GEMMARIUS
È nome che si trova solo nelle iscrizioni (e nella Vulgata: Esodo, xxviii, 11); in Roma era il mercante, il venditore di pietre dure e preziose lavorate o anche allo stato grezzo. Il tagliatore, il cesellatore che ne faceva cammei o le foggiava in forme diverse, il gioielliere che le incastonava nei gioielli e negli oggetti della toreutica doveva più precisamente chiamarsi sculptor, cabator o cavator, o caelator (v.), signarius, insignitor; in Plinio (Nat. hist., xxix, 38) gemmarum sculptor, in autori tardi si trova gemmarum insignitor (Aug., De civ. Dei, xxi, 4) e politor (Firm. Mat., Mathes., iv, 7); un'iscrizione ricorda un gemmarius sculptor (C. I. L., vi, 9436). Ab auro gemmato (C. I. L., vi, 8734; Dessau, Inscriptiones Latinae selectae, 18 15) erano detti i liberti imperiali addetti alla manutenzione e probabilmente anche alla fattura di vasellame e gioielli d'oro adorni di gemme.
Le testimonianze epigrafiche di gemmarii sono limitate all'Italia, anzi a Roma, oltre a un caso a Pompei e uno a Forum Novum, mentre la moda delle gemme, se fu naturalmente più intensa in Roma e nei centri più ricchi, è attestata anche altrove, per esempio in Ispagna (C. I. L., ii, 2060, 3386). Si adattavano gemme ai gioielli personali e votivi (gemmosa monilia), alle stoffe ricamate, a vasellame (gemmata potoria, aurum potorium, calices gemmati), e in generale a suppellettili di lusso, ad armi, bardature, carrozze; tra gli eccessi di Caligola la tradizione ricordava anche quella di avere fatto adornare di gemme anche le poppe delle sue navi (Suet., Caius, 37). Gemme incise o lavorate a cammeo erano considerate opere d'arte a sé stanti, firmate e raccolte da amatori; inserite in castoni di anello servivano da sigillo ed è celebre il sigillo con la testa di Alessandro Magno usato da Augusto e poi quello con il suo ritratto fatto dal grande artista Dioskourides (v.) (Dioscoridis manu scalpta; Suet., Aug., 50). Da pietre dure di notevole mole si ricavavano anche interi oggetti, soprattutto coppe. Chiamate alla greca dactylothecae, le collezioni di gemme potevano avere fortissimi valori; sono restate famose quella di Scauro e quella di Pompeo (Plin., Nat. hist., xxxvii, 5); venivano anche dedicate e conservate nei templi tra i tesori artistici dello stato.
Alcune iscrizioni menzionanti offerte votive descrivono anche gemme o gioielli con gemme (C. I. L., ii, 2060, 2326, 3386, 3387; x, 1598; xiv, 3941). Le gemme montate su anelli, vasi o altri oggetti, divenivano parte dell' oggetto principale (cedunt) e quindi appartenevano al proprietario dell'oggetto, indipendentemente dal loro valore, in quanto ornamento (Dig., xxxiv, 2, 19, 13), ma potevano anche essere lasciate separatamente in eredità (Dig., xxxiv, 2, 17).
Gli artisti cesellatori firmavano spesso i cammei e le pietre lavorate, incidendovi il proprio nome al caso genitivo o al nominativo col verbo ἐποίει, e sempre in greco, anche quando si trattava di nomi latini; uso che prova non solo la provenienza greca del mestiere, ma la continua supremazia greca. Non è possibile però fare alcuna deduzione sull'origine o la condizione giuridica di questi artisti dalle loro firme, anche perché sempre ridotte ad un nome solo; per lo più al prenome (nei nomi latini); uso che forse fu determinato anche dalla limitazione dello spazio disponibile. Le firme cessarono di apparire con la produzione del II sec. d. C.
Qualche cosa di più possiamo invece sapere sui gemmarii dalle iscrizioni funerarie o votive, che sono in genere di commercianti o di padroni di bottega, dove probabilmente anche si lavoravano le gemme. Anche i gemmarii lasciano il proprio indirizzo e stanno di preferenza in Roma sulla via Sacra, ove si concentrava gran parte della produzione e del commercio dei gioiellieri (vedi aurifex, argentarius, margaritarius); sono quasi tutti liberti. Un solo ingenuus a Forum Novum (C. I. L., ix, 4795), e due schiavi (C. I. L., iv, 8505) a Pompei, e a Roma (C. I. L., vi, 9437); non chiamato g. quest'ultimo, ma elogiato perché sapeva docta fabricare monilia dextra / et molle in varias aurum disponere gemmas. Potevano esercitare la professione singolarmente come il liberto L. Albius Thaemella (C. I. L., vi, 9434), o assieme con i propri fratelli, come i Plotii (C. I. L., vi, 9435) della via Sacra, potevano a loro volta avere una ricca famiglia di schiavi e di liberti come M. Lollius Alexander (C. I. L., vi, 9433) che costruì per sé, la moglie e i liberti una edicola funeraria con ipogeo. A Pompei è stata trovata l'officina di un g., forse Cerialis Pinarius, con numerosi resti di pietre dure lavorate e grezze, bulini ed altri strumenti di lavoro.
Gemmarii
Si elencano qui solamente i nomi di gemmarii fatti conoscere da iscrizioni funerarie o votive. Per quelli noti dalle firme si rimanda agli elenchi del Brunn, del Furtwängler, op. cit., e dei varî cataloghi.
Abbreviazioni: ing. = ingenuus; lib. = liberto; ser. = schiavo; iscr. fun. = iscrizione funeraria; iscr. v. = iscrizione votiva.
L. Albius Thaemella (lib., Roma, I sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 9434).
Anthus (ser., Roma, I sec. d. C., iscr. v., C. I. L., vi, 245).
C. Babbius Regillus, Babbia Asia (lib., iscr. fun., C. I. L., vi, 9435).
Campanus (ser., Pompei, I sec. d. C., iscr. parietale, C. I. L., iv, 8505).
P. Licinius Primus (ing., Forum Novum nell'Emilia, I sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., ix, 4795).
M. Lollius Alexander (lib.?, Roma, II sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 9433).
Pagus (ser., Roma, v. aurifex, iscr. fun., C. I. L., vi, 9437).
Q. Plotius Anteros, Felix, Nicepor (liberti, Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 9435).
L. Vitte(di)us Hermias (lib., Roma, I sec. d. C., iscr. fun., C. I. L., vi, 9436).
Bibl.: I. Sillig, Catalogus Artificum sive architecti, statuarii, sculptores, pictores, caelatores et scalptores Graecorum et Romanorum, Dresda-Lipsia 1827; H. Brunn, Geschichte der griechischen Künstler, Stoccarda 1889, II, p. 321 ss.; H. Blümner, Technologie und Terminologie der Gewebe und Kunst bei Griechen und Römern, Lipsia 1884, III, p. 279 ss.; E. Babelon, in Dict. Ant., s. v. Gemmae, II, 1892, 2, p. 1488; A. Futwängler, Gemmen, Lipsia Berlino 1900; O. Rossbach, in Pauly-Wissowa, VII, 1910, s. v. Gemmen, c. 1052, ma soprattutto c. 1087; M. Della Corte, in Not. Scavi, 1912, p. 69, 14; De Ruggiero, Diz., III, 1922, p. 448, s. v. Gemmarius; J. M. C. Toynbee, Some Notes on Artists in the Roman World, Bruxelles 1951, p. 53 ss.