VIMERCATI, Gaspare
VIMERCATI (da Vimercate), Gaspare. – Nacque intorno al 1410, probabilmente a Milano, da Taddiolo – dall’antica e cospicua famiglia dei Capitani di Vimercate (v. Vimercati, Pinamonte in questo Dizionario) – e da Caterina Arese.
Consigliere di guerra e abile politico, fu uno dei più influenti personaggi dell’entourage di Francesco Sforza e poi di suo figlio Galeazzo Maria.
Il padre, noto anche come Taddeo, – figlio di Giovanni, il quale era stato referendario di Bernabò Visconti – fu giurista e funzionario ducale. Più volte procuratore di Filippo Maria Visconti, Taddiolo il 5 maggio 1419 fu ad esempio incaricato di imporre a Niccolò III d’Este la consegna di Parma e Reggio, e in caso di opposizione di proporre l’affidamento dell’arbitrato a papa Martino V (Cengarle, 2007, p. 306). Ma anche altri Vimercati della generazione di Gaspare si inserirono pienamente negli affari di Stato, occupando posizioni di primo piano, a partire dai fratelli. Particolarmente rilevante fu la figura di Corradino, cugino di Gaspare, che fu consigliere segreto di Filippo Maria Visconti e suo procuratore in centinaia di occasioni, di solito per questioni di ordinaria amministrazione (si veda, a puro titolo di esempio, il giuramento di fedeltà al duca da parte di una comunità, come a Gambara, 1438, o la separazione fra due territori, come nel 1443 tra Pavia e Dorno, che fu infeudata a Bartolomeo Colleoni; Cengarle, 2006, p. 56 s.). Nel 1441 fu segretario, insieme a Giovanni Corvini, di Gaspare Visconti, primo consigliere visconteo (Leverotti, 2011, p. 47).
Anche un esponente della famiglia della madre di Vimercati, Andriolo Arese, aveva occupato a fine Trecento la carica di segretario di Gian Galeazzo.
Vimercati fu avviato alla carriera militare, in un momento in cui i condottieri giocavano un ruolo centrale all’interno della politica viscontea (e italiana in generale), giacché la loro lealtà era vitale per le sorti del dominio. Fin dall’adolescenza prestò dunque servizio al seguito di Francesco Sforza (Covini, 1998, p. 395), al quale rimase a lungo legato, combattendo in numerose campagne militari, tra cui quelle nel Regno di Napoli e nelle Marche (1433-34). La fedeltà dimostrata in queste occasioni gli ottenne l’«illimitata fiducia» (Mor, 1937) dello Sforza.
Quando nel 1447 venne proclamata la Repubblica Ambrosiana, Vimercati (che all’incirca in questi anni, sicuramente prima del 1450, aveva sposato Lantelmina Secco di Caravaggio, imparentandosi così con una delle più potenti famiglie dell’area della Gera d’Adda) fu inviato a combattere contro Venezia; poco dopo, il 2 settembre 1447, fu mandato a Crema – un centro spesso conteso fra il territorio visconteo e quello veneziano – con l’incarico di commissarius, motivato dal fatto che egli, «in ea terra multum temporis moratus, naturam loci ac hominum tenet egregie» (Archivio di Stato di Milano, Registri ducali, I, c. 27r). Governò il borgo con pieni poteri (Albini, 1978, p. 712): i capitanei et defensores della Repubblica Ambrosiana appoggiarono infatti la sua scelta di non convocare il consiglio generale e di scegliere personalmente deputati e sindaci (Archivio di Stato di Milano, Registri ducali, I, c. 47v). Collaborò con il fratello della moglie, Giorgio Secco di Caravaggio, che rivestiva la carica di podestà (c. 36v), insieme al quale favoreggiò i Secco e i loro alleati locali. Due anni più tardi, il 5 febbraio 1449, la Repubblica affidò a Vimercati stesso la carica di podestà, cumulata con quella di commissarius (ibid., c. 48v).
Scacciato da Crema a causa di una rivolta, agli inizi del 1450 Vimercati tornò a Milano, nella residenza di famiglia situata nel quartiere di Porta Nuova. Fu tra i fautori del partito filosforzesco, tanto da poter essere definito responsabile della presa di Milano da parte di Sforza e della fine della Repubblica Ambrosiana: secondo i Commentarii di Giovanni Simonetta e la Cronaca di anonimo Veronese, il 21 febbraio con i suoi clientes residenti nel quartiere si pose alla testa del popolo e organizzò un tumulto contro il governo della Repubblica, favorendo l’entrata in città di Sforza (Covini, 1998, p. 79). Non sorprende dunque che Vimercati compaia tra i sette maggiorenti che attribuirono i simboli del potere a Francesco Sforza dopo che ebbe ricevuto le chiavi della città (Rossetti, 2015, p. 186).
Per ricompensarlo del ruolo chiave giocato nella presa di Milano, il duca lo nominò conte di Valenza (in Piemonte), in una cerimonia assolutamente esclusiva che coinvolse soltanto il suo primogenito Galeazzo Maria Sforza e Vimercati. Da questo momento fu sempre più presente a corte, «occupando un posto onorevole nelle cerimonie ufficiali, frequentando le stanze della famiglia Sforza nelle circostanze più private e intrattenendo relazioni personali con il duca, la duchessa Bianca Maria Visconti, i figlioletti Sforza, gli zii Maino e i cortigiani più ‘domestici’» (Covini, 2016, p. 61). E ovviamente partecipare alla vita di corte significò, per Vimercati, prendere partito e farsi dei nemici: lo si vide nel 1462, quando, in occasione della malattia di Francesco Sforza, tentò inutilmente di far allontanare dalla corte il suo avversario, il primo segretario Cicco Simonetta.
Vimercati ebbe, in particolare, un ruolo centrale nella gestione delle finanze del Ducato, basate oltre che sulla fiscalità pubblica anche su cospicui prestiti da parte di privati: per ottenerli, era essenziale la funzione di mediazione e di garanzia di personaggi fidati, ben introdotti nella nobiltà milanese. Perfetto per questo compito, con le sue parentele e amicizie in città, Vimercati giocò dunque un ruolo indispensabile di collettore e garante di prestiti. Si appoggiò per questo al banco dei Medici, con il quale aveva stretto legami da anni e presso il quale aveva un ingente deposito.
All’interno di questa sua attività come gestore ‘di fatto’ delle finanze sforzesche trovò spazio la fondazione da parte di Vimercati (che era anche affittuario di grandi enti ecclesiastici milanesi, tra cui il monastero maggiore di S. Ambrogio, e piacentini) del convento milanese dell’osservanza domenicana, S. Maria delle Grazie, che sorse sul terreno in precedenza usato da Vimercati per l’alloggiamento dei suoi reparti militari. Oltre al terreno elargì un sostanzioso contributo in denaro e donò i volumi della sua biblioteca personale.
Vimercati rimase nondimeno uno tra i principali comandanti militari al servizio di Sforza, che gli concesse vantaggiose condotte; con trecento cavalli la sua compagnia era nel 1462 una delle maggiori del Ducato. Potendo erogare anche in tempo di pace stipendi cospicui, Vimercati poté selezionare i migliori uomini d’arme e la sua è stata definita una «compagnia modello» (ibid., p. 60), tanto che quando nel 1465 Vimercati raggiunse in Francia Galeazzo Maria quest’ultimo lo condusse con sé presso il re (Covini, 1998, p. 71).
Nell’anno precedente (1464), in occasione dell’annessione della Corsica al dominio milanese, Vimercati si era recato a Genova, per chiedere l’appoggio di alcuni nobili cittadini. La sua entrata in città venne però osteggiata dal doge Paolo Fregoso e il conte di Valenza fu costretto ad attendere a Cornigliano i rinforzi sforzeschi. Nel maggio del 1464, con l’aiuto degli Spinola e dei Fieschi, riuscì però a entrare in città, ottenendola in consegna.
Vimercati superò brillantemente anche il delicato passaggio della morte di Francesco Sforza (marzo 1466) e della reggenza di Bianca Maria Sforza, che governò il Ducato con il giovane figlio Galeazzo Maria; ebbe l’importante compito di rassicurare i condottieri ducali, che a causa dei problemi finanziari dello Stato avevano visto minacciata la possibilità di pagamento della propria condotta, e mantenne il suo ruolo di consigliere negli affari militari e finanziari.
Nel 1467 Vimercati partecipò con la sua compagnia alla guerra che l’alleanza sforzesca, medicea e aragonese combatté contro Venezia, Colleoni, i signori di Romagna e i fuorusciti fiorentini. Impegnato nelle operazioni militari in Piemonte, si ammalò ed ebbe l’onore d’essere presto raggiunto dal giovane duca, accorso per restargli vicino negli ultimi giorni di vita.
Morì a Novara il 4 settembre.
Fu sepolto a S. Maria delle Grazie, nella cappella di S. Domenico. La sua compagnia venne assorbita nelle lance spezzate e il titolo di conte fu trasferito a uno dei fratelli del duca.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Registri ducali, I, cc. 27r, 47v, 36v, 48v.
C. Cantù, Il convento e la chiesa delle Grazie, in Archivio storico lombardo, VI (1879), pp. 223-249, 477-499; L. Beltrami, Le bombarde milanesi a Genova, ibid., XIV (1887), pp. 795-807; P. Ghinzoni, Spedizione sforzesca in Francia (1465-66), ibid., XVII (1890), pp. 314-345; A. Colombo, L’ingresso di Francesco Sforza in Milano, ibid., XXXII (1905), pp. 297-344; C.G. Mor, Vimercate, Gaspare da, in Enciclopedia Italiana, XXXV, Roma 1937, p. 378; G. Albini, Aspetti delle finanze di un comune lombardo tra dominazione milanese e veneziana: dazi e taglie a Crema dal 1445 al 1454, in Felix olim Lombardia. Studi di storia padana dedicati dagli allievi a Giuseppe Martini, Milano 1978, pp. 699-789 (in partic. pp. 699, 712 s.); M.N. Covini, L’esercito del duca. Organizzazione militare e istituzioni al tempo degli Sforza (1450-1480), Roma 1998, ad ind.; F. Cengarle, Immagine di potere e prassi di governo. La politica feudale di Filippo Maria Visconti, Roma 2006, pp. 56 s., ad ind.; Ead., Gerarchie e sfere d’influenza nella pace di Milano del 1420: il Reggiano tra Filippo Maria Visconti e Niccolò III d’Este, in Medioevo reggiano. Studi in onore di Odoardo Rombaldi, a cura di G. Badini - A. Gamberini, Milano, 2007, pp. 306-325; F. Leverotti, La cancelleria dei Visconti e degli Sforza di Milano, in De part et d’autre des Alpes (II): Chancelleries et chanceliers des princes à la fin du Moyen Age. Actes,... 2006, a cura di G. Castelnuovo - O. Mattéoni, Chambéry 2011, pp. 39-52; E. Rossetti, «Arca marmorea elevata a terra per brachia octo». Tra sepolture e spazi sacri: problemi di memoria per l’aristocrazia milanese del Rinascimento, in Famiglie e spazi sacri nella Lombardia del Rinascimento, a cura di L. Arcangeli et al., Milano 2015, pp. 169-227 (in partic. pp. 186, 190); M.N. Covini., Il fondatore delle Grazie G. V., gli Sforza e altri “benefattori”, in Il convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Una storia dalla fondazione a metà Cinquecento, a cura di S. Buganza - M. Rainini, Firenze, 2017, pp. 59-78.