MARTELLINI, Gasparo
– Figlio di Filippo, nacque a Firenze il 15 febbr. 1785. Iscrittosi nel 1801 all’Accademia di belle arti, dopo due anni, grazie al bozzetto in creta La samaritana al pozzo, ottenne un sussidio per lo studio della scultura. Premiato per il disegno nel 1805 e per la scultura l’anno successivo, il M. decise di passare al corso di pittura di Pietro Benvenuti, ottenendo premi sia nel 1808 con alcuni bozzetti in creta sia nel 1809 con il dipinto Eteocle che va a combattere con il fratello Polinice. Sfumata la possibilità di un alunnato romano nel 1811, due anni dopo il M. fu coinvolto nei lavori di rinnovamento del palazzo Riccardi Strozzi insieme con L. Catani, N. Contestabile e A. Angelini: con le Storie di Ippolito nel gabinetto al pianterreno si fece notare come frescante tanto da essere poi celebrato «per varie opere ad olio, ma specialmente per i freschi, alcuni dei quali bellissimi» (Missirini).
Nominato professore dell’Accademia nel 1816, il M. fu chiamato a lavorare a palazzo Pitti dove Ferdinando III d’Asburgo Lorena, rientrato dall’esilio nel settembre 1814, aveva ripreso i lavori lasciati interrotti dalla partenza di Elisa Baciocchi, coinvolgendo molti degli artisti che erano stati allievi di Benvenuti.
Nell’Aurora a cavallo di Pegaso circondata dalle Arti e dal Tempo, nella omonima sala, il M. sembra rifarsi alla tradizione neoclassica, impostando l’affresco secondo la regola settecentesca dello sfondato, mentre nel soffitto della sala di Ulisse, al primo piano, raffigurante il Ritorno dell’eroe a Itaca, velata allusione alla fine dell’esilio di Ferdinando III, le figure sono più libere e le forme trattate in maniera più naturale tanto da prefigurare «gli elementi tipici del Purismo neorinascimentale toscano» (Morandi, 1995, pp. 13 s.).
Nel 1819 il M. fu chiamato a Lucca, dove l’anno precedente L. Nottolini aveva ricevuto da Maria Luisa di Borbone l’incarico di ingrandire e rimodernare la reggia ducale. Ispirandosi al gusto romano e ai lavori promossi a Firenze dalla corte, Nottolini chiamò, oltre ai lucchesi B. Nocchi e D. Del Frate, gli artisti attivi a palazzo Pitti: fra questi il M. fu scelto per la decorazione della volta della sala dei ministri e consiglieri.
Confermando la sua formazione neoclassica, il M. affrescò un’allegoria del buon governo con La sfida di Pallade e Nettuno per il nome da darsi ad Atene, ritraendo nell’ornato Solone, Fidia, Platone e Pericle a rappresentare le qualità necessarie per il progresso di uno Stato. Nelle lunette della galleria sul gran terrazzo dello stesso palazzo realizzò, prima del 1820, le Storie di Teti ricordate da T. Trenta nella sua Guida della città edita in quell’anno. Databile allo stesso periodo è il dipinto con la Madonna con Bambino e s. Giovannino (Firenze, Palazzo Pitti), acquistato dal granduca nel 1820, in cui l’iconografia raffaellesca riconduce alla formazione accademica del Martellini.
Al 1821 sono da riportare gli affreschi commissionati dal banchiere Michele Giuntini nel palazzo poi Vivarelli Colonna. Il banchiere, nel desiderio di seguire il gusto ufficiale, chiamò gli artisti che erano stati attivi per il granduca.
In uno dei salotti del piano nobile il M. affrescò Virginia accusata davanti a Claudio, Virginia nella piazza del foro, L’uccisione di Virginia per mano paterna. Impostate in maniera teatrale le tre scene invitano lo spettatore a meditare sul tema della difesa della virtus, a cui fa chiosa, nella volta della sala, la raffigurazione di Amore legato ai piedi di Minerva che guida il suo carro nel cielo, allusione al dominio della ragione sulle passioni. Stilisticamente vicino al Ritorno a Itaca di palazzo Pitti per l’accentuata gestualità e per l’impostazione complessiva, il dipinto del M. sembra risentire dell’influenza di L. Ademollo, in quel periodo al servizio della corte, e di quella di V. Camuccini. Nello stesso palazzo, al pianterreno, il M. affrescò un salotto con temi allegorici e un «terrazzino rispondente al giardino […] all’etrusca», opere entrambe andate perdute (Morandi, 1996, pp. 112 s.).
Nello stesso anno il M. fu chiamato, con G. Bezzuoli, A. Fedi, N. Benvenuti, D. Nani, G. Bargioni, N. Cianfanelli, L. Catani, P. Sarti, N. Monti, dall’architetto G. Baccani a decorare i saloni del nuovo palazzo Borghese a Firenze, per affrescarvi, entro gennaio 1822, il Trionfo di Scipione nel salone degli Specchi, Fetonte che domanda di poter condurre il carro del Sole nella camera rosa e il Trionfo di Bacco e Arianna nella cupola centrale della galleria. In quest’ultima opera mostra senza dubbio maggior vigore rispetto ai lavori precedenti e un’aspirazione al colorismo seicentesco, frutto forse della vicinanza con Bezzuoli. Negli anni che seguirono, il M. tornò a lavorare a palazzo Pitti, dove eseguì il Tu Marcellus eris in un salone del secondo piano, entro il 1825.
Nell’opera, orientandosi verso temi di evocazione storico-letteraria, il M. tornò a usare un linguaggio di tradizione accademica, permeato ormai da un’evoluzione in senso romantico dell’insieme compositivo. Tale scelta doveva essere evidente anche nel disperso Conte di Carmagnola che si separa dalla famiglia, realizzato nel 1828 in occasione del soggiorno di A. Manzoni a Firenze, e nel perduto sipario del teatro alla Pergola datato entro il 28 dic. 1828, opera che raffigurava l’Incoronazione di Petrarca in Campidoglio. Il M., ispirandosi al precedente sipario di Ademollo (si vedano due studi nella collezione Batelli, in Sisi, 1987), aveva impostato la composizione sul corteo proveniente dalla via Sacra, amplificando lo spazio e portando l’attenzione dello spettatore sulla figura del poeta.
L’interesse per l’esemplarità dei soggetti storici fu certamente alla base della tela presentata alla mostra dell’Accademia del 1829, raffigurante Lo sbarco di Lorenzo il Magnifico a Napoli (Firenze, Palazzo Pitti). Interpretazione aggraziata dell’episodio tratto dalle storie fiorentine di N. Machiavelli, l’opera verrà acquistata da Leopoldo II nel 1855. Nel 1833 il M., N. Monti e A. Marini ricevettero l’incarico da parte del granduca di riprendere la decorazione della palazzina della Meridiana di palazzo Pitti raccordandosi con la sala dipinta con storie bibliche da L. Sabatelli nel 1807.
Al M. furono affidate la decorazione della camera da letto della granduchessa e, nel 1834, mentre era ancora impegnato nei lavori, anche quella della camera attigua. Nelle otto lunette della prima raffigurò le scene della Vita di Tobia in monocromo, le Virtù negli angoli e il Ritorno in cielo dell’arcangelo Gabriele nel riquadro centrale, temi d’intonazione familiare e di esaltazione delle virtù domestiche e religiose. Nella seconda affrescò le Storie di Ester, raffigurando al centro Lo svenimento davanti ad Assuero e nei quattro riquadri, simili a bassorilievi, i principali fatti della vita dell’eroina. Il valore esemplare del tema scelto era accentuato dal riferimento personale al granduca Leopoldo II che, nel 1833 a un anno dalla morte della prima moglie, aveva sposato e condotto a Firenze, la giovane Maria Antonietta di Borbone-Napoli. La genesi della decorazione delle sale traspare dai contratti conservati nell’Archivio di Stato di Firenze, ai quali sono allegati i disegni preparatori (Morandi, 1994). Da tali disegni, funzionali a illustrare le intenzioni esecutive, risulta che il M. si attenne scrupolosamente ai progetti iniziali tracciati con un’unica linea continua, utilizzando il linguaggio che in quegli anni si andava definendo come autonomo.
Immediatamente successiva dovette essere la partecipazione del M. ai lavori, conclusi nel 1836 sotto la direzione di U. Faldi, in palazzo Corsini presso porta al Prato, dove gli venne affidato lo sfondo del salotto con Amore e Psiche (Ginori Lisci, p. 298); forse allo stesso torno di anni, sono da riferire le Storie dell’America nel distrutto palazzo di Ferdinando Bartolomei in via Lamberteschi (ibid., p. 596) e la Madonna con il Bambino in braccio (Firenze, Palazzo Pitti), proveniente dal palazzo ducale di Lucca. Nel 1837 il M. ricevette l’incarico di rinnovare la decorazione trecentesca della cappella Tosinghi Spinelli in S. Croce a Firenze dedicata all’Assunzione di Maria.
Sulla parete sinistra affrescò La Madonna come Immacolata Concezione incoronata dagli angeli e sulla destra Il voto dei Fiorentini alla Madonna per la cessazione della peste nel 1633, affidando al figlio diciottenne Leopoldo l’esecuzione della tavola centrale con La Madonna della Concezione. Il M. ripropone nelle due scene quel linguaggio fluido ed equilibrato fra tradizione e innovazione, permeato di caratteri formali neobarocchi che, purificato, sembra passare nell’opera del figlio. Leopoldo fu allievo dell’Accademia fiorentina e fu attivo come copista dal 1839 fino al 1855, anno in cui morì prematuramente lasciando la numerosa famiglia sulle spalle paterne. Forse alla mano di Leopoldo va ricondotto il dipinto con Le Marie al sepolcro nella pieve di S. Stefano a Campi Bisenzio, opera già attribuita al M. (Mazzanti, 1987), firmata e datata «Martellini 1838». L’ipotesi, accettabile sul piano stilistico, ben si accorderebbe con la proposta già avanzata (ibid.) di una possibile committenza da parte di Antonio Ramirez di Montalvo, ricco proprietario della zona e presidente dell’Accademia di belle arti di Firenze.
All’estate del 1840 risale il coinvolgimento del M. nella decorazione della villa Puccini di Scornio presso Pistoia.
Niccolò Puccini, animatore di un circolo di letterati, patrioti, artisti e uomini di cultura, aveva elaborato, tra il 1837 e il 1838, il programma decorativo del pianterreno attingendo dalla storia rinascimentale fiorentina, con lo scopo di sottolinearne il valore esemplare. Su una delle pareti dell’atrio settentrionale il M., attivo insieme con L. Sabatelli, Bezzuoli e Cianfanelli, affrescò, attenendosi scrupolosamente ai desideri del committente, entro il luglio 1841, Andrea del Sarto che riceve la lettera di rimprovero del re di Francia (Dominici, p. 53).
Il M. tornò a Firenze per partecipare alla decorazione della Tribuna di Galileo, spazio celebrativo della figura dello scienziato voluto da Leopoldo II e dal direttore del Museo «La Specola», Vincenzo Antinori. Il programma, definito entro il febbraio 1839, si proponeva d’illustrare la storia della scienza sperimentale. Gli artisti coinvolti, oltre al M., furono Bezzuoli, Cianfanelli, L. e G. Sabatelli.
Il M. affrescò una lunetta con la Riunione dell’Accademia del Cimento, costruendo la scena in maniera equilibrata, bilanciando pieni e vuoti con l’aiuto del disegno fermo e del colorito volumetrico.
Al 1843 risale l’esecuzione gratuita della lunetta con Gesù tra i fanciulli nel chiostro dell’ospedale degli Innocenti (Torresi); e al 1848, quella della Madonna e santi nel coro della chiesa di S. Maria del Fiore a Lapo.
In quegli anni è documentata la partecipazione del M. a mostre, tra cui quella della Società promotrice di Firenze nel 1851, dove espose Madonna con il Bambino e angeli e Missionario spiega il catechismo (Torresi).
Il M. risulta ancora attivo come frescante nel 1852, quando tornò alla Tribuna di Galileo per eseguire, dal cartone del defunto Cianfanelli, Alessandro Volta che presenta la scoperta della pila agli accademici di Francia alla presenza di Napoleone.
Il M. morì a Firenze il 20 ott. 1857.
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