CASTELLI, Gaudio
Nacque a Terni circa il 1577 da una delle più ragguardevoli famiglie della nobiltà locale che aveva numerosi possedimenti in Umbria e in Sabina: il padre era il marchese Giovanni Battista, la madre Vittoria Podiani, signora di Piediluco, discendente da antica nobiltà abruzzese.
Le non molte notizie che della sua vita si possono raccogliere riguardano essenzialmente la sua carriera ecclesiastica e, soprattutto, amministrativa, che lo portò a ricoprire, a partire dal 1622, varie magistrature nello Stato della Chiesa (a Foligno, Todi, Norcia, Faenza, Forlì, San Severino, Rieti) testimoniate da epigrafi raccolte con altri analoghi documenti encomiastici sui membri della famiglia Castelli da Severo Bonini. Consacrato vescovo nel gennaio del 1637 dal cardinale G. B. Pallotta, raggiungeva la diocesi di Montepeloso (oggi Irsina) dove moriva il 7 nov. dello stesso anno. Fu sepolto nella chiesa di S. Francesco di Gravina.
Scrisse un interessante trattatello, Memoriale per governare, stampato a Terni presso Tommaso Guerrieri nel 1634 (con una dedica, a firma di Placido Gemini, indirizzata a Lelio Guidiccioni di Lucca) e ristampato ivi l’anno successivo con un cospicuo ampliamento (Memoriale a Ministri per governare... con molte osservationi prattiche) e con una nuova dedica al cardinale Pallotta firmata dal nipote del C., Raimondo. Poiché nelle due edizioni il nome dell’autore è indicato semplicemente nella forma “Monsignor Castelli”, alcuni studiosi credettero il Memoriale opera di Raimondo (che però nella dedica dice esplicitamente essere l’operetta “di Monsignor Castelli mio zio”), altri addirittura lo ritennero di Onofrio, fratello minore del C. e di lui più noto come autore di varie opere scientifiche e, soprattutto, idrologiche.
Il Memoriale (le “osservationi prattiche” che corredano la seconda edizione sono un prontuario di decreti, indicazioni e istruzioni ricavati per lo più da lettere pontificie a governatori e magistrati locali e riguardanti svariati settori della pubblica amministrazione) si presenta come un manuale di immediata ed utile consultazione in cui – di conseguenza – i principi teorici o generali spesso rimangono a livello implicito. L’esordio, tuttavia, vuole immediatamente dichiarare l’impostazione ideologica fondamentale del trattato, “gubematio Deo iungatur”, ovvia per un ecclesiastico governatore nello Stato pontificio: l’accordo, che è poi coincidenza, fra reverenza e osservanza religiose e azione politico-amministrativa, è conditio sine qua non del buon governo, da cui soltanto e necessariamente discende la giustizia.
Particolare rilievo viene dato, nell’iniziale esame delle cure principali del governatore – dopo il quale si passa alla definizione dei compiti dei singoli uffici (luogotenenti, cancellieri, bargelli, ufficiali fiscali, tesorieri), anche con indicazioni particolareggiate –, alla vigilanza sulla quantità e qualità degli approvvigionamenti e sulla regolarità dei prezzi, soprattutto dei generi alimentari, nonché sul corretto funzionamento dei processi e dell’istituzione carceraria; questione, questa ultima, verso la quale il C. risulta assai attento e sensibile anche nell’elogio pubblico tributatogli dai cittadini di Forlì, suoi amministrati, nel marzo 1626 (cfr. Bonini).
Tesi e argomentazioni sono continuamente confortate con citazioni di autori sia classici che cristiani (specialmente di Aristotele, in traduzione latina, Tacito, Seneca e Agostino) ai quali, in misura maggiore nell’edizione del ’35, si aggiungono anche scrittori moderni e contemporanei (Guicciardini, Boccalini, Zuccolo, Malvezzi e altri).
La non trascurabile importanza del trattatello deriva dalla sua impostazione manualistica di prontuario, che ne fa, da un lato, un’interessante esemplificazione in chiave pratica dell’abbondantissima trattatistica politica contemporanea dedicata alla ragion di Stato, e, dall’altro, una testimonianza documentaria, preziosa per la casistica di vita civile, spesso minuta, e di prassi amministrativa dell’epoca. Si veda, fra l’altro, l’insistenza sull’opportunità di evitare e prevenire la possibilità di corruzione dei pubblici ufficiali, il suggerimento di diffidare di tutti i sudditi come di possibili nemici di chi governa e di trattare con particolare riguardo i funzionari, i maggiorenti della Comunità e i nobili in genere in quanto potenzialmente più pericolosi, e con paternalistica moderazione il popolo, al quale occorrerà non dare mai un’impressione di debolezza, “non dovendosi chi regge da cosa più guardare, che il governo non diventi populare” (edizione del ’34, p. 20). A tale scopo si consiglia anche di evitare al popolo ogni novità nel ritmo della vita sociale: messe, prediche, processioni, spettacoli dovranno svolgersi nei tempi consueti e secondo modalità fissate dalla tradizione. Assai interessante anche la digressione sulle spie, indispensabili al buon governatore – “senza spia si può governare poco bene; è però negotio periculoso” (ibid., p. 14) – che si articola in un succinto esame dei tre tipi principali di spia – “nobile”, “ignobile o mercenaria”, “doppia” – e delle varie opportunità della loro utilizzazione.
Sotto il nome del C. esiste una Descritione di Terni nel codice miscellaneo Ms. R. 121 sup. (olim F 404), ff. 210r-231r, del Fondo Pinelliano dell’Ambrosiana.
Fonti e Bibl.: S. Bonini, Signa, stemmata, elogia Castellae gentis, I, Forolivii 1626, pp. 71-74; F. Simonetta, Vera relazione e dichiarazione... in difesa della propria Patria, Ronciglione 1650, p. 7; A. Mathalia, Apologia divisa in tre Parte... mantiene il foglio stampato in Ronciglione, Messina 1644; F. Angeloni, Historia di Terni, Roma 1646, pp. 191-192; L. Iacobilli, Bibliotheca Umbriae, Fulginiae A58, pp. 124-125; F. Cavalli, La scienza Politica in Italia, II, Venezia 1873, pp. 239-241 (confonde il C. con Onofrio Castelli); A. Rivolta, Catalogo dei codici pinelliani dell’Ambrosiana, Milano 1933, p. 120; T. Bozza, Scrittori politici ital. dal 1550 al 1650. Saggio di bibliografia, Roma 1949, pp. 175-76; P. Gauchat, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, IV, Monasterii 1935, p. 248.