TORELLI, Gaspare (Gasparo, Guasparre, Guasparri). – Nacque a Borgo Sansepolcro, dove fu battezzato il 7 giugno 1572. Il padre, Francesco di Franciotto, era conduttore della gabella della carne nel 1585, mentre uno zio paterno, suo omonimo, era professore di diritto a Pisa e letterato: aveva pubblicato un libro di Rime (Lucca, Busdraghi, 1561) e un sonetto encomiastico nella prima edizione del Fronimo di Vincenzo Galilei (Venezia, Scotto, 1568)
Il giovane Torelli, ricevuta la tonsura e altri ordini minori a Sansepolcro nel 1589, proseguì la carriera ecclesiastica (Arigoni, 1602a, lo menziona con l’appellativo di «reverendo monsignore») e si stabilì a Padova, dove fu attivo come musicista e uomo di lettere, pur mantenendo contatti con la città d’origine, citata nei frontespizi di tutte le sue opere. Nel 1594 impartì lezioni di musica a uno studente tedesco, Philipp Hainhofer, figlio sedicenne di un mercante augustano, iscritto di fresco all’università di Padova (Lüdtke, 2001).
La produzione musicale di Torelli, tutta di genere profano, ebbe inizio con due libri di canzonette, editi a Venezia nel 1593 e nel 1594, rispettivamente da Giacomo Vincenti e da Ricciardo Amadino, ma «ad instantia» (e quindi con il sostegno economico) di Pietro Paolo Tozzi, editore e libraio operante a Padova (floruit 1593-1628), che ne firmò le dediche. Il libro del 1593 contiene ventuno canzonette a tre voci di soggetto amoroso, di poeti ignoti; le ultime quattro formano una «mattinata», alla stregua di una ‘corona’ madrigalesca. Il libro del 1594 contiene quindici canzonette a tre voci e cinque a quattro. L’ultimo brano, il madrigaletto Nei vostri dolci baci di Torquato Tasso, ebbe vasta fortuna tra i compositori dal 1584 al 1616 (tra gli altri Antonio Dueto, Orazio Scaletta, Alessandro Spontoni, Giovanni de Macque, Giovan Domenico Montella, Sigismondo d’India). La pubblicazione accoglie tre canzonette d’altri autori, Pompeo Signorucci «organista del Borgo S. Sepolcro» e due padovani, Francesco Sole e Luigi Pace.
Il primo libro de madrigali va sotto il titolo Brevi concetti d’amore (Venezia, Vincenti, 1598). Qui Torelli affronta la forma del madrigale a cinque voci (ma l’ultimo è a otto), più artificiosa della canzonetta, e firma in proprio la dedica a Cesare Ottati: costui, dedicatario anche dell’Orinthia ovvero I nemici amanti, commedia del fermano Lodovico Moro (Venezia, Barezzi, 1611), era un avvocato veneziano in vista (cfr. G.B. Bagatta, Vita della serva di Dio madre Angela Maria Pasqualiga, nobile venetiana, Venezia 1680, p. 38). Un altro elemento notevole, che Torelli evidenzia già nel titolo della raccolta, è l’indicazione del «nome de gl’autori delle parole»: egli stesso si attribuisce i versi di nove dei 20 madrigali (il breve ciclo di cinque madrigali Dicea la bella Filli / a l’amante suo fido precorre il dialogo pastorale dei Fidi amanti del 1600). Gli altri poeti selezionati comprovano l’appartenenza al vivace ambiente culturale veneto e padano, ma anche il perdurare dei legami con Sansepolcro: sono il ferrarese Battista Guarini, Cesare Rinaldi bolognese, Marino Marini, veneziano, Marco Stecchini, bassanese, il già citato zio omonimo e il concittadino Giovanni Battista Moroni, che al poeta-musicista dedicò anche un componimento encomiastico, da questi incluso nelle proprie Rime (Vicenza, Grossi, 1613, p. 86). L’ottava Sembra il ciel ne l’aspetto atra fornace, dalla Gerusalemme liberata di Tasso (XIII, 56), venne musicata dallo stesso Luigi Pace che già compariva nel libro di canzonette del 1594. Il testo del madrigale Che fai qui, pastorella, di Torelli, fu ripreso nel 1611 anche da Tommaso Cecchini, compositore veronese attivo in Dalmazia.
Videro la luce nel 1600 I fidi amanti (Venezia, Vincenti), favola pastorale con tre intermedi, versi del milanese Ascanio Ordei, allievo nello Studio di Padova (edd. moderne a cura di L. Torchi, in L’arte musicale in Italia, IV, Milano 1908, pp. 73-147, e di B. Somma - L. Bianchi, Roma 1967). L’opera era dedicata al signor Francesco Rosini; Torelli disse di conoscerlo solo attraverso un ritratto mostratogli dai suoi figli, dei quali era da due anni maestro di musica, e auspicò che fosse generoso e «ben disposto verso tutti i virtuosi». La favola, invero modesta, si ispira all’Aminta di Tasso e al Pastor fido di Guarini. La composizione, a quattro voci, è nello stile dei coevi madrigali dialogici, in cui gli interlocutori si esprimono mediante la condotta polifonica delle parti vocali, che procedono in maniera perlopiù omoritmica, salvo suddividersi talvolta in gruppi distinti, oppure avventurarsi in brevi spunti imitativi. Prodotti madrigaleschi di questo tipo, diffusi in area veneta intorno al 1600, costituivano l’allegoria di una mitica età dell’oro idealmente riconquistabile attraverso una vita semplice e vicina alla natura.
Nel 1601 Torelli fu principe dell’Accademia padovana degli Avveduti con il nome di Confidato (Arigoni, 1602a, 1602b). In un’adunanza della stessa accademia lesse un Capitolo in lode della musica, per dimostrare «buona parte delle grandezze di quella ad alcuni che in certi ragionamenti la biasimavano» (Padova, Marinelli, 1607; in quest’anno ricoprì di nuovo la carica di principe con il nome di Impotente). La destinazione di questo testo a un uditorio di dotti ma non necessariamente di musicisti ne spiega le caratteristiche: non vi si fa alcun cenno alla prassi musicale dell’epoca e all’allora incipiente rivoluzione nell’organizzazione del mondo dei suoni, con le conseguenti polemiche tra vecchio e nuovo (si pensi alla disputa tra Claudio Monteverdi e Giovanni Maria Artusi). L’autore intendeva semplicemente difendere la musica dai detrattori (ossia da coloro che la consideravano un’arte imperfetta), facendo appello all’idea dell’armonia delle sfere di derivazione platonica e al patrimonio filosofico-teorico occidentale, con copiosi riferimenti mitologici.
Le ultime composizioni musicali di Torelli pervenute sono le Amorose faville (Venezia, Amadino, 1608; ed. moderna a cura di C. Calabresi, Città di Castello 2018): il sottotitolo Quarto libro delle canzonette a tre voci, opera settima implica che siano andati dispersi un terzo libro di canzonette e almeno ancora un’altra opera non identificata. La raccolta, dedicata a Mario Gusella, giurista e professore dello Studio padovano, contiene ventidue componimenti senza nomi di poeti (l’attribuzione a Gabriello Chiabrera della prima canzonetta, registrata in E. Vogel et al., Nuovo Vogel, Pomezia 1977, p. 1701, è frutto di una trascrizione erronea). Si individuano nondimeno gli autori di tre canzonette: Di Medea cruda è quella (su una rondine che aveva nidificato in una statua della maga della Colchide) compare con piccole varianti nei Madrigali di Valerio Belli (Venezia, Ciotti, 1599) e nelle Rime di Celio Magno (Venezia, Muschio, 1600; a esse dovette rifarsi Torelli), ed è un’imitazione dal greco antico; la canzonetta Morrò per voi, mio sole è di Agostino Nardi, nobile fanese fattosi francescano e aggregato all’Accademia filarmonica di Verona, edita nei suoi Madrigali (Vicenza, Greco, 1598); Donna, tu sei più bella d’ogni stella è dello stesso Torelli, che la ripubblicò nelle Rime del 1613, apportando una variante al primo verso: «Sete, Filli, più bella / d’ogni stella».
Il titolo della raccolta allude alle faville prodotte dal fuoco dell’amore e trova piena corrispondenza con il contenuto, come risulta dagli esempi seguenti: nel primo brano il volto della donna (che si può identificare con lo stesso Cupido) fa «arder d’amore», i suoi sguardi sono ardenti e accendono fiammelle; a sua volta «la bella Clori al suo pastore / scopria la fiamma che sentia nel core»; in Divina alta beltade il poeta arde e avvampa alla vista della donna amata; in Donna, tu sei più bella d’ogni stella / e più ardente il poeta si consuma all’«ardore di tal foco»; e l’ultimo brano chiude lepidamente la silloge chiamando in causa direttamente Amore, bistrattato e ammonito nei due componimenti precedenti in dialetto veneto (Cha sì che se te branco e An misier Coculin). Nel dialogo immaginario tra il poeta e il fanciullo birichino tornano le parole ardore, fiamma, fuoco, ma le tre voci maschili passano al registro di soprano e di contralto quando mimano la risposta di Amore, con effetto comico. Alla fiamma delle passioni fa riscontro lo splendore delle stelle che in Da voi, mia chiara e bella / lucidissima stella è reso dall’utilizzo di voci chiare, la prima delle quali si muove nell’ambito più acuto di tutto il libro, dal sol centrale al sol acuto. L’ambientazione è perlopiù pastorale, con i nomi di Filli, Clori e Damone che (soli o a coppie) ricorrono più e più volte. Chiare cristalline onde, / e voi, fiorite sponde mette in scena il Tebro con le fonti e i monti che lo circondano: una nostalgica allusione a Sansepolcro?
Le strofe delle canzonette, da due a quattro, hanno una struttura musicale articolata in due parti, di cui la prima più breve e ritornellata. Lo stile delle parti è contrastante: se la prima è imitativa, la seconda è in prevalenza omoritmica o viceversa; e lo stesso dicasi per l’agogica. Quattro canzonette in una sola strofa hanno un’unica ampia sezione. Alcune figure melodiche impreziosiscono con vocalizzi parole quali amore, struggi, fuggi, d’intorno, adorno, onde, foco, unitamente alle fiamme che nell’ultimo brano scendono parodisticamente verso il basso.
Di Torelli negli anni successivi si hanno soltanto testimonianze letterarie. L’ottima conoscenza del latino gli permise di scrivere nella lingua dei dotti un ‘manuale’ per apprendere l’italiano rapidamente e con facilità (Observationes Italicae linguae brevissimae atque facilimae, ad usum eorum qui cupiunt hanc acquirere linguam et praecipue cum non sint Itali, Padova, Zara, 1612). L’ultima opera data alle stampe furono le Rime del 1613, nelle quali è ristampato anche il Capitolo in lode della Musica. Il volume contiene poesie di soggetto amoroso, pastorale e mitologico, simili a quelle utilizzate per le canzonette e i madrigali, ma anche componimenti di carattere encomiastico per occasioni e personaggi, unitamente a risposte d’altri autori e a una sezione che raccoglie poesie in sua lode.
Con il 1613, di Gaspare Torelli si perdono le tracce.
Fonti e Bibl.: G.B. Arigoni, Discorso intorno all’impresa dell’Accademia degli Aveduti di Padova, 1602a, pp. [16]-[18]; Id., Rime de diversi nobilissimi et eccellentissimi ingegni, Padova 1602b; A. Solerti, Precedenti del melodramma, in Rivista musicale italiana, X (1903), pp. 466-484; A. Luppi, Metafora e mito dell’armonia nel Capitolo in lode della musica di G. T. (Padova 1607), in Musica, scienza e idee nella Serenissima durante il Seicento, a cura di F. Passadore - F. Rossi, Venezia 1996, pp. 119-137; L. Bianconi, T., Guasparri, in Grove music online, 2001, https://doi.org/10.1093/ gmo/9781561592630.article.28158 (17 novembre 2019); J. Lüdtke, «14. iuni. principium posui artis musicae». Die musikalische Ausbildung des Kaufmannssohns Philipp Hainhofer, in Musikalischer Alltag im 15. und 16. Jahrhundert, a cura di N. Schwindt, Kassel 2001, pp. 159-180 (in partic. pp. 162 s.); S. Mautz, «Al decoro dell’opera ed al gusto dell’auditore». Intermedien im italienischen Theater der ersten Hälfte des 17. Jarhunderts, Berlin 2003, pp. 82 s., 229; S. Ehrmann-Herfort, T., G., in MGG Online, 2016, https://www.mgg-online. com/mgg/stable/23466 (17 novembre 2019); C. Calabresi, Introduzione a G. Torelli, Amorose faville, cit., 2018, pp. 15-40; B. Brumana, Sansepolcro: un crocevia della musica tra Cinque e Seicento, ibid., pp. 11-14.