Vedi GELA dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
GELA (Γέλα)
È una colonia rodio-cretese fondata circa il 689-688 a. C. Gli oikistài sono stati Antifemo ed Entimo, i quali scelsero il sito della loro colonia su una bassa ed allungata collina sul lato occidentale della foce del fiume Gela, in una zona tra le più ricche della Sicilia.
Dai primi momenti della fondazione si ebbero lotte con gli indigeni, Siculi e Sicani, e di queste lotte si conserva un ricordo nella conquista di Omphake da parte di Antifemo (Paus., viii, 46) e di Anaiton (Lind. Chron., xxv). Con la metà del VII sec. a. C., se non prima, s'inizia il cammino di penetrazione nell'interno: in questo periodo assistiamo alla trasformazione dei centri indigeni di Butera, di M. Bubbonia, di M. S. Mauro, di Caltagirone, di M. Eknomos e di M. Saraceno, centri disposti, talvolta, ad oltre 30 km dalla costa ed a più di 50 km dalla colonia di G. lungo la costa stessa. Con l'inizio del VI sec. a. C. l'intera fascia costiera e una larga fascia interna era già in possesso dei Geloi. La fondazione di Agrigento segna appunto il massimo sviluppo di questa espansione. Mentre la prima fase dell'espansione si dirige a N e ad O, con il cadere del VI sec. a. C., G. si spinge, sotto la guida di tiranni come Cleandro e Ippocrate, verso oriente; Zankle, Naxos, Katane, Leontinoi e Siracusa formano infatti le mire della nuova politica di Ippocrate. È il momento in cui ogni tentativo di penetrare ad occidente dell'Himera inferiore è bloccato già da tempo dalla politica di Agrigento. Con il 485 il tiranno Gelone si sposta a Siracusa, ma G. conserva ancora il grande peso nella politica siceliota: il convegno di pace del 424 si tiene infatti a Gela. Nel 480 la sua cavalleria ha una grande importanza nella battaglia dell'Himera. Soltanto la grande disfatta del 405 a. C. tronca per oltre cinquanta anni la vita di G. che non riesce a rimettersi che nel 339-338, sotto l'impulso dell'attività di Timoleonte nelle città distrutte dai Cartaginesi. È in questo momento che la città si decide ad allargare la sua linea fortificata. L'opera di Timoleonte a G. è apparsa, specialmente in seguito ai nuovi scavi condotti sulla collina, talmente vasta che il titolo di nèos oikistès accordato dalla città a questo tiranno (Plut., Timol, 35) non desta alcuna meraviglia. Come tante altre città della costa e dell'interno, anche G. riceve ora una κληρουχία proveniente da Coo sotto la guida di Gorgo. È il secondo momento di grande splendore di Gela. Vive però momenti difficili sotto Agatocle (317-311); sta per soccombere sotto i colpi dei Mamertini e viene distrutta definitivamente dal tiranno Finzia che trasporta la popolazione sul M. Eknomos, dove fonda una nuova città sotto il nome di Phintias, l'attuale Licata. La collina rimane quasi deserta fino al 1233 quando, sotto Federico II, viene fondato un castro sotto il nome di Terranova sopra la città arcaica, in contrapposto ad una probabile Terravecchia, da ricercare all'estremità occidentale.
Tucidide (vi, 4), parlando della fondazione di G., ricorda un primo nucleo di Rodioti raccolti in una sede chiamata Lindioi. Quale sia stato il sito di questo primo insediamento non è ancora facile dire. La presenza di ceramica della seconda metà dell'VIII sec. a. C., nei più profondi strati della necropoli del Borgo, potrebbe portarci alla conclusione che questo primo insediamento dovesse essere ricercato sulla collina stessa di Gela. Il rinvenimento però di vasi anteriori a quelli di G., venuti alla luce sulle piccole colline disseminate tra le foci del fiume Gela e Achates, darebbe adito alla tesi dell'esistenza di questa Lindioi nella zona orientale della collina. Il primo pòlisma è chiamato invece G., dal fiume. Questo primo insediamento deve aver occupato, all'incirca, lo spazio riservato nel Medioevo al castro fridericiano: dalla zona del Calvario fino al Vallone Pasqualello, dell'opera di difesa arcaica si conserva soltanto un breve tratto verso la pianura. A causa della conformazione naturale del terreno della collina, il tratto verso il mare, con i suoi tagli a picco, doveva presentare molti tratti senza fortificazioni: ἀνώχυρος, come dice Diodoro (xiii, 108, 9). All'epoca della battaglia del 405 le opere di fortificazione erano, in molti punti, πίπτοντα (Diod., xiii, 108, 9) e questo stato di cose non è l'ultimo nelle cause della caduta di Gela. La mancanza di una poderosa fortificazione è dovuta anche alla mancanza quasi totale di pietra sulla collina. Soltanto nel 338, nel quadro delle grandi trasformazioni avvenute in Sicilia durante il regno di Timoleonte, si è pensato ad occupare l'intera collina di G. con una fortificazione di uno spessore di circa m 3: da Molino a Vento fino all'estremità delle due punte occidentali, Capo Soprano e Piano Notaro, zone, queste, destinate prima alle necropoli. Ma sempre alla mancanza di pietra si deve attribuire, anche in questa nuova fortificazione, una economia, ideandosi una difesa a doppia tecnica: la parte inferiore in struttura lapidea, alta m 3,40-3,45, mentre quella superiore in mattoni crudi. La parte lapidea garantiva l'incolumità della difesa sotto i colpi di ariete mentre la parte superiore con il cammino di ronda e con la merlatura, era interessata soltanto dai colpi delle balestre e dalle frecce. In molti tratti, come a Capo Soprano, a causa del continuo afflusso di sabbia, si è dovuto rialzare il piano e ricorrere sempre ai mattoni crudi con cui sono state create le merlature ed il cammino di ronda. Le sopraelevazioni vennero effettuate in due tempi: assai probabilmente in età agatoclea e in età posteriore, prima però del 282 a. C. Il tratto meglio conservato di questa fortificazione è quello di Capo Soprano.
Oltre alta vera acropoli che si trovava a Molino a Vento, G. contava altri numerosi santuarî recentemente individuati e scavati. Più che dalle fondazioni e dall'alzato, questi nuovi santuari vennero riconosciuti dalla ricchezza della decorazione fittile policroma rinvenuta sul posto. Questi si trovano nell'interno e all'esterno della fortificazione, come assai probabilmente, durante il periodo arcaico, era l'acropoli di Molino a Vento. Quest'ultima zona sacra ospitava almeno tre templi e più edifici minori di carattere sacro: thesauròi, naìskoi e colonne onorarie. Il più antico tempio della zona è l'Athenaion, di cui si conserva il basamento (m 17,25 × 35,22) e la decorazione, oggi nel museo di Siracusa. Più ad oriente di questo, già dal 1900, era stato individuato un altro tempio che soltanto ora è stato possibile misurare (m 21,70 × 51,30) con, assai probabilmente, 6 × 14 colonne, sormontate da capitelli le cui sagome conducono ad un momento posteriore alla battaglia del 480 a. C. Oltre alle fondazioni di questi due templi è stato possibile individuare un altro basamento sotto il Molino Di Pietro la cui decorazione templare, consistente in terrecotte fittili, conduce verso la prima metà del VI secolo. Nella stessa zona di Molino Di Pietro venne scoperta una nuova serie di terrecotte architettoniche con il più grande modulo finora conosciuto in Sicilia. Anche intorno a questo tempio dovevano trovarsi altri piccoli edifici sacri decorati con terrecotte architettoniche dipinte nella prima fase, con antefisse sileniche nella seconda fase (prima metà del V sec.). Ad Hera appartiene invece il santuario rinvenuto sotto il Nuovo Municipio, mentre sul pendio settentrionale della collina furono rinvenuti altri santuari, più piccoli, in località via Fiume, Scalo Ferroviario (quest'ultimo con un thesauròs, in cui vennero trovate oltre 1000 monete arcaiche d'argento, siceliote e dalla Grecia) e in località Carrubazza. Sono santuarî che iniziano la loro vita nella seconda metà del VI sec. e continuano fino alla fine del IV sec. a. C., con una sola interruzione, durante la prima metà del IV secolo. Tenendo conto della loro posizione in vista dei Campi Geloi, è assai probabile che tutti questi santuari del pendio settentrionale fossero stati dedicati a Demetra. Se questi santuari sono stati fuori le mura durante il periodo arcaico, è assai probabile che essi fossero inclusi nella cerchia delle mura durante il IV sec. a. C., dall'età timoleontea in poi. La presenza di un altro santuario è da postulare inoltre nella zona di Capo Soprano, nei dintorni della villa lacona, da dove provengono varî elementi di decorazione arcaica. Restano fuori città per tutto il periodo di vita della colonia i due santuari di Madonna dell'Alemanna e di Bitalemi.
Se nulla si può dire sull'organizzazione urbanistica durante il primo periodo di vita della città (nel 405 Dionigi avanza difficilmente attraverso la città a causa delle strade strette: διὰ τὰς τῆς πόλεως ὁδούς, Diod., 110, 4), dopo la ripresa della vita sotto Timoleonte la collina ebbe un suo piano urbanistico ben definito nelle due zone meglio conosciute finora: Molino a Vento e Capo Soprano. Mentre nella prima zona è stata messa in luce una sistemazione a terrazze, richiesta, in parte, dalla formazione del terreno, a Capo Soprano s'incontra un vero piano ortogonale per strigas, come ad Agrigento ed altrove. La tecnica di costruzione delle case è sempre quella a doppia tecnica: base in blocchi riadoperati nella zona orientale, scaglie nella parte occidentale e sopraelevazione in mattoni crudi in tutte e due le zone abitate. L'intero quartiere di case e di impianti termali, questi ultimi i più antichi finora conosciuti in Sicilia, era disposto, nella zona di Capo Soprano, su almeno quattro decumani distanziati tra loro da circa m 212 e su una serie di cardines disposti a circa m 44 l'uno dall'altro, creando così una serie di insulae simili a quelle del piano urbanistico di Agrigento. Pur soggetto a più minuti accertamenti di scavo, questo di Capo Soprano appare il più omogeneo quartiere del nuovo impianto timoleonteo. Del tutto diverso appare invece il quartiere di Capo Soprano compreso tra le mura timoleontee della fortificazione: mentre le case appaiono costruite con la stessa doppia tecnica delle scaglie e dei mattoni crudi, le vie dovevano condurre verso le scalinate che portavano al cammino di ronda ed in stretto rapporto con il sistema delle cloache. Mentre il quartiere della fortificazione è più povero, perché si tratta di vere caserme, quello spostato più ad oriente, ma sempre nella zona di Capo Soprano, aveva le sue ville con mosaici, capitelli decorati e grondaie in pietra finemente lavorate.
Come qualsiasi altra colonia greca arcaica, G. vanta, accanto ad una ricca importazione di vasi e statuette, una sua produzione locale. A causa della mancanza totale di pietra da taglio, raramente s'incontrano esemplari di scultura e quando questi esistono, essi sono in pietra tenera di Comiso. A questa produzione locale appartiene, oltre al frammento dedalico di Bitalemi, una Kòre della prima metà del VI sec. a. C. nonché i capitelli ionici della fine dello stesso secolo. La tradizione del lavoro in pietra tenera continua anche nella seconda fase di rinascita, in età timoleontea, come dimostrano le grondaie a testa di pistrice e il capitello da una villa di questo periodo. Ma il vero vanto di G. è la terracotta, le officine dei vasai e dei coroplasti. Documenti di officine di vasai si hanno sulla sponda del mare, in via Dalmazia, e verso S. Giacomo, sulla piattaforma della città, arcaici i primi, ellenistici i secondi. Dalle officine dei vasai di G., oltre alla ricca produzione geometrica rinvenuta nelle abitazioni, nei santuarî e nelle necropoli, si hanno documenti nel vasto retroterra. A queste officine appartengono i vasi arcaici figurati, come uno stàmnos in cui il maestro locale ha saputo mirabilmente accomunare le tradizioni corinzie con quelle ionico-rodie. Non è improbabile anche una produzione locale durante il periodo d'importazione dei vasi attici, specialmente a figure nere. Certa è invece la produzione vascolare figurata durante il periodo timoleonteo, produzione, questa, che si richiama alla ceramica pestana ma si distacca da questa per una certa semplicità nelle linee e nei colori. Ai pittori locali si debbono infine assegnare anche le antefisse dipinte, raffiguranti sileni o sirene, uccelli o elementi floreali, documenti di alto pregio per la valutazione dell'arte arcaica siceliota. Sempre a questi maestri arcaici si debbono assegnare anche tutti i varî motivi decorativi delle terrecotte architettoniche di tipo siceliota ma ben distinti da quelli siracusani o selinuntini. Ma la produzione specifica geba è la coroplastica. Alla corrente d'importazione del VII sec. a. C., segue, dall'inizio del VI e fino agli inizi del III sec. a. C., tutta una produzione locale. A questa produzione locale appartengono le antefisse plastiche nel cui gruppo eccellono quelle sileniche, della fine del VI e della prima metà del V sec. e quelle gorgoniche e ancora sileniche del periodo timoleonteo. Alle grandi composizioni gorgoniche, da fissare nel triangolo frontonale dei templi, appartengono gli esemplari dell'Athenaion e della zona del thesauròs dello Scalo Ferroviario, quest'ultima con funzione di καλυπτὴρ ἡγημών Di raro interesse artistico è il rendimento plastico della testa di cavallo di un elemento acroteriale rinvenuto nell'area sacra di Molino a Vento o gli esemplari di grandi placche fittili raffiguranti Gorgoni o scene di danza, come quelli del Predio Ventura e da Bitalemi. E alla stessa vivace produzione locale possono essere assegnate tutte le arulette, tra cui quella della lotta di Eracle con Alcioneo. Un altro aspetto di questa produzione è quello delle statuette in cui si allineano, tra il VI e l'inizio del III sec., tutti i nuovi tipi di Kòrai o dell'Artemide sicula della fase timoleontea, nonché di tutto il ciclo di maschere comiche. In piena produzione di tipi tanagrini la città inizia il suo declino che sarà troncato definitivamente nel 282 a. C. Se tutti i centri della Sicilia greca hanno contribuito alla definizione dell'arte siceliota, G. ha offerto a questa tutta una serie di monumenti, come i vasi e le terrecotte architettoniche plastiche o dipinte, che possono considerarsi i capisaldi di quest'arte greca periferica. E accanto a tanti grandi maestri dell'incisione, G., dalla fine del VI e fino alla fine del IV sec. a. C., si è inserita con i suoi didraemi o tetradra cmi delle zecche monetali arcaiche, eccellendo nel rendimento slanciato dei cavalli e dei cavalieri e specialmente nella plasticità del toro o della testa del toro, contribuendo validamente ad una visione quanto più completa delle possibilità dei maestri sicelioti.
Bitalemi. - È una collinetta ad E. della foce del fiume Gela. La sua posizione dominante il normale approdo di G. arcaica ha portato alla fondazione di un santuario sulla cima. E assai probabile che ai piedi della collina, già nella prima fase della colonizzazione di G., vi fosse esistito anche un porto. Dagli scavi condotti dall'Orsi si è potuto verificare la ricchezza di questo santuario: dalle piccole statuette fino ai grandi esemplari della coroplastica si può dedurre che questo sia, ancor oggi, uno tra i più rinomati santuarî della Sicilia orientale e centro-meridionale. Soltanto la ricchezza del santuario della Malophoros potrebbe competere con quello di Bitalemi. Dalle statuette xoaniche in pietra fino alle offerenti con il porcellino in braccio, si ha una delle più interessanti produzioni locali che la Sicilia arcaica abbia potuto fornire. Se molti dei vasi possono essere considerati di importazione, molti esemplari invece sono di sicura produzione locale, specialmente quelli di tipo geometrico. La vita del santuario greco s'inizia con la fondazione di G. e termina intorno al 470 a. C. Data la presenza della ceramica geometrica del tipo siculo, è assai probabile che questo luogo di culto sia stato venerato anche dalle popolazioni indigene, prima dell'arrivo dei Greci. Mentre l'Orsi non era sicuro dell'esistenza di un edificio in blocchi e con copertura a tegole, le ultime ricerche hanno portato al ritrovamento di elementi architettonici fittili (frammenti di sime e di cassette), il che presuppone un edificio sacro identico a quelli della collina di Gela.
Museo. - Il Museo Archeologico di G. contiene il materiale proveniente dagli scavi archeologici condotti dal 1951 nell'antica colonia rodio-cretese e nel retroterra di Gela. È diviso in tre sezioni ben distinte, ma strettamente collegate tra loro. La prima sezione, al piano terra, comprende l'esposizione dei principali documenti della vita di G. e del retroterra, disposti in ordine topografico e cronologico. Mentre la parte topografica è basata su ingrandimenti di fotografie aeree, la parte cronologica è basata su sezioni stratigrafiche. La seconda sezione tipete, con più abbondante materiale, la prima sezione mentre la terza forma il deposito, disposto anch'esso in ordine topografico e cronologico. Il museo è tipicamente didattico, basato su numerose didascalie e documenti fotografici.
Nella prima sezione sono stati esposti i migliori esemplari della plastica di G., le terrecotte architettoniche ed i tipi più importanti delle monete trovate nel tesoro di Gela. Nella parte riguardante il retroterra ogni città scoperta viene presentata attraverso fotografie aeree e documentazione cronologica degli elementi della sua vita.
Retroterra. - Non appena stabiliti sulla collina di Gela, i Rodio-cretesi furono impegnati in lotte con gli indigeni insediati nei loro centri. Antifemo dovette combattere contro un simile centro, Omphake, da cui egli riportò a Gela uno xòanon (Paus., viii, 46, 2; ix, 40, 4). Sul finire del VII sec. a. C., una parte dei Gebi vinti in una lotta con i παχεῖς dovette rifugiarsi nel vicino centro indigeno di Maktorion (Erod., vii, i). Da un frammento risulta che un tale Memnon aveva fondato una colonia con lo stesso nome di Maktorion (Steph. Byz., s. v.). Nella prima metà del V sec. il Pap. Oxyrh., iv, 665, 1-7, parla dell'attacco dei Siracusani ai centri di Omphake, Maktorion e Kakyron nel retroterra geloo.
È evidente che il retroterra di Gela era densamente popolato già al momento dell'insediamento della colonia rodio-cretese. Simili centri sono stati individuati e scavati a M. Desusino, Butera, M. Bubbonia, M. Navone, Sabucina, Capo d'Arso, Gibil-Gabib, Vassallaggi, o più a N ancora, Castelluccio e Balate di Marianopoli, Terravecchia e Cozzo Mususino a Passo di Landro, M. Raffe, Polizello e Kassar di Castronuovo di Sicilia. A questi centri indigeni recentemente messi alla luce si debbono aggiungere quelli messi in luce da P. Orsi a M. San Mauro di Caltagirone e a Terravecchia di Grammichele o l'altro di M. Saraceno.
Gli scavi recentemente condotti in questi centri hanno dimostrato le tappe della penetrazione geloa nella sua naturale sfera d'influenza: già dalla metà del VII sec. i centri di M. San Mauro, M. Bubbonia, Butera, M. Desusino, M. Saraceno e Licata, la futura Phintias. I vasi protocorinzi, le sepolture di tipo greco prendono il posto, in questo periodo, della ceramica e degli usi funerarî indigeni. Con la prima metà del VI sec. ognuno di questi centri indigeni consacra un'area ad uno o più sacelli decorati con antefisse o terrecotte architettoniche di tipo greco. Qualche centro indigeno, come quello di M. Bubbonia, presenta, ai piedi dell'area sacra, un impianto urbanistico di tipo ippodameo. I centri indigeni acquistano già il carattere di vere pòleis.
Nel momento in cui tutta la fascia costiera tra la collina di Gela e quella di Rupe Atenea è stata conquistata dalla civiltà rodio-cretese avviene anche la fondazione di Akragas, tappa della massima importanza per il fenomeno di trasformazione del retroterra attraverso la penetrazione della civiltà greca.
Ma soltanto verso la metà del VI sec. à. C. s'inizia il processo d'ellenizzazione anche degli altri centri posti a più grande distanza da Gela e dalla costa. Vassallaggi, Gibil-Gabib, Soluccina, Capo d'Arso, M. Navone e gli altri risentono la pressione del mondo ellenico. La vita indigena assume altri aspetti mentre la produzione locale, pur essendo permeata totalmente dalla civiltà greca, conserva i suoi caratteri: i vasi di Vassallaggi, Castelluccio di Marianopoli o di Polizello non sono né greci né indigeni e così anche i bronzi e le oreficerie figurate di questa seconda tappa di ellenizzazione in cui si sono fuse le esperienze indigene e quelle elleniche.
Verso il centro dell'isola restano infine altri centri: Terravecchia e Cozzo Mususino, Balate, ecc. in cui il processo di ellenizzazione inizia soltanto nel V sec. a. C. Il definitivo inquadramento nella civiltà greca avviene soltanto nella seconda metà del IV secolo, allorché ogni centro riceve dal nuovo ordinamento di Timoleonte piena ἐλευθερία. Assieme alle città della costa, i centri dell'interno assumono un nuovo aspetto urbanistico. Nessuna differenza infatti si può cogliere nella vita di Gela o quella di un centro dell'interno totalmente avulso dalla civiltà greca nella seconda metà del IV sec. a. C.: si è di fronte alla symmachìa voluta da Timoleonte che altro non è che la prima κοινή siceliota su cui s'innesta e da cui assorbirà molte esperienze il mondo romano.
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Arte: P. Orsi, art. cit.; G. E. Rizzo, Monete greche della Sicilia, Roma 1946, I, p. 115 ss., tav. XVII-XX; D. Adamesteanu, Coppi con testate dipinte da Gela, in Arch. Class., V, 1953, pp. 1-9; id., Vasi gelesi arcaici di produzione locale, in Arch. Class., V, 1953, pp. 244-47; id., Scarico di fornace ellenistica a Gela, in Arch. Class., VI, 1954, pp. 129-132; G. V. Gentili, in Atti VII Congr. St. Architettura, Palermo 1956, p. 238 ss.; P. Orlandini, Vasi-fliacici trovati nel territorio di Gela, in Boll. d'Arte, 1953, pp. 155-158; id., Due nuove lekythoi del pittore di Bowdoin, in Boll. d'Arte, 1954, pp. 76-79; id., Nuovi vasi del pittore di Pan a Gela, in Arch. Class., V, 1954, pp. 34-38; id., Kore fittile dell'acropoli di Gela, in Arch. Class., VI, 1955, pp. 1-8; id., Le nuove antefisse sileniche di Gela e il loro contributo alla conoscenza della coroplastica siceliota, in Arch. Class., VI, 1954, p. 251 ss.; id., in Boll. d'Arte, 1956, p. 158 ss.; id., Altre antefisse sileniche da Gela, in Arch. Class., VIII, 1956, pp. 47-50; id., Piccoli bronzi in forma di animali rinvenuti a Gela e Butera, in Arch. Class., VIII, 1956, pp. 1-9; L. Bernabò Brea, in Ann. Sc. Atene, XXVI-XXIX, 1952, p. 12 ss.; P. Orlandini, Nuovi acroteri a forma di cavallo e cavaliere dalla acropoli di Gela, in Miscellanea Libertini, Firenze 1957, p. 177 ss.; id., Tipologia e cronologia del materiale archeologico di Gela dalla nuova fondazione di Timoleonte all'età di Ierone II, in Arch. Class., IX, 1957, pp. 44-75; 153-173; id., in Fasti Arch. XI, 1958, n. 2006 e Arch. Class., X, 1958, p. 240 ss.; D. Adamesteanu, Nuove antefisse dipinte da Gela, in Arch. Class., X, 1958, p. 5 ss.
Bitalemi: P. Orsi, Santuario suburbano a Bitalemi, in Gela, Scavi del 1900-1905, in Mon. Ant. Lincei, XVII, 1906, cc. 575-730; P. Orlandini, Frammenti coroplastici e architettonici da Bitalemi, in Not. Scavi, 1956, pp. 398-399.
Retrotera: P. Orsi, Di una città greco-sicula a M. S. Mauro presso Caltagirone, in mon. Ant. Lincei, XX, cc. 729-850; id., Not. sc., 1905, pp. 447-449, (M. Bubbonia); id., Not. Sc., 1907, p. 497 (M. Bubbonia); id., Not. Sc., 1900, p. 201 (Butera); id., Not. Sc., 1905, p. 449 (Vassallaggi); P. Marconi, Not. Sc., 1928, pp. 499-510; id., Not. Sc., 1930, pp. 411-413 (M. Saraceno); P. Mingazzini, Su un'edicola sepolcrale del IV sec. rinvenuta a M. Saraceno presso Ravenusa, in Mon. Ant. Lincei, XXXVI, 1938, cc. 621-629; P. Griffo, Sulle orme della civiltà gelese, Agrigento 1958; id., Ripostiglio di monete auree del V secolo d. C. da Butera, in Ann. Ist. Ital. Numism., 1956, pp. 175-176; P. Orlandini-D. Adamesteanu, in Ann. Ist. Ital. Numism., I, 1954; II, 1955; III, 1956; IV, 1958; D. Adamesteanu, Due problemi topografici del retroterra gelese: Phalarion e Stazioni itinerarie e bolli laterizi, in Rend. dei Lincei, X, 1955, pp. 204-210; id., I primi documenti epigrafici paleocristiani nel retroterra di Gela, in Rend. dei Lincei, X, 1955, pp. 562-571; id., Le fortificazioni ad aggere nella Sicilia centro-meridionale, in Rend. dei Lincei, XI, 1956, pp. 1-15 (dall'estratto); id., Grondaie a testa leonina nel territorio di Butera, in Boll. Arte, 1954, Fasc. III, pp. 259-261; id., Vaso figurato di età cristiana di Sofiana, in Boll. Arte, 1956, fasc. II, pp. 158-161; id., ᾿Ανάκτορα o sacelli?, in Arch. Class., VII, 1956, pp. 179-186; id., Vasi figurati di Manfria di età Timoleontea, in Miscellanea Guidi Libertini, Firenze 1957, pp. 25-34; id., Problemi archeologici della Sicilia e la Fotografia aerea,in Boll. Soc. Ital. Fotogrammetria e Topografia, 1957, pp. 76-85; id., Scavi e Scoperte dal 1951 al 1957 nella Provincia di Caltanissetta. Prima parte: Butera, Piano della Fiera, Consi e Fontana Calda, in Mon. Ant. Lincei, XLIV, 1958, coll. 205-672; Seconda parte: Manfria, M. Desusino, Milingiana, Priorato, Suor Marchesa, Fiume di Mallo, Lavanca Nera e Gibil-Gabib, in Not. Scavi, XII, 1959, pp. 288-408; id., L'opera di Timoleonte nella Sicilia centro-meridionale vista attraverso gli scavi e le ricerche archeologiche, in Κώκαλος, IV, 1958, p. 31 ss.; P. Orlandini, La rinascita della Sicilia nell'età di Timoleonte alla luce delle nuove scoperte archeologiche, ibid., p. 24 ss.