DUCCI (Docci, Dozzi, Douchy, Douche), Gaspare
Nacque a Pescia (prov. Pistoia) il 18 nov. 1495 da Lorenzo di Gaspare.
Contrariamente a quanto generalmente ritenuto, sia da Ehrenberg sia da altri autori, non era nativo di Pistoia, ove pure esistevano farniglie con lo stesso nome. La sua famiglia era originaria di Crespole, piccola Comunità della montagna pistoiese, ed ottenne la cittadinanza di Pescia con Antonio il 9 febbr. 1452. Da allora vari membri della famiglia furono ammessi a occupare cariche cittadine. Così lo stesso padre del D., LorenzoS Gaspare, fu estratto nei Collegi il 20 giugno 1491, nei Priori il 20 ott. 1502 e ancora nei Collegi nel 1509, mentre lo zio paterno Francesco fu protonotario apostolico e decano nella cattedrale di Pescia. Lorenzo ebbe quattro figli: il D., di cui si conserva l'atto di battesimo nell'archivio della cattedrale, Antonio, Ludovico e Caterina. Da correggere quindi l'origine pistoiese, attribuita da Ehrenberg e ripresa dal Goris, come pure il secondo nome Lorenzo, semplice patronimico "di Lorenzo".
Il D., dopo aver frequentato i primi corsi di grammatica e abaco a Pescia, iniziò giovanissimo ad occuparsi di commercio, lavorando presso alcune compagnie mercantili lucchesi, in particolare presso quella di Niccolò Nobili e, a circa vent'anni, si trasferì presso la filiale di Anversa di tale compagnia. Incerte sono tuttora le notizie relative alle sue prime attività in tale città: benché spesso definito nelle fonti del tempo come "mercator florentinus" il D. si legò inizialmente ad alcune fra le principali compagnie mercantili lucchesi; oltre a quella di N. Nobili, operante già dai primi del secolo ad Anversa, fu agente, già dal 1517, di lacopo Arnolfini e di Bartolorneo Condecini, quindi di alcune compagnie tedesche, mentre è certo che il suo nome non compare mai nei registri delle varie società mercantili, "accomandite", formatesi a Firenze nella prima metà del sec. XVI.
La prima fonte a stampa relativa al D. è del 1526. In tale anno, il 26 novembre, egli accettò per sé e la compagnia Welser di Augusta lettere di cambio su Anversa, e il riferimento nell'atto notarile è assai indicativo della sua personalità, soprattutto alla luce delle sue future attività e delle tante polemiche che le accompagnarono: "comparuit coram me notario referente et testibus infrascriptis circumspectus vir Gaspar Douche mercator fiorentinus ..." (Strieder, p. 54). In quegli anni l'attività del D. ad Anversa (come di molti altri italiani all'estero) copriva diversi settori: dal commercio agli investimenti immobiliari, anche perché, non avendo una compagnia sua propria, agiva come intermediario e agente di altre compagnie, in particolare nel settore commerciale, acquistando e rivendendo lane inglesi, spezie portoghesi, metalli preziosi.
Solo nel 1532 egli cominciò ad occuparsi di finanza legandosi ad Alexius Grimel, agente dei Welser ad Anversa, poi con lo stesso Bartolomeo Welser e suo genero Hieronimus Seiler. Probabilmente proprio perché homo novus, nel tentativo di crearsi rapidamente una solida posizione finanziaria il D. iniziò una lunga serie di operazioni nel settore creditizio, a volte con vere e proprie speculazioni sui cambi, a volte sui fluttuanti rapporti fra oro e argento, a volte ancora sugli spostamenti del numerario d'argento da questa a quella piazza, per i sempre crescenti bisogni della corte imperiale; questo causò, in alcuni anni, un vero e proprio panico in città o nella stessa borsa, essendo ancora la maggior parte degli operatori commerciali del tempo legati ad una mentalità ancorata ad un sistema di valori più rigido, che privilegiava in particolare quello certamente più stabile delle merci. Così nel 1540 egli riuscì a provocare una fittizia mancanza di numerario d'argento nella città, causando, sembra, la rovina del principale agente del re del Portogallo. Per tale motivo i magistrati della città gli interdirono l'ingresso alla borsa per tre anni, interdizione formale forse, che il D. riuscì a vanificare sia tramite il ricorso ad altri agenti per le sue nuove speculazioni, sia grazie alle nuove relazioni che andava stringendo con la corte di Bruxelles e la stessa reggente, Maria d'Ungheria. Nel 1542 fu nominato ricevitore generale per i salvacondotti che il governo rilasciava, in via straordinaria, per il commercio con la Francia. L'anno seguente ottenne per tre anni l'appalto generale dell'imposta sulle mercanzie esportate verso il Mezzogiorno e, in società con S. Neidhart e A. Grimel, grazie al versamento di 100.000 fiorini, riuscì a prendere l'importante appalto dell'importazione dell'allume.
Erano questi del resto anni assai favorevoli per tali iniziative: proprio per rompere il fin troppo stretto legame con i Fugger lo stesso Carlo V cercava nuovi finanzieri che fossero in grado da un lato di fornirgli credito vero e proprio, dall'altro servizi. Così l'attività di un Adamo Centurione a Genova o quella del D. ad Anversa venivano incoraggiate ufficialmente: "era un pungolo destinato a stimolare l'augustano a fare il massimo sforzo" (Polnitz, p. 231).
La nascente rivalità fra il D. e il grande Anton Fugger divenne palese nel 1542, quando il D. iniziò in grande stile a finanziare l'imperatore, conquistandone il favore. Egli fu in grado infatti di fornire alla corte e al governo dei Paesi Bassi in breve tempo un milione di fiorini, al tasso assai vantaggioso del 12% l'anno, grazie al ricorso in larga misura a vere e proprie lettere di credito della tesoreria generale, in pratica obbligazioni di Stato al portatore e quindi facilmente cedibili a loro volta. Così negli anni seguenti riuscì a soppiantare lo stesso Lazzaro Tucher, fino a quel momento principale agente finanziario della corte ad Anversa, negoziando i prestiti garantiti dalla Tesoreria generale fra il 1542 e il 1549, ad un tasso decrescente fino al 9%. Negli stessi anni fu anche ricevitore generale delle imposte stabilite sul commercio durante la guerra contro la Francia, di cui alcune da lui stesso ideate, tra l'ostilità della classe mercantile e imprenditoriale della città. Il 16 dic. 1547, in riconoscimento dei preziosi servizi prestati alla Corte, fu nominato, con diploma imperiale da Augusta, consigliere di Stato, nobile del Sacro Romano Impero, cavaliere aureato, signore di Crujbech, luogo da lui acquistato qualche anno prima.
Non erano mancate del resto altre manifestazioni del favore imperiale o della corte di Bruxelles. Nel 1545 il D. aveva acquistato da Guglielmo d'Orange la bella proprietà di Hoboken, che divenne in breve tempo luogo di passaggio e di soggiorno dei grandi personaggi del tempo: dalla stessa reggente Maria d'Ungheria a Philippe de Croy, dal duca d'Arschot a Massimiliano d'Egmont o al conte von Buren. Nello stesso anno inoltre un grave scandalo in cui fu coinvolto il D. fu risolto proprio con l'intervento dello stesso Carlo V. Entrato in lite infatti con fl nipote della moglie, il famoso imprenditore Gillebert van Schoonbeke, il D. lo fece assalire da alcuni bravi che facevano parte della sua piccola ma assai temuta corte, suscitando lo sdegno popolare e provocando un celebre processo, intentatogli dal nipote davanti al tribunale criminale d'Anversa, di fronte al quale egli rifiutò tuttavia di comparire. La causa però fu avocata, per ordine di Carlo V, il 21 marzo 1545, e rinviata al Consiglio di Brabante, dove fu successivamente annullata.
Per questo e per altri motivi che avevano visto spesso il D. agire sia contro mercanti e banchieri cittadini sia contro quelli di altre città, tra i quali gli stessi Fugger o varie compagnie fiorentine, come quelle di R. Strozzi o G. B. Guicciardini, creando, in quest'ultimi casi, non pochi imbarazzi alla nazione fiorentina, costretta a dividersi fra i diversi contendenti e a ricorrere alla mediazione dello stesso Cosimo I (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del princ., filze 391, 392, 4254), il D. ebbe numerosi avversari, soprattutto ad Anversa. Ed in effetti, anche per la rapjdità della sua ascesa sociale e la novità stessa di molte sue operazioni finanziarie, il giudizio storiografico sul personaggio diverge nettamente.
Per alcuni. storici tradizionali, in particolare Ehrenberg, seguito da Goris, Carande e Bindoff, il D. fu quasi un avventuriero spregiudicato guidato solo da interessi personali, pericoloso perturbatore della borsa di Anversa, pronto a seguire diversi sovrani, fra cui lo stesso re di Francia, quasi che gli altri grandi banchieri del tempo non facessero l'identica politica. Secondo Ehrenberg (pp. 195, 212) egli fu ritenuto dagli stessi contemporanei "il creatore di tutti gli abusi che incrinarono la reputazione della Borsa", mentre Carande (p. 293) lo definisce semplicemente "turbio personaje", seguendo del resto Bindoff. Più rivelatore di tutta una mentalità, anche storiografica, il giudizio di Goris (p. 377), secondo cui il D., inaugurando le prime vere speculazioni in borsa, aveva rischiato "de détruire la solidarité entre marchands, le plus sérieux soutien de la communauté marchande". Qui in realtà appare palese in tali studiosi una ormai superata visione del sistema finanziario del tempo, ancora nettamente legata ad una concezione della banca e del credito di tipo commerciale; visione che non riesce a cogliere proprio quella nuova dimensione della finanza internazionale, che, pur muovendo allora i primi passi, proprio facendo perno non più su una borsa commerciale ma su quella dei titoli di credito, trionferà più tardi nei Paesi Bassi e in Inghilterra. E infatti altri studiosi, più attenti a cogliere tali nessi, quali lo stesso R. De Roover o H. van der Wee hanno visto nel D. un ardito finanziere e un abilissimo innovatore. De Roover (Anverscomene, p. 1043) inoltre ha ricordato che la dubbia fama del D. fu abilmente utilizzata dagli agenti inglesi in Gran Bretagna per sostenere che nel continente e ad Anversa in particolare si complottava contro il commercio inglese e il cambio della sterlina. In realtà il vero capolavoro del D. è riconosciuto da tutti gli autori: "l'abile agente imperiale", come lo definisce Van der Wee, lanciò, proprio come quasi negli stessi anni faceva nella vicina Francia il cardinale F. de Tournon, le prime obbligazioni di Stato, "le rentmeesterbrieven, obbligazioni degli Stati di Brabante e degli Stati Generali, che circolavano regolarmente alla Borsa d'Anversa di mano in mano, spesso date in pagamento di debiti arretrati o in cauzione" (Van der Wee, Anvers, p. 1081). Egli quindi fu tra i primi a comprendere che per i grandi prestiti della corte e dello Stato non bisognava più rivolgersi ai grandi banchieri, ma, tramite la borsa e i depositi, direttamente al grande pubblico.
Per tale motivo fu invitato dallo stesso re di Francia a recarsi a Lione per promuovere anche nella grande piazza d'affari francese tali innovazioni, poco gradite ovviamente a tutti i grandi banchieri del tempo, compresi i Fugger, che rischiavano così di perdere i più importanti affari. Anche se non accolse tuttavia l'invito francese il D. continuò a mantenere una intricata rete di affari con la Francia, a volte certo rischiando operazioni al limite del lecito, ma che denotano senza dubbio una visione sostanzialmente internazionale della sua politica. Più volte egli trasferì ingenti somme in argento fra Anversa e Lione, lucrando fortemente sui cambi e sulla mancanza stessa di numerario alla borsa, a volte creata artificialmente. Dapprima con i Welser e Seiler, quindi con i Grimel, Neidhart e altri banchieri tedeschi. E quando in due occasioni tali operazioni furono scoperte egli riuscì sempre a cavarsela con una semplice ammenda, lasciando tuttavia in notevole imbarazzo gli altri soci. Nel 1550, ad esempio, quando pure erano state intercettate alcune sue lettere, egli fu sì arrestato ma quasi subito rilasciato. A suo favore si mosse lo stesso Cosimo I e buona parte della nazione fiorentina nelle Fiandre, come attestano numerose lettere del D. al duca, con le relative risposte. Cosimo interessò il suo ambasciatore alla corte imperiale Bernardo de' Medici, vescovo di Forlì, e il console della nazione fiorentina Niccolò Rondinelli. Il 27 aprile il D. scrisse al duca per ringraziarlo, ricordando che i suoi numerosi avversari avevano mosso accuse ridicole e calunniose, quali quella di aver fatto pagare all'imperatore tassi d'interesse del 20, 30%. Il 20 luglio un avviso da Bruxelles conferma il suo rilascio e l'appoggio avuto dalla regina d'Ungheria. D'altra parte il D. aveva svolto diverse operazioni a favore di Cosimo, sia per investimenti ad Anversa sia per operazioni di credito, tra le quali la più importante fu quella del 1548, quando aveva anticipato al duca, allora in trattative con l'imperatore per l'acquisto di Piombino, 100.000 scudi d'oro (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del princ., ff. 398, cc. 19, 430; 4254, cc. 42, 79).
Ad Anversa inoltre il D. si era dedicato a fortunate speculazioni immobiliari, dimostrandosi anche in tale settore avveduto uomo d'affari. L'acquisto di Hoboken, ad esempio, era avvenuto con un contratto particolare, che prevedeva la facoltà di riscatto entro dieci anni da parte del venditore; facoltà poi rinnovata dal D. stesso e ceduta infine, nel 1560, ad un altro banchiere, Melchiorre Schetz. In tali anni il mercato immobiliare ad Anversa aveva conosciuto un grande sviluppo, permettendo notevoli profitti: le proprietà potevano avere aumenti nel capitale e nella rendita annua anche del 10% l'anno, toccando quasi valori corrispondenti a quelli degli investimenti nel credito. Così il D., grazie anche al suo matrimonio con Elisabetta Stegemans, di ricca famiglia cittadina, già vedova del banchiere Antonio Frescobaldi, aveva acquistato sia numerose case ad Anversa, sia diversi beni nel territorio di Pescia, questi ultimi tramite il fratello Ludovico, proprio con il denaro della moglie. Dopo la morte dell'unico figlio Lorenzo, avvenuta ancora negli anni Cinquanta, il D. si ritirò dagli affari più importanti. Secondo Ehrenberg egli fece fallimento e fu costretto a cedere tutti i suoi beni; in realtà diversi atti notarili conservati a Firenze attestano il contrario. Nel 1560 aveva fatto testamento e, nel documento, dopo aver ricordato il figlio Lorenzo, già suo erede universale, lascia eredi dei suoi beni in Italia Francesco e Antonio Ducci, figli del fratello Ludovico; nonché larghe provvisioni agli zii Bernardo e Duccio Ducci e alla nipote Lucrezia. Mentre un altro contratto del 1571, dopo aver ricordato i beni acquistati in Val di Nievole, ne conferma la proprietà al fratello Ludovico e ai suoi figli. La signoria di Crujbech, dove il D. visse fino alla morte, nel 1577, fu lasciata invece al fratello Antonio. Ancora nel 1585 Ludovico Guicciardini scriveva dalle Fiandre dell'arrivo di Antonio Ducci e del suo soggiorno a Crujbech, dove aveva ricevuto particolari attestazioni di stima da parte dello stesso Alessandro Farnese.
Fonti e Bibl.: Per gli incarichi ricoperti e la lunga attività svolta ad Anversa sono fondamentali le fonti conservate sia ad Anversa sia a Bruxelles, per le quali tuttavia si rimanda alle numerose e dirette citazioni e segnalazioni fatte da Ehrenberg, Goris, Denucé, Soly. Si veda inoltre: Pescia, Biblioteca comunale, Manoscritti, Carte Galeotti, Memorie storiche, ms. 31, n. 3; 1A3, c. 258: Diploma di Carlo V, 1547 dic. 16; Ibid., Archivio della cattedrale, Battesimi, 1494-1554, v. 2; Arch. di Stato di Firenze, Carte Ceramelli Papiani, n. 5545; Notarile moderno, Testamenti forestieri, f. 3, cc. 145 ss.; Contratti forestieri, n. 243 (1570-1574), pergamena singola; Decima granducale, Pescia, f. 7124, anno 1555; Mediceo del principato, f. 4254, Avvisi da Anversa (prestito del duca Cosimo I, 1548); Carteggio universale di Cosimo I (in corso d'inventariazione), ff. 392, cc. 83, 105, 113; 394, C. 15; 394 bis, c. 850; 396, cc. 242, 432; 397, c. 430; 398, c. 197; passim corrispondenza del duca con e sul Ducci. Memorie di Pescia terra cospicua, in P. Puccinelli, Istoria delle eroiche attioni di Ugo il Grande, Milano 1664, pp. 352, 417; I. M. Fioravanti, Mem. stor. della città di Pistoia, Lucca 1763, p. 441; P. Genard, Un procès célèbre au XVIe siècle: Gilbert van Schoonbeke contre Gaspar Dozzi, in Bull. de la Commission royale d'histoire de Belgique, XV (1849), 4, pp. 307 ss.; G. Bernardini, Memorie sparse della città di Pescia, Pescia 1899, p. 157; J. A. Goris, Étude sur les colonies marchandes méridionales (Portugais, Espagnols, Italiens) à Anvers de 1488 à 1567, Louvain 1925, pp. 16, 208, 258 e passim; J. Denucé, Italianse koopmansgeslachten te Antwerpen in de XVIe-XVIIIe eeuwen, Malines-Amsterdarn 1934, pp. 27-42; Bullettino storico pistoiese, XXIX (1937), pp. 36, 122; G. Nucci, Notizia su G. D., in L'Arpa serafica, Boll. francescano illustrato (Pescia), 6 marzo 1937, p. 1; R. De Roover, Gresham on foreign exchange. An essay on early English mercantilism …, Cambridge, Mass., 1949, pp. 159-160, 263-264; Id., Anvers comme marché monétaire au XVIe siècle, in Revue belge de philologie et d'histoire, XXXI (1953), pp. 1003, 1043, 1047; Id., L'évolution de la lettre de change, XIV-XVIIIe siècles, Paris 1953, pp. 60-61, 66; H. Pirenne, Histoire de Belgique, III, Bruxelles 1953, pp. 281-283; R. Ehrenberg, Le siècle des Fugger …, Paris 1955, pp. 149-151 e passim; Aus Antwerpener Notariatsarchiv en Quellen zur deutschen Wirtschaftsgeschichte des 16. Jahrhunderts, a cura di J. Strieder, Wiesbaden 1962, pp. 52-54; H. Van der Wee, The growth of the Antwerp market and the European economy, II, Gravenhage 1963, pp. 355 ss.; Id., Anvers et les innovations de la technique financière aux XVIe et XVIIe siècles, in Annales E.S.C., XXII (1967), pp. 1081-1082; Id., Sistemi monetari, creditizi e bancari, in Storia economica Cambridge, V, Torino 1978, pp. 420, 424, 426; S. T. Bindoff, Splendore commerciale di Anversa, in Storia del mondo moderno, II, La Riforma (1520-1559), Milano 1967, pp. 77-78; R. Carande, Carlos V y sus banqueros, III, Madrid 1967-68, pp. 256, 293-296, 301; G. Von Polnitz, Anton Fugger, I, Tubingen 1971, pp. 230, 236 e passim; H. Soly, Urbanisme en kapitalisme te Antwerpen in de 16de eeuw, in Gemeentekrediet van Belgia, 1977, n. 47, pp. 70, 133, 139, 141, 155, 166.