Generazioni
Nel linguaggio comune si parla di 'generazione' quando si vuole indicare il fatto che l'essere nati in un determinato periodo e aver vissuto gli anni cruciali della formazione in un determinato clima culturale, caratterizzato da particolari eventi storici, lascia una traccia sui modi di sentire, pensare e agire degli individui. Il fatto di appartenere a un determinato 'tempo' accomuna appunto i membri di una generazione. L'uso che del concetto di generazione viene fatto nelle scienze sociali non si scosta molto dalla nozione di senso comune.
Il concetto di generazione è utilizzato in una pluralità di scienze sociali (demografia, storia della cultura e dell'arte, politologia e sociologia) e assume significati diversi, ancorché complementari, nelle diverse discipline. In demografia (dove è di uso più frequente il concetto analogo di coorte) il concetto sta a indicare tutti coloro che entrano a far parte di una popolazione in un determinato periodo di tempo, in genere un anno.
Le società si riproducono, nonostante la mortalità dei loro membri, per effetto di un processo di metabolismo demografico mediante il quale il flusso continuo dei membri che escono di scena (per morte o migrazione) viene rimpiazzato da un flusso altrettanto continuo in entrata di nuovi nati (o di immigrati).
"Una coorte - secondo N. Ryder (v., 1965, p. 845) - può essere definita come l'aggregato degli individui (all'interno di una popolazione comunque definita) che hanno sperimentato lo stesso evento nello stesso intervallo di tempo". Qualsiasi evento riguardante una popolazione può generare una coorte. Se tale evento è la nascita si parla di coorti di nascita, le quali sono pertanto composte da tutti coloro che sono nati in uno stesso anno. Possono essere studiati tuttavia anche altri tipi di coorti particolari (ad esempio tutti coloro che si sono laureati in un certo intervallo di tempo, tutti coloro che sono entrati a far parte di un'organizzazione in un dato momento a prescindere dalla loro età individuale, tutti coloro che si sono offerti per la prima volta sul mercato del lavoro in un determinato anno, ecc.). La demografia studia le caratteristiche di una coorte - come la sua dimensione, la sua composizione per sesso, razza, grado di istruzione, condizione matrimoniale, condizione professionale, ecc. - comparativamente rispetto ad altre coorti contigue.
Dagli storici della cultura e dell'arte il concetto di generazione è utilizzato per segnalare la comparsa sulla scena intellettuale o artistica di nuove tendenze e stili rappresentati da esponenti che condividono il fatto di avere grosso modo la stessa età e di essere passati attraverso le medesime esperienze formative (v. Petersen, 1930; v. Peyre, 1948). L'approccio generazionale nella storia della cultura e dell'arte permette di considerare la presenza in uno stesso periodo di una pluralità di generazioni diverse, ognuna delle quali portatrice di un modo particolare di intendere l'espressione letteraria o artistica del proprio tempo, e quindi di evitare le forzature delle periodizzazioni convenzionali che operano mediante sezioni cronologiche.
In sociologia e politologia il concetto di generazione ha dato vita a interessanti sviluppi di ricerca nell'ambito di quelle tendenze che si collocano ai confini con la ricerca storica. Il concetto di generazione consente infatti di introdurre nella ricerca sociale la dimensione del tempo storico e quindi di limitare l'astrattezza e l'arbitrarietà di molte generalizzazioni non storicamente determinate. Studiare la società vuol dire essenzialmente studiare la differenziazione sociale, vale a dire come la società si articola in categorie, classi, ceti, gruppi, partiti, fazioni, ecc. Tra le varie fonti di differenziazione grande importanza riveste ovviamente l'età, nel senso che in ogni società convivono e occupano ruoli diversi individui che si trovano in stadi diversi del loro ciclo di vita. Le classi di età e le figure sociali corrispondenti (bambini, adolescenti, giovani, adulti, anziani) sono una delle fonti di variabilità più ovvie e più comunemente studiate di una molteplicità di fenomeni sociali. L'introduzione della dimensione generazionale suggerisce che non basta sapere quali sono i valori, le opinioni, gli atteggiamenti o i comportamenti delle varie classi di età, ma che bisogna approfondire l'analisi determinando anche in quale momento o fase storica le varie età della vita sono state attraversate dagli individui. Fa differenza, infatti, essere giovani, ad esempio, in un periodo di guerra o di pace, oppure affacciarsi sul mercato del lavoro in una fase di recessione o di espansione dell'occupazione, oppure, ancora, andare in pensione in una fase di benessere o di crisi delle finanze pubbliche e dei sistemi previdenziali. La biografia degli individui si colloca infatti all'interno di un determinato contesto storico ed è influenzata e condizionata da questo.
L'autore che per primo ha formulato nella letteratura sociologica, in termini sufficientemente rigorosi, il problema delle generazioni è Karl Mannheim (v., 1928).
Mannheim costruisce l'impianto concettuale della sua visione delle generazioni in analogia al concetto di 'situazione di classe': come la situazione di classe accomuna e condiziona (anche se non determina) i destini individuali, così la collocazione generazionale accomuna gli individui appartenenti a leve contigue nel quadro di un medesimo contesto storico-sociale che influenza modi di sentire, di pensare e di agire e costituisce la base potenziale di forme di agire collettivo.
L'esposizione allo stesso contesto storico, il posizionamento generazionale (Generationslagerung), tuttavia non è sufficiente a caratterizzare una generazione; non tutti coloro che hanno la stessa età fanno parte di una generazione (alcuni rimangono tagliati fuori dal corso degli eventi, nel senso che non partecipano, neppure indirettamente o di riflesso, a quanto accade sulla scena della storia). È necessario che si generi un 'nesso generazionale' (Generationszusammenhang) tra coloro che sono esposti alla stessa situazione generazionale, vale a dire un orientamento comune al contesto storico di volta in volta attuale.
I contenuti di tale orientamento comune, però, non sono necessariamente identici o omogenei, ma variano in virtù dell'appartenenza a diverse 'unità generazionali', al cui interno si formano gruppi che sono i veri portatori delle unità generazionali stesse (qui Mannheim ha soprattutto presenti i gruppi che in Germania all'inizio del secolo fanno parte della cosiddetta Jugendbewegung). La pluralità delle unità generazionali riflette l'articolazione e le fratture sociali che emergono da altre dimensioni (ad esempio, la struttura di classe produce tante unità generazionali quante sono le classi principali).
Da una situazione generazionale non si produce necessariamente anche un 'nesso generazionale'; questo si verifica soltanto quando l'accelerazione della dinamica storico-sociale non rende più possibile la semplice trasmissione ereditaria del patrimonio tradizionale di modi di sentire, di pensare e di agire. Un'influenza decisiva in proposito è svolta dagli eventi collettivi che funzionano come punti di cristallizzazione, come "entelechie generazionali" che riflettono il particolare Zeitgeist dell'epoca e i diversi modi di interpretarlo.
"Non il fatto - scrive Mannheim (v., 1928, p. 180) - di essere nati nello stesso tempo cronologico, di essere diventati giovani, adulti e vecchi nello stesso tempo costituisce la collocazione comune nello spazio sociale, bensì la possibilità a esso legata di partecipare agli stessi avvenimenti e contenuti di vita e, soprattutto, di essere esposti alle stesse modalità di stratificazione della coscienza". Mannheim ritiene infatti che la coscienza individuale sia costituita da strati sovrapposti, nel più profondo dei quali sono impresse le prime esperienze che costituiscono il quadro entro il quale si collocano e assumono significato le esperienze successive. Le persone adulte e anziane vivono in un mondo, per così dire, preformato, in cui ogni nuova esperienza trova la propria forma e collocazione predeterminata dalla sedimentazione delle esperienze precedenti, mentre per i giovani le situazioni entro le quali fanno le loro prime esperienze hanno l'effetto di plasmare e dare forma alle strutture di base della coscienza. Mannheim non chiarisce le modalità mediante le quali gli eventi cui gli individui sono esposti nella fase di massima plasmabilità intervengono nella formazione delle strutture cognitive ed emozionali della personalità individuale. Le esperienze precoci, per poter lasciare un segno duraturo su un'intera generazione, devono essere in grado di coinvolgere in modo non superficiale un numero sufficientemente ampio di persone, devono cioè essere eventi capaci, come direbbe Durkheim, di creare emozioni o entusiasmi collettivi tra coloro che vi partecipano.
L'analisi mannheimiana contiene tutti gli ingredienti per un compiuto approccio sociologico al tema delle generazioni considerate come effetto, e nello stesso tempo come causa, del mutamento storico-sociale. Tale approccio parte dall'assunto fondamentale che il mutamento storico-sociale, per sua natura discontinuo, produca un impatto differenziato a seconda della fase del ciclo di vita in cui si trovano gli individui. In particolare, esiste una fase della vita in cui gli individui si affacciano per la prima volta in modo relativamente autonomo sulla scena pubblica, dopo aver passato gli anni dell'infanzia e della prima adolescenza dietro lo schermo protettivo della famiglia. In questa fase di massima ricettività, che si colloca in genere nella tarda adolescenza e nella gioventù, grosso modo tra i 16 e i 25 anni di età, si formano i valori, le opinioni e gli atteggiamenti che riguardano la sfera sociale e politica. Durante questa fase l'influenza delle tradizionali agenzie di socializzazione (famiglia e scuola) viene almeno in parte attenuata e sostituita dall'esperienza, diretta o mediata, degli eventi chiave del contesto storico del momento.
L'approccio generazionale suggerisce l'ipotesi che l'esperienza di un evento storico-politico, quando cade nella fase formativa del ciclo di vita, produca un processo sociale di apprendimento. Tale ipotesi, che trova sostegno negli studi di psicologia cognitiva, afferma che l'esperienza di un evento produce apprendimento: 1) se supera la soglia di percezione selettiva e di attenzione del soggetto; 2) se risulta in qualche modo dissonante con le informazioni disponibili e organizzate nella mente e quindi produce una sorta di 'effetto sorpresa'; 3) se produce una ristrutturazione delle mappe cognitive del soggetto e quindi dei suoi sistemi di orientamento e delle sue immagini del mondo. Si deve tener presente che le mappe cognitive degli individui sono comuni o simili a livello collettivo e che pertanto il processo di apprendimento è rafforzato socialmente per il fatto di essere condiviso da altri membri del gruppo dei coetanei col quale il soggetto entra in interazione. La ristrutturazione delle mappe cognitive avviene tanto più facilmente quanto più queste sono (come accade nella fase di formazione) ancora scarsamente consolidate.
Si viene a formare così, attraverso l'elaborazione cognitiva degli eventi-chiave ai quali si è stati esposti, una sorta di memoria collettiva generazionale, fatta di credenze, convinzioni, simboli, miti, attribuzioni di senso, che è destinata a durare relativamente a lungo. Infatti, con il consolidarsi negli anni delle mappe cognitive, queste diventano sempre meno ricettive e funzionano da filtro che scarta esperienze e informazioni dissonanti che ne metterebbero in discussione l'integrità, recependo soltanto quelle esperienze e informazioni che confermano e consolidano credenze e convinzioni acquisite.
È difficile stabilire ex ante quali caratteristiche debbano avere gli eventi per produrre effetti generazionali; solo la ricerca storico-sociale può determinarlo ex post quando si pone il problema della periodizzazione storica. In generale, tuttavia, si può dire che gli eventi di portata generazionale debbono costituire in qualche modo una rottura di continuità, una 'cesura' o una 'svolta' nel flusso del divenire: tali sono le 'crisi' che minacciano valori e interessi acquisiti (come guerre, rivoluzioni, cambiamenti di regime), ma anche innovazioni sociali di grande portata che incidono sulle strutture della quotidianità e modificano abitudini e modi di vita consolidati. Una generazione si forma negli anni di massima plasmabilità di coloro che la compongono, sotto l'impatto di eventi chiave nel contesto storico-sociale, mantiene con il progredire dell'età i suoi tratti fondamentali e scompare solo con la graduale uscita di scena dei suoi componenti.
Non è possibile stabilire a priori la durata di una generazione, cioè quante coorti di età essa comprenda. Poiché le generazioni si formano per effetto delle discontinuità del mutamento storico-sociale e poiché tali discontinuità non si susseguono secondo leggi regolari, si può dire che una generazione dura fino a quando non ne compare una nuova che da essa si differenzia. Se da un lato quindi il mutamento storico-sociale produce il fenomeno delle generazioni, dall'altro lato il mutamento stesso è reso possibile dal metabolismo generazionale. All'interno di qualsiasi gruppo sociale o di qualsiasi organizzazione, così come della società nel suo complesso, il mutamento può avvenire in due modi: o inducendo un cambiamento nei membri, attraverso meccanismi di risocializzazione (iniziative pedagogiche, campagne di rieducazione e di formazione continua) che cercano di modificare atteggiamenti e comportamenti consolidati, oppure, mediante il ricambio dei membri stessi, immettendo nuove leve dotate di caratteristiche diverse da quelle precedenti ed eliminando queste ultime. Questo secondo modo è di gran lunga il più efficace, data la relativamente scarsa modificabilità dei comportamenti di individui che sono ormai usciti dalla fase formativa. Avviene nei 'corpi' sociali un processo non dissimile da quello che avviene negli organismi viventi, in cui il ricambio dei componenti di livello inferiore (ad esempio, delle cellule di un organo) garantisce la capacità di mutamento e di adattamento dell'intero organismo.
Una delle ragioni che spiegano come mai il fenomeno delle generazioni, nonostante la sua evidente rilevanza per lo studio del cambiamento sociale, non sia stato maggiormente studiato nell'ambito delle scienze sociali e della sociologia in particolare dipende dal fatto che il suo trattamento con le metodologie quantitative correnti (soprattutto le indagini campionarie) pone problemi di assai difficile soluzione.
Le differenze che si riscontrano analizzando per coorti di età dati di ricerche campionarie dipendono infatti da tre 'effetti': l'effetto età (che dipende dai processi evolutivi di maturazione della personalità), l'effetto generazione (che dipende dall'esposizione selettiva a eventi e situazioni storiche nella fase formativa del ciclo di vita) e l'effetto periodo (che dipende dal momento storico nel quale viene effettuata la rilevazione). Nell'analisi questi effetti si sommano e risulta poco agevole distinguerli (v. Riley e altri, 1972).
Supponiamo, ad esempio, di disporre di dati comparabili (raccolti cioè con gli stessi strumenti) rilevati in due momenti, nel 1960 su due campioni, uno di ventenni (nati nel 1940) e uno di quarantenni (nati nel 1920), e nel 1980 su un campione di quarantenni (nati nel 1940). L'analisi dei dati permette di cogliere tre tipi di differenze: 1) longitudinali, tra membri della stessa generazione in due periodi diversi (dopo 20 anni). Le differenze dipendono da due effetti: gli intervistati sono diventati più vecchi (effetto età) e i 'tempi' sono mutati (effetto periodo); 2) trasversali, tra intervistati di età diverse nello stesso momento (tra ventenni e quarantenni nel 1960). Le differenze dipendono dalla diversa età (effetto età) e dal fatto che gli intervistati appartengono a generazioni/coorti diverse, cioè, sono stati esposti a esperienze diverse nella loro fase formativa (effetto generazione); 3) epocali, tra quarantenni nel 1960 e quarantenni nel 1980. Le differenze dipendono dal mutamento intervenuto tra le due rilevazioni (effetto periodo) e dal fatto che i due campioni appartengono a generazioni diverse (effetto generazione).Il problema metodologico consiste nell'isolare i due effetti che in ogni confronto si sommano. Il problema non è solubile al di fuori della ricerca longitudinale (comunemente chiamata ricerca panel), che segue, attraverso rilevazioni ripetute nel tempo, campioni appartenenti a coorti diverse. Tali ricerche sono molto rare (poiché si estendono per un periodo di tempo assai lungo, gli stessi soggetti sono difficilmente reperibili a distanza di anni), oltre a essere molto dispendiose in termini di risorse umane e finanziarie. L'impossibilità pratica di applicare in modo rigoroso i metodi quantitativi delle indagini campionarie allo studio delle generazioni giustifica la tendenza prevalente a utilizzare in questo campo metodologie qualitative. Questo è il caso delle ricerche sulle generazioni politiche.
Tra i fenomeni generazionali il più studiato è senz'altro quello delle generazioni politiche. L'interesse portato al fenomeno dipende dal fatto che la presenza di generazioni diverse, soprattutto la presenza di giovani portatori di una cultura politica che si scosta da quella delle generazioni precedenti, è un indicatore molto efficace del mutamento politico verificatosi o in atto; nella successione delle generazioni si riflette infatti la storia politica di una società. Anche nel caso delle generazioni politiche il fattore determinante è l'accadere di un evento (o di un complesso di eventi) intorno al quale si struttura la socializzazione politica di determinate coorti. Come scrive Fogt (v., 1982, p. 21): "A una generazione politica appartengono quei membri di un gruppo di età o coorte i quali - confrontati con determinati eventi-chiave - giungono in modo simile e consapevole a prendere posizione nei confronti delle idee e dei valori dell'ordinamento politico nel quale sono cresciuti".
Vi sono generazioni politiche che durano a lungo e abbracciano interi periodi storici, in cui le varie classi di età si susseguono molto simili le une alle altre, senza presentare discontinuità e differenze significative, e vi sono generazioni che, al contrario, hanno durata assai breve anche se intensa e che comprendono poche classi di età e talvolta una soltanto. Whol, ad esempio, ha studiato per la Francia le generazioni coinvolte nella grande guerra. Egli distingue tre generazioni che si differenziano in riferimento al loro diverso rapporto con la guerra: la prima generazione crebbe nel clima di minaccia e di preparazione della guerra, la seconda fu travolta dalla guerra senza possibilità di scelta, mentre la terza non fece in tempo a combattere, ma fu marcata per sempre dalle passioni, dalle delusioni e dal disordine che ne seguirono (v. Whol, 1979). In questo caso, lo stesso evento viene vissuto in modo diverso da tre diverse generazioni che si susseguono rapidamente nel giro di pochi anni differenziandosi nettamente le une dalle altre.
Per la Germania, Fogt (v., 1982, pp. 127-135) ha identificato dall'inizio del secolo fino ai primi anni settanta ben dieci generazioni, corrispondenti ad altrettante fasi della recente storia politica tedesca: la generazione della Jugendbewegung e del movimento dei Wandervogel della tarda età guglielmina (che copre le classi d'età nate prima del 1893), la generazione della prima guerra mondiale (classi d'età 1893-1899), la generazione della rivoluzione e della crisi economica del dopoguerra (1898-1905), la generazione della stabilizzazione weimariana (1905-1910), la generazione della crisi economica e del crollo della Repubblica di Weimar (1909-1916), la generazione del nazionalsocialismo (1914-1922), la generazione della seconda guerra mondiale (1920-1926), la generazione della ricostruzione del secondo dopoguerra (1926-1935), analizzata da Schelsky in termini di skeptische Generation, la generazione della stabilizzazione adenaueriana (1935-1945) e, infine, la generazione della protesta studentesca (1945-1954).
Di particolare interesse per la Germania, l'Italia, l'Unione Sovietica e per altri paesi sono quelle generazioni 'artificialmente' prodotte dai regimi totalitari attraverso un'intensa opera di indottrinamento, attuata con l'inquadramento coatto della gioventù in organizzazioni giovanili di massa di tipo paramilitare. I regimi totalitari, che emergano da rivoluzioni di destra o di sinistra, non possono infatti fare affidamento sui meccanismi tradizionali di trasmissione della cultura politica, poiché questi riflettono valori e atteggiamenti del sistema politico che ha preceduto la presa del potere della nuova élite; essi si pongono l'obiettivo di costruire una nuova cultura politica, un nuovo tipo di uomo che ne sia il portatore, una nuova generazione che sia diversa dalle precedenti. Al massimo del suo sviluppo, la Hitlerjugend inquadrava in Germania circa 6 milioni di giovani tra i 14 e i 18 anni (v. Klönne, 1960). In Italia il regime fascista aveva posto fortemente l'accento sulla discontinuità tra la generazione dell'anteguerra, quella che dall'esperienza della trincea era passata nelle fila del movimento fascista, e la generazione successiva che non aveva conosciuto gli anni cruciali del dopoguerra. Quest'ultima era inquadrata in una serie di organizzazioni per coorti di età che andavano dai 'figli della lupa' alla Gioventù Italiana del Littorio (v. Treves, 1964).
Per gli Stati Uniti, Klingberg (v., 1952) ha messo in relazione i cicli alterni di isolazionismo e interventismo della politica estera americana con la formazione di climi di opinione e di generazioni politiche. La lunga serie di dati elettorali, che risalgono al 1789 con l'elezione del primo Congresso, ha inoltre consentito a W.D. Burnham (v., 1970) di proporre una periodizzazione della storia politica degli Stati Uniti che segna i vari punti di svolta del sistema politico ai quali è possibile connettere la comparsa di nuove generazioni politiche. Anche per gli Stati Uniti, tuttavia, gli eventi-chiave costitutivi di generazioni politiche sono sostanzialmente le guerre, se non altro per il fatto che coinvolgono in modo più diretto le leve giovanili che non le classi di età più anziane della popolazione, soprattutto se non vengono combattute sul territorio nazionale. Così, si parla delle generazioni delle due guerre mondiali, di quelle della guerra di Corea, di quella della guerra del Vietnam, ognuna con il suo bagaglio di esperienze, di lutti, di glorie e di memorie.
La guerra del Vietnam, tra il 1964 e il 1973, insieme alla quasi contemporanea campagna per i diritti civili della popolazione di colore negli Stati del Sud e ai conflitti razziali in alcune aree metropolitane, ha segnato i tratti della generazione politica delle coorti nate nel decennio successivo alla seconda guerra mondiale. Sulla cosiddetta Vietnam generation si è verificata la convergenza contemporanea di una pluralità di movimenti politici che hanno visto i gruppi giovanili come protagonisti: il movimento pacifista e 'anti-imperialista', il movimento contro la coscrizione obbligatoria, il movimento studentesco nelle maggiori università, tutti caratterizzati da un atteggiamento culturale libertario di stampo radicale e antiautoritario, fortemente critico verso i valori tradizionali del 'credo americano'.
L'ondata di movimenti giovanili e studenteschi iniziata nel 1964 nell'Università di California a Berkeley con il Free speach movement non rimase tuttavia circoscritta agli Stati Uniti. A partire dal 1967, e poi sempre più diffusamente negli anni successivi, si estese a gran parte dei paesi europei portando masse di giovani a manifestare nelle piazze e a occupare scuole, università e, talvolta, fabbriche. Tra il movimento del maggio 1968 in Francia, l'opposizione extraparlamentare in Germania, la primavera di Praga, gli scontri tra studenti e polizia alla Kent State University negli Stati Uniti e alla città universitaria di Città del Messico corre certamente un 'filo rosso'. Anche se ogni movimento nazionale ha assunto caratteristiche proprie, a seconda del particolare contesto politico-sociale nel quale si è sviluppato, l'ondata dei movimenti studenteschi di protesta degli anni 1968-1970 ha avuto una chiara dimensione transnazionale. A parte i collegamenti organizzativi, peraltro sporadici, tra i vari movimenti, un ruolo importante nella generalizzazione della protesta è stato svolto dai mezzi di comunicazione di massa che hanno permesso a una moltitudine di giovani in paesi diversi di vivere in una dimensione di 'contemporaneità estesa', formando, per la prima e unica volta nella storia, l'embrione di una coscienza generazionale transnazionale.I movimenti giovanili e studenteschi a cavallo tra gli anni sessanta e settanta hanno senza dubbio coinvolto masse consistenti di giovani e dato l'impronta a una intera generazione politica. Non bisogna però dimenticare che anche nella fase di più intensa mobilitazione la protesta giovanile non ha mai riguardato più di una minoranza dei giovani. In Italia, nel 1970, al culmine della stagione dei movimenti studenteschi, la quota di giovani tra i 16 e i 24 anni che si consideravano politicamente impegnati non superava il 7%. E tuttavia è giusto parlare di una generazione del '68 poiché anche coloro che non sono stati toccati dai movimenti, o lo sono stati solo marginalmente, hanno pur sempre vissuto in un clima politico caratterizzato dalla loro presenza e quindi ne hanno subito, anche indirettamente, l'influenza.
La stagione dei movimenti giovanili a cavallo tra gli anni sessanta e settanta ha riproposto, nell'interpretazione di molti studiosi (v., per tutti, Feuer, 1969), un'analisi in termini di conflitto tra le generazioni. Tale conflitto sarebbe la manifestazione ricorrente dell'eterna tendenza dei figli a contrapporsi ai padri per affermare la propria indipendenza e identità. Questa interpretazione trova sostegno nella concezione psicanalitica del processo di crescita che vede nell'uccisione simbolica del padre una tappa inevitabile per l'affermazione del Sé come entità separata. Tuttavia, se da un lato questa interpretazione è dubbia anche sul piano individuale (infatti l'universalità del 'complesso edipico' è stata seriamente messa in discussione), dall'altro lato non serve certo per spiegare la comparsa di generazioni come fenomeni collettivi. Come abbiamo già visto, non solo per lunghi periodi vi è spesso continuità tra classi di età, ma anche là dove si verificano delle discontinuità, e si formano quindi delle generazioni distinte, il rapporto tra di esse non è necessariamente conflittuale.
Recentemente il tema del conflitto tra generazioni è stato ripreso in termini molto diversi, come conflitto di tipo distributivo tra le generazioni degli adulti e le generazioni dei giovani e tra le generazioni presenti e le generazioni future. Tali conflitti trovano un fondamento 'oggettivo' nei meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro, nel finanziamento dei sistemi pensionistici, nell'accumulazione del debito pubblico e nei processi irreversibili di degrado ambientale (v. Thomson, 1989; v. Scamuzzi, 1990, v. Sgritta, 1991).
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, le politiche di tutela dell'occupazione si risolvono spesso a vantaggio di coloro che sono già occupati (in genere, adulti) e a svantaggio di coloro che sono in cerca di prima occupazione (in genere, giovani). Il rapporto, nella disoccupazione totale, tra giovani in cerca di prima occupazione e lavoratori che hanno perso il posto di lavoro è una misura di questo aspetto del conflitto tra generazioni: quando cresce il numeratore vuol dire che il rapporto tra le generazioni si sposta a svantaggio delle leve più giovani.
Nell'ambito dei sistemi di previdenza sociale il conflitto tra generazioni nasce dalla presenza di una quota crescente di popolazione anziana (dovuta all'aumento della vita media e al calo demografico) e dal fatto che le pensioni vengono pagate in base ai contributi prelevati sulle retribuzioni dei lavoratori occupati. Vari autori sostengono che la crisi dei sistemi di Welfare finirà col produrre una situazione nella quale una generazione di lavoratori sarà gravata di pesanti contributi per il pagamento delle pensioni della popolazione anziana, mentre non potrà godere degli stessi benefici quando essa stessa arriverà all'età del pensionamento.
Anche l'accumulazione del debito pubblico è stata vista in termini di conflitto 'oggettivo' tra le generazioni che godono dei benefici delle maggiori risorse rese disponibili dall'accensione del debito e le generazioni che, invece, attraverso il prelievo fiscale o il congelamento del debito, dovranno restituire il debito stesso. Si ribalterebbe cioè il modello tradizionale in base al quale la generazione dei padri risparmia a favore della generazione dei figli: in questo caso la generazione dei figli dovrà pagare i debiti contratti dalla generazione dei padri.
Mentre questi aspetti del conflitto generazionale vedono contrapposte le generazioni degli adulti alle generazioni dei giovani, il consumo di risorse non rinnovabili e i danni irreversibili prodotti all'ambiente naturale e storico vedono contrapposte le generazioni attuali alle future. I movimenti ecologisti si presentano infatti spesso come difensori e tutori degli interessi delle generazioni future che, proprio per il fatto di non essere ancora nate, non possono far valere i loro interessi attraverso i meccanismi della rappresentanza. Anche in questo caso si tratta di un problema di giustizia distributiva, cioè di equità, tra le generazioni.
Problemi di questa natura sono tipici delle società moderne, le prime nella storia che, per effetto delle tecnologie oggi disponibili, sono in grado di produrre modificazioni permanenti e di grande portata nell'ambiente naturale e umano, che si ripercuoteranno sulle condizioni di vita delle generazioni future. Da qui nasce l'esigenza di includere, nell'orizzonte temporale delle scelte strategiche, i valori e gli interessi delle generazioni future e non solo di quelle contemporanee. (V. anche Adolescenza; Anziani; Cicli e percorsi di vita; Età; Giovani; Infanzia; Vecchiaia).
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