GAVAZZI
La famiglia di imprenditori serici G. - alla quale, solo per i rami presi qui in considerazione, appartengono oltre una sessantina di esponenti maschi - ha segnato una parte importante della storia industriale, e più in generale economica, della Lombardia dalla metà del XVIII secolo a oggi.
Proprio la creazione di nuclei familiari numerosi, e la conseguente fitta diramazione dinastica, hanno consentito per lungo tempo di attenuare uno dei rischi principali delle imprese a struttura familiare, ossia l'indebolimento delle capacità imprenditoriali tipico della successione di responsabilità gestionali per via unicamente ereditaria. Tuttavia, nonostante la varietà dei caratteri e delle personalità emersi nel corso di più di due secoli, è possibile rintracciare alcuni elementi comuni, in primo luogo l'impostazione ideologica di fondo, che può essere definita come un severo conservatorismo cattolico con forti venature autoritarie, non privo peraltro di interessanti sensibilità e genuine aperture sul piano sociale (pur in una visione di rigida distinzione di classe), anche se i rapporti dei G. con i cattolici e le loro organizzazioni non furono sempre facili. Un altro elemento costante, o quasi, è il coinvolgimento nell'attività bancaria, una caratteristica del resto che appartiene alla tradizione dei setaioli.
La famiglia, i cui antenati possono essere rintracciati sino alla fine del '400, era originaria di Canzo, nel Lecchese, dove la lavorazione della seta è attestata già nel secolo XVI. I G., in origine di condizioni modeste, iniziarono una lenta ascesa sociale grazie anche a una accorta politica matrimoniale, finché Carlo Francesco (Canzo, 1688 - Chiavenna, 1733) intraprese la professione di mercante e verso il 1720 si trasferì a Chiavenna, allora soggetta ai Grigioni e punto di traffico della seta lombarda verso la Germania. Qui nacque Pietro Antonio (Chiavenna, 1729 - Valmadrera, 1797), il capostipite industriale del ramo della famiglia. Rimasto prestissimo orfano di madre e di padre, egli fu allevato dallo zio paterno Filippo, che svolgeva a Canzo l'attività di esattore, ma era pure legato all'ambiente della lavorazione della seta.
Dal ramo di Filippo discende Modesto (Milano, 1828 - ibid., 1868). Patriota e mazziniano, nel 1863 insieme con P. Litta e F. Meazza si recò, con un viaggio avventuroso, a Buchara (oggi Usbechistan) per cercarvi del seme bachi. Venne però fatto prigioniero dal khan locale e rimase in tale condizione per più di un anno. Liberato, pubblicò un minuzioso e interessante resoconto di quell'esperienza.
Anche Pietro Antonio fu esattore in varie località della Lombardia, tuttavia nell'ultimo trentennio del Settecento si impegnò decisamente nel ramo serico, prima come direttore di un filatoio a Valmadrera, poi (dal 1772) prendendone uno in affitto. Altri (tra filande e filatoi) ne seguirono, cosicché il figlio Giuseppe Antonio (Ospitaletto di Lodi, 1768 - Valmadrera, 1835) poté, verso il 1805, acquistare sia un filatoio, di cui già usufruiva in affitto, a Valmadrera (dove tra l'altro si formò una cospicua proprietà terriera), sia una filanda con filatoio sul lago di Como a Bellano.
Divenne così, già nel periodo napoleonico, uno dei maggiori produttori di seta della regione e nel 1820 la sua filanda di Valmadrera, definita dagli esperti "magnifica", era in funzione per tre quarti dell'anno, utilizzando il sistema avanzato di trattura a vapore Gensoul-Bruni.
Nel 1821 Giuseppe Antonio fondò con il patrizio e filandiere Felice Quinterio la Gavazzi e Quinterio, ditta di "banchieri e negozianti in seta", una delle più ricche e attive di Milano, non solo in campo serico se, tra il 1826 e il 1836, attraverso la Società privilegiata dei battelli a vapore, essa gestì, invero con scarsa fortuna, la navigazione sui laghi lombardi, specialmente quello di Como. La Gavazzi e Quinterio si sciolse nel 1844.
Il figlio Pietro (Valmadrera, 1803 - Milano, 1874) - il quale allo scioglimento della Gavazzi e Quinterio costituì nel 1844, in società con il barone I.G. Giani, già socio della ditta precedente, la Pietro Gavazzi e F.lli e poi, da solo, nel 1852 la Pietro Gavazzi - è certo uno degli esponenti più significativi della famiglia.
Egli, che pure operò in anni difficili per il setificio lombardo (in particolare per la malattia del baco), non si limitò ad accrescere le unità produttive e gli impianti (giungendo nel 1872 a disporre di 324 bacinelle di trattura e 20.424 fusi, cui erano addetti 1800 operai), ma avviò nelle sue fabbriche una nutrita serie di miglioramenti tecnologici sin dagli anni preunitari: chiusura degli aspi in cassoni riscaldati a vapore per eseguire la trattura anche d'inverno; impiego di sbattitrici meccaniche e di macchine apposite per l'utilizzazione nel ritorto di sete cinesi e giapponesi (che fu tra i primi a importare); sfruttamento della forza idraulica mediante opere complesse a Bellano (mentre a Valmadrera la meccanizzazione degli impianti era a vapore, con l'uso di avanzate caldaie di fabbricazione estera).
La figura di Pietro emerge bene dalle sue interessanti deposizioni, rese nel corso dell'inchiesta industriale del 1870-74: piena adesione ai principî del libero scambio pur in un clima sempre più protezionista (e tale rimase, anche in seguito, la posizione "ufficiale" della famiglia); atteggiamento inflessibile nei confronti delle agitazioni operaie ma nel contempo preoccupazione - di cui è testimonianza la creazione a Valmadrera di quella che è stata definita una "città sociale" - per le condizioni materiali e morali dei lavoratori, sino al punto da richiedere un'età minima per l'ingresso in fabbrica. Pietro, che aveva istituito una scuola primaria per i suoi operai in tempo di lavoro, era interessato alla formazione di un'adeguata istruzione professionale e a questo fine collaborò assiduamente all'attività della Società d'incoraggiamento d'arti e mestieri di Milano, come fecero in seguito i suoi discendenti.
Oltre che dedicarsi alle attività bancarie (nel 1872 partecipò alla fondazione del Banco seta lombardo), Pietro fu consigliere comunale di Milano, inaugurando quell'impegno in campo amministrativo e politico che divenne una costante della tradizione di famiglia. Nel 1869, infine, egli spinse due suoi figli, neolaureati in ingegneria, Egidio (Milano, 1846 - ibid., 1910) e Pio (Milano, 1848 - Desio, 1927), ad aprire a Desio una tessitura con 12 telai meccanici Honegger, iniziando così a colmare il grave ritardo che affliggeva il setificio italiano nel campo della tessitura meccanica.
Con la fondazione, il 17 genn. 1870, della collettiva Egidio e Pio Gavazzi (la tessitura meccanica di Desio) si ebbe una prima suddivisione dell'antica azienda familiare in varie componenti. La nuova azienda dei figli di Pietro (divenuta accomandita nel 1872 e società anonima nel 1909, con un capitale di 7 milioni di lire) dopo alcune difficoltà iniziali conobbe una continua crescita degli impianti: 200 telai meccanici nel 1880, 600 nel 1890, 1000 nel 1898 (con una produzione annua di circa 3 milioni di metri di stoffa), mentre gli operai, che erano già oltre 2000 nel 1895, salirono a 4700 nel 1906, divisi in quattro stabilimenti, di cui uno nel Trentino, ancora soggetto all'Impero asburgico.
L'impresa era ormai la più importante in Italia tra le manifatture seriche e dava luogo a una ingente esportazione, anche negli Stati Uniti. La sua produzione, prevalentemente incentrata sulla stoffa per ombrelli, si era intelligentemente rivolta ad articoli semplici e di costo contenuto: "l'abilità di questi industriali si afferma principalmente nel disporre nelle loro stoffe la quantità di seta strettamente necessaria alla destinazione di esse, cioè nell'impiegarvi la seta in così giusta misura che il costo delle stoffe risulti necessariamente limitatissimo" (Pinchetti, 1899, p. 58).
Artefice principale di questa strategia di sviluppo orientata al buon mercato e al consumo di massa fu indubbiamente Egidio, tanto conservatore in politica (così da sostenere gli elementi liberali moderati e inimicarsi i cattolici astensionisti), quanto flessibile e progressivo a livello imprenditoriale. Fu promotore tra l'altro di varie banche locali cattoliche, tra le quali nel 1909 la Cassa rurale di Desio, divenuta nel 1921 la cooperativa anonima Cassa rurale di depositi e prestiti in Desio e, infine, nel 1926 società anonima come Banco di Desio. Quest'ultimo, assorbendo nel 1967 la Banca della Brianza, assunse la denominazione di Banco di Desio e della Brianza ed è ancor oggi uno dei più importanti medi istituti di credito privati italiani, sempre controllato dai discendenti di Egidio.
Alla morte di Egidio, nel 1910, l'azienda fu diretta dal fratello Pio, dal figlio di quest'ultimo Antonio (Milano, 1875 - ibid., 1948) e dai figli di Egidio Simone (Desio, 1878 - Santa Margherita Ligure, 1963) e Luigi (Desio, 1880 - Sanremo, 1917).
Quest'ultimo, morto prematuramente, acquisì una certa notorietà per il suo matrimonio con Andreina Costa Kuliscioff (figlia naturale di Andrea Costa e Anna Kuliscioff), che prima delle nozze si convertì al cattolicesimo ed ebbe fra i suoi figli Egidio, futuro abate di Subiaco.
Il cambio di gestione non influì inizialmente sull'espansione dell'impresa, che allo scoppio della prima guerra mondiale arrivò a contare oltre 1800 telai meccanici. Tuttavia la crisi del dopoguerra e le agitazioni sociali che la accompagnarono toccarono pesantemente la Egidio e Pio Gavazzi: tra il 1919 e il 1922 lo scontro, in particolare con i sindacati cattolici, si fece aspro e i G. non esitarono a fare ricorso alle squadre fasciste. La normalizzazione sociale instaurata dal fascismo non risollevò, peraltro, le sorti della ditta, che tra il 1926 e il 1938 conobbe sette anni di forti perdite di bilancio. Anche nel secondo dopoguerra - nonostante successive drastiche ristrutturazioni che portarono nel 1970 i telai a meno di 300 e i dipendenti a poco più di 200 - questa azienda visse in una condizione di crisi cronica (tra il 1952 e il 1971 si verificarono ben quattordici anni di perdite). Neppure l'assunzione della presidenza nel 1971 da parte di un valido e coscienzioso imprenditore come Pietro (Desio, 1913 - Milano, 1983) - figlio di Luigi e di Andreina Costa - riuscì ad arrestare il declino dell'azienda, che chiuse definitivamente nel 1992.
Altro figlio di Egidio fu Giuseppe (Milano, 1877 - Desio, 1949), senatore dal 1939. Egli, laureato in ingegneria elettrotecnica, collaborò dapprima all'azienda paterna (dove progettò nel 1905 il primo impianto di tintoria), ma prese ben presto altre strade. A partire dal 1907, quando diventò direttore generale della Dinamo, si impegnò nell'industria idroelettrica, dove si distinse sia nella direzione di importanti lavori per lo sfruttamento delle acque, sia per la sua capacità di gestire rapporti con enti pubblici e privati. Giuseppe ritornò poi al tessile, entrando nell'azienda fondata da Alessandro Rossi, il Lanificio Rossi; benché interessato a diverse altre imprese (tra le quali il Banco ambrosiano e la Società Bemberg), fu al Lanificio Rossi, di cui nel 1937 riuscì ad acquisire la maggioranza, che dedicò le sue maggiori energie.
Consigliere dal 1913, consigliere delegato dal 1916 e infine presidente dal 1945, segnò, nella buona e nella cattiva sorte, le vicende del lanificio di Schio. La sua gestione trovò critici severi (e interessati, come Gaetano Marzotto, il quale, tra il 1928 e il 1932, tentò inutilmente la scalata al Lanificio e di scalzare Giuseppe), è indubbio, però, che la sua opera non fu priva di aspetti e indirizzi innovativi e originali quali il raggiungimento dell'autosufficienza elettrica per gli stabilimenti, la creazione di industrie ausiliarie, investimenti nella ricerca nel campo delle fibre tessili. Di singolare perspicacia furono le sue iniziative per incrementare i rapporti commerciali con l'Unione Sovietica, tramite la fondazione, nel 1921, della Compagnia industriale commercio estero (CICE) e, nel 1925, della Irtrans, joint-venture con l'URSS per il transito delle merci dalla Persia. Allargò poi i suoi interessi in altri settori, acquistando cliniche e miniere in Alto Adige, dove installò moderni impianti. La nomina a senatore coronò il prestigio di cui già godeva: in gioventù era stato consigliere comunale di Milano (1905-10) e assessore nella giunta Ponti (1907-09); nonché consigliere comunale di Desio (1920-26).
Alla morte di Giuseppe, il figlio Rodolfo (Desio, 1908 - Milano, 1995) continuò a occuparsi del Lanificio Rossi (fino a che nel 1962 l'azienda, ormai in crisi, entrò nel gruppo Ente nazionale idrocarburi [ENI]), mentre l'altro figlio Franco (Desio, 1904 - Monza, 1984), incline peraltro più a interessi culturali che imprenditoriali, rimase nel consiglio dell'Egidio e Pio Gavazzi.
Ritornando alla ditta originaria Pietro Gavazzi - che dopo la morte del suo fondatore, nel 1874, fu diretta dai figli Carlo (Valmadrera, 1832 - Milano(?), 1878) e Giuseppe (Valmadrera, 1831 - Milano, 1913) -, questa continuò, nel ramo della filatura serica, la sua crescita e nel 1900 comprendeva 12 stabilimenti fra tratture e torciture (si tenga però presente che le unità produttive dedite alla trattura potevano variare molto spesso), dando lavoro a 5000 operai. Nel 1918 l'accomandita fu trasformata in società anonima, con un capitale di lire 3.600.000 e fu nominato presidente il figlio di Giuseppe, Lodovico (Milano, 1857 - Bellano, 1941), che tenne tale carica fino alla morte.
In realtà, Lodovico, pur occupandosi dell'azienda di famiglia, nutriva piuttosto interessi bancari e politici. Entrato nei primi mesi del 1912 nel consiglio di amministrazione della Società bancaria italiana, nel 1915, dopo la fusione di quest'ultima con la Banca italiana di sconto, fece parte di quel consiglio e fu così coinvolto nel rovinoso crollo del 1921, da lui attribuito alla subdola azione antipatriottica delle banche concorrenti, in particolare della Banca commerciale italiana. Messo sotto accusa davanti al Senato - di cui faceva parte -, riunito in Alta Corte di giustizia, fu assolto nel 1926, benché, al di là delle responsabilità penali, sussistessero numerosi dubbi sull'opportunità e la convenienza di certe sue operazioni gestionali proprio nell'imminenza della caduta della banca. Fu anche a lungo consigliere e presidente della Banca Vonwiller.
Lodovico fu deputato per il collegio di Lecco dal 1892 al 19o9 e, come si è già detto, senatore dal 1910; uomo della Destra cattolico-liberale, si mise in luce in Parlamento denunciando nel dicembre 1892, insieme con N. Colajanni, lo scandalo della Banca Romana. Si oppose sia all'avventurismo coloniale di F. Crispi, sia al sistema di potere giolittiano, anche se la sua visione politica non fu sempre né lucida né coerente, oscillando tra l'esaltazione del modello della pacifica Svizzera (cfr. San Mun e l'esportazione delle sete…, 1899) e il nazionalismo aggressivo di cui fu portavoce la Banca italiana di sconto; costante e decisa fu invece la sua difesa del liberismo economico.
Superata la prima guerra mondiale, la Pietro Gavazzi attraversò, come del resto la consorella Egidio e Pio Gavazzi, momenti difficili, aggravati nel suo caso (era un'impresa di sola filatura) dall'ormai difficile reperimento di materia prima di produzione nazionale. Nel 1923 fu introdotta la ritorcitura di filati di seta artificiale e da allora si impiegarono fibre miste. La nuova produzione, se non impedì negli anni Trenta una serie di bilanci passivi, si accompagnò a un ampliamento degli impianti: tra il 1931 e il 1939 i fusi passarono da 40.000 a 50.000. Invece il secondo dopoguerra - quando alla testa dell'azienda si trovarono i figli di Lodovico, Emanuele (Milano, 1885 - ibid., 1950) e Pio (Milano, 1888 - ibid., 1970) - fu, salvo la seconda metà degli anni Cinquanta, disastroso (sette anni di perdite tra il 1961 e il 1968) e si concluse con l'inevitabile chiusura della più antica delle imprese Gavazzi
Un'altra azienda della famiglia G. fu fondata nel 1881 dall'ingegner Piero (Milano, 1854 - ibid., 1932), figlio di Giuseppe (1831-1913), a sua volta figlio di Pietro. Piero costituì la società in accomandita semplice Gavazzi e C., con un capitale di 90.000 lire, per la fabbricazione di nastri di seta, allora articolo di grande smercio.
Nel 1900 era già la più importante d'Italia, produceva, con macchine moderne anche per il finissaggio, nastri di seta pura e mista per cappelleria, e nei due stabilimenti di Valmadrera e Calolzio (oggi Calolziocorte) contava 225 telai e 500 operai. Pochi anni dopo Piero decise di abbandonare i nastri per cappello e quelli fantasia (dove era insostenibile la concorrenza svizzera e francese), per dedicarsi al più semplice articolo "unito" per biancheria, per il quale trovò ampi sbocchi di mercato in Inghilterra e America del Nord. Fu una scelta felice, perché alla vigilia della prima guerra mondiale la ditta disponeva di circa 700 operai e oltre 300 telai meccanici. Nel 1923 l'impresa assunse la forma di anonima, con un capitale di un milione di lire, e nel 1927, dopo la fusione con un'azienda di Sesto San Giovanni, diventò Nastrifici italiani riuniti (capitale di lire 3.920.000), portando il numero dei telai a 550.
Fu però un'esperienza societaria breve, perché nel 1932, alla morte di Piero, fu creato il Nastrificio italiano ing. Piero Gavazzi (capitale di lire 2.260.000), che disponeva solo di 300 telai, e di cui fu consigliere delegato e poi presidente il figlio di Piero, Giuseppe (Milano, 1883 - Lecco, 1957). In realtà, era ormai iniziato il declino dell'azienda (nel 1952 non rimanevano che 116 telai), in quanto l'articolo dei nastri di seta, così diffuso e apprezzato nell'Ottocento e all'inizio del Novecento, stava scomparendo dalle abitudini dei consumatori. Solo molto più tardi l'impresa, come Nastrificio Gavazzi spa, riuscì a convertirsi in tessitura di filati di vetro. In questo senso appare tanto più tempestiva e coraggiosa la decisione dell'altro figlio di Piero e fratello di Giuseppe, Carlo (Milano, 1894 - ibid., 1957), di uscire nel 1931 dall'impresa di famiglia, dedicandosi a tutt'altra attività.
In quell'anno infatti egli fondò la Carlo Gavazzi, una ditta per l'importazione dagli Stati Uniti di bruciatori a nafta per riscaldamento, equipaggiati con strumentazione della Minneapolis-Honeywell Regulator Company. Poco dopo ottenne l'esclusiva di questi apparecchi e, passato il difficile intermezzo della seconda guerra mondiale, cominciò a importare strumentazione industriale e suoi componenti, sempre dell'americana Honeywell. Infine, nel 1953, fu in grado di costruire a Milano il suo primo stabilimento per la produzione di pannelli cablati, assicurandosi l'anno seguente una grossa fornitura per la Mobil Oil di Napoli. Erano così poste le basi per il successivo sviluppo, che la sua morte non rallentò: sotto la guida del figlio Riccardo (nato nel 1925) la Carlo Gavazzi divenne una grande multinazionale della strumentistica industriale di alta tecnologia.
Più casuale, e legata a circostanze ereditarie, fu l'esperienza di un altro esponente della famiglia G., Egidio (Milano, 1907 - Saint-Moritz, 1987), figlio di Giovanni Battista (1882-1935), a sua volta figlio di Egidio, fondatore dell'Egidio e Pio Gavazzi, e di Rosa Pirelli.
Come nipote del senatore G.B. Pirelli, entrò in quell'azienda nel 1930, ricoprendovi fino al 1948 varie cariche direttive. Nominato amministratore delegato e poi presidente della Pirelli brasiliana, risiedette in Sudamerica fino al 1958. Ritornato in Italia, fu nominato direttore generale e in seguito socio accomandatario della Pirelli e C. e, come rappresentante di questa impresa, sedette nei consigli di amministrazione di varie società italiane.
Una valutazione complessiva e globale della famiglia G. dal punto di vista storico-economico e, soprattutto, da quello della storia imprenditoriale, è resa difficile sia dal lunghissimo arco cronologico preso in considerazione, sia dalla quantità dei personaggi appartenenti alla dinastia, sia, infine, dallo sbilanciamento delle fonti, che ovviamente sono molto più cospicue a proposito delle personalità che ebbero anche rilievo politico (come Giuseppe e Lodovico), e assai più scarne quando si tratti di esaminare la validità delle strategie imprenditoriali e della loro attuazione.
In linea generale il caso dei G. sembrerebbe un esempio tipico di connessione tra impresa-famiglia-settore, laddove il settore è quello serico, di cui la famiglia-impresa segue la parabola prima ascendente e poi ripidamente discendente. In verità, le capacità di reazione dei membri della famiglia G. alle spinte depressive sul piano economico e sociale originate dal settore declinante si rivelarono, in genere, abbastanza brillanti, grazie a una precoce diversificazione degli investimenti. A parte il caso veramente straordinario e unico della Carlo Gavazzi, in cui vi è la costruzione personale e a proprio rischio di una nuova tradizione imprenditoriale, dobbiamo ricordare la continua e parallela attività bancaria della famiglia o le "escursioni", pur nei momenti di maggior espansione del setificio, in settori in ascesa (come quello elettrico poi laniero con Giuseppe) o molto lontani dal tessile (si pensi alle società per la lavorazione del legno nonché a quelle tramviarie, dell'acqua potabile, della distribuzione di energia elettrica, del gas create da Egidio, fondatore dell'Egidio e Pio Gavazzi). È probabile che questa moderata divaricazione di interessi, insieme con i motivi già ricordati (quale la "politica demografica" interna della famiglia) abbia costituito un fondo di riserve finanziarie in grado di attutire il peso negativo delle ingenti perdite provocate dall'involuzione economica settoriale o da errori imprenditoriali.
Si ricordano alcuni scritti dei G.: di Egidio e Pio, Sul dazio d'importazione delle sete tinte. Risposta all'opuscolo della Tintoria Comense…, Milano 1881; di Giuseppe (1831-1913), quale relatore delle seguenti opere: Relazione per il canale dell'istmo di Suez. Relazione del delegato della Camera di commercio ed arti del circondario di Como, Como 1865; Comitato promotore della Ferrovia economica Como-Erba-Lecco, Notizie sul progetto degli ingegneri Arpesani e G., Milano 1880; di Lodovico: Sui provvedimenti finanziarii. Discorso… pronunziato alla Camera dei deputati nella seduta del 20 giugno 1894, Roma 1894; Discorso agli elettori di Lecco pronunciato nel teatro Sociale di Lecco il 6 gennaio 1895…, Lecco 1895; San Mun e l'esportazione delle sete chinesi per l'Italia, in Nuova Antologia, 1° aprile 1899, pp. 563 ss.; Il problema serico italiano. Conferenza tenuta… il 3 febbraio 1911 alla sede della Società degli agricoltori italiani, Milano 1911; Nell'imminenza del giudizio avanti l'Alta Corte di giustizia. Gennaio 1926. Colle conclusioni della relazione peritale, ibid. s.d. [1926]; Pro sericoltura. Discorso, Roma 1932; di Modesto: I prigionieri italiani a Bocara. Lettera… al commendatore C. Negri, Torino 1864; Alcune notizie raccolte in un viaggio a Bucara…, Milano 1865; di Piero (1854-1932), come relatore: Associazione dell'industria e del commercio delle sete in Italia, Petizione al Parlamento sul disegno di legge… seduta del 26 marzo 1892. Provvedimenti per gli infortuni nel lavoro, ibid. s.d. [1892].
Fonti e Bibl.: L'archivio privato della famiglia G. è conservato a Valmadrera presso alcuni discendenti, ma non è di agevole accesso. A Milano un altro discendente, Gerolamo Gavazzi, ha compiuto, valendosi dell'opera di G. Mauri, una poderosa opera di raccolta presso numerosi archivi e biblioteche di documenti sulla famiglia, disponibili in fotocopia. Sia il Mauri, sia il Gavazzi hanno prodotto alcune sintesi dattiloscritte inedite, che qui sono state utilizzate. Cfr. inoltre Arch. di Stato di Milano, Commercio, parte moderna, c. 236; Milano, Arch. storico della Banca commerciale italiana, Milano, Verbali del Comitato locale, 1895-1904; Verbali del Comitato della direzione centrale, 1923; P G, c. 4; Ufficio studi, c. 29 bis; Ibid., Arch. storico della Camera di commercio, Elenco delle ditte, 1766-1926; Registro generale, 1879-91; ibid., 1891-96, bobine 25, 124, 219; Ibid., Biblioteca del Museo di storia del Risorgimento, foglio volante n. 16626. Vedi anche: Relazione statistica della Camera di commercio ed arti del circondario di Lecco al r. ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Lecco 1875, p. 38; A. Balbiani, Como, il suo lago, le sue valli e le sue ville, Milano-Napoli 1877, pp. 321 s., 327; Pietro Gavazzi [ditta], Codice telegrafico per gli ammassi gallette, Milano s.d. [1890?]; Eccelsa Presidenza della Camera dei deputati, Lecco s.d. [1892]; Nuovi deputati, in L'Illustrazione italiana, 29 genn. 1893, p. 78; P. Pinchetti, Le stoffe di seta all'Esposizione, V, in Como e l'Esposizione voltiana 1899, 8 lug. 1899, p. 58; Exposition universelle de Paris 1900, Industrie séricole italienne. Catalogue des exposants, Milan s.d., pp. 92, 172 s.; G.L. De Angelis, Il padiglione delle industrie seriche alla Esposizione di Milano 1906, Milano 1906, pp. 78, 172 s.; Egidio Gavazzi. In memoriam, Milano s.d. [1910]; I nuovi senatori nominati il 26 gennaio, in L'Illustrazione italiana, 6 febbr. 1910, p. 128; Manuale della provincia di Como pel 1911, Como 1911, pp. 558, 583; L'opera degli ex allievi del Politecnico milanese nei campi delle pubblicazioni, delle industrie e delle costruzioni durante il primo mezzo secolo di vita della scuola…, Milano 1914, pp. 171 s.; Banca commerciale italiana, Cenni statistici sul movimento economico dell'Italia…, Milano 1915, p. 272; M.V. Gastaldi, Un poderoso organismo industriale per il commercio estero. La Società anonima CICE di Milano, in L'Illustrazione italiana, 13 dic. 1925, pp. 497-506; Giuseppe G., in Laniera, LXIII (1949), 9, p. 629; Giuseppe Gavazzi. In memoriam, Milano 1952; E. Guicciardi, La nuova casa della "Milano", Milano 1963, pp. 28 s., 31, 35; Confederazione generale dell'industria italiana, Creatori di lavoro, Roma 1968, pp. 277 s.; V. Poggiali, Storia della Banca Morgan Vonwiller, Milano 1969, pp. 50 s., 89; B. 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