gastronomia
gastronomìa s. f. – Il cibo, oltre che la risultante di una rete di uomini e competenze, culture e biodiversità, è anche un elemento che, fisiologicamente, può dare piacere. La storia dell’alimentazione ci racconta di una continua ricerca di questo piacere. Anche nelle condizioni contraddistinte da povertà e da mancanza di risorse, l’ingegno umano ha sempre cercato, tramite l’attività agricola, artigianale e culinaria, di rendere quanto più godibile si potesse l’atto del nutrirsi. La g. ‘ufficiale’, invece, pur essendo sempre stata strettamente collegata al piacere alimentare (anche se ciò che si intende con il termine muta nel tempo e nello spazio), ha tendenzialmente negato che esso potesse essere associato alle cucine povere, completando così la sua ghettizzazione e generando una divisione netta. Da un lato abbiamo dunque il folclore popolano, dove il piacere alimentare viene più ricondotto alla quantità che alla qualità dei cibi; dall’altra l’élite, dove il piacere è tanto maggiore quanto più un cibo è raro o costoso. Questa divisione storica si riflette ancora nel momento in cui si configura una sorta di contrapposizione tra haute cuisine e cucina tradizionale. Una separazione fittizia, visto che da sempre la cucina dei grandi ristoratori o degli chef di corte ha copiosamente attinto alle tradizioni gastronomiche del popolo e del contado. In partic., nei primi anni del 21° sec., la divisione si può leggere in un dibattito nato all’interno del mondo della g. che mette in competizione le cucine cosiddette creative (come quelle di alcuni maestri, in grado di stravolgere e reinventare i canoni e le tecniche di cucina) e quelle che continuano a proporre in maniera più filologica la tradizione. Si tratta comunque di un dibattito poco fertile, più a uso mediatico che di sostanza. La g. è il terreno del sincretismo culturale per eccellenza e queste separazioni servono soprattutto per effettuare semplici classificazioni, con il risultato di distrarre dal nocciolo vero della questione: che cos’è la qualità alimentare per un gastronomo. Un concetto, questo, che è diventato sempre più vago, frainteso nonché utilizzato per facili speculazioni. In realtà, essendo il piacere alimentare fisiologico, la qualità dei cibi deve avere caratteristiche intrinseche che non abbiano nulla a che vedere con la quantità, il costo o la facilità di reperimento. Da questo punto di vista vanno prese in considerazione le caratteristiche organolettiche di un alimento che, pur avendo una forte componente soggettiva, sono comparabili e comunicabili, quindi utili alla scelta per preferire il cibo più piacevole. La qualità alimentare al principio del terzo millennio necessita di una nuova definizione, anche alla luce dell’abuso del termine che si è fatto nella comunicazione pubblicitaria e per la sua identificazione sempre più aderente ai minimi standard di sicurezza produttiva industriale. La riscoperta di un tipo ‘colto’ e consapevole di piacere da parte dei gastronomi, avvenuta come reazione alla progressiva omologazione, ha generato una rinascita della scienza gastronomica e una sua ridefinizione secondo nuove regole di qualità, rispettose del gusto, dell’ambiente e delle popolazioni rurali. La difficoltà a reperire cibi buoni, la loro scomparsa, la mancanza di conoscenza e di educazione in questo senso, unite alla propulsione degli scandali alimentari che sono saliti alla ribalta delle cronache (uno su tutti quello della ‘mucca pazza’), hanno diffuso una nuova sensibilità verso l’alimentazione che si è tramutata in una ricerca più approfondita e nell’evidenza che la scienza gastronomica è molto più complessa della semplice arte della ‘buona tavola’. Ultimo forte segnale in ordine di tempo di questa tendenza reattiva alla ghettizzazione folcloristica o elitaria della g. è la nascita, nel 2004, a Pollenzo in Piemonte e a Colorno in Emilia-Romagna, delle due sedi della prima Università degli studi di scienze gastronomiche. Legalmente riconosciuta dallo Stato italiano, questa università è sorta sotto la spinta propulsiva del movimento internazionale Slow Food, uno dei principali attori di questa rinascita ‘colta’ nonché complessa della materia gastronomica. Corsi di vario livello e con diverse specializzazioni comprendenti la g. sono nati anche presso altre università. Le tematiche ambientali, come per es. la tutela della biodiversità, le problematiche del mondo rurale e dei contadini, il sistema del commercio mondiale, l’urgenza della salvaguardia dei saperi e dei sapori tradizionali, sono entrati di diritto a far parte della nuova scienza gastronomica che è nata in epoca di globalizzazione. Questa scienza è mossa dallo studio e dalla ricerca del piacere alimentare, ma non come esercizio fine a se stesso, piuttosto come condotta per migliorare la qualità della vita e come abilità di scelta di fronte alle sfide della postmodernità. Per questo motivo è il caso di ribadire la definizione di g. che diede nel 1826 J.-A. Brillat-Savarin (1755-1826) nella Physiologie du goût («La gastronomia è la conoscenza ragionata di tutto ciò che si riferisce all’uomo in quanto egli si nutre»), conferendole dignità di scienza e applicandola alla complessità del mondo. Appare possibile, così, anche alla luce delle considerazioni sin qui svolte, definire la g. come la scienza interdisciplinare che consente di orientare le scelte alimentari di produttori e di consumatori verso un miglioramento della propria condizione esistenziale (personale e collettiva), utilizzando un bagaglio di conoscenze il più ampio possibile e i propri sensi allenati al riconoscimento delle migliori caratteristiche organolettiche.