GUERCIO, Gaspare
Figlio dello scultore Vincenzo, nacque a Palermo nel 1611.
Di Vincenzo si hanno poche notizie: nel 1579 realizzò una finestra per il palazzo comunale di Palermo (Di Marzo, II, p. 599); tra il 1580 e il 1582 eseguì alcuni scalini per la fontana Pretoria (Pedone); nel 1611 scolpì la Madonna libera inferi per l'altare dei Ss. Cosma e Damiano nella chiesa madre di Ciminna. È incerta l'attribuzione della Madonna per la chiesa dell'Immacolata di Palermo, eseguita nel 1635, ritenuta da alcuni di Vincenzo (Garstang; Filizzola, p. 14), da altri del giovane G. (Salvo Barcellona - Pecoraino, p. 248).
Il G. ebbe, come maestri, G. Tedeschi, G.G. Cerasolo e N. Travaglia, con cui era imparentato attraverso la moglie Isabella, da cui ebbe due figli, Luigi e Antonino. Grazie all'intervento di Travaglia, nel 1630, lavorò presso il cantiere di S. Giuseppe dei Teatini, realizzando basi e capitelli delle colonne della chiesa. Nel 1632 Giacomo Besio lo chiamava per "arremediare li testi brutti di capitelli fatti da Cerasolo" per la chiesa dell'Ordine di S. Gaetano (Garstang). Nel 1635 il viceré Ferdinando Afan de Rivera duca di Alcalà gli affidò la sistemazione scenografica della piazza antistante la chiesa di S. Antonino, risolta con un emiciclo alle cui estremità erano poste due statue, il Beato Pietro d'Alcántara e il S. Antonio da Padova, realizzate seguendo modelli gagineschi ancora in uso a Palermo. Il 9 sett. 1639 fu nominato architetto regio aggiunto al Senato in sostituzione di Diego Sánchez. Nel 1643 l'incarico gli fu rinnovato; e il G. lavorò come assistente di P. Novelli e M. Quaranta. Nel 1643 fu insignito della carica di architetto del Senato (Gallo, p. 63) e infine nel 1666, dopo la morte di Quaranta, fu nominato ad vitam ingegnere senatorio (Meli, pp. 357-359).
A partire dal 1640, insieme con Carlo d'Aprile, il G. realizzò la decorazione interna della chiesa di S. Matteo.
Il sodalizio tra i due artisti, che operarono una sintesi fra architettura e scultura, pienamente raggiunta proprio nella facciata del S. Matteo, fu uno dei più proficui e interessanti nel panorama culturale palermitano del XVII secolo.
Nel 1647 il G. lavorò alla decorazione del presbiterio del Ss. Rosario in S. Domenico con la supervisione di Novelli. Nel 1653, nuovamente con d'Aprile, realizzò la decorazione della cappella delle Ss. Vergini in casa professa. Nel 1654, per conto di Benedetta Guiglia, realizzò una Madonna per la chiesa di S. Antonino a Palermo, su modello della Madonna trapanese di Nino Pisano. Nel 1655 eseguì il Sepolcro per l'arcivescovo Martino León nella cattedrale di Palermo, un'arca di marmo con le statue dell'arcivescovo genuflesso al centro, della Carità e della Giustizia ai lati. Nello stesso anno diresse i lavori di restauro di S. Giacomo la Marina, danneggiata dal terremoto del 1654, che interessarono la parte absidale con il rifacimento di tre archi e della copertura e con l'ammodernamento della sacrestia e di parte degli alloggi dei cappellani (Mazzè, 1979, pp. 81-83).
Nello stesso anno eseguì il tondo con la raffigurazione di S. Giorgio che uccide il drago ispirato a un dipinto di Pietro Del Po, per la matrice di Caccamo, della quale al G. viene attribuita la facciata.
Su due ordini, tuscanico e ionico, coronata da una balaustra arricchita da un piccolo fastigio e da vasi in asse con le paraste centrali, essa ricorda soluzioni presenti nella piazza Vigliena a Palermo, nel Monte di pietà a Caccamo o nell'anteporta della chiesa della Pietà di Palermo.
Tra il 1655 e il 1656 realizzò, per conto dell'arcivescovo Martino de León, le statue di S. Rosalia, di S. Ninfa e di S. Oliva nel recinto del duomo di Palermo, poste su piedistalli progettati da lui stesso.
Definite frettolosamente rozze dai suoi contemporanei, le statue rompono, in realtà, gli schemi precostituiti e ormai obsoleti della modellistica gaginesca proponendo un plasticismo ormai pienamente seicentesco.
Nel 1659 eseguì una balaustrata in pietra di Billiemi per la chiesa di S. Maria di Gesù. Nel 1660 lavorò alla facciata del duomo di Alcamo (Salvo Barcellona - Pecoraino, p. 250). Tra il 1661 e il 1663 fece parte del gruppo di scultori che realizzarono, su ordine del Senato cittadino, il monumento a Filippo IV nel vasto piano vicino a palazzo reale.
Benché si possa ancora ritenere aperto il problema dell'attribuzione del progetto (Giuffrè, 1992, p. 36 n. 14), la facciata della chiesa di S. Matteo a Palermo, realizzata a partire dal 1662, viene generalmente riconosciuta opera del G. e di Carlo d'Aprile.
In S. Matteo, posto lungo l'odierno corso Vittorio Emanuele, sul tracciato dell'antico Cassero, verso il mare, si riscontrano alcune caratteristiche tipologiche che diventeranno alcune costanti nell'architettura siciliana del XVII e del XVIII secolo, a partire dall'accentuato verticalismo ottenuto con l'aggiunta di un terzo ordine loggiato. Seguono un minuto calligrafismo decorativo che, sovrapponendosi al rigido telaio di paraste, crea un effetto chiaroscurale, l'uso dell'ordine architettonico non canonico "con una predilezione per il dorico con triglifo e spesso del triglifo a mensola" (Scaduto, p. 79) e l'adozione della finestra centrale circolare nel secondo ordine che, pur conservando reminiscenze della cultura arabo-normanna, rimanda a modelli romani come quelli di S. Spirito in Sassia e di S. Caterina dei Funari. La chiesa di S. Matteo segue il modello stabilito da Masuccio per la chiesa trapanese del Gesù, anche se qui si assiste a una semplificazione delle membrature architettoniche al fine di rendere più leggibile lo slancio verso l'alto dell'intero organismo, reso forse necessario da un sottile gioco prospettico che interagisce con le ristrette misure del Cassero. Sono attribuite con certezza al G. le statue dell'Immacolata, di S. Matteo e di S. Mattia (Di Giovanni).
Nel 1662 il G. pose sulla facciata dell'Assunta di Palermo lo stemma dei Moncada. L'anno successivo risulta essere iscritto nella Compagnia del Ss. Nome di Gesù in S. Orsola (Palazzotto, p. 47). Sempre nel 1663 scolpì la statua di S. Giovanni per la cappella del Crocifisso nel duomo di Palermo mutuata dall'omonima statua di Antonello Gagini per la tribuna della cattedrale palermitana. Nello stesso anno progettò i ponti della Grazia e di S. Erasmo, dei quali diresse la costruzione (Ruggieri Tricoli, p. 220) e che furono realizzati, secondo Gallo (p. 64), rispettivamente, nel 1664 e nel 1666.
Nel 1664 lavorò nella cappella di S. Ninfa del duomo di Palermo, per la statua di S. Giovanni appartenente alla Triade dolorosa. Dal 1664 (negli anni 1665-79, in collaborazione con Giacomo Serpotta) realizzò la cappella Sperlinga, per la chiesa di S. Domenico, in marmi mischi, con un altare inquadrato da colonne tortili la cui trabeazione dal disegno classico è sormontata da volute su cui poggiano due angeli a tutto tondo.
Dallo stesso anno in avanti, collaborò alla realizzazione della cappella Gravina-Platamone in S. Giuseppe dei Teatini (Meli, p. 358).
Nel dicembre del 1667 il G. fu incaricato dal Senato di restaurare la porta Nuova, gravemente danneggiata dallo scoppio della polveriera che si trovava nelle stanze superiori.
Il restauro, scrupolosamente condotto, pur mostrando le capacità professionali del G., non fa apparire le personali qualità progettuali. Ne è un esempio la riproposizione della distribuzione interna degli ambienti secondo l'assetto originario. Sono da attribuirgli, quali opere scultoree, i due telamoni su via Colonna Rotta, bugne, mascheroni, lesene, modanature e fregi, nonché i quattro busti (Pace, Giustizia, Verità e Abbondanza), posti entro medaglioni, della facciata che dà sul corso Vittorio Emanuele. Suo, ancora, il disegno del rivestimento maiolicato della piramide e del cupolino di coronamento della porta, eseguito nel 1669 da Onofrio Cosentino. Il lavoro svolto dal G. fu apprezzato dal Senato palermitano tanto che, in una perizia sulla fabbrica del 1669, ne lodò le capacità artistiche e poté di conseguenza sanzionare la rinascita della porta Nuova. Rimanevano ancora da collocare le imposte delle finestre e le modanature dei finestroni, completati dopo la morte dell'artista.
Nel 1668 il G. si occupò insieme con Baldassarre Perricone della costruzione degli acquedotti e dei fossati del lato meridionale di Palermo per impedire le inondazioni dell'Oreto, costruendo anche un ponte vicino al mare (Gallo, p. 64). Lavorò, insieme con altri, alla sistemazione del cappellone di S. Gaetano nella chiesa di S. Giuseppe dei Teatini. Suo è il ricco altare inquadrato da quattro snelle colonne in marmo rosso che, insieme con la trabeazione conclusa da un timpano spezzato, formano un dispositivo architettonico di grande impatto visivo, a dimostrazione della consumata esperienza del G. preoccupato qui di esprimersi attraverso un "gesto architettonico deciso ed eclatante" (Piazza, p. 68).
Nel 1672, su commissione dell'arcivescovo Giovanni Lozano, scolpì un tumulo per l'arcivescovo Pietro Martínez Rubio collocato lungo il fianco destro della cappella di S. Massimiliano nella cattedrale di Palermo. Tra il 1672 e il 1673 eseguì lavori di restauro al soffitto ligneo della chiesa della Gancia. Nel 1674 realizzò le due fontane parietali poste lateralmente allo stradone di Mezzomonreale, andate distrutte nel 1816. Progettò inoltre, insieme con Andrea Cirrincione, la decorazione degli interni della chiesa della Pietà di Palermo (Garstang).
Il G. morì a Palermo nel 1679 (Gallo, p. 63), mentre lavorava, insieme con Carlo Ruté, a una cappella nella chiesa di S. Teresa fuori Porta Nuova. Venne sepolto nella chiesa di S. Antonino, dove una lapide, davanti alla cappella della Madonna, da lui scolpita, ne ricorda la memoria (Mariani, p. 53).
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