BROASPINI, Gasparo Scuaro de' (Gaspero di Verona)
Scarse sono le notizie biografiche relative a questo esponente della cultura veronese della seconda metà del Trecento, il quale fu in stretti rapporti d'amicizia con eminenti letterati della sua epoca, come Coluccio Salutati e Francesco Petrarca.
Ignoto ne è l'anno della nascita. Il suo nome appare per la prima volta in un atto del 1355, ove è citato in qualità di teste d'una compravendita; se questo documento fosse il primo segno dell'attività pubblica del B. - non ne abbiamo però prove oltre la debole argomentazione a silentio -, si potrebbero senz'altro indicare gli anni immediatamente vicini al 1330.Tuttavia le date di nascita dei sodales più intimi - Antonio (1315)e Niccolò Beccari (1330circa), Giovanni Dondi dall'Orologio (forse 1318), Coluccio Salutati (1331) -, e il fatto che nel giugno 1369Coluccio lo presentasse al Petrarca come, "virum" e "dominum" consigliano di anticipare di qualche anno la probabile ma non accertabile data di nascita: che non sarà comunque il "1340 circa" segnato dal Cosenza.
Il padre, che già porta il cognome "Scuaro", cioè "Scudaio" - cognome che il Garibotto ha rintracciato in alcuni documenti veronesi non in relazione però con la famiglia del B. -, è qualificato "magister" senza ulteriori precisazioni; morì tra il 7 maggio 1357 e il 23 maggio 1361.
Il B. ebbe tre fratelli: Giuliana, Giovanni e Bartolomeo. Giuliana andò sposa a ser Giovanni Guinicello de' Principi, appartenente a una delle più cospicue e facoltose famiglie di Verona e milite di Cangrande, che lo creò cavaliere il 27 nov. 1328; ebbe tre figli: Principino, Azzolino e Carga. Da alcuni documenti si apprende che i Broaspini abitavano la contrada Falsurgo, in via S. Tomaso, in una casa ove nel 1369 viveva ancora Giuliana.
Nulla sappiamo degli studi del Broaspini. È soltanto un'ipotesi quella che fa di lui un alunno di Rinaldo Cavalchini di Villafranca, noto maestro di grammatica veronese, il quale abitava e insegnava in un edificio non lontano dalla casa dei Broaspini, e il cui nome è con quello del B. in un atto di compravendita datato 7 marzo 1357.
Alcuni studiosi (tra i primi il Cipolla) hanno supposto che siano da identificarsi il B. e il "quidam ingeniosus homo et amicus" che nel 1359 ordinava e copiava le epistole del Petrarca (vedi la lettera a Francesco Nelli priore di SS. Apostoli in Firenze, datata Milano 11 apr. 1359: Familiares, XX, 7). L'identità potrebbe costituire una prova indiretta della familiarità tra il B. e Rinaldo: questi, amico intimo, com'è noto, del Petrarca, avrebbe potuto infatti suggerire al poeta il nome dell'allievo come quello di un attento e solerte copista. L'ipotesi appare tuttavia di una notevole fragilità. Comunque, una lettera del Petrarca al B. (Variae, 58) attesta che già nel 1363 o poco oltre (l'epistola manca della data) tra i due esisteva un buon rapporto di familiarità, e che l'amico veronese si era applicato ("animum et digitum applicasti") al riordinamento e alla trascrizione di un certo numero di lettere petrarchesche. Se dunque è possibile che la consuetudine del B. col Petrarca possa risalire attorno al 1360, non se ne può tuttavia dedurre l'identità tra l'"ingeniosus amicus" e il B.; che solo più tardi - come ha sostenuto V. Rossi e come dimostra l'esistenza di un codice autografo del B., il Marciano lat. XIII, 70, contenente i libri XX-XXIII delle Familiares, finito di esemplare tra il 1363 e il 1364 - operò come copista del poeta, e non per un lungo periodo, giacché in quella mansione troviamo a partire dal secondo semestre del 1364 il ravennate Giovanni IVIalpaghini, futuro lettore di Dante allo Studio fiorentino; il quale esemplò, terminandolo negli ultimi mesi del 1366, l'intero corpus delle Familiares (la mano del B. è quella che ha vergato il testo petrarchesco nel cod. Marciano dalla tredicesima linea della c. 17r fino all'ultima carta del codice, la 64).
Il B. coltivò, oltre alle lettere, l'arte di istoriare elmi con pitture; sembra confermare tale notizia e l'aneddoto riferiti dal cronista Marzagaia (De modernis gestis, a cura di C. Cipolla, Venezia 1890, p. 301: "antequam sacerrimo musarum ocio daretur, incassum armorum picturis arrogabat") un documento del 3 giugno 1364, nel quale è citato "Gaspar pictor quondam domini Petri", che quasi sicuramente è proprio il B.: corrispondono il nome del padre e il fatto che questi risulta già morto sin dal marzo 1361.
Non molte le notizie per gli anni successivi; a parte un viaggio a Roma nel 1369, del quale si ignora peraltro il movente, dalle lettere indirizzategli (Petrarca, Familiares. XX, 7; Seniles, XIII, 16 e 17, del 17 e 22 nov. 1372, da Padova; XX, 13, pure da Padova, databile prima della Pasqua 1373; Salutati, Epistolario, III, 20, 21 e 24, da Firenze, del 20 luglio, del 5 agosto, e 16 nov. 1375; IV, 10, del 17 nov. 1377; e V, 4, del 12 luglio 1381, sempre da Firenze) sembra lecito dedurre che non si sia mosso da Verona.
Mentre i rapporti col Petrarca, quali almeno appaiono dalle lettere del poeta, restano unicamente testimonianza d'un'affettuosa sollecitudine e d'un tipo di familiarità che potrebbe anche giustificare una notevole differenza d'età, dalle lettere del Salutati si ricavano invece, oltre a notazioni sul carattere del B., interessanti notizie. Nella lettera del 25 giugno 1369 da Viterbo (I, 15), Coluccio descrive l'amico veronese al Petrarca come "tui amatorem atque cultorem singularissimum... Non enim inveni virum. quem magis viri boni delectent, cuique carior mihi visus sis quam ei". Le parole elogiative del Salutati non appaiono ad un'attenta lettura coi caratteri d'una "Presentazione" del B., come hanno inteso troppi studiosi (il che indusse il Novati a postdatare di dieci anni la Varia, LVIII), ma possono essere invece assunte a dimostrare, oltre all'ammirazione, la consuetudine del B. col poeta, che dal Salutati viene invitato non già ad accogliere benevolmente, ma a tener caro un amico di così rara indole ("istum dominum Gasparum veronensem tamquam singularem amicum colito"); un amico che si prodigava per far esemplare codici di Properzio e di Catullo da inviare ai sodales che gliene facevano richiesta (Salutati, II, 20: "Benvenutus de Imola... suggessit, imo promisit, a te impetraturum ut Propertium et Catullum habuerim"; 23: "Si prece vel precio Propertium de bibliotheca illus celeberrimi viri, Petrarce inquam..., Catullum, quem credo parvuni libellum, aut exemplatum aut. esemplandum rogo transmitte": il Catullo fu inviato, ed è l'attuale Lat. 14137 della Bibl. Nazionale di Parigi, esemplato a Verona il 19 ott. 1375, con postille del Salutati); o prestava libri di sua proprietà, come il codice contenente sessanta Familiares di Cicerone (Salutati, IV, 10) di cui tanto ripetutamente dovette sollecitare la restituzione (vedi V, 4). Da una nota autografa di possesso apposta il 10 maggio 1377 al cod. Lat. 6457 della Bibl. Nazionale di Parigi (nota che potrà dare una definitiva conferma alla questione dell'autografia broaspiniana del Marciano lat. XIII, 70 e costituire un punto di partenza per un'eventuale indagine paleografica volta a identificare altri eventuali codici di sua mano) si apprende inoltre che in quella data il B. aveva comprato un manoscritto contenente opere di s. Tommaso, Pietro d'Alvernia, Alberto Magno, Egidio Romano.
Che non fosse un mero bibliofilo collezionista dimostrano, oltre che gli elogi - indubbiamente eccessivi ma certo non gratuiti - che gli indirizza Niccolò Beccari in una sua lettera databile tra il 1378 e il 1382("Recthorem optimum ac excellentissimum scientie virum et musarum alumpnum precarissimum"), la richiesta a lui rivolta dall'amico Giovanni Dondi dall'Orologio (cod. Marciano lat. XIV, 223, cc.50r-51v) di dare il suo giudizio su un minuzioso commento a una lettera Ad Lucilium; e l'assunto di commentare pubblicamente la Commedia.
Del 18 apr. 1378 ("datum. Verone in festo Resurrectionis") è l'unico documento rimastoci della sua attività letteraria: un'epistola metrica in latino (c. 124 del cod. Marciano lat. XIV, 127, non autografa, del 25 nov. 1382) indirizzata a Niccolò da Ferrara - allora presso la lontana corte di Carlo IV a Tangermúnde nel Magdeburgo -, che il B. affidò agli ambasciatori scaligeri Bernardo del Bene e Febo Torriani. Il componimento, non particolarmente interessante dal punto di vista artistico, è importante in quanto sottoscritto col nome completo, "Guaspar Scuarius de Broaspinis".
Nello stesso anno, il 18 giugno, il B. ("discretum virum dominum Gasparem q. domini Petri de Broaspino de S. Marco") è nominato arbitro per la parte dell'"università" dei cittadini in occasione d'una contesa sorta tra questi e gli appaltatori affittuari dei banchi del mercato: il 21 giugno giurava con il collega di parte avversa; l'8 luglio concludeva la controversia con la lettura dei patti intercorsi.
Attorno al 1380 tenne a Venezia pubblica lettura della Commedia, come attesta una terzina della Leandreide (VII, vv. 215-217: "Gasparo Schuaro, la chuj lingua bona / già lesse in tua citade il libro mio, / che via più piace quanto più s'espona"); non documentata è invece un'analoga attività esegetica a Verona. L'anno successivo, il 12 luglio, èregistrato come fittuario nei registri del monastero dei SS. Giacomo e Lazzaro, per beni immobili a Toresello di Tomba.
Non si conoscono la data esatta e i particolari della sua morte, avvenuta, come si apprende da una lettera di Coluccio Salutati a Lombardo della Seta, in circostanze drammatiche ("de tumultuaria atque cruenta cede communis fratris nostri Guasparis Veronensis, quem sevus gladius et, quod summe deflendum est, consanguinea manus extinxit": Epistolario, V, 10).L'unanimità degli studiosi la colloca, semplificando affrettatamente la proposta del Novati ("all'incirca nell'81"), proprio nel 1381. Ma, sottolineata l'imprecisa approssimazione del Novati stesso, si dovranno indicare come più probabili i primi mesi del 1382, giacché sembra eccessivo che il Salutati con "plurimo intercedente temporis intervallo" intendesse d'aver interposto lo spazio d'un anno o più (la lettera è del 27 nov. 1382) tra il delitto e l'attenuarsi in lui dell'acerbo dolore ("cum iam videretur doloris acerbitas scribendi veniam concessura"). Le cronache veronesi non hanno peraltro serbato alcun ricordo del fatto di sangue, a noi noto perciò solo per l'accenno del Salutati, che nel B. piange "viruni quietissimis humanitatis studiis deditum, mitem, innocuum, benignum".
Fonti e Bibl.: Tutti i docum. relativi al B. sono pubbl. in C. Garibotto, Un amico del Petrarca (Gasparo Squaro dei B.), in Atti e mem. dell'Accad. agraria di scienze e lettere di Verona, s.5, VII (1931), pp. 169-185 (dove sono anche pubblicati il testo dell'epistola metrica e quello d'un sonetto di risposta a Giovanni Dondi attribuito ma senza alcun fondamento al Broaspini). Si vedano inoltre: C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, Roma 1891, I, pp. 95 s., 119-122, 204-208, 218-223, 277 s.; II, pp. 9 s., 54 s., 391 s.; A. Zardo, IlPetrarca e i Carraresi, Milano 1887, pp. 158, 228; V. Rossi, Un archetipo abband. di epistole del Petrarca, nel volume misc. Scritti petrarcheschi, Arezzo 1938, pp. 103-119; B. L. Ullman, Studies in the Italian Renaissance, Roma 1955, pp. 181-195, 211 s., 216; G. Billanovich, Dal Livio di Raterio al Livio del Petrarca, in Italia medioevale e umanistica, II(1959), p. 162, H. Helbling, Le lettere di Nicolaus de Beccariis, in Bull. d. Ist. stor. ital. per il Medio Evo, LXXVI (1964), pp. 241-255, 283-289; A. Scolari, La fortuna di Dante a Verona nel sec. XIV, in Dante e la cultura veneta, Firenze 1966, pp. 487 s.; M. E. Cosenza, Dict. of the Ital. Humanists, I, Boston 1962, p. 715.