FERRUGGIA, Gemma
Nata a Livorno l'8 dic. 1867 dal barone palermitano Nicolò e da Teresa Pelato, compì i suoi studi a Milano, prima alla scuola superiore femminile e poi all'Accademia scientifico-letteraria. Conseguito il diploma, si impegnò per alcuni anni nell'insegnamento, che abbandonò presto per dedicarsi completamente alla letteratura.
L'esordio della F. come scrittrice avvenne nel 1887, quando, su consiglio di Leone Fortis, inviò alle Conversazioni della domenica una novella, poi pubblicata. Tre anni dopo pubblicò il suo primo romanzo, Verso il nulla (Milano 1890) attirando subito l'attenzione della critica e vincendo, nel 1894, il premio alle Esposizioni riunite.
Nel 1890 partecipò al concorso "Beatrice di Firenze" con un intervento sulle Novelliere e conferenziere (in La donna italiana descritta da scrittrici italiane, Firenze 1890), in cui non soltanto analizzava la presenza delle donne nella letteratura italiana, partendo dal Duecento con la poetessa Nina di Dante di Maiano per arrivare al 1848 ma prendeva in esame l'opera di tre scrittrici contemporanee (B. Sperani, Neera, M. Serao), definendole come il triumvirato intellettuale che rappresentava l'indirizzo attuale della novella e del romanzo femminile in Italia.
Nel febbraio di quell'anno conobbe a Milano Eleonora Duse. Da allora iniziò un'amicizia che doveva durare trentacinque anni: la F. dedicò all'attività e alla vita della grande attrice una serie di scritti che confluiranno nel volume La nostra vera Duse (Milano 1924).
L'amore per la scena portò la F. a scrivere alcune opere teatrali: un monologo, Come allora!, e un dramma, l'Amata Desclée, dedicato alla famosa attrice drammatica francese (opera ritirata dalla F. dopo il fiasco cui andò incontro). Solo nel 1907 raggiunse il successo come drammaturga con La gioia di vivere, rappresentata dalla compagnia Mariani a Verona. Al mondo teatrale si interessò anche come saggista scrivendo alcuni articoli: Fedra e le sue interpreti (in La Lettura, marzo 1908), una rassegna delle diverse interpretazioni del dramma di Fedra compiute nel corso dei secoli; L'attrice della vita (in La Donna, 5 apr. 1908), breve saggio sull'attrice Virginia Reiter; L'attrice del silenzio (ibid., 5 sett. 1909), un ricordo di Italia Vitaliani.
Dopo i romanzi L'idea (Milano 1891), "audace e assolutamente moderno" (Casati, 1925, p. 51), e L'enigma soave (ibid. 1892), che piacque ad A. Fogazzaro, la F. scrisse nel 1893 Follie muliebri (ibid. 1893), che suscitò interesse e apprezzamento anche all'estero (il romanzo fu tradotto in inglese e pubblicato dalla casa editrice Heinemann).
Al suo apparire il periodico medico-scientifico The Lancet pubblicò un articolo in cui si sottoponeva all'attenzione del pubblico inglese il netto dualismo, clinico e letterario, delle due misteriose personalità che convivevano nella protagonista, Caterina. Anche lo stile, molto asciutto, appariva nuovo nella sua semplicità. Il romanzo fu però definito antifemminista (Casati), in quanto presentava figure di donne ben diverse dalle consuete eroine che popolavano di norma la narrativa ottocentesca.
Nel 1898 la F., insieme con il marito Agostino Luigi Tettamanzi, giornalista noto con lo pseudonimo Alberto Manzi, sposato nel 1894, si recò in Brasile, percorrendo le terre di Parà e Amazonas: ne nacque il libro Nostra Signora del mar dolce (Milano 1902), che si rivelò non un semplice reportage di viaggio nei mari lontani o un'evocazione nostalgica di esotici paesaggi, quanto, piuttosto, un'attenta analisi dei costumi e della filosofia di vita degli indigeni, e anche della condizione in cui vivevano gli emigrati italiani, di cui non si mancava di constatare e denunciare "l'individualismo piccino e volgare" che spesso li contraddistingueva.
Nel 1898 fu ospite per un breve soggiorno del salotto parigino di M. L. Rattazzi, dove si fece conoscere e ammirare per le brillanti doti di conversatrice; a Parigi scrisse inoltre una novella, Odi et amo, pubblicata ne La Nouvelle Revue internationale (1899), diretta dalla stessa Rattazzi.
Tornata in Italia, continuò l'attività di conferenziera e collaborò con La Tribuna, il Corriere della sera e La Stampa: pubblicò anche i volumi Il fascino (Milano 1898) e Gliaddii (ibid. 1900). La F. affrontò, quindi, di nuovo la problematica femminile scrivendo, su commissione di C. Aliprandi, il saggio Ilcervello della donna: intellettualità femminile (ibid. 1900), in cui, percorrendo secoli di storia, passava in rassegna le donne che "operano, le vaganti del pensiero, le scienziate, le scrittrici, le donne guerriere".
La posizione da lei assunta nei confronti dei movimenti femminili fu molto criticata, tanto da essere definita antifemminista. La F. era, infatti, convinta assertrice della differenza della donna, a cui, se non attribuiva un posto di sudditanza, assegnava un ruolo sociale nettamente diverso da quello dell'uomo ("ma che bisogno ha la donna di ingegno di aspirare ad un posto per il solo fatto di fare una cosa che degli uomini fanno?": G. Ferruggia-A. Manzi, Scuola di pratica poesia, in La Donna, 20 sett. 1909;"[...] l'orgogliounico è questo: noi facciamo altra cosa non meno grande": Il cervello..., p. 70). Secondo lei, il miglioramento della condizione della donna nella società non poteva avvenire attraverso l'associazionismo e le manifestazioni pubbliche (con riferimento ai congressi nazionali delle donne tenuti a Roma in quegli anni), ma piuttosto attraverso l'azione individuale; appoggiò quindi iniziative concrete come quella della scuola agraria femminile presso Niguarda, tesa all'emancipazione pratica e ad un inserimento fattivo e valido della donna nella società (Scuola...).
Nel 1907 la F. tenne per circa un anno sul quindicinale La Donna di Torino una rubrica fissa, "Oro, Neve, Ombra", che si proponeva di cogliere "l'ora di trionfo o l'ora di sconfitta della femminilità nelle sue espressioni di dolore, di umiliazione o di vittoria" (La Donna, 5 dic. 1907). Su quella stessa rivista la F. scrisse articoli di costume, ritratti dei grandi personaggi dell'epoca, profili di scrittori e scrittrici legati a lei da profonda amicizia (G. Pascoli, A. Fogazzaro, E. De Amicis, M. Serao, ecc.). Nello stesso 1907, su invito della Società "Dante Alighieri", si recò in Tunisia per una serie di conferenze; qui le fu conferita una medaglia d'oro.
Ormai vicina alle posizioni politiche dei nazionalisti, durante la guerra libica si impegnò in un giro di orazioni patriottiche: nel marzo del 1912 percorse la riva orientale dell'Adriatico per osservare e studiare la questione dell'italianità; fu anche invitata a tenere a Zara la prolusione "Le nostre attrici", con cui riscosse notevole successo e apprezzamento dalla stampa locale soprattutto per la sua voce, che "sa tutte le gamme della scala musicale, tutte le seduzioni dell'arte della parola" (IlDalmata, 20 apr. 1912). La sua presenza come conferenziera fu ancora richiesta a Fiume, Firenze, Bologna e a Trieste, ove ebbe anche dei richiami da parte della polizia austriaca per la sua propaganda irredentista.
Durante il conflitto mondiale, tra il 1916-17 fu efficace corrispondente di guerra per il giornale Il Fronte interno, e ancora conferenziera, nel palazzo del Quirinale, per i soldati italiani. Nel dopoguerra, in occasione dell'impresa di Fiume, D'Annunzio le mandò, con una bella dedica, la decorazione fiumana.
Nel 1921 la F. tornò in Brasile e l'anno successivo visitò anche l'Argentina; il suo interesse era soprattutto indirizzato allo studio delle condizioni in cui vivevano gli Italiani all'estero. In questo secondo viaggio transoceanico la F. giudicò la situazione degli emigrati italiani positivamente cambiata.
Qualche anno più tardi, in un articolo apparso sulla Nuova Antologia (L'emigrazione nova, 16 febbr. 1927, pp. 478-495), la F., dopo aver analizzato la legislazione italiana in materia di emigrazione, si fece sostenitrice delle idee (già sviluppate del resto dai nazionalisti italiani) favorevoli a un cambiamento degli obiettivi che doveva perseguire il governo italiano relativamente alle nostre comunità all'estero. Si trattava, infatti, di appoggiare l'azione dei lavoratori italiani emigrati in modo da agevolare un loro rapido inserimento nella nuova realtà sociale, al fine di trasformare il paese ospitante in una seconda patria, legata alla nazione di origine da interessi morali e materiali.
La F. morì improvvisamente a Milano il 15 dic. 1930.
Fonti e Bibl.: C. Catanzaro, La donna italiana (nelle scienze, nelle lettere, nelle arti). Dizionario biografico, Firenze 1890, p. 76; M. Serao, Studio e ricordi di G. F., in Nuova Antologia, 16ott. 1900, pp. 621-628; A.De Gubernatis, Dictionnaire international des écrivains du monde latin, Firenze 1905, p. 595; Z.Garbèa, G. F., in La Donna, IV (1907), pp. 15 ss.;G. Biagi, Chi è? Roma 1908, p. 121; C. Villani, Stelle femminili, Napoli 1915,pp. 258 ss.; G. Casati, Manuale di letture per le biblioteche, le famiglie e le scuole, Milano 1921, p. 54; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Napoli 1922, p. 164; C.Pellizzi, Le lettere italiane nel nostro secolo, Milano 1929, p. 165;M. Gastaldi, Donne luce d'Italia. Panorama della letteratura femminile contemporanea, Milano 1936, pp. 357 s.;M. Bandini Buti, Poetesse e scrittrici, Roma 1941, pp. 263 s.; E.M. Fusco, Scrittori e idee, Torino 1956, p. 233.