Geminiano Montanari
Geminiano Montanari appartiene al novero dei matematici che nell’Europa del Seicento acquisirono vasta fama nel campo dell’astronomia, ma si occuparono, con competenza, anche di questioni monetarie. È uno dei protagonisti di quella cultura tecnica e scientifica che, maturata in ambienti mercantili, artistici e religiosi, approda gradualmente, tra 15° e 18° sec., nelle università del nascente Stato assoluto. Una cultura nella quale lo studio della matematica si accompagna a quello dell’ingegneria, della metallurgia, della meccanica, della fisica, dei moti celesti nonché delle tecniche amministrative e contabili, come pure dell’astrologia e dell’alchimia.
Geminiano Montanari nasce a Modena il 1° giugno 1633 da Giovanni Geminiano e Margherita Zanasi. Accanto ai corsi regolari di lettere, filosofia e diritto, a partire dall’età di tredici anni, si dedica anche allo studio delle matematiche, dell’astrologia giudiziaria (ossia della formulazione di oroscopi), dell’anatomia e della teologia. Ventenne si trasferisce a Firenze per completare la sua preparazione professionale, in qualità di ‘praticante d’avvocatura’, presso lo studio di Jacopo Federighi. A causa, forse, di una turbolenta vicenda amorosa, nell’estate del 1656 deve riparare a Grosseto. Seguiranno tre anni decisivi. Nel prosieguo dello stesso 1656 si trasferisce a Salisburgo, dove è presente e attiva una colonia italiana. Qui consegue la laurea in utroque iure e gode della protezione dell’arcivescovo cattolico Guidobald von Thun und Hohenstein (1616-1668).
Immediatamente dopo, in vista di un «impiego onorevole» si trasferisce a Vienna dove, oltre a essere proclamato philosophiae magister, parteciperà, con composizioni anche in tedesco, alle sedute dell’Accademia italiana dei Novelli o dei Crescenti, fondata nel 1656. Nell’inverno tra il 1657 e il 1658, in qualità di socio e adjutore compirà con Paolo del Buono un avventuroso viaggio alle miniere d’argento di Ungheria, Boemia e Stiria allo scopo, tra l’altro, di sperimentare una innovativa pompa idraulica. Il sodalizio termina nel 1658, poco dopo la morte dell’imperatore e le incertezze che ne seguono, allorché del Buono si trasferisce a Varsavia e Montanari torna in Italia dividendosi tra Modena e Firenze. Proprio a Firenze (come ricorderà lui stesso) riprende la professione legale e, dopo essere stato presentato al principe Leopoldo de’ Medici (1617-1675), lo serve come avvocato, in questioni «matematiche» e, soprattutto, in «osservazioni celesti». Con la benevolenza anche di Ferdinando II de’ Medici (1610-1670), partecipa infatti, come ‘studioso esterno’, a lavori dell’Accademia del Cimento, ossia agli esperimenti sul vuoto e alle osservazioni di Saturno.
Nel corso del 1658, peraltro, viene più volte interpellato dallo zecchiere del Granduca onde realizzare un torchio a bilancia per il conio di speciali monete d’argento (temini), che diverse zecche europee già producevano e contrabbandavano in Turchia e di qui in Persia, con grandi loro guadagni, ma sensibile danno per l’impero ottomano. Il tentativo riesce al punto che, nel corso dello stesso anno e in quello successivo, il Granduca fa produrre ed esportare alcuni milioni di monete piccole d’argento finché, per intervento dello stesso Gran Visir, si pone termine al lucroso traffico.
Risale con molta probabilità a questo periodo, tra Vienna e Firenze, tra 1657 e 1661, la base dell’impianto teorico che verrà impiegato nelle più tarde opere monetarie, ossia il Trattato del valore delle monete in tutti gli Stati e La Zecca in consulta di Stato. È lo stesso periodo in cui Montanari si sposa (1659). La moglie, Elisabetta, è figura che viene ricordata in quanto diverrà stimata collaboratrice del marito nella fabbricazione di strumenti ottici. È questa un’occupazione che, insieme all’insegnamento privato, a quello universitario e alla consulenza tecnico-scientifica al servizio dello Stato, farà parte delle normali attività di Montanari. L’approdo all’insegnamento universitario non è comunque immediato.
La sua fama anche in Modena, come osservatore di fenomeni celesti, fa sì che il duca Alfonso IV d’Este (1634-1662), nel 1661, lo assuma alle sue dipendenze come filosofo e matematico e lo affianchi al marchese Cornelio Malvasia (1603-1664), suo generale di fanteria, appassionato di astronomia e astrologia, per portare a termine le sue Ephemerides Novissimae (1662). Sostanziale è il contributo di Montanari, autore fra l’altro della pregevole carta della Luna allegatavi, tra le più accurate del 17° secolo.
Alla morte del duca, Montanari rifiuta un incarico statale come giurisperito e preferisce trasferirsi a Bologna con Malvasia. Poco dopo la morte di questi, il Senato bolognese gli affida la cattedra di matematica che tiene per quattordici anni (1664-1678). A Bologna partecipa all’Accademia dei Gelati e fonda, con amici e allievi, l’Accademia della Traccia (1665-1677), di tipo sperimentale. Sono di questo periodo i Pensieri fisico-matematici (1667) e la corrispondenza con la neonata Royal Society (fondata nel 1665) del cui membro Robert Boyle (1627-1691) accoglie la particolare ipotesi di composizione corpularista della materia.
Sempre al periodo bolognese risalgono i suoi esperimenti di trasfusione del sangue tra animali e, condotta con un gruppo di amici, una battaglia pubblica contro l’astrologia. Quest’ultima inizia nel 1675 con la pubblicazione di un fortunato almanacco astrologico, Il frugnuolo degli influssi del gran cacciatore di Lagoscuro, costruito su predizioni affidate al caso, e termina a Padova con la stampa di un’opera che produce grande rumore, L’Astrologia convinta di falso (1685). Nel volume egli difende le ragioni del libero arbitrio e fornisce le prove sperimentali della fallacia dell’astrologia grazie anche alla rivelazione della beffa costituita dal Frugnuolo.
Alla luce delle crescenti difficoltà incontrate nell’ambiente bolognese e grazie all’ottima reputazione guadagnata in astronomia come nelle scienze applicate, lascia Bologna ed entra al servizio della Serenissima che crea per lui una cattedra di astronomia e meteore all’Università di Padova e gli richiede un forte impegno come consulente (1678-87). A Padova, il lavoro è intensissimo. Oltre alle lezioni pubbliche ne tiene anche in casa, per allievi già laureati, dovendo oltretutto riservare metà giornata al Capitano Rettore della città.
Tra le materie che le autorità veneziane, dal 1680, gli commissionano, compaiono la balistica (tavole di tiro per gli artiglieri), l’ingegneria idraulica (il controllo della laguna e delle foci dei fiumi interessati), le fortificazioni e le questioni monetarie. Dopo un primo insulto apoplettico, nel 1683, al quale altri ne seguono che limitano seriamente la sua capacità lavorativa, muore a Padova il 13 ottobre 1687. Gran parte di ciò che Montanari scrive su questi ultimi argomenti, in particolare sulla moneta, rimane, alla sua morte, incompiuto e inedito.
Oggetto della sua indagine come monetarista è il fenomeno dell’augmentum, ossia della rivoluzione dei prezzi che caratterizza le economie europee del 16° e 17° sec. e produce, in Venezia come altrove, gravi danni. Nell’affrontare il tema egli si avvale di due generi di fonti. La prima di esse è rappresentata da una selezione di monetaristi già attivi in Italia, Francia e Olanda. Essi sono, nell’ordine: Bernardo Davanzati, Jean Bodin (1529-1596), Willebrord Snell van Royen (1580-1626), Guillaume Budé (1468-1540), Gasparo Scaruffi, Charles Dumoulin (1500-1566), Jehan Cherruyt de Malestroict (16° secolo; Paradoxes sur le faict des monnoyes, 1566), François Garrault (m. 1632; Paradoxe sur le faict des monnoyes, 1578) e René Budel (1540 ca.-1597; De monetis et re numaria libri duo, 1591). Un elenco nel quale si nota l’assenza degli scrittori scolastici così come degli inglesi e dei cameralisti.
Tra gli autori che egli cita è prevalente l’influenza esercitata da Davanzati, fedele interprete di un neoplatonico e cinquecentesco «ragionar fiorentinamente». Il secondo, più tardo genere di fonte è di carattere filosofico e metodologico. Una traccia utile per individuare i pensatori ai quali egli fa riferimento in tale prospettiva si può rinvenire nel suo Discorso del vacuo (1675, ma pubblicato postumo nel 1694). Tra gli antichi, egli rivela di accogliere suggestioni da Platone, Epicuro e Lucrezio; tra i moderni da Galileo Galilei (1564-1642), Pierre Gassendi (1592-1655) e Robert Boyle. L’influenza di questi autori, adattata allo studio delle relazioni tra gli uomini, si palesa negli scritti monetari là dove mostra di ritenere che:
a. i fenomeni non sono conoscibili nella loro sostanza e non sono direttamente accessibili ai sensi, ma, dopo aver proceduto alla definizione del campo d’indagine, richiedono di essere continuamente interrogati, ragionando per differenza e per relazione, a partire da supposizioni;
b. la moneta non può essere studiata in sé ma sulla base della funzione comune svolta dalle monete storiche;
c. poiché le cose sono «costituite» dal loro Creatore in numero, peso e misura, per conoscerle occorre misurarle, mettendo a confronto coppie di oggetti, talché la cosa misurata divenga «misura della misurante»;
d. ogni relazione significativa che si ritenga d’aver individuato va sottoposta a verifica. L’esperimento, nei fatti sociali, è sostituito dall’osservazione, dai resoconti e dai documenti;
e. in campo economico domina il principio edonistico e massimizzante: quando si effettua un acquisto lo si fa per conseguire un bene, vero o apparente, per evitare un male o costretti da necessità. L’opportunità di agire, nel modo meno dispendioso, è calcolata confrontando il tornaconto previsto e il denaro investito;
f. gli oggetti storici che fungono da monete vanno misurati, in un determinato istante, in relazione ai beni che soddisfano desideri e bisogni;
g. analogamente a quanto accade ai fluidi in un corpo, anche i mercati posseggono un loro fisiologico punto di equilibrio;
h. tale equilibrio è identificato da scambi alla pari, perché non vi può esser guadagno per qualcuno che non equivalga a danno per altri in quanto il mondo riproduce complessivamente sempre le stesse risorse.
A eccezione di quest’ultima, seppur basilare, assunzione, che ha un’implicazione etica oltre che naturalistica, l’adozione del metodo fisico-matematico da parte di Montanari porta a un netto ribaltamento di prospettiva rispetto al pensiero dominante. L’economia emerge come mondo a sé, con leggi proprie, indipendenti dal diritto e dalla morale e sulle quali le scelte politiche intervengono come condizionamenti esterni di cui valutare, economicamente, gli effetti. Per molti aspetti tale modo di concepire i fenomeni, non solo economici, è lo stesso che caratterizzerà l’Illuminismo.
Montanari avversa il pregiudizio e la superstizione a favore della ragione e dell’osservazione, guarda ai fenomeni interrogandoli attivamente, impiega sistemi razionali per valutare le prove, ritiene che non si possa conoscere il mondo come tale ma attraverso la mediazione delle limitate facoltà di un uomo che è sia soggetto sia fine di una ricerca posta al servizio della «pubblica felicità».
La moneta, dice Montanari, è un oggetto convenzionale, essa è qualunque cosa autenticata dall’autorità pubblica per servire come «prezzo e misura» delle cose commerciabili. Diffusa per tutto il globo terrestre, essa ha favorito a tal punto la comunicazione tra i popoli da potersi dire che il mondo intero sia diventato una sola città nella quale si scambia continuamente ogni genere di mercanzia. I principi avrebbero potuto usare qualunque supporto fisico al posto delle monete preziose: alcuni già lo facevano, altri l’avevano fatto. Il valore della moneta non sta in qualche suo intrinseco contenuto, ma nel suo potere d’acquisto. Quest’ultimo, pur variando di continuo, è calcolabile, istante per istante, rapportando la quantità di merci con la quantità delle monete. L’unico prerequisito è che le merci o le monete in questione si reputino utili. Posto che lo siano, il loro valore dipende dalla quantità offerta: tanto più sono rare, tanto più son valutate. La combinazione di utilità e rarità è la legge indipendente dalla volontà politica che governa i valori e gli scambi commerciali.
Poiché a Montanari si richiedono consulenze sull’attività produttiva delle zecche e quindi sulla quantità delle singole specie da coniare e sul modo più opportuno di metterle in circolazione, egli si occupa dettagliatamente di monete speciali e quindi di mercati speciali, con caratteristiche non del tutto generalizzabili. Per intendere più compiutamente il suo sforzo è utile quindi tener conto che non s’impiega, nel Seicento, una sola tipologia di moneta, ma ve ne sono almeno quattro: la moneta preziosa d’oro e d’argento, la moneta bancaria (ossia le promesse di pagamento), la moneta bassa, a poco o nullo valore intrinseco, e, infine, quella immaginaria, non circolante, ma puramente contabile e legale. Ognuna di esse ha un proprio ambito elettivo: l’oro e l’argento per il commercio internazionale; la moneta bassa per i minuti scambi interni; quella bancaria al servizio, in primo luogo, di una ristretta cerchia di operatori internazionali, al posto dei metalli preziosi ma anche a servire la speculazione o il prestito a interesse; la moneta immaginaria (in genere la lira) per tenere i conti e fissare il livello di «tariffe» (prezziari) e carichi tributari.
Posto che Montanari si occupa solo marginalmente di moneta bancaria e di credito, il problema principale che ravvisa in questo sistema è che le diverse monete sono esposte a contaminazione. Oltre a essere insidiate dalla criminale pratica della falsificazione, esse facilmente fuoriescono dai loro alvei naturali: dal loro mercato, dal loro spazio e dal loro tempo. I metalli preziosi sono allo stesso tempo impiegati come monete, come gioielli e come beni rifugio. Le monete basse sono spesso emesse in quantità molto superiori alle esigenze. Sono oltretutto le vittime preferite di falsari e di principati finitimi, i quali, guadagnandovi, le introducono entro i confini altrui. La moneta immaginaria, con la quale si stabiliscono tariffe, affitti e carichi fiscali, è esposta, quasi per sua natura, a restare ferma nel tempo. Non tenendo tempestivamente conto di eventuali aumenti dei prezzi, penalizza salari, rendite e fisco.
Una delle principali cause dell’augmentum, ossia della rivoluzione dei prezzi, è l’inondazione di moneta bassa. Essa provoca l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e trascina con sé, gradualmente, i valori degli altri beni e delle monete con buon valore intrinseco. Salari, tasse e rendite, in quanto legate alla più inerte moneta immaginaria, non crescono allo stesso ritmo, con grave danno per la salute dei «corpi politici». In ciò consiste il morbus nummaricus che Montanari è chiamato a curare e che egli diagnostica scoprendo, limitatamente agli Stati italiani, un’ulteriore malattia «politica»: la fuga dei capitali dalle manifatture della penisola e il loro impiego in speculazioni sulle monete, in spese di prestigio e in beni rifugio.
Utilizzando la metafora dei vasi comunicanti, in un’ottica statica, di conservazione della loro portata complessiva, i rimedi che Montanari suggerisce si possono riassumere in una sola regola: riportare i singoli bacini ai loro livelli naturali, ridurli di numero, separarli ove necessario e regolarne attentamente i collegamenti là dove ne servano. In termini economici, evitare il più possibile la contaminazione tra le funzioni delle diverse monete, controllare con cura i loro flussi, aggiornare di continuo i tassi di cambio, compresi i valori espressi in moneta immaginaria.
Riguardo alle monete basse, farne un mezzo di scambio puramente nazionale, interno, sottoposto a un rigido controllo sulle quantità. Trasformarle di fatto in uno strumento fiduciario, capace di assorbire le funzioni della moneta immaginaria. Pur occupandosi prevalentemente di questioni monetarie, Montanari, come s’è detto, non manca di gettare uno sguardo preoccupato sia alla speculazione internazionale, vantaggiosa solo per i pochi interessati, sia alla desertificazione degli opifici, ambedue rovinose, in terra italiana, non meno dei disordini monetari. E questo pare essere l’appello finale che egli affida, come interrogativo aperto, ai suoi lettori, ai quali lascia comunque il rilevante lascito di un coerente procedimento analitico.
Il suo metodo, oltre a condurlo a prefigurare i futuri sistemi monetari europei, gli consente intuizioni che la storia del pensiero attribuirà ad altri, successivi autori. Per es., Montanari, precorrendo Bernard de Mandeville (1670-1733), valuta negativamente, giudicandolo ozioso e parassitario, l’atteggiamento di Diogene il quale, se fosse stato imitato da tutti, avrebbe pure cercato di evitare di raccogliersi da solo le sue proprie ghiande. Alla pari di Eugen von Böhm-Bawerk (1851-1914) nota la preferenza per i beni attuali rispetto ai futuri. Così come segnalerà John Maynard Keynes (1883-1946), egli individua una relazione tra l’abbassamento del tasso d’interesse, l’innalzarsi in valore dei beni d’investimento (la terra) e il minor apprezzamento della moneta di riferimento. Di rilievo è anche l’impiego dei due concetti di bene succedaneo e di rigidità della domanda dei beni di prima necessità.
Sul piano del metodo dà vita sia all’analisi che sarà chiamata delle approssimazioni successive, sia alla futura cinematica storica: idonee, ambedue, ad allentare il vincolo costituito dal dover metter a confronto, istante per istante, solo coppie di quantità. Partendo dagli scambi tra monete egli, infatti, mette in sequenza coppie di collegamenti successivi che finiscono con il comprendere, in un unico quadro, merci, bisogni, consumi, investimenti, produzioni, redditi, prelievi fiscali, risorse naturali, capacità produttive e il benessere dei popoli.
Analogamente, dal caso della città assediata egli passa a quello di un’economia chiusa, poi a quella aperta per finire con la rete planetaria del commercio internazionale. Sia pure grazie alla metafora dei bacini idraulici comunicanti, egli prospetta, infine, la visione e la possibilità di un equilibrio economico generale fra tutte le popolazioni del globo.
Attribuire a Montanari il principale merito di essere stato artefice di una rigorosa teoria quantitativa della moneta, artefice peraltro monco perché non avrebbe preso in considerazione la velocità di circolazione dei mezzi di pagamento, è fargli un torto. Nella sua essenza la teoria quantitativa della moneta non è per nulla nuova. Quanto alla velocità, che richiede il tempo per essere calcolata, è solo segno di coerenza non averla tirata in campo: non c’è il tempo nell’istante di tipo geometrico nel quale solo è ammissibile che la cosa misurata divenga misura della misurante. Conseguire esatte misurazioni, come Montanari deve fare, comporta la rinuncia ad aver piena ragione della dinamica e perciò delle questioni legate al credito e allo sviluppo.
I due scritti monetari di Montanari furono stampati postumi. Il primo a vedere la luce, nella Pars tertia (1750) del De monetis Italiae (Milano, Stamperia della Regia Curia) di Filippo Argelati (1685-1755), fu il Trattato del valore delle monete in tutti gli Stati. Il testo fu reperito nella raccolta del canonico Andrea Irico, «dottore del Collegio Ambrosiano». Morto Argelati, la sua impresa editoriale fu continuata dal canonico Carlo Casanova. Egli portò a compimento la stampa, già in gran parte approntata da Argelati, della seconda opera, La Zecca in consulta di Stato. La pubblicò nella Pars sexta (1759) del medesimo De monetis Italiae, accompagnandola con una seconda versione del Trattato, intitolato ora Breve trattato sopra il crescere di valore le monete. Tale versione è pressoché identica alla prima se non fosse per l’aggiunta di due capitoli, il IX e il X, dedicati al sistema monetario veneziano con particolare riferimento allo zecchino.
L’edizione del 1759 dei due scritti fu poi riproposta, nel 1772, sempre per i tipi della Stamperia della Regia Curia. Utilizzando come fonte sia la Pars tertia sia la Pars sexta del De monetis Italiae, le due opere furono ripubblicate, sebbene con correzioni, nel tomo III della parte antica della raccolta degli Scrittori classici italiani di economia politica (Milano, Stamperia G.G. Destefanis, 1804), nota come Collezione Custodi. Nell’occasione, il barone Pietro Custodi, nella Dichiarazione posta in chiusura del volume, avvertì che, da un lato, aveva accorpato le due precedenti lezioni del Trattato – il quale compariva ora sotto il titolo di Breve trattato del valore delle monete in tutti gli Stati – e, dall’altro, mutato in Della moneta: trattato mercantile il titolo originale de La Zecca in consulta di Stato.
Un’ulteriore versione de La Zecca in consulta di Stato.fu poi approntata (Bari 1913) da Augusto Graziani (1865-1941) con l’aiuto di quel grande letterato che fu Fausto Nicolini (1879-1965). Essi si rifecero all’edizione del De monetis Italiae, ripristinarono il titolo originale dell’opera ed emendarono dagli errori tipografici la parte di testo curato, nel 1759, da Casanova. Grazie anche alla ristampa anastatica (Roma 1965) dell’intera Collezione Custodi curata da Oscar Nuccio (1931-2004), con appendici di analisi del pensiero e bibliografia, l’edizione più nota e citata dei due scritti economici di Geminiano Montanari è quella del 1804.
F. Cusin, Geminiano Montanari e la teoria del valore, «Studi urbinati», s. B, 1940, pp. III-38.
S. Rotta, Scienza e ‘pubblica felicità’ in Geminiano Montanari, in Miscellanea Seicento, 2° vol., Firenze 1971, pp. 64-208.
M.U. Lugli, Geminiano Montanari. Astronomi modenesi tra Seicento e Novecento, Modena 2004.
M. Bianchini, Geminiano Montanari nella scienza economica, in Galileo e la scuola galileiana nelle Università del Seicento, a cura di L. Pepe, Bologna 2011, pp. 327-46.
I. Dal Prete, Montanari Geminiano, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 75° vol., Roma 2011, ad vocem (oltre a una vasta bibliografia, il saggio segnala tre manoscritti sulle monete, ascrivibili a Montanari, conservati presso la Biblioteca del civico Museo Correr di Venezia).