gemere
In Rime CXI 4 so com'egli [Amore] affrena e come sprona / e come sotto lui si ride e geme, compare, delineato dall'antitesi, il significato del verbo, equivalente a un " piangere lamentosamente ", " lamentarsi ", forse usato dal poeta con maggiore intensità di quanta noi siamo soliti attribuire alla comune forma verbale. Il fatto può apparire confermato da due passi dell'Inferno, in cui il g. è attribuito ad anime in grave tormento, come i violenti tiranni immersi nel sangue che bolle ove la tirannia convien che gema (XII 132), o Ulisse e Diomede per cui dentro da la lor fiamma si geme / l'agguato del caval (XXVI 58). Ma è da considerare che in tutti e tre questi esempi il verbo è in rima. Comunque è da tener presente l'influsso di un comune stilema virgiliano (cfr. ad es. Aen. I 220 " pius Aeneas nunc acris Oronti, / nunc Amyci casum gemit et crudelia secum / fata... "). Per analogia, il verbo può esprimere il " lamentoso stridio " di uno stizzo verde ch'arso sia / da l'un de' capi, che da l'altro geme (XIII 41), ed " è ottima comparazione " perché " quando arde da un capo l'altro capo cigola e soffia " (Landino). Ma si può intendere anche " stilla " (si noti il chiasmo geme e cigola - parole e sangue, V. 44), come sembra suggerire la chiosa dell'Ottimo: " l'umido del legno per lo calore del fuoco si rarifica e diviene aere; il quale... volendosi tornare al naturale luogo, impignesi per uscire fuori, e venendo si trova inanzi umido, non rarificato ". Così interpretano molti commentatori moderni, accostando questo passo a quello di Pg XXV 44 poscia [il sangue maschile] geme / sovr'altrui sangue in natural vasello: qui g. chiama in causa non già l'effetto sonoro del pianto, ma lo " stillare " delle lacrime comparato alla stillatio seminis che presiede alla generazione umana secondo la spiegazione di Stazio. Il verbo, assai comune nella lingua dell'epoca, ha presenze anche in testi pseudo-danteschi (Salmi I 26; III 29 e 32).