Ghose, Gautam (noto anche come, Ghosh Goutani)
Regista cinematografico bengalese, nato a Calcutta il 24 luglio 1950. Autore completo (che cura sceneggiatura, fotografia, montaggio e, in collaborazione con altri artisti, anche le musiche), ha raccolto e valorizzato l'eredità di quel vasto movimento connotato da forti motivazioni sociali e politiche che, a partire dagli anni Cinquanta, impose all'attenzione mondiale la cinematografia bengalese e che ebbe come punti di riferimento, oltre il maestro Satyajit Ray, registi di grande talento come Ritwik Ghatak e Mrinal Sen. Tra documentario e fiction, il cinema di G., quasi sempre realizzato con piccoli budget, si è sviluppato nel segno di un uso poetico del realismo, che alterna con grande naturalezza tensione etica, intimismo e racconto epico, dimostrando così di aver assorbito anche le analoghe e più alte esperienze del cinema occidentale (Joris Ivens, Jean Renoir e Roberto Rossellini, in particolare).
Laureato in economia, G. si accostò al cinema dopo esperienze di teatro politico e come fotoreporter e a soli ventiquattro anni realizzò il documentario Hungry autumn (1974), durissimo atto d'accusa sulle cause strutturali delle ricorrenti carestie nel suo Paese. Il film, censurato dalle autorità bengalesi, vinse nel 1978 il primo premio al Festival del cinema documentario di Oberhausen, segnando l'inizio della sua carriera internazionale. Politicamente coraggioso, anche se a tratti didascalico, è il suo primo lungometraggio di fiction, Maa Bhoomi (1979, Madre terra), che racconta le lotte contadine nelle aree più arretrate dello Stato dell'Andhra Pradesh agli inizi degli anni Quaranta. Portatore di uno sguardo nuovo è invece Dakhal (1981, L'occupazione), in cui, attraverso le vicende di due amanti appartenenti a caste diverse, la nomade Andi e il contadino Joga, G. descrive con amara ironia il disprezzo della società indiana verso gli intoccabili; un tema che, da allora, è divenuto quasi una costante del suo cinema, raggiungendo un risultato di grande maturità narrativa e stilistica nell'intensissimo Paar (1984, La traversata) che ha consacrato definitivamente il regista. Nel film si raccontano le lotte sindacali in un villaggio di contadini del Bihar, represse dai sicari dei proprietari terrieri: solo Naurangia (Naseeruddin Shah, premiato alla Mostra del cinema di Venezia come miglior attore) si oppone e uccide il fratello del padrone; fugge quindi con Rama, in attesa di un bambino. I due si scontrano con l'ostracismo della società, sin quando, disperati, per raccogliere il denaro con cui far ritorno a casa, accettano di guidare un gregge di maiali da una riva all'altra del Gange. Le sequenze della traversata e le scene finali, in cui la donna, dopo lo sforzo immane, teme di aver perso il bambino, sono pagine cinematografiche indimenticabili e fanno di Paar una sintesi, forse ineguagliata sul piano emotivo, del cinema di G., che alle istanze sociali affianca sempre il senso immanente della trascendenza e della sacralità dell'esistenza umana. Dopo alcune opere documentarie, è ancora sulle rive della 'madre Gange' che G. torna con Antarjali yatra/Mahayatra (1987, Il viaggio nell'al di là), per raccontare la tragica vicenda di una giovane sposa, ambientata nei primi decenni dell'Ottocento. Il film ricostruisce il contesto storico e sociale in cui la casta dei bramini, minacciata nei propri privilegi, utilizza il rituale disumano del sati (in cui la sposa 'virtuosa e devota' si sacrificava lasciandosi bruciare viva sulla pira, accanto alla salma del marito) come strumento per puntellare il proprio potere indebolito. Si tratta di un'opera possente che mette in scena con grande lucidità e passione il conflitto tra destino individuale e legge religiosa, mescolando sapientemente mito, storia e analisi sociale.
Il conflitto tra arcaismo e modernità e il rapporto tra culture diverse sono altri temi forti che scorrono sotterranei in tutta l'opera del regista. Ne è esempio Padma nadir majhi (1992, Il barcaiolo del fiume Padma), che descrive la convivenza tra le due comunità, induista e musulmana, di un villaggio di pescatori, ma anche Gudia (1996, La bambola), dove, tra favola e realismo, G. racconta la difficile transizione culturale e spirituale dell'India contemporanea attraverso la storia di un anziano musicista ventriloquo e del suo giovane assistente.
Pur non avendo mai lavorato direttamente con Ray, G. è stato un suo allievo spirituale e al maestro ha dedicato un film-documento di straordinaria grazia e profondità, intitolato Ray (1998). G. sfoglia il mondo fantasmagorico del grande regista attraverso i suoi red notebooks ‒ i quaderni dalla copertina rossa ‒ fitti di appunti, disegni, poesie, fraseggi musicali, che erano in pratica gli storyboard dei suoi film; sovrapponendo le memorie dell'infanzia di Ray a quelle dell'età adulta, il film ne ripercorre il cammino intellettuale e l'ininterrotta riflessione, laica e spirituale a un tempo.
Dopo aver descritto le classi sociali più umili e degradate, G. ha ritratto per la prima volta il mondo aristocratico e borghese del Bengala con Dekha (2001, Percezioni), che ha per protagonista la figura di un anziano poeta cieco. La partitura musicale del film, privo di un vero centro narrativo, ha assunto un'importanza ancora maggiore che nelle opere precedenti; qui G. ha sperimentato nuove tecniche e nuovi effetti sul piano dell'immagine (in particolare nell'uso del colore, alternando bianco e nero, colori virati e Technicolor) e del suono, servendosi per la prima volta del Dolby "per far sentire il silenzio", come ha detto lo stesso regista alludendo anche alla cecità del personaggio principale.
Ancora un documentario di vibrante denuncia è Kalahandi (2002), che racconta il degrado sociale e ambientale causato dalla corruzione politica in un villaggio della regione dell'Orissa.
Encyclopaedia of Indian cinema, ed. A. Rajadhyaksha, P. Willemen, New Delhi 1994, ad vocem; A. Elena, Cinema indiano, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 4° vol., Americhe, Africa, Asia, Oceania. Le cinematografie nazionali, Torino 2001, pp. 678 e 1213-15.