GELLÉE, Claude, detto Claude Lorrain (Lorenese)
, Claude Nacque a Chamagne nel Ducato di Lorena, da Jean e Anne Padose, terzogenito di sette figli di cui sei maschi e una femmina. L'anno di nascita del G. è ancora perlopiù indicato come 1600, secondo la tradizione stabilita dalle fonti, nonostante la recente proposta di posticiparlo di qualche anno, verso il 1604-05, in base all'interpretazione di alcuni documenti lorenesi (Sylvestre). Sia il padre, sia due dei fratelli sono designati in alcuni documenti come "syndic", il che indicherebbe una posizione sociale relativamente buona.
La conoscenza della vita del G. si basa ancora oggi essenzialmente sulle fonti coeve di Baldinucci e Sandrart: scarsa è infatti la documentazione diretta, e pochissime sono le lettere a noi note scritte dall'artista. Per quel che riguarda invece l'attribuzione e la cronologia dell'opera rimane fondamentale il cosiddetto Liber veritatis conservato al British Museum di Londra, ora edito a cura di M. Kitson (C. Lorrain, Liber veritatis, London 1978). Si tratta di una raccolta di circa duecento disegni in sequenza cronologica, che l'artista trasse a posteriori dai suoi dipinti dal 1635-36 circa, con lo scopo di registrare la sua produzione indicando a volte anche i committenti e le date, per cautelarsi da eventuali contraffazioni.
Secondo Sandrart, visti gli scarsi successi scolastici, i genitori lo indirizzarono al mestiere di cuoco pasticciere, qualifica con la quale giunse a Roma, ma non trovando lavoro come cuoco, divenne servitore del pittore Agostino Tassi e successivamente suo garzone di bottega.
Secondo Baldinucci, invece, il G. a dodici anni, dopo essere rimasto orfano, seguì il fratello maggiore Jean intagliatore in legno, a Friburgo in Brisgovia, dove iniziò a esercitarsi nel disegno di motivi ornamentali. Nel 1613 un parente mercante di merletti lo condusse a Roma, dove continuò a studiare da solo il disegno, con l'aiuto di un sussidio inviato dai familiari. Dopo il 1618, essendosi interrotto questo sussidio a causa dei conflitti scatenatisi in territorio francese, il G. si stabilì a Napoli presso il pittore paesaggista Gotfried Wals, nativo di Colonia, già collaboratore di Agostino Tassi. Rientrò a Roma dopo circa due anni, probabilmente nel 1621, e iniziò a lavorare nella bottega di Tassi.
Nessun documento a tutt'oggi consente di suffragare la versione di Sandrart o quella di Baldinucci; inoltre è ancora difficilmente valutabile l'alunnato presso Wals, poiché questo artista è ancora quasi sconosciuto. La sicura presenza del G. a Roma è testimoniata solo dal 1623, anno in cui risulta censito tra gli abitanti di via della Croce.
La permanenza presso Agostino Tassi, citata da entrambe le fonti biografiche, non è mai stata messa in dubbio (benché non sia possibile precisarne la cronologia), poiché appare ampiamente giustificata dal linguaggio pittorico del G., il quale soprattutto nella sua prima produzione paesaggistica testimonia il suo debito verso il maestro. Alcuni studi recenti su Tassi e la sua bottega tendono a sottolineare maggiormente il ruolo svolto dal G., ipotizzando anche una sua diretta partecipazione agli affreschi della sala dei Palafrenieri in palazzo Lancellotti a Roma negli anni 1618-20 circa e riproponendo la possibilità di un intervento dell'artista adolescente al seguito di Tassi negli affreschi di villa Lante a Bagnaia (Cavazzini, 1993; 1995; 1997).
Secondo Baldinucci, nell'aprile del 1625 il G. lasciò Roma per recarsi in Lorena, fermandosi durante il viaggio a Loreto, a Venezia e in Baviera. Tornato nella casa paterna, un parente lo mise in contatto con l'artista lorenese Claude Deruet, attivo a Nancy presso la corte ducale. Rimane solo ipotetica la possibilità che i due artisti fossero già in contatto, poiché anche Deruet aveva soggiornato alcuni anni a Roma.
Il 17 sett. 1625 il G. firmò un contratto con Deruet della durata di un anno con decorrenza dal 1° ottobre, in qualità di apprendista, al quale spettavano vitto e alloggio, ma non un compenso. Il 1° giugno 1626 iniziò a lavorare con Deruet e la sua bottega alla decorazione ad affresco (oggi distrutta) della volta della chiesa dei carmelitani a Nancy. Secondo Baldinucci, egli fu impiegato soprattutto nelle architetture dipinte; inoltre, in questa occasione, un incidente verificatosi durante i lavori lo scoraggiò dal dedicarsi in seguito alla pittura ad affresco. A Nancy il G. potrebbe avere avuto contatti anche con l'artista lorenese Jacques Callot, che vi soggiornò alla stessa data e che, come lui, era vissuto a Roma per alcuni anni (Roethlisberger, 1961).
Il G. tornò a Roma entro il 1627, anno in cui risulta abitante in via Margutta insieme con un non meglio specificato "fiammingo". Condividere l'abitazione con uno o più compagni, spesso artisti, dovette essere per il G. una consuetudine, poiché nel 1629 è citato insieme con lui un certo "Antonio", e altri nomi ancora compariranno negli anni seguenti.
Secondo Baldinucci sarebbe giunto a Roma il 18 ottobre, giorno di s. Luca, dopo aver fatto una tappa a Lione ed essersi imbarcato a Marsiglia insieme con il pittore Charles Errard e i suoi figli. Non è improbabile che sia rientrato a Roma anche prima di questa data, perché il contratto con Deruet scadeva il 1° ott. 1626 e i lavori per i carmelitani dovettero proseguire solo per qualche mese. Gli anni che seguono il ritorno a Roma da Nancy furono per il G. gli anni decisivi, in cui acquisì la sua completa autonomia artistica e avviò la sua carriera di paesaggista; ma sono anche gli anni in cui la sua produzione è più difficile da datare e da attribuire, poiché si colloca al di fuori dalla registrazione del Liber veritatis iniziata dal 1636 circa in poi.
Il primo dipinto datato è il Paesaggio con pastori del Museum of art di Filadelfia, del 1629, mentre è del 1630 la prima incisione datata, La tempesta, conservata al British Museum di Londra con il relativo disegno preparatorio. Assai problematica è invece la questione riguardante gli affreschi che, secondo Baldinucci, il G. avrebbe eseguito a Roma dopo il suo rientro da Nancy. Si tratterebbe di una decorazione in un palazzo Muti Papazzurri, commissione ottenuta forse grazie alla mediazione del pittore lorenese Charles Mellin, attivo nello stesso palazzo. Un secondo ciclo avrebbe ornato un "casone" della stessa famiglia Muti, situato presso Trinità dei Monti, edificio, questo, mai identificato e forse scomparso. Anche Sandrart ricorda una decorazione su quattro pareti in un salone di un edificio della famiglia Muti, non meglio specificato, con paesaggi e rovine, segnalazione che, come le precedenti, non ha ancora trovato alcun riscontro. L'unico ciclo citato da Baldinucci e ancora esistente sarebbe quello dipinto in palazzo Crescenzi in piazza della Rotonda. Si tratta di sette paesaggi, racchiusi in quattro rettangoli e tre ovali, disposti a fregio sulle pareti di una saletta al piano nobile del palazzo, pesantemente ritoccati nell'Ottocento. L'opera risente fortemente dell'influenza dei paesaggi a fregio, dipinti nei palazzi romani da Tassi e da Paul Brill ed è stata datata al 1630 circa; va ricordato comunque che l'attribuzione è stata anche molto contestata.
Appartengono alla prima produzione del G., tra gli altri, il Paesaggio con pastori della collezione Suida Manning di New York, il Paesaggio fluviale con arco di roccia del Museum of fine arts di Houston, oltre al già citato Paesaggio con pastori di Filadelfia, tutti compresi tra il 1628 e il 1630.
In particolare, il dipinto di Houston, rivelerebbe l'influenza di un affresco romano rinvenuto nel 1627 nell'area di palazzo Barberini che suscitò molto interesse nell'ambiente cittadino (Lavagne). Nel Paesaggio di Filadelfia, invece, sarebbe particolarmente evidente l'influenza, importante in questi anni, del paesaggista Filippo Angeli, detto Napoletano (Chiarini, 1984).
Questi primi dipinti, al di là di specifici raffronti, testimoniano in generale ancora il debito verso Tassi e Brill e, in modo più mediato, verso Adam Elsheimer, oltre che la vicinanza con paesaggisti stranieri attivi a Roma, quali Cornelis van Poelenburgh e Bartholomeus Breenbergh (Roethlisberger, 1961). Si tratta di scene pastorali, arricchite con frammenti di rovine o archi rocciosi, composte con semplicità, per piani paralleli, benché sia già presente una attenta resa della luce e delle trasparenze atmosferiche.
Nel 1628 giunse a Roma Joachim von Sandrart, artista di sei anni più anziano del G. e suo futuro biografo, che si fermò fino al 1635. Secondo Sandrart il primo incontro avvenne presso le cascate di Tivoli, dove entrambi si erano recati per disegnare dal vero; e in quella occasione Sandrart avrebbe suggerito al G. di seguire il suo esempio, eseguendo dal vero non solo disegni ma anche piccoli dipinti a olio; quest'ultima circostanza non ha comunque trovato riscontro per ora nella produzione del Gellée. Da allora i due artisti ebbero la consuetudine di compiere insieme queste escursioni nella Campagna romana allo scopo di eseguire schizzi paesaggistici dal vero, talvolta in compagnia anche di Nicolas Poussin e Pieter van Laer.
Lo stretto contatto con Poussin in questi anni sarebbe riscontrabile anche nella similitudine di alcuni schizzi di alberi e di paesaggi eseguiti da entrambi poco dopo il 1630 (Chiarini, 1991). L'influenza di van Laer come di altri "bamboccianti" è invece riscontrabile soprattutto nelle figurette che il G. introduce in questi anni nei suoi dipinti: sono personaggi di "genere", ispirati alla vita quotidiana e in armonia con i soggetti rustici e pastorali delle prime opere.
L'attribuzione di queste figure è sempre stata oggetto di dibattito, poiché Baldinucci dichiara che il G. le faceva eseguire ad alcuni collaboratori scelti a questo scopo, tra i quali nomina Filippo Lauri. Oggi prevale invece l'opinione secondo la quale, fatta eccezione per poche opere databili intorno al 1630, il G. stesso abbia sempre eseguito le figure dei suoi dipinti, studiandole inoltre con particolare cura, come dimostrano i disegni preparatori (Kitson, 1992).
Sono comunemente datate al 1631 due opere piuttosto insolite nella produzione del G.: si tratta di due ovali a olio su rame argentato con la Veduta della Rochelle assediata dalle truppe di Luigi XIII e la Veduta del passo di Susa forzato dalle truppe di Luigi XIII (Parigi, Louvre). Commissionati forse da Henri-Auguste de Loménie, conte di Brienne, gli ovali debbono la precisione dei dati storici e geografici probabilmente alla conoscenza da parte del G. di alcune incisioni che ritraevano le battaglie, forse quelle eseguite dal compatriota Jacques Callot (Roethlisberger - Cecchi).
Negli anni seguenti il G. cominciò ad affermarsi notevolmente nell'ambiente artistico romano: il 3 apr. 1633 venne eletto nell'Accademia di S. Luca (Bousquet) e lo stesso anno, o il successivo, prese al suo servizio Gian Domenico Desiderii, che divenne in seguito un suo collaboratore e rimase presso di lui fino al 1658-59 (Baldinucci; Roethlisberger, 1961). Sono di questi anni le prime committenze veramente prestigiose. Per il marchese Vincenzo Giustiniani dipinse, tra il 1630 e il 1635, il Paesaggio con Cefalo e Procri riuniti da Diana, probabilmente una sovrapporta (Mac Lean), di dimensioni notevoli rispetto ai dipinti coevi e con un soggetto ovidiano piuttosto raro (già a Berlino, Staatliche Museen, oggi distrutto). È citata da Baldinucci come decisiva la commissione di due dipinti da parte del cardinale Guido Bentivoglio, poiché sembra che proprio questi dipinti, oggi non sicuramente identificati, suscitarono l'ammirazione di Urbano VIII e valsero al G. il successivo incarico papale. Sarebbe forse da riconoscere come uno dei paesaggi per il Bentivoglio la Marina con ratto di Europa (Forth Worth, Texas, Kimbell Art Museum), del 1634 circa, dipinto di grandi dimensioni e di notevole abilità tecnica e compositiva.
Ma la committenza decisamente più notevole di questi primi anni è senza dubbio quella dei dipinti per Filippo IV di Spagna, destinati alla galleria dei Paesaggi nel palazzo del Buen Retiro presso Madrid. Il G. vi partecipò insieme con un gruppo di artisti che comprendeva Poussin, Lemaire, Dughet, Swanevelt, Both.
Il mediatore dell'impresa fu forse il nobile romano Giovan Battista Crescenzi, presente alla corte spagnola e coinvolto nella costruzione del Buen Retiro, oppure l'ambasciatore spagnolo a Roma, marchese di Castel Rodrigo, con cui il G. ebbe ulteriori contatti. Secondo Baldinucci al G. furono commissionati otto dipinti: di questi erano noti i sette conservati al Museo del Prado; mentre di recente è stato identificato anche l'ottavo, in una collezione privata di Madrid. Un primo gruppo comprende quattro dipinti d'impostazione longitudinale, eseguiti per primi nel 1635-38 (Paesaggio con tentazioni di s. Antonio, Paesaggio con s. Onofrio, Paesaggio con Maddalena penitente o la santa spagnola Maria de Cervelló, Paesaggio con Giacobbe e il gregge di Labano). Il secondo gruppo comprende altri quattro dipinti, ma d'impostazione verticale, eseguiti nel 1639-41 (Paesaggio con ritrovamento di Mosè, Paesaggio con seppellimento di s. Serapia, Paesaggio con Tobia e l'angelo, Porto di Ostia con imbarco di s. Paola Romana). I temi sono tratti dalla Bibbia e dalle vite dei santi e corrispondono al programma iconografico complessivo, in armonia con la destinazione del Buen Retiro, diretto dal conte-duca de Olivares (Luna). Secondo Baldinucci, proprio mentre il G. attendeva al primo di questi dipinti iniziò a compilare il Liber veritatis, quindi verso il 1635-36.
Nel 1636 il G. forse fece un breve soggiorno a Napoli: l'ipotesi è stata avanzata sulla base di un'iscrizione ("Napoli 1636") che compariva su un dipinto, oggi di ubicazione sconosciuta, ma noto fino al secolo scorso. Dello stesso anno è l'incisione che il G. trasse dal suo dipinto Il Campo Vaccino, eseguito come il pendant, Porto con il Campidoglio, per l'ambasciatore di Francia Philippe de Béthune ed entrambi conservati al Louvre.
Il primo è una classica "veduta di Roma", con uno dei soggetti più rappresentati per il contenuto pittoresco, arricchita con figurette ancora sul genere dei "bamboccianti". Si tratta di una tipologia non frequente nell'opera del G., specie a questa data quando comincia a raffinare notevolmente i suoi paesaggi. È dovuto, forse, a una esplicita richiesta del committente ed è stato avvicinato al Campo Vaccino di Swanevelt del 1631 (Cambridge, Fitzwilliam Museum; Roethlisberger - Cecchi).
Con le committenze prestigiose inizia per il G. anche l'uso sistematico dei pendants, coppia di paesaggi che l'autore accosta secondo sottili corrispondenze tematiche, luministiche e compositive, a volte avvicinando a contrasto una veduta campestre e una marina, un paesaggio e uno scenario architettonico, una luce serale e una luce mattutina.
Nel 1637 il G. pubblicò una serie di incisioni intitolate Fuochi d'artificio, tredici tavole che commemoravano gli spettacoli pirotecnici allestiti dall'ambasciatore spagnolo, il marchese di Castel Rodrigo, in piazza di Spagna nel febbraio del medesimo anno, per celebrare l'elezione a re dei Romani di Ferdinando III d'Asburgo. Le tavole testimoniano un aspetto inconsueto del G., qui intento a rappresentare con precisione e capacità scenografica i monumentali apparati effimeri nella loro cornice cittadina (Krüger).
Tra il 1637 e il 1639 il G. eseguì i dipinti commissionati da Urbano VIII, ricordati sia dal Baldinucci, sia dal Liber veritatis: Paesaggio con danza di contadini (conte di Yarborough: in Opera completa…, pp. 92 s.) con il suo pendant il Porto (Alnwick Castle, duca di Northumberland), e i due ottagoni Paesaggio con Castel Gandolfo (Cambridge, Fitzwilliam Museum) e Porto di Santa Marinella (Parigi, Musée du Petit Palais). I dipinti contengono diversi riferimenti al committente: le bandiere con api Barberini nel Porto, il palazzo di Castel Gandolfo rinnovato dal papa in quegli anni, il porto di Santa Marinella per cui progettava alcuni interventi. La presenza quasi costante nelle opere del G. di allusioni più o meno esplicite alla biografia dei committenti, conferma che questi non solo sceglievano i soggetti, ma probabilmente seguivano da vicino l'esecuzione dell'opera.
Tra la fine degli anni Trenta e l'inizio degli anni Quaranta del Seicento si colloca, fra gli altri, il Paesaggio con satiro danzante e figure (Toledo, Ohio, Museum of art), uno dei primi soggetti bacchici, forse memore del Baccanale di Tiziano, visto da Sandrart in palazzo Aldobrandini nel corso di una visita fatta con Poussin, Duquesnoy e Pietro da Cortona. Di poco successiva, probabilmente, la Marina con le troiane che incendiano le navi (New York, Metropolitan Museum), datata al 1643 ed eseguita per Girolamo Farnese. L'opera, la prima a essere ispirata all'Eneide, testo dal quale il G. trarrà numerosi dipinti, contiene sottili allusioni a una delicata missione diplomatica svolta dal Farnese per conto del pontefice. Eseguiti per il cardinal Fausto Poli sono: il Porto con l'imbarco di s. Orsola del 1641 (Londra, National Gallery) e il suo pendant, il Paesaggio con s. Giorgio e il drago del 1643 (Hartford, Wadsworth Athenaeum), ispirato quest'ultimo al dipinto di uguale soggetto del Domenichino, conservato alla National Gallery di Londra.
A riprova del crescente successo, anche mondano, del G. può essere citata una lettera del 1640 a Giulio Mazzarino, in cui Elpidio Benedetti, suo agente a Roma, lo sconsigliava dal richiedere un'opera al G., poiché questi non si vergognava di chiedere 300 scudi di compenso e otto mesi di attesa (Thuillier).
Nel 1643 il G. fu eletto membro della Accademia dei Virtuosi, su proposta del cavalier Baglione e dal 1645, fino al 1650, ebbe quale allievo Angeluccio. In questi anni il G. continuò le sue escursioni nella Campagna romana, durante le quali eseguì numerosi disegni di grande immediatezza e cercò spunti per i suoi paesaggi biblici e mitologici; un esempio è il disegno datato al 1642, di grande freschezza, intitolato Sulla strada da Tivoli a Subiaco (Londra, British Museum). Nei suoi dipinti invece si fa più evidente il controllo esercitato sulla composizione, la scelta di figure sempre più idealizzate, mentre traspare l'interesse per Poussin e per i grandi classicisti del paesaggio, Annibale Carracci e Domenichino. La maestosità e l'equilibrio sono accompagnati dall'aumento delle dimensioni dei quadri e dalla scelta di una luce meno contrastata e più diffusa, con un effetto generale di grande serenità.
Questo mutamento è già visibile nel Paesaggio con figure danzanti (Matrimonio di Isacco e Rebecca) e nel suo pendant, l'Imbarco della regina di Saba, entrambi alla National Gallery di Londra e datati al 1648 circa. Commissionati da Camillo Pamphili, per il quale il G. aveva già eseguito altri tre dipinti nel 1645-46, furono poi acquistati dal duca di Bouillon, mentre Pamphili ebbe più tardi una replica del Paesaggio con figure danzanti, detto Il mulino, con un diverso pendant, la Veduta di Delfi con processione, entrambi oggi alla Galleria Doria Pamphilj di Roma. Nei quattro dipinti spicca una concezione aulica della veduta, espressa con uguale solennità sia nei temi campestri, sia nelle monumentali architetture dell'Imbarco. Quest'ultimo è uno dei tanti porti eseguiti dal G., indubbiamente uno dei suoi temi più riusciti, in cui la rievocazione fantastica, forse dell'antico porto di Ostia, si accompagna con un attento studio prospettico e con l'analisi sottile degli effetti di rifrazione sull'acqua della luce del sole.
Nel 1648 risultano abitanti presso il G. due pittori, un certo Francesco Ragone e un certo "Monsù Besnito".
Il 4 febbr. 1650 il G. ottenne in affitto ad vitam dal capitolo dei frati minori di Trinità dei Monti, una casa all'insegna dei tre pesci, in via Paolina (odierna via del Babuino) presso l'arco dei Greci, di fronte alla chiesa di S. Anastasio, casa dove abiterà fino alla morte. Nel 1653 nacque Agnese, che fu battezzata il 12 aprile con un certificato che la dichiarava figlia di genitori ignoti (Bousquet). Poiché la bambina quando ebbe sei anni andò ad abitare con il G. e fu da lui nominata nel testamento quale erede del Liber veritatis e di altri suoi beni, se ne è concluso che dovesse trattarsi di una sua figlia naturale, benché nessun documento ne fornisca la prova. Potrebbe trattarsi invece di una figlia adottiva.
Il 22 nov. 1654 il G. declinò l'incarico di "primo rettore" dell'Accademia di S. Luca. Sono gli anni in cui raggiunse la piena maturità stilistica con la cosiddetta "grande maniera", in opere quali il Paesaggio con Parnaso (Edimburgo, National Gallery of Scotland) del 1652, uno dei suoi dipinti di maggiori dimensioni (cm 186 × 290) destinato al cardinal Camillo Astalli Pamphili, il Paesaggio con l'adorazione del vitello d'oro (Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle) del 1653 e il suo pendant del 1654, il Paesaggio con Giacobbe, Labano e le figlie (Petworth House, Sussex, National Trust), eseguiti per il gentiluomo romano Carlo Cardelli.
Sono opere che, composte con accurati calcoli proporzionali, di ampiezza e profondità spaziale notevoli e grande senso scenico della luce, costituiscono l'apice del paesaggio classico del Seicento. L'accurata preparazione di ogni composizione, la scelta attenta di ogni figuretta da inserire, perfino la selezione delle tipologie di alberi secondo un principio del decorum sono testimoniate in questi anni anche dai disegni preparatori che si fanno sempre più numerosi.
Nel 1655 il G. eseguì due paesaggi a pendant per il cardinale Fabio Chigi, proprio nell'anno della sua elezione a pontefice con il nome di Alessandro VII, la Marina con combattimento su un ponte, forse la battaglia di Costantino e Massenzio, e la Marina con ratto di Europa, entrambi al Museo Puškin di Mosca. Del 1656 sono la Marina con Bacco e Arianna (Elmire, New York, Arnot Art Museum), eseguita per il gentiluomo romano Francesco Alberini, considerata tra i dipinti più belli della maturità, e il Paesaggio con il discorso della montagna (New York, Frick Collection), per François Bosquet, vescovo di Montpellier. Per lo stesso vescovo il G. dipinse anche il Paesaggio con Ester che entra nel palazzo di Assuero del 1659, ricostruibile oggi solo da un frammento superstite (Holkham Hall, conte di Leicester) e dal disegno del Liber veritatis. Questa composizione estremamente maestosa, probabilmente di grandi dimensioni e con uno scenario di architetture monumentali, fu considerata dal G. il proprio capolavoro (Baldinucci).
Negli ultimi anni il G. rallentò notevolmente la sua produzione. Nel 1663 si ammalò gravemente, al punto di voler redigere il 28 febbraio il suo testamento: furono presenti in qualità di testimoni gli artisti francesi Bellin di Borgogna e Dominique Barrière di Marsiglia, nonché l'architetto lorenese François du Jardin, a riprova dei contatti sempre stretti del G. con i suoi compatrioti. Tale fedeltà alle origini è testimoniata anche dal lascito alla chiesa di S. Nicola dei Lorenesi e dalla richiesta di essere sepolto nella chiesa francese di Trinità dei Monti. Oltre ad Agnese, il G. beneficiò soprattutto i nipoti Claude e Jean, nominò quali eredi i fratelli Denis e Melchior e lasciò delle opere in dono ad alcuni committenti, tra i quali il cardinal Rospigliosi e l'abate Louis d'Anglure de Bourlemont, futuro vescovo di Bordeaux (Roethlisberger, 1961).
Il G. riprese però ben presto le forze e il lavoro e continuò a produrre opere per committenti prestigiosi, come l'abate de Bourlemont, per il quale dipinse due coppie di pendant tra il 1664 e il 1667, e un quinto dipinto nel 1679. Tra questi ricordiamo il Paesaggio con Mosè e il roveto ardente e il suo pendant, la Marina con Ezechiele che piange sulle rovine di Tiro, interpretato quest'ultimo anche come Marina con s. Paolo, entrambi appartenenti alla collezione del duca di Sutherland, in deposito alla National Gallery of Scotland di Edimburgo.
In quest'ultima fase spiccano la sobrietà compositiva e la selezione accurata degli elementi, rimanendo intatto l'effetto di solennità dell'insieme.
Il committente dominante negli ultimi anni di produzione del G. è senza dubbio Lorenzo Onofrio Colonna, marito di Maria Mancini, la nipote di Mazzarino, e personaggio estremamente in vista dell'aristocrazia romana. Questi commissionò al G. ben nove dipinti, che furono eseguiti tra il 1663 e il 1682, tra i quali alcuni famosi capolavori come il Paesaggio con la ninfa Egeria piangente Numa (Napoli, Museo di Capodimonte) del 1669 e Psiche presso il palazzo d'Amore del 1664 circa. Quest'ultimo, conservato alla National Gallery di Londra, è una sottile interpretazione del testo di Apuleio; e la sua presenza in Inghilterra fin dal XVIII, dove è stato ribattezzato "Il castello incantato", ha originato un particolare interesse artistico e poetico che ha contribuito a creare il mito moderno del Gellée.
Sono di questi anni alcune delle poche lettere note scritte dal G.: sono tutte indirizzate ai suoi committenti e testimoniano l'attenzione con la quale questi seguivano l'esecuzione dei dipinti, nonché la costante internazionalità dei rapporti intrattenuti dall'artista. Infatti, è del 28 marzo 1665 la lettera a un suo committente di Anversa, Henri van Halmale; del febbraio 1666 una lettera a Lorenzo Onofrio Colonna; del 1668 sono, invece, ben tre lettere al conte Johann Friedrich von Waldenstein di Vienna (Roethlisberger, 1986).
Il 1° genn. 1669 il G. è ricordato come "curatore dei forestieri" presso l'Accademia di S. Luca, a riprova della continuità dei suoi rapporti con l'Accademia stessa e della familiarità con gli artisti stranieri residenti a Roma.
Il 25 giugno 1670 il G. aggiunse un codicillo al suo testamento, dal quale apprendiamo che il nipote Jean era allora presso di lui e che l'artista desiderava essere ricordato con alcune messe nella chiesa del suo paese natale, St-Denis a Chamagne; con il codicillo, inoltre, il G. prevedeva ulteriori lasciti ai nipoti rimasti in Lorena.
Nel 1675 egli contribuì ancora a finanziare la festa di s. Luca, come era tradizione per gli accademici e, nello stesso anno, dipinse il Paesaggio con lo sbarco di Enea nel Lazio (Anglesey Abbey) per Gaspare Altieri (già Albertoni), nipote acquisito di Clemente X, che con la scelta di questo soggetto sottolineava la sua nobile origine e la raggiunta posizione sociale alla corte di Roma (Roethlisberger, 1986; Mac Lean). Un altro capolavoro dell'ultimo periodo è la Veduta di Cartagine con Enea e Didone (Amburgo, Kunsthalle), eseguita nel 1676 per il Colonna.
Sono dipinti nei quali alle grandi dimensioni e alla maestosità del paesaggio corrispondono figurette esili ed eleganti, dalle membra allungate, tipiche di quest'ultima fase. Diverse sono state le ragioni che la critica ha proposto per motivare questa scelta formale, vedendovi sia una sorta di compensazione all'espandersi del paesaggio, sia una scelta di aristocratica eleganza in armonia con il livello sociale dei committenti (Kitson, 1992).
Per Lorenzo Onofrio Colonna il G. nel 1677 dipinse un Paesaggio con pastori (Fort Worth, Kimbell Art Museum), sullo sfondo del tempio della Sibilla a Tivoli. Nel 1680 eseguì un Parnaso destinato a fare da pendant a un dipinto posseduto dal Colonna, eseguito da Gaspard Dughet e da Carlo Maratta e da identificarsi forse con il Giudizio di Paride conservato in palazzo Colonna, circostanza che ci è nota da una lettera del 1679, ritrovata presso l'Archivio Colonna (Roethlisberger, 1986).
Le altre due lettere del G. che ci sono note sono del 1679 e del 1681 e riguardano notizie dei familiari rimasti in Lorena: la morte del fratello Denis nel 1681 e la presenza a Roma presso di lui del nipote Joseph, figlio del fratello Melchior, nello stesso anno. Ed è proprio a favore del nipote Joseph che il G., il 13 febbr. 1682, aggiunse un codicillo al suo testamento; mentre nel codicillo del 23 novembre dello stesso anno entrambi i nipoti, Jean e Joseph, compaiono quali esecutori testamentari.
Si considera quale ultimo dipinto del G. il bellissimo Paesaggio con Ascanio che uccide il cervo di Silvia (Oxford, Ashmolean Museum) che egli eseguì nel 1682 ancora per Lorenzo Onofrio Colonna. Il dipinto, non registrato nel Liber veritatis forse a causa della morte, mostra un solido impianto compositivo; e il soggetto è ancora una volta tratto dall'Eneide.
Il G. morì a Roma il 23 nov. 1682 e venne sepolto, secondo le sue volontà, in Trinità dei Monti; ma nel 1840 il suo corpo venne traslato in S. Luigi dei Francesi.
All'Accademia di S. Luca lasciò per testamento una copia del suo ritratto tuttora in loco, mentre l'Inventario dei beni, redatto il 23 dic. 1682, testimonia, oltre al decoro della sua abitazione, la presenza di circa centocinquanta dipinti, perlopiù non di sua mano, quasi una collezione privata.
Oltre all'attività pittorica, bisogna ricordare la produzione incisoria del G. (circa una quarantina di stampe), ma soprattutto l'attività di disegnatore, imponente per il numero (circa 1200 pezzi a noi noti) e per l'altissima qualità. Non si tratta solo di disegni preparatori ma di una vera e propria attività parallela, che comprende sia veloci schizzi dal vero sia disegni accuratamente finiti, quali composizioni autonome (Roethlisberger, 1968).
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