GAUSLINO
Sono ignoti luogo, data di nascita e ceppo parentale di questo vescovo di Padova documentato dal 964. Il nome parrebbe rinviare a un'origine franca o alamanna, mentre destituita da ogni fondamento è la notizia, fornita dall'Ughelli, dell'appartenenza alla famiglia padovana dei Transelgaldi. Ignote sono anche le vicende della vita di G. prima della sua elevazione all'episcopato.
La prima testimonianza certa della presenza di G. sulla cattedra padovana è del 6 luglio 964, data del diploma con cui Ottone I confermava a lui e alla Chiesa di Padova tutti i possessi da quest'ultima sino ad allora goduti.
Sulla base di un atto apparentemente emanato nello stesso anno 964 si è ritenuto che Ildeperto, predecessore di G., sia stato leale sostenitore di Berengario II anche dopo l'incoronazione imperiale di Ottone I e la cattura e l'esilio di Berengario a Bamberga (fine del 964). La nomina di G., quindi, è stata interpretata come conseguenza della destituzione di Ildeperto; recenti indagini, però, hanno accertato la falsità dell'atto in questione (Mantovani) e quindi della data della professione di lealismo di Ildeperto; pertanto nessun elemento ci consente di attribuire all'avvento di G. un carattere di rottura e di drammatica svolta politica nella storia della Chiesa padovana.
Sicuramente G. fu un fedele sostenitore di Ottone I. Qualificato "dilectissimus fidelis" nel citato diploma del 964, fu legato infatti al sovrano da uno stretto vincolo di fedeltà, posto in evidenza dal vescovo di Verona, Raterio, in una sua lettera del 965 indirizzata a G. in risposta a una "magna questio" sollevata da quest'ultimo; Raterio affermava che il giuramento prestato da G. lo obbligava a combattere gli avversari dell'imperatore, anche se la pace era il bene sommo da perseguire. Lo "iusiurandum" proferito da G. e l'impegno all'aiuto militare che da esso scaturiva erano segno di un rapporto che comportava "hominium" e "fidelitas" nei confronti di Ottone I, elementi connessi con l'investitura feudale. La natura specifica di tale rapporto emergerebbe anche dall'espressione utilizzata in una donazione di G., nella misura in cui si possa considerare attendibile il passo, contenuto in un atto che nel suo complesso non è considerato genuino: nel 970-971 G. avrebbe dichiarato di intervenire in favore del monastero padovano di S. Giustina chiamando Ottone suo "senior" e indicando quindi un legame di tipo vassallatico. Del resto, proprio negli anni dell'episcopato di G. la documentazione relativa al territorio padovano attesta il consolidamento degli istituti vassallatico-beneficiari, con l'esistenza di "vassi" raccolti attorno al vescovo, il radicamento e consolidamento economico dei quali è almeno in parte documentabile. Dalla lettera di Raterio trapela una forte preoccupazione di G. riguardo al problema della pace e della guerra, quasi un caso di coscienza da lui sottoposto al vescovo veronese come "maxima questio". Secondo il Weigle, il dilemma sarebbe nato dalla sollevazione dei potenti laici e dei vescovi lombardi, avvenuta dopo che Ottone I aveva lasciato l'Italia all'inizio del 965, e dal conseguente appello alla mobilitazione da parte del duca Burcardo di Svevia, il quale avrebbe sollecitato anche l'intervento armato di G. e dei suoi milites a sostegno di Ottone I.
Grazie al ricordato diploma del 964, G. poteva contare sui possessi già goduti dalla Chiesa padovana - in particolare sulla corte di Sacco -, su vari diritti anche di natura pubblica, fra cui quello di incastellamento, e, infine, su quello di inquisizione. Malgrado ciò, alcuni studiosi hanno ritenuto che Ottone I non avesse inteso rafforzare in modo diretto il potere già ampio del vescovo patavino in quanto, al contrario, egli sarebbe stato piuttosto interessato a restaurare l'ordinamento pubblico di tradizione carolingia e, in particolare, a costituire il comitato padovano, appunto attestato per la prima volta durante l'episcopato di G., negli anni 969-970. La nascita di tale comitato rientrava infatti da un lato nella riorganizzazione territoriale inaugurata nel 952 con la creazione della Marca veronese, dall'altro nel connesso "programma di "restaurazione" comitale" perseguito da Ottone I all'interno della nuova circoscrizione (A. Castagnetti, I conti di Vicenza e di Padova dall'età ottoniana al Comune, Verona 1981, p. 23). Il titolare dell'ufficio comitale a Padova e a Vicenza fu il figlio dell'allora duca di Venezia, Vitale Ugo Candiano. Non si dispone di elemento alcuno circa le relazioni intercorse fra il nuovo conte e G., sicché, anche alla luce di recenti valutazioni dei rapporti della cosiddetta Reichskirche con il sovrano e con la nobiltà, pare rischioso dedurre in modo meccanico dalla costituzione del comitato patavino un ridimensionamento dei poteri vescovili.
Per quanto riguarda l'azione svolta in campo ecclesiastico, G. partecipò a diversi sinodi: il 25 apr. 967 sottoscrisse a Ravenna la deposizione dell'arcivescovo di Salisburgo Eroldo durante il sinodo ivi convocato dal papa Giovanni XIII, presenti Ottone I, il patriarca di Aquileia, metropolita di G., e altri vescovi veneti suffraganei del patriarca; egli fu inoltre presente a Ravenna al sinodo del 968.
È datata al 970-971 la citata donazione di G. per la costruzione del monastero di S. Giustina in Padova: il documento - oggetto di un lungo dibattito perché rilevante sia per la storia della prestigiosa e potente abbazia sia per il culto dei santi locali - è considerato spurio nel suo insieme, benché l'atto di donazione in sé non venga del tutto rigettato (Tilatti). Allo stesso modo è ora negata genuinità all'atto del 977-978 con cui G. avrebbe beneficato il collegio canonicale della cattedrale patavina, confermando la proprietà dei beni e la facoltà di dividerli fra i canonici.
A G. viene attribuito anche il ritrovamento miracoloso del corpo di s. Fidenzio nella località di Polverara presso Padova.
Secondo la leggenda dell'Inventio (riportata da Cappelletti), G., dopo aver avuto una visione del luogo in cui era sepolto il corpo del santo, vi si recò, vi eresse un altare e vi celebrò la messa, ma, giunto alla consacrazione, sentì la terra tremare. Fece allora scavare il terreno sottostante portando alla luce l'antica tomba del santo. La traslazione del corpo di s. Fidenzio, dopo qualche disavventura, si concluse presso la chiesa di Megliadino, nella quale il corpo venne deposto e che da quel momento mutò il suo titolo precedente con quello di S. Fidenzio. Nonostante la tarda copia di un documento del 978 riguardante la chiesa di Megliadino, si tende a escludere la partecipazione di G. alla inventio del corpo del santo, collocando piuttosto l'elaborazione del testo agiografico a essa relativo tra la fine del sec. XI e l'inizio del sec. XII, in relazione con la contemporanea espansione della diocesi patavina verso la Scodosia.
Anche in questo campo la critica ha dunque ridimensionato le limitate notizie sino a noi pervenute su G., del quale, dopo il 977-978, si perdono definitivamente le tracce.
Fonti e Bibl.:Codice diplomatico padovano…, a cura di A. Gloria, Venezia 1877, nn. 47-49, 53-55, 57 s., 63; Conradi I Heinrici I et Ottonis I diplomata, a cura di Th. Sickel, in Mon. Germ. Hist., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, I, Hannoverae 1879-84, n. 265; Die Briefe des Bischofs Rather von Verona, a cura di F. Weigle, ibid., Die Briefe der deutschen Kaiserzeit, I, Weimar 1949, n. 20; I placiti del Regnum Italiae, a cura di C. Manaresi, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], II, 1, Roma 1957, n. 170; B. Lanfranchi Strina, Un documento inedito del 978 su S. Fidenzio di Megliadino, in Boll. del Museo civico di Padova, LXII (1962), pp. 139-141; G. Mantovani, Documenti padovani fino all'anno 1100, Padova 1999 (in corso di stampa), ad ind.; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra…, V, Venetiis 1720, coll. 431-434; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia, X, Venezia 1854, pp. 483 s.; F. Weigle, Die Briefe Rathers von Verona, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, I (1937), pp. 173 s.; C.G. Mor, Raterio di fronte al mondo feudale, in Raterio da Verona. Convegni del Centro di studi sulla spiritualità medievale… 1969, X, Todi 1973, pp. 174 s.; R. Pauler, Das Regnum Italiae in ottonischer Zeit. Markgrafen, Grafen und Bischöfe als politische Kräfte, Tübingen 1982, pp. 129 s.; G.M. Varanini, Aspetti della società urbana nei secoli IX-X, in Il Veneto nel Medioevo. Dalla "Venetia" alla Marca Veronese, a cura di A. Castagnetti - G.M. Varanini, Verona 1989, pp. 213, 220; P. Golinelli, Il cristianesimo nella Venetia altomedievale. Diffusione, istituzionalizzazione e forme di religiosità dalle origini al sec. X, ibid., pp. 268, 298, 314; A. Castagnetti, Minoranze etniche dominanti e rapporti vassallatico-beneficiari. Alamanni e Franchi a Verona e nel Veneto in età carolingia e postcarolingia, Verona 1990, pp. 117, 139 s.; S. Collodo, Il Prato della Valle: storia della rinascita di un'area urbana, in Una società in trasformazione. Padova tra XI e XV secolo, Padova 1990, pp. 120-127; A. Tilatti, Istituzioni e culto dei santi a Padova fra VI e XII secolo, Roma 1997, pp. 31, 38, 43-45, 53-55, 89 s., 115-117, 141 s., 167, 217.