. Fenton, Certaine tragicall discourses, ibid. 1567, e G. Whetstone, The rocke of regards, ibid. 1576.
Un secondo filone si sviluppò nel sec. XIX, simultaneamente alla pubblicazione nel 1856 della Cronicha del Grumello a cura di G. Muller, che offrì nuovi spunti alla creatività di certi autori romantici italiani. Tra questi L. Vallardi, La contessa di Cellant, dramma (Milano 1858); P. Curti, Madama di Celan, storia milanese, romanzo (Milano 1858); M. Sorre, Maria Celano, dramma (Milano 1860); C. Caracciolo, La contessa di Cellant, dramma (Napoli 1861); L. Gualtieri - A. Scalvini, La contessa di Cellant, dramma (Milano 1882); G. Giacosa, La signora di Challant, dramma (Milano 1891); L. Gramegna, Occhio di gazzella, racconto (Torino 1926); A. Rossato, Madama di Challant, libretto d'opera (Milano 1927).
Fonti e Bibl.: M. Bandello, La prima, seconda et tertia parte de le novelle, Lucca 1554, l. I, nov. IV; A. Grumello, Cronicha, in Raccolta di cronisti e documenti storici lombardi inediti, a cura di G. Muller, Milano 1856, pp. 424-428; F. Calvi, Il Castello di Porta Giovia e sue vicende nella storia di Milano, in Archivio storico lombardo, XIII (1886), pp. 281 s.; L. Vaccarone, B.M. di Challant e il suo corredo, in Miscellanea di storia italiana, XXXV (1897), pp. 307-331; G. Giacosa, Castelli valdostani e canavesani, Torino 1897, pp. 106-116; F. Neri, La contessa di Challant, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XCVIII (1931), pp. 225-254.