Poliziesco, genere
Per la sua complessità, per la vasta articolazione, per la fortuna stessa delle opere a esso ascrivibili, e in ragione della sua evoluzione che ha implicato contaminazioni con generi di tipo diverso, il poliziesco può essere considerato, più che un semplice genere, un vero e proprio macrogenere nell'ambito del quale sono collocabili generi più circoscritti come il gangster film, il film di spionaggio, il film giudiziario, il film carcerario, più legati a determinate atmosfere e alla sensibilità di certi periodi storici (il noir) o alla costruzione di una specifica struttura (il cosiddetto 'film a enigma', o giallo).Il g. p. mostra fin dall'inizio diretti legami con il vasto successo popolare della letteratura omonima sviluppatasi a partire dalle opere di E.A. Poe, E. Gaboriau e successivamente di A.C. Doyle. Questo affiatamento immediato tra letteratura poliziesca e cinematografo è testimoniato con evidenza dai cosiddetti serial del muto: dalla serie di Nick Carter (inaugurata nel 1906 da Victorin Jasset) alla trilogia di grande successo comprendente The exploits of Elaine, The new exploits of Elaine e The romance of Elaine, girata negli Stati Uniti da George B. Seitz (nella prima serie in coregia con Louis J. Gasnier) tra il 1914 e il 1915, alle serie di Louis Feuillade (Fantômas, 1913-14, cinque episodi; o Les vampires, 1915-16, I vampiri o I cavalieri delle tenebre, dieci episodi), a quella italiana di Emilio Ghione (regista e interprete degli otto episodi di I topi grigi, 1918). Il fenomeno della serialità, replicato quasi geneticamente dalla letteratura di massa di cui il g. p. è un prodotto sintomatico, sarebbe rimasto un attributo peculiare del genere, legato soprattutto a personaggi di derivazione letteraria di grande popolarità. Tuttavia le matrici avventurose e melodrammatiche di questi primi film non divennero tratti essenziali del genere che mantenne invece, nella sua strategia produttiva e linguistica privilegiata, il riferimento letterario, come testimonia il fatto che Sherlock Holmes è probabilmente il personaggio che vanta il maggior numero di adattamenti sul grande schermo (tra i quali, The hound of the Baskervilles, 1959, La furia dei Baskerville, di Terence Fisher; The private life of Sherlock Holmes, 1970, La vita privata di Sherlock Holmes, di Billy Wilder). Del resto, non c'è grande scrittore del poliziesco, da A. Christie a G. Simenon, da S.S. Van Dine a G.K. Chesterton, da D. Hammett a R. Chandler, da C. Woolrich a P. Highsmith, da D. Goodis a E. McBain, da J. Ellroy a J. Grisham, che non abbia visto trasporre sul grande schermo sue storie e personaggi o partecipato direttamente alla scrittura di sceneggiature. In realtà, nono-stante ciò, è più raro di quanto si sospetti vedere applicato alla lettera sul grande schermo il modello della costruzione a enigma tipica del giallo d'indagine, in grado di rispettare fino in fondo il principio che, secondo una nota scrittrice e teorica della narrativa poliziesca, D.L. Sayers, contraddistingue il racconto poliziesco, "far credere tutto, qualsiasi cosa, fuor che la verità" (cit. in La trama del delitto. Teoria e analisi del racconto poliziesco, a cura di R. Cremanti, L. Rambelli, 1980, p. 83): se ciò accade in rinomati capolavori del genere ‒ per es., Les diaboliques, 1955, I diabolici, di Henri-Georges Clouzot; Whatever happened to Baby Jane?, 1962, Che fine ha fatto Baby Jane?, di Robert Aldrich; Chinatown, 1974, di Roman Polanski; The conversation, 1974, La conversazione, di Francis Ford Coppola ‒ la sua applicazione virtuosistica al cinema, che nella lingua inglese viene identificata dalla formula whodunit, ha un sapore cerebrale e decisamente involuto (come in Sleuth, 1972, Gli insospettabili, di Joseph L. Mankiewicz). La situazione archetipica del romanzo giallo ‒ un delitto in una residenza isolata ricca di personaggi che sono tutti potenziali colpevoli (come accade, per es., in And then there were none, 1945, Dieci piccoli indiani, di René Clair, da A. Christie) ‒ ha ispirato al cinema divertenti parodie, da The cat and the canary (1927; Il gatto e il canarino o Il castello degli spettri, di Paul Leni) a Murder by death (1976; Invito a cena con delitto, di Robert Moore), e raramente ha avuto esiti memorabili (Gosford Park, 2001, di Robert Altman), tuttavia è esistito almeno un piccolo capolavoro di mistery e humour che intreccia satira del whodunit e serrata indagine poliziesca: Green for danger (1946; Delitto in bianco) di Sidney Gilliat. In ogni caso, al di là dei numerosi adattamenti da opere letterarie, a partire dagli anni Venti il cinema aveva iniziato a sviluppare una sensibile voca-zione alla rappresentazione affabulatoria e mitologica del mondo del crimine in quanto tale, con film come Dr. Mabuse, der Spieler (1922; Il dottor Mabuse) di Fritz Lang o Underworld (1927; Le notti di Chicago o Il castigo) di Joseph von Sternberg, mentre negli anni Trenta furono ancora Lang e soprattutto Alfred Hitchcock a metabolizzare definitivamente nel linguaggio cinematografico provvisto del sonoro lo schema originale del film d'inchiesta e del mistero di derivazione letteraria trasformandolo in un sistema codificato di effetti psicologici (minaccia, pericolo, sollievo): indipendentemente dal contenuto narrativo e dal suo grado di realismo, dall'ideologia dell'autore e dal suo stile, è questa accentuata connotazione emotiva a essere diventata la cifra di immediata riconoscibilità del poliziesco cinematografico. Esso, infatti, è un arcipelago ricco e frastagliato dominato da un'efficace tecnica di racconto in grado di interagire con la soggettività di ogni spettatore. Il modello della costruzione a enigma (in cui il disvelamento graduale di segni e indizi porta alla spiegazione di un evento criminoso che sfida l'ordine sociale e la ricostruzione razionale di responsabili e moventi) coesiste con differenti generi nei quali non necessariamente il plot è centrato su un mistero da risolvere, ma ove domina la medesima estetica di manipolazione competente degli stati di tensione dello spettatore e un analogo interesse verso la dialettica che si instaura tra ordine costituito e mondi dell'illegalità, come nei confronti di una fenomenologia non convenzionale della violenza e degli stili di vita che sul suo uso si fondano. È questa la ragione per la quale spesso si può far rientrare nel poliziesco il film carcerario, o i film che descrivono la progettazione e l'esecuzione di una rapina (caper films: v. gangster film), nei quali, non solo il cinema descrive spesso con penetrazione sociale e antropologica leggi e ritualità degli universi del crimine e del loro rapporto di contiguità fisica e psichica con la società, ma nel farlo adotta raffinati strumenti di accumulo e scarico dell'ansia, della costruzione ingegnosa dell'azione e dei suoi esiti imprevedibili, che sono i tratti costituitivi della struttura e dell'identità del genere. Per analoghe ragioni si possono considerare limitrofi al poliziesco il gangster film o il film giudiziario detto anche processuale. Essi condividono con il g. p. larghi sottoinsiemi, come dimostra il fatto evidente che i tratti caratteristici di tutti questi generi e sottogeneri sono stati assimilati e utilizzati dal noir che si sviluppò negli Stati Uniti a partire dagli anni Quaranta e con il quale il genere maturò una peculiare attitudine per la rappresentazione di una coscienza o una società in uno stato di pericolo estremo. Questo spostamento del baricentro del g. p. dall'armonia logico-deduttiva dell'indagine di stampo anglosassone allo stress psicofisico del noir statunitense contrassegnò il raggiungimento di un profilo di originalità narrativa ed espressiva che portò il g. p. alla sua piena maturità e originalità. Il noir, la cui parabola aurea si suole racchiudere tra The Maltese falcon (1941; Il falcone maltese, noto anche come Il mistero del falco) di John Huston e Kiss me deadly (1955; Un bacio e una pistola) di Aldrich, ha come scenario dominante un paesaggio urbano ritratto come un universo buio dalle prospettive aberranti e uno stile di illuminazione contrastato di derivazione espressionista. Esso contaminò buona parte del cinema statunitense dell'epoca e marcò in profondità tutto l'immaginario del poliziesco con la sua angoscia legata ai sentimenti della vendetta e del tradimento, le sue figure tipiche come quelle del poliziotto frustrato e del criminale incastrato dai suoi compagni, del detective privato e della dark lady, il suo stile di racconto in cui l'ossessione del tempo e della fatalità impongono spesso la narrazione in prima persona e una ricostruzione non lineare degli eventi che la compongono. Tale stile, secondo una nota suddivisione operata dallo studioso Tz. Todorov (v. generi cinematografici), si oppone al giallo a enigma basato su un mistero di complessa soluzione razionale il cui fine è la ricostruzione di un evento criminoso accaduto prima del racconto, mentre nel noir la narrazione implica l'azione del crimine ed entrambi partecipano alla rappresentazione soggettiva dei personaggi. Non ci fu regista di valore dell'epoca che non si cimentò nell'ampio spettro del poliziesco che dentro e intorno al noir gravitava, da Howard Hawks (The big sleep, 1946, Il grande sonno) a Orson Welles (Touch of evil, 1958, L'infernale Quinlan), il primo considerato il più grande regista di genere e il secondo il prototipo dell'autore per antonomasia. Fra i registi che si confrontarono con il g. p., affinando le tecniche di regia e del racconto cinematografico, Nicholas Ray (In a lonely place, 1950, Il diritto di uccidere; On dangerous ground, 1951, Neve rossa), Billy Wilder (Double indemnity, 1944, La fiamma del peccato), Otto Preminger (Laura, 1944, Vertigine; Whirlpool, 1949, Il segreto di una donna), Elia Kazan (Panic in the streets, 1950, Bandiera gialla), Edward Dmytryk (Murder, my sweet, 1945, L'ombra del passato; Crossfire, 1947, Odio implacabile), Jacques Tourner, Robert Wise (Born to kill, 1947, Perfido inganno), Raoul Walsh (White heat, 1949, La furia umana), Abraham Polonsky (Force of evil, 1948, Le forze del male), John Cromwell (Dead reckoning, 1947, Solo chi cade può risorgere), George Cukor (Gaslight, 1944, Angoscia), mentre altri tracciarono all'interno di questo universo un proprio percorso personale di stile e tematiche che robuste analisi critiche hanno da tempo messo in luce e consolidato, come Jules Dassin, Henry Hathaway (Kiss of death, 1947, Il bacio della morte; Call Northside 777, 1948, Chiamate Nord 777), Joseph H. Lewis (Gun crazy, noto anche come Deadly is the female, 1949, La sanguinaria; The big combo, 1955, La polizia bussa alla porta), Anthony Mann (Desperate, 1947, Morirai a mezzanotte; Raw deal, 1948, Schiavo della furia), Robert Siodmak, William Castle (The whistler, 1944, Nessuno sa il proprio destino; I saw what you did, 1965, Gli occhi degli altri). Altri, come Richard Fleischer, Phil Karlson (Kansas City confidential, 1952, Il quarto uomo) e Andrew L. Stone (Cry terror, 1958, Lama alla gola), attendono un'adeguata rivalutazione. Per Samuel Fuller, William Friedkin, Don Siegel e, più di recente, Clint Eastwood, il linguaggio del g. p. non è l'unico nel quale hanno espresso la propria personalità d'autore, ma è certo che essi abbiano contribuito a conferire al genere energia e significati nuovi. Al g. p. appartengono, in realtà, anche vari piccoli film che, per l'affinamento di uno schema o l'inedita modulazione di tratti tipici, sono diventati nel tempo classici minori (come, per es., This gun for hire, 1942, Il fuorilegge, di Frank Tuttle; Detour, 1945, Detour ‒ Deviazione per l'inferno, di Edgar G. Ulmer; The locket, 1946, Il segreto del medaglione, di John Brahm; Nocturne, 1946, Notturno di sangue, di Edwin L. Marin; They won't believe me, 1947, Nessuno mi crederà, di Irving Pichel; He walked by night, 1948, Egli camminava nella notte, di Alfred L. Werker; The big clock, 1948, Il tempo si è fermato, di John Farrow; Sorry, wrong number, 1948, Il terrore corre sul filo, di Anatole Litvak; The window, 1949, La finestra socchiusa, di Ted Tetzlaff; D.O.A., 1950, Due ore ancora, di Rudolph Maté; The nanny, 1965, Nanny la governante, di Seth Holt; Wait until dark, 1967, Gli occhi della notte, di Terence Young; In the heat of the night, 1967, La calda notte dell'ispettore Tibbs, di Norman Jewison; Thunderbolt and lightfoot, 1974, Una calibro 20 per lo specialista, di Michael Cimino). Ma l'attrazione dei dispositivi psichici che il mistery innesca e della perfezione delle tecniche di narrazione che fanno del poliziesco un genere definito da De Palma 'la formula uno del cinema', lo rendono un territorio eccellente di prove di autori spesso refrattari al cinema di genere in quanto tale, come dimostrano emblematicamente film come Två människor (1944; Due esseri) di Carl Th. Dreyer, Killer's kiss (1955; Il bacio dell'assassino) di Stanley Kubrick, Night of the hunter (1955; La morte corre sul fiume) di Charles Laughton, Ascenseur pour l'échafaud (1957; Ascensore per il patibolo) di Louis Malle, À bout de souffle (1960; Fino all'ultimo respiro) di Jean-Luc Godard, Point blank (1967; Senza un attimo di tregua) di John Boorman, In cold blood (1967; A sangue freddo) di Richard Brooks, La mariée était en noir (1968; La sposa in nero) di François Truffaut, Night moves (1975; Bersaglio di notte) di Arthur Penn, Gloria (1980; Gloria ‒ Una notte d'estate) di John Cassavetes, Matador (1986) di Pedro Almodóvar, Police (1985) di Maurice Pialat, Frantic (1988) di Polanski, L. 627 (1992; Legge 627) di Bertrand Tavernier. Altri hanno contribuito alla sua evoluzione in maniera così decisiva da rischiare di identificarsi con esso. È il caso, ancora, di Hitchcock e Lang, ai quali si deve la messa a punto della figura più originale del poliziesco cinematografico, l'innocente scambiato per colpevole, la cui identificazione con lo spettatore, che spesso dispone di un bagaglio di informazioni sul crimine maggiore degli stessi personaggi, rovescia in modo originale il tradizionale schema del poliziesco d'indagine di eredità letteraria. Con Psycho (1960; Psyco), del resto, Hitchcock amplifica e radicalizza la tradizionale dinamica di tensione e ansia del poliziesco, gettando le fondamenta del thriller moderno il cui modello segna in profondità il paesaggio del poliziesco contemporaneo. Se, a partire dagli anni Settanta, autori come Brian De Palma e Dario Argento ne hanno irrobustito la scrittura, gli effetti, il virtuosismo tecnico fino a una densità barocca e a un'ossessione metalinguistica per le quali il cinema diventa un meccanismo di eccezionale trasparenza della pulsione dello sguardo che a esso dà vita, sono stati lo stesso Argento e nuovi autori come John Carpenter (Halloween, 1978, Halloween ‒ La notte delle streghe) a spingere la rappresentazione grafica della violenza direttamente nell'horror, dal quale il poliziesco è diventato, sin dagli anni Ottanta, spesso indistinguibile. Soprattutto a partire da The silence of the lambs (1991; Il silenzio degli innocenti) di Jonathan Demme, il primo thriller a vincere un Oscar, e, per lo più, nei film tratti dai libri di Th. Harris, centrati sulla figura del serial killer (come, per es., Manhunter, 1986, Manhunter ‒ Frammenti di un omicidio, di Michael Mann; Hannibal, 2001, di Ridley Scott; Red Dragon, 2002, di Brett Ratner), il poliziesco e l'horror sembrano aver prodotto un ibrido di inedita stabilità. Nello stesso periodo in cui il thriller accentuava le sue connotazioni di violenza ed eccessi espressivi, non a caso, si è assistito a un revival di gusto neoclassico del noir (da Body heat, 1981, Brivido caldo, di Lawrence Kasdan e Vivement dimanche!, 1983, Finalmente domenica!, di F. Truffaut, sino a Basic instinct, 1992, di Paul Verhoeven e The man who wasn't there, 2001, L'uomo che non c'era, di Joel ed Ethan Coen), mentre, a conferma dell'universalità dell'appeal del poliziesco, nel suo ambito si è verificata la formazione di autori e produzioni al di là della tradizione statunitense, come dimostra l'emergere di registi quali John Woo oppure Takeshi Kitano (Sonatine, 1993; Hana-Bi, 1997; Brother, 2000).
La cinematografia francese, in particolare, vanta una ricca e solida attitudine al poliziesco (Pépé le Moko, 1936, Il bandito della casbah, di Julien Duvivier; Du rififi chez les hommes, 1955, Rififi, di Jules Dassin; Les grandes gueules, 1965, Una vampata di violenza, di Robert Enrico; Le rapace, 1968, Il rapace, di José Giovanni; La piscine, 1968, La piscina, di Jacques Deray; Le clan des siciliens, 1969, Il clan dei siciliani, di Henri Verneuil; Adieu poulet, 1975, Dai sbirro, di Pierre Granier-Deferre; Série noire, 1979, Il fascino del delitto, di Alain Corneau; Garde à vue, 1981, Guardato a vista, di Claude Miller; Péril en la demeure, 1984, Pericolo nella dimora, di Michel Deville), autori come H.G. Clouzot (Le corbeau, 1943, Il corvo; Quai des Orfèvres, 1947, Legittima difesa), Julien Duvivier, Jacques Becker (Touchez pas au grisbi, 1954, Grisbi; Le trou, 1960, Il buco), Jean-Pierre Melville, Claude Sautet (Classe tous risques, 1960, Asfalto che scotta; Max et les ferrailleurs, 1971, Il commissario Pelissier) e soprattutto Claude Chabrol hanno esplorato con stile raffinato e personale tutta la gamma del genere, dal whodunit al film carcerario al noir.In Italia, il g. p., bocciato dal fascismo e relegato a letteratura inferiore da pregiudizi umanistici, emerse solo a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale con Il bandito (1946) di Alberto Lattuada e Caccia tragica (1947) di Giuseppe De Santis. Se è raro trovare appassionati artigiani dotati di personalità e inventiva, come Mario Bava (per es., La ragazza che sapeva troppo, 1963) o Lucio Fulci (Non si sevizia un paperino, 1972), e ancor di più detective movies all'altezza degli originali statunitensi (Un maledetto imbroglio, 1959, di Pietro Germi), fortunata è stata la stagione dei thriller di D. Argento, come buon successo di pubblico ha incontrato il sottogenere del 'poliziottesco' degli anni Settanta in cui si riflette il clima di tensione sociale dell'epoca, mentre peculiare rilevanza ha avuto il giallo politico (Le mani sulla città, 1963, e Cadaveri eccellenti, 1976, entrambi di Francesco Rosi; A ciascuno il suo, 1967, e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, 1970, entrambi di Elio Petri; Il giorno della civetta, 1968, di Damiano Damiani) che ha inaugurato una particolare miscela di cinema d'impegno e poliziesco: una formula ripresa anche fuori dall'Italia (per es. da registi come Costantin Costa-Gavras e Alan J. Pakula). Malgrado la deriva verso cui sono andati i generi classici a partire dagli anni Sessanta, il poliziesco ha continuato a possedere un'identità modulata dal gusto di vaste platee popolari. La combinazione delle sue principali linee evolutive (mistery, noir, thriller) ha dato vita in ogni stagione a un numero piuttosto elevato di opere buone, talvolta eccellenti (per es., Last embrace, 1979, Il segno degli Hannan, di Demme; Gorky Park, 1983, di Michael Apted; Witness, 1985, Witness ‒ Il testimone, di Peter Weir; Jagged edge, 1985, Doppio taglio, di Richard Marquand; At close range, 1986, A distanza ravvicinata, di James Foley; Black widow, 1987, La vedova nera, di Bob Rafelson; Dead calm, 1989, Ore 10: calma piatta, di Phillip Noyce; Sea of love, 1989, Seduzione pericolosa, di Harold Becker; Internal affairs, 1990, Affari sporchi, di Mike Figgis; Pacific heights, 1990, Uno sconosciuto alla porta, di John Schlesinger; Shattered, 1991, Prova schiacciante, di Wolfgang Petersen; One false move, 1992, Qualcuno sta per morire, di Carl Franklin; The fugitive, 1993, Il fuggitivo, di Andrew Davis; The negotiator, 1998, Il negoziatore, di F. Gary Gray; Phone booth, 2002, In linea con l'assassino, di Joel Schumacher). Se, come sostengono diversi studiosi, la vitalità di un genere è data dalla sua capacità di rivitalizzare linee evolutive fossilizzatesi nel tempo, l'emergere di personalità diaboliche e geniali tipiche dei primordi del poliziesco (basti pensare a Mabuse), in film come The usual suspect (1995; I soliti sospetti) di Bryan Singer, o la dinamica reinvenzione del gangster film e del noir nei film di un autore come Quentin Tarantino (Pulp fiction, 1994; Jackie Brown, 1997) attestano uno stato di salute che nessun altro genere cinematografico, altrettanto longevo, può vantare. Altri fenomeni di uguale segno vanno considerati la persistenza sotterranea di uno sguardo femminile, tanto più sorprendente in un genere per tradizione consacrato alla supremazia maschile e alla violenza (The hitch-hiker, 1953, La belva dell'autostrada, di Ida Lupino; Lady beware, 1987, All'improvviso uno sconosciuto, di Karen Arthur; Impulse, 1990, Doppia identità, di Sondra Locke; Blue steel, 1990, Blue steel ‒ Bersaglio mortale, e Point break, 1991, entrambi di Kathryn Bigelow), e l'emergere di nuovi autori, affermatisi dopo un solido tirocinio nel cinema, come Curtis Hanson (The bedroom widow, 1987, La finestra della camera da letto; L.A. confidential, 1997), e nella pubblicità, come David Fincher (Seven, 1995; The game, 1997, The game ‒ Nessuna regola; Panic room, 2002), o di consistenti promesse che si affacciano con prove originali e suggestive (Christopher Nolan che ha diretto Memento, 2001 e Insomnia, 2002, e Jacques Audiard, regista di Regarde les hommes tomber, 1994 e Sur mes lèvres, 2001, Sulle mie labbra).
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