MONALDI, Gastone
(Gastone Leopoldo Fabio). – Nacque a Passignano sul Trasimeno (Perugia) il 9 giugno 1882 dal marchese Gino, musicografo, critico, impresario e compositore, e da Cesira Presiotti, ballerina, che trasmisero al figlio la passione per il teatro.
Abbandonati gli studi regolari prima della laurea in medicina, il M. esordì in compagnie minori, dopo aver iniziato a recitare da dilettante, interpretando monologhi nelle case signorili e scene dialettali, la sera, nelle osterie (Bacci).
Compì l’apprendistato teatrale in formazioni come la Compagnia stabile della città di Roma, fondata nel 1896 presso il Teatro Manzoni, e la Stabile del Teatro Argentina, formatasi nel 1905 per iniziativa di E. Boutet e con la quale, scritturato «senza ruolo» da F. Garavaglia, partecipò alla prima rappresentazione de La Nave dannunziana (11 genn. 1908) «a capo, per l’occasione, dell’enorme massa di comparse» (d’Ambra).
Fu poi primo attore nella Compagnia Romanesca, fondata da Giacinta Pezzana con l’intento di veicolare contenuti didascalici attraverso un teatro rivolto al popolo, formare artisti «sinceri» e incentivare la scrittura di opere in dialetto legate all’attualità.
La compagnia debuttò a Frascati e poi al Teatro Quirino di Roma il 18 apr. 1908 con Sabbito Santo di L. Ciprelli e La sôcera di G. Zanazzo, ma dopo le prime rappresentazioni, che suscitarono interesse per la novità di un teatro in romanesco al Quirino, la Pezzana dovette recitare i suoi cavalli di battaglia in lingua per attrarre il pubblico.
Nel febbraio del 1909 il M. lasciò la Romanesca che di lì a pochi mesi, a causa delle difficoltà economiche e della mancanza di attori, si sciolse.
Nonostante la separazione turbolenta e pur tradendone i principî, portando in scena le storie criminali della plebe romana, il M. derivò dalla Pezzana l’idea di un teatro dialettale e popolare che non avrebbe più abbandonato. Dopo varie scritture in diverse compagnie e tenaci tentativi di realizzare il suo progetto (nel 1909 formò una compagnia con Bianca Visconti come prima attrice, esibendosi tra il 1910 e il 1911 al Teatro Jovinelli e all’Olympia di Roma), nel marzo 1912 ottenne un contratto per otto recite al Teatro Manzoni; presentò la sua versione di Er più de Trestevere con la rinnovata «Drammatica Compagnia Romana», della quale era direttore e primo attore a fianco della Visconti, prima attrice sostituita nel 1914 da Fernanda Battiferri.
Questa, vittoriosa in un concorso di bellezza, fu iniziata al teatro dal M., che la scritturò nel 1912, e divenne sua inseparabile compagna in scena e nella vita (si sposarono il 15 apr. 1918).
Apprezzato dal pubblico popolare, il M. passò al Teatro Metastasio dove, durante i due mesi della sua permanenza, fu riconosciuto come l’interprete vero di una rinata scena dialettale, ottenendo determinanti critiche positive; quella di D. Oliva nel Giornale d’Italia (maggio 1912) lo impose all’attenzione di una platea più «aristocratica» e gli aprì le porte degli altri teatri della capitale (come l’Argentina e il Costanzi). Grazie al successo ottenuto, la compagnia affrontò stagioni fuori Roma (a Bologna, Milano, Torino, Genova, Venezia, Napoli, Palermo) e all’estero (nel 1914 intraprese una tournée in Sud America, prima di presentarsi nelle capitali europee).
Il repertorio comprendeva opere di O. Giustiniani, E. Olivieri, G. Zanazzo, L. Ciprelli, T. Smith, N. Ilari, che scrissero per la compagnia, ma anche di G. Verga, G. Rovetta, P. Giacometti. Lo stesso M. fu autore e «le sue commedie romane costituirono il suo repertorio» (Leonelli, pp. 106 s.). A Porta San Lorenzo, Er più de Trestevere, ’Na serenata a Ponte, Nino er boja, Alla conquista, La trappola, Nerone, Meo Patacca (tratto da un poema secentesco di G. Berneri), La festa der bacio, Cielo senza stelle, L’ombra paurosa, Certificato penale riflettono un universo di vicende sanguinarie, d’onore e passioni nel quale si muoveva la plebe dei bassifondi e degli ambienti malavitosi romani che l’autore volle conoscere, sembra, con la diretta frequentazione.
Attore aitante, dotato di una mimica vivacissima, di una «recitazione tonante, melodrammatica, capace di vibrazioni di voce di una tenerezza delicata e di violenze quasi terribili» (ibid., p. 106), il M. fu unico nell’esprimere in scena i forti sentimenti, le passioni e le ire. Il pubblico ritrovava nel suo teatro passionale e violento i fatti di cronaca nera di cui leggeva nei giornali, rappresentati tuttavia in modo fantasioso ed eccessivo, facendo di Trastevere «quasi un rione proibito» (Enc. dello spettacolo). Il suo era una sorta di «grand guignol municipale» strutturato talvolta con ritmi velocissimi da vaudeville e che guardava anche alla «poesia strappacore dei dialettali post-belliani» (Bonanni, pp. 64-66), ai romanzi d’appendice francesi e al gusto veristico.
Pur apprezzato dalla critica per le indubbie doti interpretative e per le capacità dimostrate nel dirigere la compagnia, il M. fu ritenuto autore inadeguato a esprimere il mondo al quale guardava. Per S. D’Amico dietro ai suoi drammi non c’erano che i «romanzi d’appendice del Messaggero»; per A. Gramsci Nino er boja era un «pasticcetto romantico e trucolento»; P. Gobetti, pur vedendo in Meo Patacca la sua «affermazione più sicura e viva», considerava il teatro del M. (in specie Nerone, Nino er boja) viziato da un «contrasto tra realismo e idealizzazione non mai ridotto e fuso in unità» (Gobetti, p. 118). Suscitavano tuttavia l’interesse degli stessi critici le reazioni del pubblico, che anche fuori Roma prendeva «parte assai viva all’azione» (ibid., p. 119). Gli spettatori, seppur di fronte a fatti eccessivi fino al cattivo gusto, simili a quelli di certi romanzi che da «lettori clandestini» non avrebbero mai ammesso di amare, in teatro, «collettivamente», non nascondevano la loro «predilezione» (Gramsci).
Il M. non abbandonò mai il teatro italiano tanto da formare, nel periodo di maggiore successo prima della guerra, due compagnie distinte, una per i lavori in dialetto e l’altra per quelli in italiano; in entrambe era primo attore. Oltre a cimentarsi nell’Otello shakespeariano al Teatro Nazionale di Roma nel 1915, con la Battiferri nel ruolo di Desdemona, con grande successo ne La morte civile di P. Giacometti (che rappresentò anche in romanesco nella riduzione di L. Chiarelli) e ne L’istruttoria di G. Henriot, interpretò il repertorio popolare come Le due orfanelle, I due sergenti, La portatrice di pane, Le vittime dell’Inquisizione.
Dopo la guerra ottenne consensi con La sentinella morta di L. d’Ambra (1923) e Zi’ Cardinale di U. Falena (1924); il 15 dic. 1923, al Teatro Morgana di Roma, la compagnia del M. rappresentò la «prima» in italiano de Il berretto a sonagli di L. Pirandello.
Durante il fascismo l’opposizione del regime al teatro dialettale e a certe tematiche che sembravano anticipare il neorealismo, nonché la crescente popolarità del cinema, «decretarono un netto ridimensionamento» del ruolo del M. nel «panorama teatrale italiano» (Bonanni, p. 66). Nel 1926 il governo, non senza sollecitarlo a usare in modo «giusto» quel formidabile strumento comunicativo e di propaganda che era il teatro, lo autorizzò a compiere tournées con la sua Compagnia del Teatro del Popolo, formazione con la quale il M. alternava ai testi in italiano le proprie opere che i primi attori (lui e la Battiferri) recitavano in dialetto.
Parallelamente al teatro, dal 1910 il M. fu attivo nel cinema muto come attore, regista e produttore. Il suo primo film da protagonista fu Sangue siciliano girato nel 1911 per la Cines; nel 1915 passò, insieme con la Battiferri, alla Tiber (Spine e lacrime, Ciceruacchio, Il naufragatore, Tresa) dove fu diretto dall’attore e regista E. Ghione, che raggiunse grande popolarità con il personaggio di Za-la-mort. Nel 1918 fondò la Monaldi Film, per la quale in due anni diresse e interpretò una serie di pellicole a sfondo avventuroso (tra cui Da Roma al Niagara, Il re della notte, Senza nome, La deviazione di Goolf Stream, Cuore di zingara, Miss Lilly… pardon!, Notti rosse, Il figlio di Satana, Il bastardo), nel complesso «tentativi ed esperienze assai modesti sul piano sia spettacolare che narrativo» (Brunetta, p. 209) che pongono il M. tra gli «esempi minori», rispetto a Ghione, nel tentativo di realizzare serials di successo. Sullo schermo la sua recitazione fu «violenta, impetuosa, melodrammatica, del tutto simile a quella che portava sui palcoscenici dialettali» (Filmlexicon, col. 906).
Continuò tuttavia a calcare le scene con il suo Teatro del Popolo fino al novembre del 1931.
Il M. morì a Sarteano (Siena) il 1° genn. 1932.
La moglie proseguì l’attività recitando in lingua fino al 1935, poi abbandonò il teatro; la figlia Gisella, nata nel 1913, partecipò ad alcuni film del padre e fu anche attrice nella compagnia dei genitori, prima di dedicarsi al doppiaggio e alla radio.
Fonti e Bibl.: Comune di Passignano sul Trasimeno, Atti di nascita, 1882, n. 38; D. Oliva, Il teatro romanesco al Metastasio, in Giornale d’Italia, 20 maggio 1912, p. 3; B. Bacci, G. M. e il teatro romano (ricordi, aneddoti, impressioni), in Il Nuovo Giornale, 24 dic. 1913, p. 3; Primaria Compagnia Drammatica Romana G. M. (opuscolo a stampa), Roma 1919; A. Gramsci, «Nino er boja» di M. allo Scribe, in Avanti!, 2 giugno 1919, poi in Id., Letteratura e vita nazionale, Torino 1950, p. 361; P. Gobetti, «Meo Patacca» di G. M., in L’Ordine nuovo, 27 genn. 1921, poi in Id., Opere complete, III, Scritti di critica teatrale, a cura di G. Guazzotti, Torino 1974, pp. 118 s.; T. Tagliaferri, G. M.: il creatore del teatro romanesco, Milano 1921; S. D’Amico, Tramonto del grande attore, Milano 1929, p. 120; L. d’Ambra, D’Annunzio alle «prime», in Scenario, VII (1938), 4, p. 238; B. Rossetti, I bulli di Roma, Roma 1979, pp. 258, 260; F. Possenti, Gloria vicende e peripezie del teatro Manzoni, in Strenna dei romanisti, XLI (1980), pp. 414, 421; Id., I teatri del primo Novecento, Roma 1984, pp. 43, 56, 68, 192; F. Bonanni, La «mala» romana d’inizio secolo nelle commedie di G. M., in Strenna dei romanisti, LI (1990), pp. 63-67; G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano. Il cinema muto 1895-1929, I, Roma 1993, p. 209; P. Cavallo, Theatre politics of the Mussolini regime and their influence on fascist drama, in M. Balfour, Theatre and war 1933-1945: performance in extremis, New York 2001, p. 30 n.; A. Petrini, Attori e scena nel teatro italiano di fine Ottocento. Studio critico su Giovanni Emanuel e Giacinta Pezzana, Torino 2002, p. 205; L. Mariani, L’attrice del cuore. Storia di Giacinta Pezzana attraverso le lettere, Firenze 2005, pp. 374-377, 607 e passim; Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», N. Leonelli, Attori tragici attori comici, II, pp. 105-107; Enc. dello spettacolo, VII, col. 735; Enc. Italiana, XXIII, p. 608; Filmlexicon degli autori e delle opere, IV, coll. 906 s.; R. Chiti, Diz. dei registi del cinema muto italiano, Roma 1997, pp. 188 s.