CELIO, Gaspare
Figlio di Domenico, nacque a Roma nel 1571. Fu pittore, scrittore, matematico, architetto civile e militare. Ma di quest'ultima attività, ricordata nella sua epigrafe tombale in S. Maria del Popolo a Roma, non resta alcuna testimonianza.
La maggior fonte di informazione è la "vita" che gli dedica il Baglione, una delle più lunghe della raccolta; ma è piena di livore, ed il Bellori nelle postille marginali (p. 377) dice addirittura che essa fu scritta dal Baglione solo per dar sfogo all'astio, originato dal fatto di non essere mai citato dal C. nella Memoria delli nomi...,con omissione palesemente intenzionale. Lo stesso Bellori definisce "goffi" entrambi gli artisti, aggiungendo che "più goffo e maligno era il Celio". Questa qualifica si accorda con il ritratto morale che del C. fa il suo amico G. V. Rossi nella Pinacotheca (1645), lodandone l'onestà, ma ricordandone anche il temperamento rissoso, maledico e vendicativo, la bestiale gelosia (che gli fece tener segregata la moglie per tutto il tempo della loro convivenza, quarantacinque anni), e lo stravagante fanatismo per gli studi di astrologia, per i quali rischiò di incorrere nei rigori dell'Inquisizione.
La posizione stilistica del C. fa ritenere verosimile la notizia del Baglione che egli ebbe i principî del disegno da Nicolò Circignani, anche se poi l'artista stesso, pur ricordando nella Memoria molte opere del Pomarancio (ma altre ne tralascia, ricordate invece dal Baglione), non accenna a un suo alunnato. Ma agli effetti della sua formazione non vanno trascurati i rapporti che egli ebbe con l'intagliatore fiammingo Hendrick Goltzius (italianizzato in Enrico Golzio). Di fatto, nella dedica al Rossi della Memoria delli nomi...il C. ricorda con compiacimento che nei suoi "piccioli anni" disegnò per il Goltzius "tutte le opere quali sono in Roma di Pittura, e Scultura, che dalli professori eccellenti sono tenute in conto". Da questa attività giovanile l'artista ricavò la gran pratica e facilità di disegnatore per cui era apprezzato dai contemporanei. Altri disegni, pure copiati dalle opere di Roma, fece per il gesuita Giuseppe Valeriano, grazie al quale ebbe l'incarico di dipingere la cappella della Passione (la seconda a destra, di patronato, Mellini) nella chiesa del Gesù. Il Baglione attribuisce i disegni per gli affreschi al Valeriano. Se la notizia è vera, si dovrà intendere che quest'ultimo, miglior teorico che pratico, le cui scarsissime opere note non hanno peraltro rapporti stilistici con questi dipinti, diresse il giovane esecutore con suggerimenti di carattere teologico e forse compositivo; è certo che il C. ci ha lasciato qui un'opera di alto lirismo e una delle più significative espressioni della pittura della Controriforma.
Questi dipinti dovevano essere già compiuti quando l'artista ebbe l'incarico di decorare di affreschi la chiesa del Gesù a Tivoli (distrutti da bombardamenti nell'ultima guerra); qui nel 1595 si sposò con Claudia Sebastiani (il nome della moglie è ricordato nell'epigrafe tombale, dalla quale si deduce la data). Nello stesso periodo disegnò molte delle illustrazioni per le In Ezechielem Explanationes dei gesuiti spagnoli H. Prado e J. B. Villalpando, splendido saggio dell'arte editoriale romana, pubblicato negli anni 1596-1604, alle cui spese contribuì lo stesso re di Spagna.
Successivamente, grazie alle raccomandazioni dello scultore carrarese Simone Moschino, il C. fu chiamato a Parma da Ranuccio Farnese per dipingere nelle stanze del palazzo del Giardino una storia con Argo e Mercurio: l'opera non piacque e fu subito cancellata. Da documenti dell'Archivio di St. di Parma cit. dallo Scarabelli Zunti (Ruolo Farnes., 1599-1603, 1603-1606) risulta che avrebbe cominciato a "servire" il 13 ott. 1602: sino al genn. 1604 ricevette 10 ducatoni al mese. Tornato a Roma, si vide togliere la commissione, che aveva ottenuto a istanza del duca, di una pala per S. Pietro con la Crocefissione dell'apostolo. Dopo questo viaggio, sembra che il C. non si sia più allontanato da Roma.
Probabilmente era appena ritornato in questa città quando, nell'estate del 1607, dipinse il Passaggio del Mar Rosso nel soffitto di una sala al primo piano del palazzo Mattei di Giove, dove nel 1608 dipingeva la volta di una sala del pianterreno con Giove che folgora i giganti e ancora nel 1615 l'artista decorava la cupola (Dio Padre in gloria) della cappellina per la quale aveva fornito anche la pala con la Natività (oggi è andata perduta Panofsky-Soergel). Nel 1609 era principe dell'Accademia di S. Luca, e sembra che approfittasse della carica per commettere soprusi a danno di colleghi (Bertolotti). Nel 1613 fu fatto cavaliere dell'Abito di Cristo; il Baglione racconta diffusamente nella "vita" del Borgianni (p. 142) come questi, ormai sicuro di ottenere l'ambitissimo onore, se lo vide sottratto dalle mene del maldicente rivale.
L'anno appresso riceveva un pagamento per la pala dell'altar maggiore di S. Carlo ai Catinari. È ancora il Baglione che racconta (pp. 379 s.) la beffa giocata dal pittore ai padri barnabiti committenti dell'opera, che chiedevano una riduzione sul prezzo: il C. promise di dare il compenso in carità e in tal senso lo diede alla propria moglie. Aggiunge malignamente che il dipinto "poco gusto diede" (p. 378): fu infatti tolto quasi subito, tanto che lo stesso C. non lo cita tra le opere della chiesa. A proposito di questa pala vengono ricordati anche i rapporti che l'artista ebbe con il marchese G. B. Crescenzi, il quale già nel 1607 aveva stimato i suoi lavori in palazzo Mattei, e nella sua qualità di soprintendente alle fabbriche pontificie gli ottenne l'incarico di due affreschi con Storie di Salomone in Vaticano, in una stanza presso la sala Clementina. Altro suo protettore fu il cardinal Ginnasi che gli affidò l'educazione artistica della nipote Caterina, dilettante di pittura; per suo mezzo il C. ebbe nel 1627 l'incarico della decorazione della cappella del battistero in S. Pietro (prima a sinistra), opera, anche questa, quasi subito cancellata (F. H. Dowley, C. Maratti, C. Fontana, and the Baptismal Chapel...,in The Art Bulletin, XLVIII[1965], pp. 68 s.). Ad essa si riferisce probabilmente un disegno nel Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi (inv. 11.810).
La maggior parte dei dipinti ricordati dal Baglione e dallo stesso C. sono perduti. Oltre agli affreschi citati, restano, ma offuscati dall'umidità e ben poco leggibili, due scomparti nella volta della cappella Caffarelli (la prima a destra) nella chiesa della Minerva, con Storie di s. Domenico. Ci è noto solo un suo dipinto da cavalletto: una Battaglia, firmata, nella Galleria Borghese. Suoi disegni sono conservati nel Gabinetto delle stampe degli Uffizi a Firenze.
Gli interessi culturali esclusivamente manieristici del C. sono evidenti nel suo libretto Memoria delli nomi dell'artifici delle pitture, che sono in alcune chiese, facciate, e palazzi di Roma, che egli dedicava l'11 aprile 1620 all'amico G. V. Rossi, e di cui subito circolarono copie manoscritte: esso fu, però, pubblicato solo nel 1638 a Napoli, per Scipione Bonino, con aggiunte del medico S. Vanini (ediz. in facsimile, a cura di E. Zocca, Milano 1967).
Non si tratta di una vera guida, perché le chiese vi sono elencate in ordine alfabetico; ma, anche se "piena di errori" come nota il Baglione (da attribuire in massima parte allo stampatore), è di notevole importanza perché è il primo repertorio non agiografico ma esclusivamente artistico delle chiese di Roma; sciatto per il periodo anteriore al manierismo ma attendibilissimo per le opere contemporanee all'autore, delle quali però sono taciute quelle che non gli erano congeniali: non è ricordato quasi nessuno dei caravaggeschi, mai il Caravaggio. È anche prezioso il lungo elenco dei dipinti delle facciate delle case.
G. V. Rossi (1645) cita altre opere letterarie del C.: due poemi e varie commedie, tutte inedite e oggi ignote; una Visione poetica in cui si trattava della pittura e ricordata dallo stesso C. e dal Baglione, il quale nota che al C. non fu permesso darla alle stampe perché troppo satirica.
Il C. morì a Roma il 24 nov. 1640, e fu sepolto in S. Maria del Popolo. Esiste, nel secondo pilastro a destra, la lunga epigrafe sormontata dal ritratto, dipinto da Francesco Ragusa.
Fonti e Bibl.: Oltre alla Memoria...del C. nell'edizione di Milano 1967, ad Indicem, vedi G. Baglione, Le vite de' pittori... [1642], Roma 1935, ad Indicem; I. N. Eryihraeus [G. V. Rossi], Pinacotheca imaginum illustrium... virorum qui auctore superstite diem suum obierent, I,Coloniae Agrippinae (ma Amsterdam) 1645, pp. 228-231; Id., Eudemiae, s. l. 1637,libro VII, passim (Uranius); G. B. Mola, Roma l'anno 1663, a cura di K. Noehles, Berlin 1966, ad Indicem; Parma, Gall. Naz., ms. V: E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle Arti parmigiane, p. 68; A. Bertolotti, Autografi di artisti servati nell'Archivio di Stato di Roma, in Giorn. dierudiz. artistica, IV (1875), p. 187; Ch. Le Blanc, Manuel de l'amateur d'estampes, II,Paris 1856, p. 76 (6); IV, ibid. 1890, p. 34 (64); O.Pollak, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII., II, Wien 1931, ad Indicem; F. Zeri, G. Valeriano, in Paragone, VI (1955), 61, pp. 35-46; G. Panofsky-Soergel, Zur Gesch. des Palazzo Mattei di Giove, in Römisches Jahrbuch..., II(1967-68), pp. 137, 141, 175; M. Pepe, Significato, problemi, attualità della Mem. di G. C., in Accad. e Bibl. d'Italia, XXXV(1967), pp. 317-322(con bibl.); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 267.