CHIFENTI, Gaspare
Nacque a Livorno, in una famiglia di commercianti, da Ferdinando e Francesca Bargellini nel 1758 (come si desume dal resoconto del processo del 1811, in cui il C. si dichiara di anni cinquantatré; il figlio Bartolomeo e i biografi successivi sono invece concordi nell'affermare che morì all'età di "nove lustri"). Sugli anni della fanciullezza e gioventù del C. non si hanno notizie: le prime testimonianze sicure sono del 1795, anno in cui egli, divenuto commerciante come il padre, era già affermato, con corrispondenti a Genova, e sposato per la seconda volta. Questo secondo matrimonio, contratto con una figlia del corso Bartolomeo Arena, ebbe importanti ripercussioni per il C., sia per la fortuna nel campo degli affari sia per i suoi orientamenti politici.
Nel 1795 la simpatia del C. per i Francesi era manifesta e conosciuta in Livorno; egli era indicato tra i "partitanti" della Francia rivoluzionaria. Tra le motivazioni che lo portarono verso questa scelta, oltre a quelle ideali, un posto non trascurabile occupavano gli interessi commerciali. Il C. fu infatti denunciato, in quel periodo, come ricettatore e rivenditore delle prede di navi corsare battenti bandiera francese. Un commercio che egli continuerà finché, seguendo l'evolversi della situazione politica, i rapporti prima clandestini diventeranno aperta collaborazione con i Francesi. Dopo il luglio 1796 il C., insieme con un certo Giacomo Antoni, gestiva una manifattura di abiti, soprattutto divise, per le truppe francesi in Italia. Sembra che una intensa via di scambi fosse stata istituita in quei tempi fra Livorno e Mantova.
G. B. Santoni, un memorialista livornese antifrancese, attribuisce al C. un ruolo di partecipazione attiva nell'occupazione francese di Livorno (fine giugno 1796). Secondo il Santoni il C. facilitò e preparò l'ingresso in città delle truppe del Direttorio e, come commissario, diresse addirittura le incursioni delle truppe regolari su Massa e Carrara. La direzione della manifattura sarebbe stata il compenso dei servizi da lui resi, mentre la costante protezione di Cristoforo Saliceti, commissario del Direttorio presso l'armata d'Italia, consentì al C. una conduzione energica e autoritaria dell'azienda.
Furono evidentemente il legame di parentela del C. con B. Arena e l'amicizia di questo col Saliceti a far nascere nel Santoni queste supposizioni non sufficientemente documentate ma neppure campate in aria. In ogni caso il C. dovette mirare a ricavare dall'amicizia con i Francesi i maggiori vantaggi possibili; in quel periodo la sua situazione economica si consolidò notevolmente. Testimonia l'accrescimento del suo patrimonio il suo trasferimento da un'anonima abitazione del centro di Livorno a una villa costruita sulla collina di Montenero, nei pressi della città. Ugualmente allo stesso periodo va fatto risalire l'inizio del cambiamento di status sociale - da commerciante a proprietario -, al quale, come risulta dal rendiconto del processo del 1811, il C. teneva particolarmente: di professione si dichiarò "propriétaire, anciennement négociant".
Niente fa apparire che qualcuna delle sue azioni fosse ispirata da un ideale politico; i documenti che abbiamo riguardano sempre processi e pratiche commerciali; e i tratti caratteristici che ne risultano sono quelli di un abile e astuto commerciante. Egli non soffrì alcuna persecuzione in seguito ai cambiamenti dei governi. Anzi, dopo che i legionari della brigata di campagna avevano saccheggiato la villa del C., come punizione per le passate simpatie francesi, toccò al restaurato governo granducale proteggerne i beni. Grande favore ebbe ancora il C. sotto il governo dei Borbone, in particolare per i legami stretti con la regina d'Etruria, Maria Luigia, dal 1803 reggente per il figlio Carlo Lodovico.
Le testimonianze sono concordi nel far risalire l'inizio della protezione accordata da Maria Luigia al C. a un atto di generosità di questo verso un debitore. Quest'ultimo, condannato dal tribunale a saldare il debito, pena la carcerazione e la confisca dei beni, ricorse ai sovrani, i quali invitarono il C. alla concessione di una proroga e a una diminuzione della somma stabilita dal tribunale come risarcimento. Il C. sciolse completamente il debitore dall'impegno. "L'insolito atto di liberalità gli valse la stima e i favori di Maria Luigia, che in prima gli cedé in ricompensa alcune porzioni di terreno presso il teatro S. Marco, allora in costruzione, e nel 1806 gli offrì per dieci anni l'affitto delle grandi fosse per il custodimento dei grani in Livorno" (Pera, II, p. 111).
Nel dicembre 1807 il Regno d'Etruria venne soppresso e il 24 maggio 1808 annesso all'Impero napoleonico: la deposta Maria Luigia incominciò a spostarsi a Milano, Parigi e Nizza, sotto la discreta sorveglianza del governo imperiale, mirando al recupero dei poteri di sovranità. A tale scopo con l'aiuto dell'ex maggiordomo, Francesco Sassi della Tosa, essa instaurò dei contatti epistolari con le corti d'Austria, d'Inghilterra e di Sicilia, senza che le sue richieste d'aiuto fossero prese in grande considerazione.
In questi tentativi si inserì sfortunatamente il Chifenti. Richiesto d'aiuto da Maria Luigia - la quale intendeva fuggire da Nizza per sottrarsi alla vigilanza francese - in nome dell'antica riconoscenza e della fedeltà di ex suddito, egli, consultatosi con il suocero, accolse l'appello, affittò una nave e si recò a Palermo per perorare la causa dell'ex regina alla corte di Sicilia. Non avendo ottenuto alcun aiuto, il C. ripartì dopo alcuni mesi alla volta di Genova, e quindi di Torino, per organizzare lui stesso la fuga dell'ex regina da Nizza.
I pochi documenti riguardanti l'"affare" non aiutano a chiarire molto: il C. appare infatuato dalla convinzione di dover compiere un'alta missione; Maria Luigia risulta più concretamente preoccupata di avere a disposizione una nave atta a trasportare i numerosi bagagli e qualche "famiglio", ma incerta sulla destinazione da prendere: ora la Spagna, ora l'Inghilterra, ora Palermo, ora il Brasile. Intanto il Sassi, in viaggio verso Londra, venne fermato alla frontiera belga e arrestato. Intercettata la corrispondenza, i maneggi del C. e di altri furono scoperti dai servizi segreti dell'imperatore, che seguivano da tempo le mosse di Maria Luigia. Napoleone, per evitare di fornire agli Stati rivali qualsiasi appiglio per creare un "caso", in una situazione internazionale tesa, puntò ad una soluzione rapida e discreta.
Nel giugno 1811 fa arrestato il Sassi, a fine giugno il C. e gli altri implicati. Creata un'apposita commissione militare giudicante, il processo si svolse a Parigi il 24 e 25 luglio; solo il Sassi e il C. furono riconosciuti colpevoli e condannati alla fucilazione. L'imperatore accordò la grazia al Sassi, mentre il C. venne fucilato nella piana di Grenelle la mattina del 26 luglio 1811.
Il processo non ebbe al momento molta risonanza; i documenti sono scarsi, lo stesso resoconto redatto dal presidente della commissione giudicante è ridotto all'essenziale; la rapidità dello svolgimento e dell'esecuzione soffocò ogni eco. Nella condanna e nel rifiuto della grazia ebbe anche una parte notevole l'odio di Napoleone verso la famiglia Arena. Nel C. l'imperatore volle colpire chiaramente il suocero: infatti nella lettera di grazia di Napoleone al Sassi, egli viene definito "misérable espion", quando niente giustificava una differenza di responsabilità tra i due condannati e quando tutto l'affare di per sé non aveva il carattere di complotto.
Dopo il 1815 la morte del C. fu assunta dalla parte monarchica come contributo alla causa della restaurazione e la famiglia Chifenti fu ascritta alla nobiltà. La vicenda ebbe un altro momento di notorietà dopo la metà del secolo, quando uno dei figli del C., Bartolomeo, raccolse e pubblicò alcuni appunti e alcune lettere del padre. In questa occasione Niccolò Tommaseo parlò della morte del C. come di un "omicidio politico".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Livorno, Governatore e Auditore, atti econ., filze 3274-3281; Archivio di Stato di Firenze, Segreteria di Stato, anno 1801, prot. 1, n. 1; Ibid., Segreteria di Gabinetto, 209, n. 6: Affari intorno anno 1856 in nome di Bartolomeo Chifenti; Parigi, Arch. nationales, [Ministère des Affaires Intérieures], F7, 12176, F7, 12292; [Ministère de Justice], BB21 160 (dossier con resoconto del processo e copia di lettere di Napoleone); Livorno, Bibl. Labronica, sala Livorno: G. B. Santoni, Memorie patrie (ms.), I, pp. 19, 59, 146; III, pp. 433-461; Memorie sulla tentata evas. della regina d'Etruria dal territorio francese nell'anno 1809,scritte da G. C., ritrovate e pubbl. dal figlio Bartolomeo, Lucca 1854 (2 ediz., Firenze 1869 con raggiunta: Di un omicidio politico,scritto di N. Tommaseo sopra la narrazione del cav. B. Chifenti pubbl. a comm. la morte del padre; 3 ediz., Firenze 1890); A. Thibaudeau, Histoire de la France et de Napoléon Bonaparte, VII, Paris 1835, p. 605; F. Pera, Biografie livornesi, II, Appendice, Livorno 1889, pp. 109-115; C. Mangio, Politica toscana e rivoluzione. Momenti di storia livornose 1790-1801, Pisa 1974, ad Indicem; V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare, Appendice, I, p. 597.