MOLA, Gaspare
– Nacque a Como intorno al 1567 (Bulgari) da Donato, originario di Breglia, e da Isabella, di cui è noto solo il nome (Barelli).
Ricevette i primi rudimenti dell’arte orafa forse in ambito familiare, e nel territorio comasco sono stati individuati i suoi primi lavori (Giussani): l’Urna Volpi, in argento, datata 1586 e siglata «G.M.» (Como, duomo); una croce di lamine d’argento cesellate e niellate, firmata e datata 1592 (Tavernerio, S. Martino).
L’erronea indicazione di Coldrerio come città di origine della famiglia ha goduto di una certa persistenza in bibliografia a causa della provenienza ticinese di diversi artigiani e artisti che con lo stesso cognome operarono a Roma nel Seicento, tra cui Pier Francesco Mola, con i quali non sono però documentate relazioni di parentela.
Non ci sono conferme che la formazione del M. sia continuata a Milano, mentre è attestata la sua presenza tra il 1595 e il 1600 a Firenze alla corte di Ferdinando I de’ Medici, dove in un primo momento, con il fratello Michelangelo (che tenne in seguito bottega di orafo a Como), fu al servizio dell’archibugiere Anton Maria Bianchi e due anni più tardi è menzionato, con il milanese Girolamo Morone, in qualità di «orefice sul corridore». Nel 1597 subentrò a Michele Mazzafirri quale «intagliatore per la Zecha», incarico che mantenne per tre anni e dal quale si dimise, per disaccordi economici, nel 1600 (Fock, 1972). Il 4 dic. 1599 fu immatricolato nell’Accademia del disegno di Firenze (Visonà).
Il primo soggiorno fiorentino del M. si svolse sotto l’egida del Giambologna (Jean Boulogne), su disegno del quale produsse crocifissi d’oro, noti oggi solo da fonti documentarie. Sono invece ancora conservati in situ i due rilievi in bronzo con la Presentazione al Tempio e la Crocifissione (nella porta maggiore e in quella di destra del duomo di Pisa), per i quali, tra il 1599 e il 1603, il M. confezionò i modelli in cera e rinettò la fusione, in seno a una commissione granducale condotta a Firenze sotto la regia dello scultore fiammingo, al cui gruppo marmoreo con Ercole e il centauro è ispirato il rovescio (la cera preparatoria è al British Museum di Londra) della prima medaglia che il M. coniò per il granduca Ferdinando (Pollard, pp. 855-857), firmata e datata 1598.
Nel luglio del 1604 il M. risulta stabilmente impiegato nella Zecca di Milano, dove nell’ottobre del 1605 teneva, da solo, bottega di orafo sotto «il segnio del beatto Carlo» (Le matricole degli orefici …), per quanto ancora collaborasse con Morone e con Michelangelo Spiga, forse parente della moglie Angela Caterina Spiga (o Spica). Impegnato anche in lavori per S. Maria presso S. Celso, già dal 1604 mantenne da Milano frequenti contatti con le corti e le Zecche sia di Vincenzo I Gonzaga, per cui confezionò una medaglia con al rovescio S. Giorgio (Rossi, pp. 427 s.), sia di Carlo Emanuele I di Savoia, per il quale nel 1606 realizzò una medaglia ovale con al verso un Sagittario (The Salton collection …, n. 43) e dal quale nell’aprile del 1608 pretese il pagamento per la vendita di alcuni quadri cinquecenteschi e proprie oreficerie, personalmente portati dal M. a Torino (Angelucci).
Ormai artista accreditato nell’intaglio di conii e punzoni, il M. fece ritorno nel maggio del 1609 a Firenze, dove, durante l’intero regno di Cosimo II de’ Medici, si occupò della produzione medaglistica e monetale del Granducato.
«1610» era la data incisa sul conio con il ritratto di Cosimo II che, approntato dal M., venne da lui impiegato per medaglie recanti rovesci molteplici; un altro, ovale, dello stesso periodo, fu creato per accompagnare un verso dedicato alla scoperta galileiana dei quattro satelliti di Giove; oltre al granduca (ritratto anche in una terza matrice del 1618), il M. effigiò in medaglie la moglie Maria Maddalena d’Austria (in alcuni esemplari accompagnandola con il marito, in altri con l’immagine di un pavone) e nel 1622 il figlio Ferdinando II, ormai subentrato a Cosimo (Firenze, Museo nazionale del Bargello).
Durante il secondo soggiorno fiorentino il prestigio del M. all’interno della corte appare consolidato, anche grazie alla gestione di una florida bottega nella galleria granducale, dove si formò Stefano Della Bella, e alle collaborazioni con Jacopo Ligozzi e Pietro Tacca, che gli fornì il modello per un ritratto di Luigi XIII a cavallo, fuso in oro dal M. e montato su una base di diaspro: iniziato nel 1611 e terminato nel 1623, dopo diverse traversie, se ne persero le tracce (Brook).
Orafo di straordinarie qualità, come ricordava nel 1611 Philipp Hainhofer, il M. a Firenze non si limitò a confezionare medaglie, ma produsse anche armi e oggetti di particolare pregio, tra i quali una rotella in acciaio brunito, con inserti figurati in argento dorato, e una borgognotta rifinita con un drago alato sulla cima (Firenze, Museo nazionale del Bargello), da lui realizzate per Cosimo II ed elogiate nel 1642 da Antonio Petrini; dovrebbe risalire al 1620 anche la spada (completa di pugnale e relativi fornimenti) decorata con smalti traslucidi, cloisonnés e pittorici, che il M. ricordò nel testamento del 1631 e rimase invenduta alla sua morte (Parigi, Musée de l’Armée). Di incerta datazione, ma più volte riferito al secondo soggiorno fiorentino, è anche il cosiddetto Piatto Boncompagni (già Venezia, collezione privata): firmato, in argento parzialmente dorato e cesellato, con fondi di diaspro sanguigno e il ritratto in niello di Gregorio XIII al centro, fu confezionato dal M. su invenzione di Raphael e Jan Sadeler.
Nel marzo del 1613 il M. ottenne dal granduca l’autorizzazione per recarsi qualche mese a Milano e quindi a Mantova al servizio di Ferdinando Gonzaga, per il quale coniò una medaglia ovale con al rovescio un Sole raggiante (Berlino, Staatliche Museen, Münzkabinett) e confezionò un Cristo d’oro a tutto tondo su una croce di diaspro (Venturelli, 2002). A testimoniare la sua intensa produzione monetale tanto per il nuovo duca quanto, in precedenza, per il fratello Francesco IV, rimane la sigla «G.M.» o la firma «GASP. MOLO» in diversi esemplari battuti nella Zecca di Mantova e (per altri rami della famiglia) nelle Zecche di Guastalla, Bozzolo e Castiglione delle Stiviere tra il 1612 e il 1614 (Ravegnani Morosini).
Ancora nel settembre del 1624 il M. scriveva ai Gonzaga da Firenze, città che lasciò definitivamente pochi mesi più tardi, accettando l’incarico di «maestro de’ ferri» nella Zecca di Roma, come conferma il chirografo di Urbano VIII dell’8 genn. 1625 (Simonato, p. 22 n. 21).
Prima del suo trasferimento a Roma il M. era noto presso la corte papale per la sua produzione devozionale: una medaglia con l’effigie di S. Carlo Borromeo, realizzata nel 1610 (Firenze, Museo nazionale del Bargello), aveva suscitato l’ammirazione di Paolo V. Inoltre, nel 1622, il M. firmò e datò i conii di una medaglietta ovale raffigurante al rovescio la Madonna della Vita di Bologna e al diritto Gregorio XV (Parigi, Bibliothèque nationale, Cabinet des médailles), papa che effigiò anche in una placchetta di lapislazzuli insieme con i cinque santi canonizzati in quell’anno (Zagabria, Museo della cattedrale). Tra le principali invenzioni devozionali del M. sono da annoverarsi alcune medagliette anepigrafe, ovali, munite di appiccagnolo, di moduli differenti, raffiguranti al rovescio la Vergine velata e al diritto Cristo (Londra, British Museum), secondo un ritratto che egli propose anche in esemplari giubilari d’argento coniati nel 1625 (Firenze, Museo nazionale del Bargello), e che godette di una straordinaria fortuna nella successiva produzione degli Hamerani.
Il M. rimase al servizio di Urbano VIII quasi ininterrottamente fino alla morte, mantenendo l’indiscusso monopolio sulla produzione medaglistica e monetale del Papato, grazie anche, in un primo momento, a una privativa accordatagli da Gregorio XV, che tutelò per un decennio, a partire dal 1622, le sue creazioni da plagi e vendite illegittime in tutto lo Stato pontificio.
Solo per l’arco di un anno la sua attività al servizio del papa Barberini si interruppe, e dal gennaio del 1632 l’incarico di «maestro de’ ferri» fu affidato ad Alessandro Astesano. Causato probabilmente da incomprensioni di carattere economico, l’allontanamento avvenne dopo che il M., nell’autunno del 1631, aveva già preso accordi con il duca Vittorio Amedeo I di Savoia per entrare al suo servizio a Torino: spostamento che forse non ebbe mai luogo, visto che nel marzo del 1633 il M. risulta di nuovo integrato nel suo precedente incarico romano e in una posizione di rafforzata autorità.
Nel giugno del 1635 ottenne da Urbano VIII la proroga per altri sei anni della privativa gregoriana e dal 1636 iniziò a richiedere retribuzioni sempre maggiori (tanto per le medaglie quanto per le monete prodotte), fino a pretendere nel 1639 addirittura un indennizzo per il mancato guadagno dell’anno in cui era stato allontanato dal suo incarico (Simonato, pp. 35-39).
Anche sotto Urbano VIII, a partire dal 1633, il M. firmò e siglò piastre, testoni e quattrini.
Che attribuisse un alto statuto artistico alla produzione numismatica è dimostrato da un gruppo di cere da lui plasmate su ardesia, conservate al British Museum di Londra, quattro delle quali sono riferibili a rovesci di monete note: la piastra d’oro di Cosimo II, con il S. Giovanni Battista (1610), il tallero di Francesco IV, con S. Andrea e s. Longino (1612), e due urbaniane, ovvero la piastra d’argento e la quadrupla d’oro coniate tra il 1633 e il 1634 con la raffigurazione di S. Michele, che presentano leggere varianti rispetto ai modelli, sufficienti a esibire la duttilità del M. nell’accogliere in corso d’opera spunti iconografici tanto contemporanei (Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino), quanto cinquecenteschi (Raffaello; Simonato, p. 28).
Accademico di S. Luca, perfettamente integrato nella politica culturale e artistica del pontificato barberiniano, il M. incise, in qualità di «maestro de’ ferri», anche «tenaglie» per agnusdei, spesso iterando soggetti che aveva già presentato in medaglia. In possesso di una ricca bottega ai Banchi, davanti alla chiesa dei Ss. Celso e Giuliano, munita di due torchi e attrezzata perciò per la coniazione, il M., oltre a far fronte alle richieste di committenti privati (Paolo Giordano II Orsini e Scipione Borghese), per il papa e i suoi familiari stimò punzoni per l’editoria, restaurò e realizzò ex novo cammei, rifinì medaglie in smalto, aggiunse appiccagnoli e confezionò piccoli oggetti di oreficeria, oggi noti solo da fonti documentarie: tra questi nel 1630 una corona di lapislazzuli ornata d’oro e un quadretto in pietre dure, con all’interno di due ovali un’Annunciazione su rame di Ligozzi (ibid., p. 62 n. 61).
A differenza di quanto era accaduto a Firenze, però, durante il soggiorno romano la coniazione (e la vendita) di medaglie rimase, accanto alla produzione monetale, la sua principale attività. Il M. incise i conii di tutte le medaglie annuali del pontificato, dal 1625 fino al 1639 (tranne quella del 1632), le medaglie per la cerimonia della lavanda e per il giubileo, oltre a un discreto numero di medaglie «straordinarie», sia destinate a riti di fondazione patrocinati dal papa e dai suoi familiari, sia recanti al diritto il ritratto di Urbano VIII e al rovescio soggetti devozionali: tale attività lo portò a collaborare, tra gli altri, con G.L. Bernini, F. Borromini e Pietro da Cortona (Pietro Berrettini), rispetto alle invenzioni dei quali, se forse non si dimostrò sempre in grado di comprenderne le novità stilistiche, accennò però a soluzioni tanto di apertura prospettica, quanto di ricchezza di modellato e di qualificazione metallica (come nella medaglia annuale con Castel Gandolfo del 1637), che furono fondanti per la successiva medaglistica pontificia (Simonato).
Nei tardi anni Trenta del Seicento Alessandro Algardi modellò in terracotta un busto del M. (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage), destinato forse alla tomba dell’artista e conservato tra i suoi beni al momento della morte (Montagu, 1985), occorsa a Roma il 26 genn. 1640 (Milanesi).
Il M. lasciò due figli: Anna (avuta dalla moglie Angela Caterina e sposata con il comasco Bernardo Galli) e Giovan Battista, figlio naturale, legittimato prima di morire. Molto combattuta fu la spartizione della sua eredità, in parte accordata dal M. anche all’Arciconfraternita di S. Carlo al Corso e alla chiesa di S. Maria in Traspontina, dove prescrisse l’erezione di una cappella dedicata a S. Carlo, nella quale essere sepolto. Oltre a una ricca collezione di quadri e diversi immobili (anche a Milano e a Como), il M. lasciò una bottega romana fornita di tutti gli strumenti che erano serviti per coniare le medaglie di Urbano VIII e di diversi acciai che aveva acquistato da altri medaglisti. Solo un anno dopo la morte questo materiale passò al nipote Gaspare Morone Mola, chiamato dallo zio a Roma nel 1636 e suo successore in Zecca. Parte dei conii barberiniani originali del M. sono ancora conservati presso il Museo della Zecca di Roma (Simonato).
Fonti e Bibl.: I più importanti nuclei documentari per ricostruire l’attività del M. sono conservati a Firenze, Arch. di Stato, Guardaroba medicea (Fock, 1972; Visonà; Barocchi - Gaeta Bertelà); Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga (Piccinelli); Archivio di Stato di Roma, Camerale II, Zecca; Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Archivio Barberini (Bertolotti 1877; 1881; Simonato). C. Du Molinet, Historia summorum pontificum …, Lutetiae 1679, Praefatio, pp. n.n.; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di F. Ranalli, IV, Firenze 1846, pp. 228, 603; F. Buonanni, Numismata pontificum Romanorum …, Romæ 1699, p. VI; S. Scilla, Breve notizia delle monete pontificie antiche e moderne …, Roma 1715, pp. 317, 385; R. Venuti, Numismata Romanorum Pontificum, Romæ 1744, pp. XXVI s.; G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura …, I, Milano 1822, p. 357; H. 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