generazione
Il termine occorre nel Convivio e una sola volta nella Vita Nuova e denota, sia in senso proprio che traslato, il processo con il quale una qualche realtà giunge al suo essere; nell'espressione ‛ umana g. ', g. vale " genere ".
Il processo della g. è spiegato da Aristotele con l'influenza del moto periodico di accesso dei pianeti. Secondo i cristiani, gli esseri derivano in primo luogo per creazione da Dio. La dottrina dantesca è d'impianto aristotelico, ma ha recepito influenze varie, soprattutto neoplatoniche e avicennistiche, conciliate tutte con le esigenze della fede cristiana. Essa è stata illustrata a più riprese da B. Nardi, ai lavori del quale si rinvia per un approfondimento dei vari temi, mentre qui ci si limita a richiamare le tesi fondamentali del pensiero di Dante.
D. ritiene che la creazione riguardi immediatamente tre cose: la materia, la pura forma (Intelligenze separate) e quei composti di materia e forma che sono i cieli indistruttibili; in Pd VII 145-148, D. afferma anche che Adamo è stato creato direttamente da Dio e su ciò fonda l'attesa della resurrezione dei corpi. In generale, gl'individui vengono all'essere grazie all'azione dei cieli che depongono nel mondo la bontà divina di cui sono mediatori. Il poeta si è intrattenuto a lungo a illustrare natura e azione dei cieli e a spiegare la g. dell'uomo (cfr. infatti Cv IV XXI 4-5, Pg XXV), ma ha anche precisato che cosa nell'uomo è dovuto all'influenza dei cieli e che possiamo riassumere così col Nardi: " I cieli servono all'uomo, regolando coi loro movimenti la periodica generazione delle cose di quaggiù, predisponendo il corso della vita umana, iniziando i moti dell'animo, provvedendo colle varie influenze alla varietà degli ingegni e delle indoli, e perfino apparecchiando l'ottima disposizione del mondo a ricevere il Redentore " (" Tutto il frutto ricolto ", p. 334). Per il resto, D. si limita ad affermare che, essendo ogni g. dovuta all'azione dei cieli, le cose generate amano il luogo e il tempo della loro generazione.
In primo luogo, g. denota il processo che porta all'essere sostanziale, all'atto o perfezione prima di un individuo: in Cv I XIII 4 D. afferma che il volgare ha favorito l'incontro fra i genitori e ha così concorso a la mia generazione, e perciò esso è alcuna cagione del mio essere (‛ esse ', cioè atto primo). In II XIII 5 quanto a la prima perfezione, cioè de la generazione sustanziale, tutti li filosofi concordano che li cieli siano cagione e, analogamente, in Vn XXIX 2 ne la sua generazione tutte e nove li mobili cieli perfettissimamente s'aveano insieme: la g. degli esseri del mondo sublunare avviene tramite l'influenza dei cieli che, come sappiamo, ‛ partiscono ' la bontà divina (cfr. IV XXII 4 de la divina bontade, in noi seminata e infusa dal principio de la nostra generazione); poiché il movimento celeste prende l'avvio dal Primo Mobile, se questo non fosse, non sarebbe qua giù generazione né vita d'animale o di piante, così come senza la filosofia morale - paragonata al Primo Mobile - non sarebbe generazione né vita di felicitade (II XIV 17). Conseguenza della causalità celeste, che opera diversamente in luoghi e tempi diversi, è l'amore che le cose portano al luogo e al tempo della loro g.: III III 3 Le corpora composte prima, sì come sono le minore, hanno amore a lo luogo dove la loro generazione è ordinata, e in quello crescono e acquistano vigore e potenza; onde vedemo la calamita sempre da la parte de la sua generazione ricevere vertù, e 6 Per la natura... del corpo misto [l'uomo] ama lo luogo de la sua generazione, e ancora lo tempo; e però ciascuno naturalmente è di più virtuoso corpo ne lo luogo dove è generato e nel tempo de la sua generazione che in altro.
Il ‛ corpo composto ' o ‛ misto ' di cui si parla è senza dubbio corrispondente al terzo genere di forma materiale di cui parla Alberto Magno (Nat. orig. an. I 3, 6b): " Et haec est forma substantialis eorum quae tantum commixta sunt, nullam habentia ulterius complexionem aut compositionem, sicut est forma lapidis et metalli "; quanto all'amore al luogo della g., è da ricordare che non tutti gl'individui possono essere generati in ogni luogo: cfr. Ristoro d'Arezzo (La composizione del mondo, dist. 7, p. 4, c. 2, 109): " E troviamo le minierie fatte tale in uno luogo della terra e tale in uno altro, e troviamo la terra quasi tutta minerata, come lo campo seminato; e la ragione di questo si è, imperciò che 'l corpo del cielo colla sua virtude, la quale egli ha dall'alto Iddio, non sta ozioso, e ha in sé di fare tutte le miniere e la terra. E la terra di sé non può niente; onde le parti del cielo ciascheduna ha ad operare nella terra la sua operazione nelle minerie, e hanno officio e dominio d'adoperare maggiormente in uno luogo della terra che in un altro, secondo ch'è posto per li savi "; Alb. Magno Phys. IV I, c. XI, 216b " Est enim locus proprie, quando una numero superficies in qua est virtus coelestis diffusa, est continens, salvans, et formans ", e Mineral. I I, c. 8, 11a " Et est ista virtus loci ex tribus virtutibus congregata, quarum una est virtus motoris orbis moti. Secunda est virtus orbis moti cum omnibus partibus suis et figuris partium quae resultant ex situ partium diversimode se respicientium propter multimodam motorum velocitatem et tarditatem. Tertia autem est virtus elementaris, quae est calidum, frigidum, humidum et siccum, vel commixtum est his " (per gli aspetti generali della discussione sul ‛ luogo ', cfr. B. Nardi, La dottrina dell'Empireo, pp. 167 ss.); l'amore al tempo è giustificato dal fatto che per D. il tempo è, aristotelicamente, mensura motus e che ogni moto prende il suo avvio dal Primo Mobile: perciò, la successione temporale rappresenta i modi della diversa influenza celeste (cfr. Cv IV II 6, Mn I XVI 2, If I 37-43).
In modo analogo,. D. dice dell'operazione umana che produce qualcosa, che essa in certo senso la genera: Cv III IX 4 Per similitudine dico ‛ sorella '... così puote l'uomo dire ‛ sorella ' de l'opera che da uno medesimo operante è operata; ché la nostra operazione in alcun modo è gene-razione. In III XII 4, con riferimento alla nascita dell'amicizia, si dice generazione de l'amistade, quando già da una parte è nato amore, e desiderasi e procurasi che sia da l'altra.
Discutendo della nobiltà, D. affronta il problema dell'origine di essa e parla di generazione di nobilitade o di quelle qualità nelle quali di volta in volta si assume consista la nobiltà (IV XIV 3 è impossibile per processo di tempo venire a la generazione di nobilitade; 7 quanto la natura umana fosse migliore tanto sarebbe più malagevole e più tarda generazione di gentilezza; 10 in loro generazione di nobilitade essere non può).
In Cv IV XXIX 1 coloro che, per essere di famose e antiche generazioni e per essere discesi di padri eccellenti, credono essere nobili, nobilitade non avendo in loro, g. ha il valore di " discendenza " (o genealogia, che è successione di discendenza); si ricordi che in quest'accezione il termine ha una connotazione temporale (qui sottolineata da antiche) come risulta dal largo impiego nella volgata per designare la totalità degli uomini in un certo tempo (ad es. Marc. 8, 12 " Quid generatio ista signum quaerit? ", e 13, 30 " Amen dico vobis quoniam non transibit generatio haec, donec omnia ista fiant ", e pseudo-Prospero De Vocatione omnium gentium I 11, Patrol. Lat. 51, 663B " quasi de una et eiusdem aetatis generatione dicatur "), o anche una parte di essi (per la g. di Cristo, cfr. la successione da Abramo in poi, in Matt. 1, 17 " Omnes itaque generationes ab Abraham usque ad David generationes quattuordecim, et a David usque ad transmigrationem Babylonis generationes quattuordecim, et a transmigratione Babylonis usque ad Christum generationes quattuordecim "): quest'ultimo senso è il più vicino al testo di D., dove ciò che individua una parte di uomini è la fama (famose). Il termine vale invece " stirpe ", " origine ", in Cv IV XXIX 4 Avvegna [che, " chi dicerà "], dice esso poeta satiro [Giovenale], " nobile per la buona generazione quelli che de la buona generazione degno non è?... " (cfr. Sat. VIII 30-32 " Quis enim generosum dixerit hunc, qui / indignus genere et praeclaro nomine tantum / insignis? ", e F. Groppi, D. traduttore, p. 116): cfr. Apuleio Florida 8 " ex senatoribus pauci nobiles genere "; Metamorphoseon l. IV c. 13 " vir... genere primarius ".
Ancora nella discussione sulla nobiltà, g. occorre nel senso di " genere ", là dove D. afferma che, se la nobiltà è legata all'antichità della schiatta e quindi alla nascita, seguono alcuni inconvenienti: Cv IV XV 2 [se vi sono uomini vili e nobili, conviene che] 'l mondo sempre sia stato con più uomini, si che da uno solo la umana generazione discesa non sia; XV 3 per che tale quale fu lo primo generante, cioè Adamo, conviene essere tutta la umana generazione; oppure (§ 5) conviene l'umana generazione da diversi principi essere discesa, cioè da uno nobile e da uno vile, e quindi risulterebbe che il genere umano sarebbe diviso in due specie, mentre invece costituisce una sola specie, avendo tutti gli uomini un'unica essenza: XV 6 E sanza dubbio forte riderebbe Aristotile udendo far spezie due de l'umana generazione (cfr. Mn III XI 3 " Et similiter verum dicunt dicentes quod omnes homines sunt unius generis ").
Lo stesso valore il termine conserva nelle altre occorrenze: Cv III VI 9 questa donna [Filosofia] è perfettissima ne la umana generazione; VII 15 Secondamente narro come ella è utile a tutte le genti, dicendo che l'aspetto suo aiuta la nostra fede, la quale più che tutte l'altre cose è utile a tutta l'umana generazione; XIII 4 per che pare farsi distinzione ne l'umana generazione; IV IV 4 conviene di necessitate tutta la terra, e quanto a l'umana generazione a possedere è dato, essere Monarchia; V 5 l'onore de l'umana generazione, cioè Maria, e XII 7, dove umana generazione traduce humanum genus da Boezio Cons. phil. II m. II 7 " humanum miseras haud ideo genus ".
Bibl. - Ristoro D'Arezzo, La composizione del mondo, testo italiano del 1282 pubblicato da E. Narducci, Roma 1859; Alberto Magno, Physica, in Opera, ediz. A. Borgnet, III, Parigi 1890; ID., Mineralium libri, ibid. V; ID., De Natura et origine animae, in Opera omnia, ediz. B. Geyer, Münster in W. 1955; F. Groppi, D. traduttore, Roma 1962²; B. Nardi, " Tutto il frutto ricolto del girar di queste spere ", in D. e la cultura medievale, Bari 1949², 309-335; ID., La dottrina delle macchie lunari nel secondo canto del Paradiso, in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 3-39; ID., D. e Pietro d'Abano, ibid. 40-42; ID., L'arco della vita, ibid. 110-138; ID., D. e Alpetragio, ibid. 139-166; ID., La dottrina dell'Empireo nella sua genesi storica e nel pensiero dantesco, ibid. 167-214; ID., La filosofia di D., in Grande Antologia Filosofica, IV, Milano 1954, 1149-1253.