Gastronomia
La gastronomia è il complesso delle regole e delle usanze relative all'arte culinaria, che nella preparazione dei cibi privilegia l'aspetto del godimento dei sensi rispetto ai bisogni meramente nutrizionali. La rilevanza sociale della gastronomia si è affermata a partire dalla fine del 18° secolo, con la nascita dei ristoranti e il conseguente affrancamento dell'arte della cucina dai gusti della sola aristocrazia. Il termine viene usato attualmente, in senso traslato, per indicare esercizi pubblici forniti di specialità culinarie.
Nel concetto di gastronomia il mangiare e il bere non vengono considerati come necessità corporee, bensì come fonti di piacere e a tal fine è esplicitamente indirizzata l'attività culinaria. Lo scopo naturale dell'alimentazione, vale a dire quello di fornire all'organismo l'energia e i nutrienti necessari per il suo mantenimento e il suo sviluppo, appare secondario, mentre passa in primo piano l'idea culturale del cibo come godimento. Il mangiare e il bere si conformano quindi al metro del gusto e del piacere estetico, attribuendo ad aspetti corporei come la fame e la sazietà soltanto un'importanza relativa. Per altro verso, la gastronomia si contrappone anche alla golosità, cioè alla smodata e istintuale soddisfazione dei bisogni alimentari.
Secondo alcune teorie sociologiche, al pari della sessualità, il mangiare e il bere sembrano antropologicamente predestinati, più di altri ambiti, a produrre piacere per la loro connessione con diverse impressioni sensoriali, in particolare con quelle dell'olfatto e del gusto. Nelle teorie dei sensi - elaborate da alcuni autori, fra cui soprattutto I. Kant -, cui si è soliti fare riferimento per individuare gli aspetti culturali e sociali di tali percezioni (Plessner 1980; Barlösius 1991), l'olfatto e il gusto sono spesso considerati sensi inferiori, in grado di produrre reazioni immediate che non possono assumere una forma né estetica né intellettuale, in quanto troppo strettamente legate alla corporeità. Anche T.W. Adorno (1970) nella sua teoria estetica afferma che la totale emancipazione dell'arte dai prodotti culinari è un fatto inoppugnabile. Inoltre, al contrario di quelle legate all'occhio e all'orecchio, le percezioni olfattive e gustative sarebbero asociali perché radicate nel soggetto, non destando sentimenti e sensazioni comunicabili e riferibili ad altri (Simmel 1957). In sostanza, la sociologia tende a spiegare la ricerca del piacere nel mangiare con la natura peculiarmente sensoriale di tale attività. Con questa impostazione contrasta, tuttavia, la tendenza degli intenditori, riscontrabile a ogni latitudine e in ogni periodo storico, a elaborare teorie su come potenziare i piaceri del palato (Onfray 1989), in un'ottica secondo la quale l'odorato e il gusto sono sensi suscettibili di educazione e di intellettualizzazione allo stesso modo della vista e dell'udito: ne sarebbe prova l'esistenza di culture e linguaggi enologici differenziati. La storia dell'alimentazione diventa, da questo punto di vista, anche storia del gusto e del piacere.
È evidente, comunque, che solo di rado l'attività culinaria si propone il fine esclusivo del piacere, trascurando gli aspetti della commestibilità e delle facoltà nutritive. C'è invero un'ampia scala di gradazioni che va dal desiderio che i prodotti preparati abbiano un sapore particolarmente buono a un'accentuata ricerca estetica. Una cucina con mere finalità estetiche, volta a comunicare un puro godimento artistico, è stata quella futurista, proposta da F.T. Marinetti negli anni Trenta del 20° secolo (Marinetti 1932), che si astraeva volutamente dalla finalità nutritiva; proprio per questo la maggior parte dei cibi si presentava sì in una forma estetico-sensoriale assolutamente lussuosa, ma non era commestibile. Occorre notare che i concetti di gastronomia e di gusto sono socialmente determinati. Soltanto quei ceti che dispongono di sufficienti mezzi materiali sono in condizione di considerare il mangiare innanzi tutto come piacere, ponendo in secondo piano gli aspetti nutrizionali. Per coloro il cui lavoro comporta un impegno fisico, con conseguente dispendio di molte calorie, è meno facile superare questa dimensione naturale e considerare l'attività nutritiva un fenomeno di carattere estetico. Da queste diverse situazioni risultano considerazioni opposte sulla funzione attribuibile al mangiare, alla quale corrispondono idee socialmente differenti sul gusto e sul piacere. A grandi linee esse si polarizzano in un'opposizione tra la qualità, l'attenzione alla forma e al lusso, da una parte, e la quantità, la preminenza del lato materiale e dei bisogni primari, dall'altra (Bourdieu 1979; Flandrin 1986).
La gastronomia, intesa come arte che prescinde dalla pura e semplice preparazione del cibo, comincia a formarsi con il raffinarsi del gusto avvenuto a partire dal Rinascimento. Compaiono allora i primi grandi trattati, come La fleur de toute cuisine di P. Pidoux (1540) o Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale di Cristoforo di Messi Sbugo (1549). La cucina italiana, esportata alla corte di Parigi da Caterina de' Medici, diventa famosa in tutta Europa. Si diffondono, così, le paste all'italiana, ottenute dalla sfoglia casalinga, di cui Bartolomeo Scappi, cuoco di papa Pio V, fornisce un elenco completo, dagli 'annolini' alle tagliatelle.
Nel Seicento la corte di Luigi XIV impone nuove regole del gusto, per cui nella preparazione dei cibi occorre privilegiare la qualità alla quantità. La preparazione diventa raffinata, ricercata e leggera. La gastronomia acquista rilevanza sociale quando non viene più unicamente coltivata in piccoli gruppi esclusivi, ma diventa accessibile a una cerchia più ampia. Questo processo di istituzionalizzazione può essere esemplarmente documentato dalla grande cuisine francese, nella quale il gusto sensoriale-estetico è il principio ispiratore dell'arte culinaria. Premessa fondamentale per lo sviluppo della grande cuisine è stata, all'epoca della Rivoluzione francese, la fondazione di ristoranti pubblici, aperti a chiunque disponesse di sufficienti mezzi finanziari; in tal modo l'arte culinaria non fu più prerogativa esclusiva del ceto aristocratico (Aron 1973) e non fu più influenzata dal gusto specifico di questo. In conseguenza di ciò, i cuochi si sono trasformati in ristoratori di professione, desiderosi di essere riconosciuti come veri e propri artisti, sottoponendo l'attività culinaria a continui cambiamenti estetici, peraltro necessari per poter sopravvivere economicamente. In secondo luogo, si è andata affermando la figura del buongustaio, in possesso di un raffinato gusto sensoriale-estetico, frutto di educazione. Per la propria formazione i buongustai si sono serviti della nascente letteratura gastronomica e 'gastrosofica' in cui si dibatteva e si cercava di definire l'aspirazione estetica nell'arte culinaria. Opere importanti sono state l'Almanach des gourmands e Le manuel des amphitryons di Grimod de la Reynière (1803 e 1808) e La physiologie du goût di Brillat-Savarin (1833). Quest'ultima costituisce una sorta di statuto scientifico della gastronomia, intesa come 'conoscenza ragionata' di tutto ciò che ha rapporto con l'alimentazione dell'uomo. In terzo luogo, si sono formati alcuni professionisti del settore, cioè degustatori enogastronomici, la cui principale attività consiste nel valutare i ristoranti e nel pubblicare guide gastronomiche, come appunto l'Almanach di G. de la Reynière (Barlösius-Manz 1988).
Tali elementi sono ancora oggi alla base della gastronomia istituzionalizzata. Negli ultimi decenni del 20° secolo, l'accresciuto benessere nelle società industrializzate ha fatto sì che essa abbia acquistato una sempre maggiore importanza sociale e si sia sviluppata a rilevante settore economico, grazie anche alla diffusione dei fast food, per il consumo di pasti veloci e a costo contenuto, e del catering, per l'organizzazione di banchetti. Deve essere segnalata, alla metà degli anni Settanta, l'affermazione a livello internazionale della nouvelle cuisine, raffinata ed elegante, che si propone di saziare senza appesantire e di rendere il cibo gradevole anche alla vista. Successivamente, si è prodotta una rivalutazione della grande cucina, legata alle tradizioni, e delle cucine regionali, in particolare di quella mediterranea, ricca di fibre.
T.W. Adorno, Ästhetische Theorie, Frankfurt, Suhrkamp, 1970 (trad. it. Torino, Einaudi, 1977).
J.-P. Aron, Le mangeur du XIXe siècle, Paris, Laffont, 1973.
E. Barlösius, Über den Geruch. Langfristige Wandlungen der Wahrnehmung, Kontrolle und Gestaltung von Riechendem, in Der unendliche Prozess der Zivilisation. Zur Kultursoziologie nach Norbert Elias, hrsg. H. Kuzmics, I. Mörth, Frankfurt-New York, Campus, 1991.
E. Barlösius, W. Manz, Der Wandel der Kochkunst als genussorientierte Speisengestaltung, "Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialforschung", 1988, 40, 4, pp. 728-46.
P. Bourdieu, La distinction. Critique sociale du jugement, Paris, Éditions de Minuit, 1979 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1983).
J.L. Flandrin, La distinction par le goût, in Histoire de la vie privée, éd. P. Ariès, G. Duby, 3° vol., Paris, Éditions du Seuil, 1986 (trad. it. Roma-Bari, Laterza, 1987).
F.T. Marinetti, La cucina futurista, Milano, Sonzogno, 1932.
M. Onfray, Le ventre des philosophes, Paris, Grasset, 1989.
H. Plessner, Anthropologie der Sinne, in Id., Gesammelte Schriften, 3° vol., Frankfurt, Suhrkamp, 1980.
G. Simmel, Soziologie der Mahlzeit, in Id., Brücke und Tür, Stuttgart, Koehler, 1957.
Id., Soziologie. Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung, Berlin, Dunker & Humboldt, 19685.