Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’esperienza secentesca del giornale erudito dà vita nel XVIII secolo al giornale d’opinione con il quale prende forma sia l’immagine del letterato giornalista sia quella del pubblico.
Organo della repubblica delle lettere, il “Journal des Sçavans” propone, verso la fine del XVII secolo, una forma di comunicazione erudita volta alla recensione delle opere a stampa e alla discussione delle esperienze scientifiche, sebbene queste ultime siano più diffusamente trattate nelle coeve Philosophical Transactions. A questo esempio guardano i periodici del primo Settecento che, sottoposti in Italia all’egemonia del buon gusto muratoriano, si propongono come biblioteche volanti del savant. Nella prima metà del secolo, da Venezia a Pisa, escono i “Giornali de’ letterati” con cadenza periodica approfondendo i modelli della relazione bibliografica. Relazione non sconosciuta alla “Bibliothèque ancienne et moderne” di Le Clerc ora in ampi resoconti dei libri trattati, ora in quella di una succinta ma argomentata novella letteraria.
A questo tipo di recensioni fanno allusione fin dal titolo le fiorentine “Novelle letterarie” di Giovanni Lami, debitrici delle “Nouvelles de la république des lettres”. Sotto il luogo di provenienza del libro o dell’esperienza scientifica le “Novelle letterarie” ospitano brevi commenti ispirati al taglio soggettivo di un’indagine che, passando dagli scavi di Ercolano ai problemi del commercio, si presenta al lettore con cadenza settimanale.
Prima che in Italia la funzione erudita del giornale decada come strumento dell’uomo di lettere a commento della sua biblioteca mentale, in Europa si afferma il letterato-giornalista coinvolto nel progetto del giornale d’opinione. Con la maschera dell’osservatore disincantato e arguto degli eventi della quotidianità, nasce nel 1711 lo “The Spectator” di Joseph Addison. Questa rivista discute con i suoi 2000 abbonati e ipotetici 60 mila lettori, fra Londra e Westminster, il progetto della propria opera improntato alla ripresa settecentesca dell’ utile dulci, affermando: “Dal momento che mi sono venuto raccogliendo un uditorio così vasto, non risparmierò fatiche per rendere gradevole l’istruzione e utile il divertimento. Per tali ragioni, cercherò di ravvivare la moralità con lo spirito e di temperare lo spirito con la moralità”.
Intorno alle riviste si raccoglie il pubblico dei sottoscrittori che rappresenta un vero e proprio movimento d’opinione sollecitato dalle idee dibattute. È allora che l’arguta divulgazione di “The Spectator” lascia il posto alle ragioni della polemica e della controversia. Lo scontro fra l’ Encyclopédie, in uscita periodica dal 1751 al 1780, e il “Journal de Trevoux” degli animosi Gesuiti di padre Berthier rappresenta il coinvolgimento del giornale nella battaglia ideologica che vede gli apologeti cattolici opporsi al partito dei Lumi, con acute quanto astiose recensioni del primo volume del famoso Dictionnaire.
Il progetto illuminista, anche se sottoposto ai giudizi prima scettici poi finalmente positivi del “Journal des Sçavans” e al più caloroso sostegno della “Correspondance littéraire” del Grimm, trova a Venezia le entusiastiche accoglienze di Elisabetta Caminer, la quale ridefinisce il “Giornale enciclopedico”, fondato dal padre Domenico, proprio in adesione allo spirito filosofico dell’ Encyclopédie. Ormai la battaglia ideologica fa del giornale il luogo in cui vengono discusse le idee dei riformatori non accolte nelle aule universitarie.
Allo spazio gerarchizzato dell’accademia si sostituisce l’arengo più democratico delle gazzette, dove la controversia erudita si muta nella divulgazione di un progetto scientifico. Progetto atto a sottolineare ora i meriti della fisiocrazia e del liberismo, ora quelli delle scoperte mediche, non ultima quella dell’inoculazione del vaiolo. Dal “Giornale d’Italia” del fisiocratico veneto Griselini al “Caffè” dei Verri e di Beccaria i giornali annunciano con le idee dei Lumi una nuova pratica di scrittura improntata al colloquio istruttivo con il lettore.
A questo proposito, si pensi a giornali tedeschi quali “Der Patriot”, “Der Biedermann”, “Der Freigeist” e “Der Weltbürger”. Gli articoli appaiono concisi e densi, oltre a essere distribuiti lungo un orizzonte di interessi, che va dall’economia alla letteratura; si propongono inoltre una diversa accezione della brevitas definita, non nell’oscurità sublime dell’assunto, ma dalla capacità di fornire al lettore molte notizie in poco spazio, e senza annoiarlo.
Infine, con “Osservatore veneto” di Gasparo Gozzi ritorna in Italia l’immagine dell’arguto “spettatore” degli eventi sociali, annunciata da Addison all’inizio del secolo e filtrata dal gusto ritrattistico della Venezia dei caffè e dei teatri.
Il 1° marzo 1711 Joseph Addison si presenta al lettore di “The Spectator” fornendogli brevi e succose notizie sulla sua persona e sul suo abito mentale, quale osservatore degli uomini. L’incipit della rivista, più narrativo che ideologico, è segno di quello stile conversevole da coffee house che costituisce la principale novità dei periodici del Settecento.
Il direttore della rivista parla di sé raccontando affabilmente al lettore il piacere di frequentare il caffè di St. James, quello del Greco e dell’Albero del Cacao, senza disdegnare, quando lo desideri, di recarsi nei teatri di Drury Lane o nello Hay Market.
Ma il luogo che consolida l’ottimismo di Addison è la Borsa, centro pulsante del liberismo economico che fa ricca l’Inghilterra e sontuosa la tavola dei suoi più fortunati cittadini: “Questa grandiosa scena d’affari m’offre un’infinita varietà di solidi e sostanziosi svaghi. Essendo io un grande amante dell’umanità, il mio cuore trabocca di piacere alla vista di una prospera e felice moltitudine, a tal segno che in molte pubbliche solennità io non so trattenermi dall’esprimere la mia gioia con lacrime che inavvertitamente mi son corse giù per le guance”. Il titolo di homo oeconomicus si confonde con quello del filantropo, contribuendo a disegnare i tratti di un uomo di lettere che spesso viene scambiato dai londinesi per un sobrio e appagato mercante.
Joseph Addison
Lo Spettatore
Siccome sir Roger è il proprietario terriero di tutta l’accolta dei fedeli, mantiene tra loro un’eccellente disciplina, e non tollera che alcuno dorma in chiesa oltre lui stesso: ché se per caso si lascia sorprendere da un pisolino durante la predica, al suo riscuotersi s’alza e si guarda attorno, e se vede sonnecchiare alcun altro, o lo sveglia lui stesso, o manda da lui i suoi servi. In queste occasioni si manifestano parecchi altri vezzi del vecchio cavaliere: talvolta egli allunga un versetto nei salmi cantati, per mezzo minuto dopo che il resto dei fedeli ha finito; talvolta, quando gli piace il tema della sua divozione, dice amen tre o quattro volte alla stessa preghiera; e talvolta sta in piedi quando tutti gli altri sono in ginocchio, per contare i fedeli, o vedere se nessuno dei suoi fittaiuoli manca.
Ieri rimasi molto sorpreso a udire il mio vecchio amico, nel bel mezzo dell’ufficio divino, gridare a un tale John Matthews di guardare a quel che stava facendo e di non disturbare i fedeli. Pare che questo John Mathews si faccia notare per la sua indolenza, e in quel punto stava battendo insieme i calcagni per ammazzare il tempo. Quest’autorità del cavaliere, sebbene esercitata in quel modo bizzarro che l’accompagna in tutte le circostanze della vita, ha un ottimo effetto sui parrocchiani, che non sono abbastanza inciviliti per vedere alcunché di ridicolo nella sua condotta; inoltre il generale buon senso e la dignità del suo carattere fan sì che i suoi amici considerino queste piccole singolarità come cose atte a dar risalto anziché offuscare le sue buone qualità.
Appena è finita la predica, nessuno presume di muoversi finché sir Roger non è uscito di chiesa. Il cavaliere s’allontana dal suo posto nel presbiterio tra la doppia fila dei suoi fittaiuoli, che stanno a testa china da ambo i lati; e di tanto in tanto s’informa da qualcuno come sta la moglie, o il figliolo, o il padre, che egli non scorge in chiesa; e s’intende che questo è un velato rimprovero alla persona che è assente.
Il cappellano mi ha detto sovente, che qualche giorno di catechismo, quando sir Roger è rimasto contento di un ragazzo che rispondeva bene, ha ordinato che il dì seguente gli fosse data una bibbia per incoraggiarlo; e talvolta l’accompagna con un intero pezzo di pancetta magra per sua madre. Sir Roger ha pure aggiunto cinque sterline annue al posto di scrivano parrocchiale; e per incoraggiare i giovani a rendersi perfetti nel servizio della chiesa, ha promesso che alla morte del presente titolare, che è molto vecchio, assegnerà quel posto al più meritevole.
J. Addison, Lo Spettatore, a cura di M. Praz, Torino, Einaudi, 1982
Osservatore dei costumi, Addison definisce il proprio intervento critico nella descrizione dei membri del club dello “Spectator” e nella critica allo spirito di partito, sebbene egli sia molto vicino ai Whigs; l’autore inoltre osserva, in maniera pungente e pacatamente divertita, la vita nella villa di Sir Roger, i costumi femminili e quella malattia del secolo che è l’ipocondria o mal inglese.
In “The Spectator” il principio narrativo non è poi soltanto una necessità divulgativa, perché alcuni dei suoi personaggi hanno la vita fittizia degli eroi dei romanzi che devono morire quando l’autore scelga per loro questo destino.
Tale è il caso di Sir Roger de Coverly, baronetto di antica stirpe e gentiluomo molto singolare, costretto a morire, nonostante il suo favorevole senso della vita e le salubri fatiche cinegetiche in osservanza dei principi galenici di Sydenham, giovedì 17 ottobre 1712 nel numero 517 del giornale. La notizia è offerta ai lettori con il distaccato cordoglio di un sobrio necrologio: “Iernotte avemmo al nostro club una brutta notizia che afflisse profondamente ognuno di noi. Non dubito che anche i miei lettori si sentiranno turbati a udirla. Per non tenerli più sospesi, Sir Roger da Coverly è morto. Abbandonò questa vita nella sua casa di campagna dopo alcune settimane di malattia”.
L’uscita di scena di Sir Roger, dopo quella del sacerdote nel numero 513, anticipa quella degli altri personaggi e finalmente la cessazione del giornale che si congeda dai suoi lettori il 6 dicembre 1712. Lasciato il pubblico londinese, “The Spectator” incontra grazie alle numerose traduzioni il favore dei lettori europei, diventando nell’arco di alcune decine di anni il modello per la stampa periodica.
A più di cinquant’anni di distanza dal successo di “The Spectator”, l’Accademia dei Pugni, meglio conosciuta nell’Europa di Voltaire come l’ école de Milan, dà vita al grande esperimento giornalistico del “Caffè” che raccoglie nei suoi articoli il pensiero riformatore di Cesare Beccaria e di Alessandro e PietroVerri.
La rivista milanese, volgendosi sia all’ understatement narrativo di “The Spectator” sia alla metodica divulgativa dell’ Encyclopédie, ripropone i tempi della civile e libera conversazione delle coffee houses sotto la regia di Demetrio caffettiere, maschera di Pietro Verri e affabile voce narrante.
Sottoposto al fine della pubblica utilità, l’intento divulgativo del “Caffè” si fa visibile fin dal proemio volto a stabilire con il lettore un colloquio vivace e istruttivo. Mediante il sapiente uso della figura retorica dell’ occupatio, costruita sull’anticipo dei dubbi e delle domande dell’interlocutore, Pietro Verridichiara gli scopi del giornale: “Il fine di una aggradevole occupazione per noi, il fine di fare quel bene che possiamo alla nostra patria, il fine di spargere delle utili cognizioni fra i nostri cittadini come già altrove fecero e Steele, e Swift, e Addison e Pope”. La riproposizione dell’ utile dulci ritorna con i volti affabili degli amati autori inglesi nel progetto di una rivista che sa di dovere non solo soddisfare il palato del proprio pubblico, ma anche crearselo tout court, vista la premessa dei fortunati modelli di “The Spectator” e del “Tatler” di Steele.
Nell’articolo “Dei fogli periodici”, che fa leva sull’incostanza del carattere femminile, è dunque il pubblico delle donne a essere lusingato, anche se a quest’ultimo si addice maggiormente la lettura di un’agile rivista che quella di un libro di scienza. Se Addison scherzava in “The Spectator” a proposito della frivola composizione della biblioteca di una dama, gli autori del “Caffè” sono benevolmente consapevoli del fatto che il successo del loro giornale non può ignorare le ragioni della moda, assai care al sesso femminile.
Nello stesso articolo viene tracciata un’interessante distinzione fra il pubblico del giornale e quello del libro, che segna il massimo distacco dall’idea del “Journal des Sçavans” pensato come almanacco librario. Il giornale giunge laddove il libro potrebbe fermarsi, fermato solo dall’incostanza e dalla pigrizia mentale del lettore. Grazie alla saltuaria e colta brevità dei suoi articoli, il “Caffè” si appresta a incontrare questo pubblico per sedurlo con una sintesi senza forti rimproveri: “Ma un foglio periodico che ti si presenta come un amico, che vuol quasi dirti una sola parola all’orecchio e che or l’una or l’altra delle utili verità ti suggerisce non in massa, ma in dettaglio […] è per lo più ben accetto e ben ascoltato”.