ANGIOLINI, Gasparo
Nacque a Firenze nel 1731 da una famiglia di artisti, tanto che il suo primo maestro di danza e coreografia fu il padre Francesco. Nel 1748 aveva già esordito come ballerino a Venezia e successivamente si hanno notizie di sue partecipazioni, soprattutto come ballerino ma già anche come coreografo, a spettacoli a Spoleto (1751) e a Torino (1757). Nel frattempo, recatosi a Stoccarda per perfezionarsi, aveva qui incontrato Franz Hilverding e l'incontro fu per lui determinante. Hilverding lo guidò nel perfezionamento teorico e pratico del ballo pantonumo cui aveva dedicato la sua attività di coreografo giungendo appunto, secondo le ripetute affermazioni dell'A., alla creazione di un dramma coreico basato sulla pantomima danzata. L'appoggio di Hilverding e del conte Durazzo, ispettore generale dei teatri di corte insieme alle relazioni della celebre danzatrice Teresa Fogliazzi moglie dell'A. dal 1754, gli valsero probabilmente anche l'assunzione come maestro di ballo presso la corte di Vienna, quando Hilverding stesso lasciò quell'incarico nel 1758 per recarsi in Russia. I primi anni alla corte di Vienna furono anni di maturazione per l'A. che, lentamente progredendo sulla via del balletto eroico introdotto da Hilverding, giunse al proposito di trasportare in pantornima una intera azione drammatica convinto che nella danza si raggiunge il sublime quando si rappresenti un avvenimento tragico senza parole ma reso intellegibile dai gesti. Il suo proposito veniva ad incontrarsi con le aspirazioni di riforma teatrale di R. de, Calzabigi e con il complesso nodo dei problemi che in quegli anni Gluck stava elaborando (e, fra i primi, quello dei rapporti tra musica e lingua); si iniziò allora fra le tre personalità una fortunata collaborazione non legata all'estro personale dei singoli collaboratori ma vincolata a precisi supposti teorici concordati insieme: ai vecchi libretti, intricati e prolissi, dovevano essere sostituiti nuovi libretti che sviluppassero in forma poetica un'azione semplice e compiuta che potesse costituire effettivamente il centro dell'opera cui dovevano contribuire a dar risalto tutti gli altri elementi dell'opera: bafietti, cori, messinscena. Il primo risultato di questa collaborazione fu il balletto pantomimo Don Juan ou Le festin de pierre presentato al Burgtheater di Vienna il 17 ott.1761 e la dissertazione premessa dall'A. al programma del ballo (alcuni l'attribuiscono però al Calzabigi) fu accolta come un nuovo manifesto d'arte. Nel 1762 l'A. metteva nuovamente in scena l'opera comica in un atto La Cythère assiégée di Gluck (libr. di Ch. S. Favart), che già aveva presentata con successo nel 1759 a Schwetzingen e, nello stesso anno (5 ott.1762), l'Orfeo ed Euridice, prima opera della cosiddetta riforma gluckiana. Pure nel 1762 l'A. aveva compiuto, chiamato da Mverding, il suo primo viaggio in Russia per collaborare ai balli dell'Olimpiade di Manfredini, messa in scena a Mosca il 22 sett. 1762 durante i festeggiamenti per l'incoronazione di Caterina II. Tornato a Vienna, dal 1763 al 1765 mise in scena alcuni balletti eroici (Cleopatra, Teti e Peleo, Ifigenia), un balletto del genere turco (Le avventure del serraglio) su musica di G. Scarlatti e creò le danze per l'opera comica La rencontre imprévue ou Les pélerins de la Mecque, di Gluck, libr. di Favart. Il 31 genn. 1765 presentò il suo secondo balletto pantomimo in collaborazione con Gluck, Sémiramis,tratto dalla tragedia di Voltaire, la cui audacia non incontrò peraltro il favore del pubblico viennese. In occasione di questo ballo, l'A. premise al programma una Dissertation sur les ballets pantomimes des Anciens pour servir de programme au ballet-pantomime tragique de Sémiramis, nella quale ribadiva ancora che "la danse pantomime qui ose s'élever jusqu'à représenter les grands évènements tragiques est sans contredit la plus sublime. Tout ce que la belle danse exige des Dupré, des Vestris, celle-ci le demande à ses danseurs, et ce n'est pas tout: l'art du geste porté au suprème degré doit accompagner le majestueux, l'élégant, le délicat de la belle danse, et cela ne suffit pas encore: il faut, comme nous avons dit, que le danseur pantomime puisse exprimer toutes les passions, et tous les mouvemens de l'âme". Il 2 1 maggio presentava poi un altro balletto di Gluck, l'Alexandre; quello stesso anno rientrava a Vienna Hilverding e l'A., pensionato dalla Hofkammer austriaca, l'anno dopo si recava in Russia e si stabiliva a Pietroburgo come maestro di ballo a corte fino al 1772. I suoi balletti ebbero in Russia enorme successo, fin dal primo, La Didon abandonnée (26 sett. 1766), ballo eroico in tre atti che l'A. scrisse e interpretò meritando gli elogi dello stesso Metastasio (p. Metastasio, Tutte le Opere, IV, Milano 1954, p. 516). Seguirono, fra gli altri, i balli Alexandre, Les Chinois en Europe, Divertissements des fêtes de Noël, Le préjugé vaincu, Telemaco, Semira, ecc. Sul finire del 1772 lasciò la Russia e si stabilì in Italia, prima a Venezia (dove, per una stagione, fu operoso al teatro S. Benedetto) e poi a Milano: e in questo periodo e a questo soggiorno dell'A. si riallaccia la famosa polemica con J. G. Noverre sui balli pantomimi, originata dalla lettura da parte del coreografo italiano della prefazione ai programmi dei tre balli noverriani: Der gerachte Agamennon; Iphigénie; Les Grâces. Lo spirito polemico dell'A., unito alla sua fedeltà di allievo, lo spinsero a discutere quelle affermazioni del Noverre che a lui sembravano in contrasto col reale sviluppo del ballo pantomimo e ingiuste nei confronti del suo maestro: iniziò dunque il suo scritto (Lettere di G. A. a Monsieur Noverre sopra i balli pantomimi, Milano 1773) riaffermando decisamente la paternità del balletto d'azione a Hilverding e facendone risalire i primi esempi al 1742 contro la orgogliosa affermazione del Noverre di essere stato lui il creatore del genere. Rivendicava poi i suoi meriti personali quali la divisione in atti del balletto e disapprovava l'uso, introdotto dal Noverre, di stampare un programma illustrativo per ogni balletto d'azione. Non mancava poi l'A. di inquadrare la polemica personale in una vasta prospettiva di ragioni storiche difendendo l'arte itali a alla luce di un sentimento patriottico ancora vago e generico, ma che non tarderà a precisarsi in una trama di più complessi motivi ideologici: "Così potesse l'Italia riunire e porre in uso tutto il vigore delle sue forze che la ruota fatale d'ogni imper.io e le conseguenze indispensabili che il tempo conduce ha per diverse ragioni disperse ed assopite, com'ella può in ognuna delle belle arti, mostrar la fronte, competere e sostenere con qualsivoglia florida ed erudita nazione, i primi posti là nel Parnaso" (ibid., p. 110). Nel frattempo il Noverre curava a Vienna (dicembre 1773) una messinscena parodistica dei balli dell'A., il che causò la rottura della sua amicizia col Calzabigi, legato da affettuosa e lunga amicizia all'Angiolini. La polemica aveva ufficialmente termine tra i due coreografi con la Petite réponse aux Grandes Lettres du sieur Angelini del Noverre e con la pubblicazione anonima delle Riflessioni sopra la pretesa risposta del sig. Noverre all'Angiolini (Milano 1773), cui seguirono, due anni dopo, Le Lettere sopra la danza: Riflessioni di G. A. sopra l'uso di programmi nei balli pantomimi (Londra ma Milano 1775), mentre ancora per molti anni la polemica restò aperta e vivace fra i seguaci dell'una e dell'altra parte, in tutta Europa. Intanto, nel 1774, il Noverre fu trasferito al R. Ducal Teatro di Alliano, mentre l'A. veniva, da quel teatro, trasferito a Vienna dove metteva inscena anche il suo ultimo balletto in collaborazione con Gluck, L'orfano della Cina (4 apr. 1774), dal lavoro di Voltaire. Nuovamente in Russia nel 1776, a Pietroburgo metteva in scena il Thésée et Ariane, per il quale aveva anche composto la musica. Di ritorno dalla Russia fu prima a Venezia (1778), poi a Milano; nel 1779 a Torino e l'anno successivo a Verona e a Milano. Ancora in Russia per tre anni (1783-86), fu maestro di ballo alla scuola del teatro di Pietroburgo e fu coreografo di vari balli operistici; tornato a Milano, mise in scena vari balli tragici, rinnovando quei successi che lo avevano reso celebre nelle due più fastose corti d'Europa. Risalgono a questo periodo i rapporti, nel complesso fecondi, con gli intellettuali illuministi di Milano: dal Beccaria al Passeroni, al Sopransi, al Parini, che il Verri, riferendosi alla polemica dell'A. con il Noverre, non esitava a giudicare un "angiolinista arrabbiato". Queste amicizie e le appassionate discussioni che si svolgevano nei circoli letterari contribuirono a precisare quell'istintivo filantropismo dell'A., nutrito di una vasta e aperta cultura, quel patriottismo che già s'avvertiva al tempo della polemica col Noverre, fino all'accettazione della politica francese e, in ultimo, all'incondizionata adesione dell'A. al governo della Cisalpina.
Si tratta, è vero, di un'adesione più sentimentale che riflessa, sostenuta da una ideologia utopistica e quindi soggetta alle più profonde delusioni e alle più ampie ritrattazioni: per ora essa comunque si riflette nel contributo offerto dall'A. al teatro giacobino (con il Silvio o il vero patriota, Il santissimo massacro o le vittime del Vaticano ovvero la fuga da Roma dell'ambasciatore Bonaparte, Il Sogno d'un democratico) di cui ci rimangono gli scenari, nella stesura di alcune considerazioni d'ordine politico-sociale che nell'astratta esaltazione di un ideale progressista sembrano rivelare le caratteristiche e i limiti oggettivi di tutta una cultura. Nel 1797, accanto a F. S. Salfi e a G. Bernardoni, veniva nominato membro della Società di pubblica istruzione per la riorganizzazione dei teatri patriottici: l'A. in questo periodo scrisse inoltre una Dissertazione per servire di risposta all'invito del Ministro degli Affari interni... per l'organizzazione dei teatri nazionali, nella quale, polemizzando con l'Albergati, auspicava una più aperta adesione del teatro agli spiriti democratici (cfr. E. Masi, Francesco Albergati, Bologna 1878, p. 467). Ma questa partecipazione al governo repubblicano gli valse, al ritorno degli Austro-Russi, l'allontanamento per sempre dal suo teatro, la prigione e la deportazione (1799) alle Bocche di Cattaro dove rimase fino al 1801 allorquando ottenne la liberazione per la pace di Lunéville (6 agosto). Se ne tornò allora nella sua buano, dove si spense un anno e mezzo dopo, il 5 febbr. del 1803.
Si riferisce all'ultimo soggiorno milanese dell'A. il Ragionamento sopra l'ingiusta sua prigionia e il suo esilio a Cattaro scritto nel 1802 mese di maggio che, in appendice all'Ingenua confessione d'un onesto Cisalpino detenuto in Sant'Antonio a Milano nell'anno 1799, rappresenta un ripiegamento su posizioni scettiche o addirittura pessimistiche, e sottolinea, all'alba della fortuna napoleonica, la sfiducia di un'intera generazione verso la più recente esperienza rivoluzionaria.
Delle sue musiche per balli, ci rimane assai poco: alla Biblioteca Estense di Modena La partenza di Enea, ossia Didone abbandonata, in Venezia s. d. ma forse 1773, a spese di L. Marescalchi e C. Canobbio e un Minuetto per due violini, due oboe, viola e basso in Raccolta di ventiquattro minuetti composti da vari Autori, in Venezia s. d., a spese di L. Marescalchi e C. Canobbio; a Darmstadt (Hessische Landes - und Hochschulbibliothek) Les Chinois en Europe e L'arte vinta dalla natura; a Vienna (Nationalbibliothek) Le muse protette dal genio d'Austria (1764) e a Copenaghen (Kongelige Bibliothek?) Il re alla caccia.
Dei suoi figli, Pietro, nato a Vienna nel 1764, seguì con onore le orme paterne: fu ballerino e coreografo a Venezia (1789), a Bologna (1803-05), a Milano (i806), a Lisbona, e infine per due anni (1808-1810) fu maestro di ballo. Lo accompagnò, nei teatri italiani ed esteri, la moglie, Carolina Pitrot, ballerina francese che aveva esordito nel 1773. Pietro morì nel 1830; rimane di lui un ricco elenco di balli messi in scena con successo e alcuni anzi con molto successo, come l'Achille in Sciro (rappresentato a Milano nel 1806).
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