Cinematografici, generi
di Renato Venturelli
Il cinema di genere a partire dagli ultimi anni del 20° sec. è stato sempre più dominato dalla politica hollywoodiana del blockbuster, vale a dire film ad alto budget lanciati con grande impatto mediatico e al centro di un imponente fenomeno di marketing. Inizialmente concepiti come eventi eccezionali, sono diventati dagli anni Novanta il principale veicolo di una produzione rivolta a un mercato mondiale, con temi e linguaggio in larga parte modellati sui gusti giovanili, ampi influssi del videoclip e del videogame, uso massiccio di effetti digitali, montaggio serrato e racconto per lo più ripetitivo. Anziché rifarsi strettamente ai generi tradizionali, buona parte di questi prodotti adotta un taglio transgenerico, privilegiando action, fantasy o commedia, e rivolgendosi a soggetti già ampiamente conosciuti dal pubblico: da qui la pratica intensa di sequel e remake, o lo sfruttamento di fumetti, successi editoriali e serie televisive. Il nuovo millennio si è aperto così con tre serie di grande successo riconducibili in maniera diversa a un ambito fantasy: i quattro film su Harry Potter basati sui best seller di J.K. Rowling (a partire da Harry Potter and the sorcerer's stone, 2001, Harry Potter e la pietra filosofale, di Ch. Columbus), The lord of the rings (Il signore degli anelli) concepito come opera unitaria in tre parti (uscite rispettivamente nel 2001, 2002 e 2003) dal neozelandese P. Jackson, la nuova trilogia di Star wars (1999-2005) che ha segnato il ritorno alla regia di G. Lucas, mentre con The matrix revolutions (2003; Matrix revolutions) di A. e L. Wachowski si è conclusa l'altra trilogia seminale dei primi anni del 21° secolo.
L'analisi dei blockbusters ha portato a identificare le loro principali caratteristiche nel prevalere dello spettacolo sulla narrazione, della superficie sulla struttura, delle sensazioni audiovisive sul coinvolgimento emotivo. Mentre in passato i settori privilegiati dalle superproduzioni spettacolari riguardavano soprattutto soggetti biblici, disaster movies o argomenti storici e letterari di grande prestigio, a partire dagli anni Novanta del 20° sec. sono sempre più prediletti i personaggi tratti dai fumetti: evento principale, l'uscita dei due Spider-Man (del 2002 e 2004) diretti da S. Raimi; ma vanno segnalati anche i film su X-Men, Daredevil, Blade, The punisher, Catwoman, Hellboy, Fantastic Four, come pure il tentativo di rilanciare la serie di Batman con il film diretto da Ch. Nolan (Batman begins, 2005) e l'operazione formalmente estrema, quasi sperimentale, di Sin city (2005) di F. Miller e R. Rodriguez, dove le inquadrature ripropongono la grafica delle tavole disegnate. A questi si affiancano i film ispirati a popolari serie televisive (Charlie's angels, 2000, di McG; Starsky & Hutch, 2004, di T. Phillips), videogame (per es., Lara Croft: Tomb Raider, 2001, Tomb Raider: la culla della vita, di S. West; Resident evil, 2002, di P.W.S. Anderson) o addirittura parchi a tema: l'influenza sul piano visivo e narratologico del videogame non è del resto riscontrabile solo nel diffondersi della cosiddetta estetica da playstation, ma anche nel passaggio al cinema di registi formatisi in quell'ambito, oltre che in quello dello spot pubblicitario e del videoclip.
Si è così imposta una nuova generazione di registi specializzati in blockbusters, come M. Bay, R. Emmerich, S. Sommers, spesso accusati di essere anonimi professionisti al servizio di una macchina produttiva; altri sono invece riusciti a mantenere una marcata personalità (basti pensare a Jackson, Raimi o Lucas), mentre numerosi registi che si erano formati nel sistema dei generi hanno proseguito in tale ambito un loro percorso autoriale. È il caso di C. Eastwood, consacrato come uno dei massimi registi del cinema americano e sempre fedele a una politica dei generi continuamente reinventata (Blood work, 2002, Debito di sangue; Mystic river, 2003; Million dollar baby, 2004); oppure di S. Spielberg, che ha proseguito un'opera estremamente personale sia all'interno della commedia (Catch me if you can, 2002, Prova a prendermi; The terminal, 2004), sia della fantascienza (A.I. - Artificial intelligence, 2001, A.I. - Intelligenza artificiale; Minority report, 2002; War of the worlds, 2005, La guerra dei mondi). A un cinema di genere sorretto da una forte personalità registica restano fedeli anche W. Friedkin (notevoli sia Rules of engagement, 2000, Regole d'onore, sia The hunted, 2003, The hunted - La preda), B. Schroeder, autore di noir e polizieschi 'langhiani' (Murder by numbers, 2002, Formula per un delitto), J. McTiernan (Rollerball, 2002), P. Verhoeven (Hollow man, 2000, L'uomo senza ombra) e molti altri, mentre il rapporto con i generi in chiave apertamente problematica e postmoderna è cruciale per J. Demme (The Manchurian candidate, 2004), i fratelli Coen (The Ladykillers, 2004) o per Q. Tarantino, che costituisce un caso a sé stante (Kill Bill: Vol. 1, 2003, Kill Bill: volume 1, e Kill Bill: Vol. 2, 2004, Kill Bill: volume 2). Figure di primissimo piano come F.F. Coppola, J. Carpenter, W. Hill, M. Cimino, J. Dante, J. Milius, J. Landis, invece, sono state emarginate, evidenziando così la crisi di quella fruttuosa combinazione tra autori, generi e industria che si era sviluppata dagli anni Settanta in poi. Del tutto diverso è il rapporto portato avanti dalla nuova generazione di registi 'indipendenti', che si pongono su un terreno di rottura con la classicità hollywoodiana e quando guardano ai generi adottano un atteggiamento ironico e distaccato, in una posizione di esibita estraneità sia nei confronti della tradizione, sia verso la rilettura 'cinefila' della generazione anni Settanta.
Il cinema europeo, che aveva visto crollare la sua tradizionale produzione di generi, sta cercando di reinserirsi nel mercato internazionale con una serie di iniziative che vanno al di là di opere confinate a uno sfruttamento quasi esclusivamente interno. L'Inghilterra, che ha da sempre un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, ha affiancato alla fortunata produzione di commedie un neonoir a base di violenza parossistica, deformazione grottesca e linguaggio video (The snatch, 2000, Snatch - Lo strappo, di G. Ritchie; Layer cake, 2004, The pusher, di M. Vaughn). La Francia da una parte ha tentato di promuovere progetti e coproduzioni in grado di sfidare Hollywood sul suo stesso terreno (la via del fumetto autoctono: Asterix & Obelix: mission Cléopatre, 2002, Asterix & Obelix: missione Cleopatra), dall'altra ha vantato una vivace produzione di thriller e action-movies, in alcuni casi riconducibile alla figura di L. Besson come regista o produttore. Ma numerosi thriller e horror sono arrivati sul mercato internazionale anche dalla Spagna (basti pensare a registi come A. Aménabar e J. Balagueró) o dalla Germania, molto attiva sul terreno delle coproduzioni, mentre l'Italia ha continuato a restare in posizione secondaria. La vera, imponente novità sul piano internazionale è però costituita dall'esplosione del cinema di genere dell'Estremo Oriente, dove il Giappone ha imposto non solo i suoi film d'animazione ma anche i suoi horror, e la Repubblica di Corea (Corea del Sud) ha vissuto nei primi anni del nuovo millennio un periodo di eccezionale vena creativa. La diffusione dei film in DVD ha del resto accelerato un fenomeno di globalizzazione già aperto negli anni Ottanta dal mercato delle videocassette, riducendo drasticamente la centralità del mercato dei film in pellicola: da quando il consumo di film nelle sale è diventato minoritario, è cresciuta anche in Occidente l'importanza di cinematografie prima emarginate. Si è così, per es., rapidamente allargato l'interesse per il cinema indiano, e più di recente si è evidenziato il fenomeno del cinema nigeriano che produce ogni anno direttamente in video centinaia di film di generi popolari.
Generi classici: la produzione statunitense ed europea. - In questo contesto complessivo vi sono alcuni generi classici che sembravano ormai quasi scomparsi, ma occasionalmente vengono ripresi e rielaborati in una nuova prospettiva. Il caso più evidente è quello del western, che negli anni Novanta del 20° sec. aveva avuto una debole ripresa in seguito ai successi di Dances with wolves (1990; Balla coi lupi) di K. Costner e Unforgiven (1993; Gli spietati) di Eastwood. Lo stesso Costner ha realizzato in seguito Open range (2003; Terra di confine), crepuscolare variazione su temi e situazioni classiche come la vita dei cowboys, il loro invecchiamento, la privatizzazione delle terre, la sparatoria finale. Un altro titolo importante riguarda un regista nel solco della tradizione hollywoodiana come R. Howard (The missing, 2003), mentre T.L. Jones ha firmato con The three burials of Melquiades Estrada (2005; Le tre sepolture) un western contemporaneo di intima forza morale e visionaria, ricco di riferimenti all'opera di S. Peckinpah. Ma la tendenza è soprattutto quella di vedere il western mimetizzarsi come struttura, richiamo archetipico o rimando culturale all'interno di altri generi e formule: dall'animazione (Spirit, 2002, Spirit - Cavallo selvaggio) a film bellici, avventurosi o fantascientifici, da originali melodrammi come Brokeback mountain (2005; I segreti di Brokeback Mountain) di A. Lee a trasposizioni di gusto postmoderno come Dust (2001) di M. Mančevski, variazioni american gothic o fantasy (Blueberry, 2004, di J. Kounen), senza contare la tentazione western sempre sottesa ai film fantastici di un regista come J. Carpenter (Vampires, 1998; John Carpenter's ghosts of Mars, 2001, Fantasmi da Marte).
Un altro genere saltuariamente riproposto è il musical classico, tornato trionfalmente alla ribalta con Chicago (2002) di R. Marshall, vincitore di sei premi Oscar e ambientato proprio in quel periodo tra le due guerre mondiali in cui affonda le sue radici. Sul versante opposto, Moulin Rouge (2001) di B. Luhrmann guarda al leggendario locale della Parigi di fine Ottocento per concentrarvi un secolo di spettacolo musicale, in un trionfo dell'estetica postmoderna a base di citazionismo, immagini digitali e soluzioni visive da videoclip. Nell'ambito del musical spiccano inoltre singole variazioni 'd'autore', come Dancer in the dark (2000) di L. von Trier, interpretato dalla cantante Björk e vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes, o veicoli per artisti di successo come 8 Mile (2002) di C. Hanson ispirato alla biografia di Eminem.
Per quanto invece riguarda il film bellico, il genere si trova in un momento di svolta che vede la formula 'umanistica' del cinema classico progressivamente sostituita dai nuovi modelli di combat films, in quanto la guerra non riguarda più civili inviati al fronte, bensì specialisti addestrati per combattere. Dopo i due eventi di fine anni Novanta (Saving private Ryan, 1998, Salvate il soldato Ryan, di Spielberg e The thin red line, 1998, La sottile linea rossa, di T. Malick), sono quindi usciti singoli titoli interessanti (come Three kings, 1999, di D.O. Russell; o Windtalkers, 2001, di J. Woo), accanto però allo svilupparsi di un'estetica da videogame, esemplarmente rappresentata da film come Behind enemy lines (2001; Behind enemy lines - Dietro le linee nemiche) di J. Moore, Black Hawk down (2001) di R. Scott o Stealth (2005; Stealth - Arma suprema) di R. Cohen.
Tra gli altri generi tradizionali vanno segnalati anche l'avventura in costume (The last samurai, 2003, L'ultimo samurai, di E. Zwick; Master and commander - The far side of the world, 2003, Master & commander - Sfida ai confini del mare, di P. Weir) e il peplum, reinventato con successo da Gladiator (2000; Il gladiatore) di R. Scott, Troy (2004) di W. Petersen o Alexander (2004) di O. Stone; un caso a parte è infine costituito dal film biografico (biopic), tornato a manifestare la sua capacità di attrazione sia per la notorietà dei personaggi affrontati sia per i divi che abitualmente lo interpretano (A beautiful mind, 2001, di R. Howard, con R. Crowe nel ruolo del matematico J. Nash; Alì, 2001, di M. Mann, con W. Smith che interpreta Cassius Clay-Muhammad Alì; The aviator, 2004, di M. Scorsese, con L. Di Caprio nel ruolo di H. Hughes; Capote, 2005, Truman Capote - A sangue freddo, di B. Miller, con Ph.S. Hoffman nella parte dello scrittore).
Commedia
Le nuove politiche produttive e distributive hanno condotto a una ridefinizione dei g. c. che tende a soppiantare, almeno parzialmente, le abituali suddivisioni del periodo classico. Ciò è dovuto in parte alla naturale tendenza dei generi a svilupparsi attraverso contaminazioni e ibridi, in parte a strategie industriali che privilegiano la transgenericità come strumento per raggiungere il maggior numero di spettatori. Inoltre, i film vengono spesso suddivisi a seconda tanto delle fasce d'età quanto delle categorie del pubblico cui si rivolgono (children, family-movies, teen-movies ecc.) più che sulla base dei singoli generi, e una teen-comedy ha maggiori analogie con un teen-horror che con una commedia che è rivolta a un pubblico adulto. Al di là del blockbuster transgenerico, il cui principale punto di riferimento resta prevalentemente l'action-fantasy, il genere più frequentato e pervasivo rimane comunque la commedia, dove il ricambio generazionale si integra con il permanere di forti elementi di continuità con il passato.
La più tradizionale tra le formule è quella della romantic comedy, commedia sentimentale che spesso allude ai grandi modelli del passato, ironizzando sulla convenzionalità delle situazioni ma sostanzialmente restaurandole e perpetuandole. Star principali di questa tendenza sono J. Roberts (Notting Hill, 1999, di R. Michell) e R. Gere (Shall we dance?, 2004, di P. Chelsom), affiancati da interpreti emergenti (K. Hudson, S.J. Parker, R. Whiterspoon, A. Sandler) ma anche più anziani, a cominciare da un J. Nicholson sempre caustico (As good as it gets, 1997, Qualcosa è cambiato, di J.L. Brooks; Something's gotta give, 2003, Tutto può accadere, di N. Meyers). Sul versante più leggero, grande successo ha ottenuto R. Zellweger con il personaggio di B. Jones, una trentenne della city londinese abituata a commentare con ironia le proprie disavventure sentimentali (Bridget Jones's diary, 2001, Il diario di Bridget Jones, di S. Maguire, e Bridget Jones: the edge of reason, 2004, Che pasticcio, Bridget Jones!, di B. Kidron). L'ambientazione e gli interpreti inglesi - come H. Grant - hanno del resto un'importanza particolare in questo filone, dovuta anche al successo riscosso negli anni Novanta da film come Four weddings and a funeral (1994; Quattro matrimoni e un funerale) di M. Newell, Sliding doors (1998) di P. Howitt, Shakespeare in love (1998) di J. Madden.
L'altra tendenza è costituita da film comici, spesso prodotti sulla scia di commedie di gusto goliardico (There's something about Mary, 1998, Tutti pazzi per Mary, di B. e P. Farrelly; American pie, 1999, di P. Weitz) che hanno imposto una comicità sboccata e aggressiva, ricca di gag scatologiche o sessuali che portano agli estremi la tendenza a usare in chiave farsesca ogni aspetto corporeo. Questa formula giovanile, in cui la struttura della commedia tende a essere soffocata dalla semplice successione di gag, può sfociare anche nella parodia o nell'eccentricità della serie 'camp' di Austin Powers ispirata ai film di spionaggio anni Sessanta, per es., Austin Powers in Goldmember, 2002, diretto da J. Roach, autore anche della 'saga familiare' Meet the parents, 2000, Ti presento i miei, e Meet the Fockers, 2004, Mi presenti i tuoi?. All'opposto, esiste una commedia americana di matrice 'indipendente' che si oppone in modo programmatico ai modelli hollywoodiani, puntando su una sorta di sofisticato straniamento, sia nella drammaturgia sia nella composizione figurativa. Gli esempi più noti sono Punch-drunk love (2002; Ubriaco d'amore) di P.Th. Anderson; Broken flowers, 2005, di J. Jarmusch, con il laconico B. Murray, attore simbolo di questa tendenza, e non a caso anche tra gli interpreti di The Royal Tenenbaums (2001; I Tenenbaum), nonché protagonista di Lost in translation (2003) di S. Coppola e The life aquatic with Steve Zissou (2004; Le avventure acquatiche di Steve Zissou) di W. Anderson; About Schmidt (2002; A proposito di Schmidt) e Sideways (2004; Sideways - In viaggio con Jack) di A. Payne, entrambi costruiti su un percorso on the road caratterizzato da un senso di estraneità al mondo.
Per quanto riguarda la Francia, accanto alla solida tradizione di commedie corali fondate sulla sceneggiatura (Le goût des autres, 2000, Il gusto degli altri, di A. Jaoui), la novità maggiore è costituita da J.-P. Jeunet, che con Le fabuleux destin d'Amélie Poulain (2001; Il favoloso mondo di Amélie) ha offerto una rilettura originale dei modelli anni Trenta nell'età postmoderna del video, del fumetto e delle immagini digitali. Il cinema tedesco ha colto uno dei suoi maggiori successi con Goodbye Lenin! (2003) di W. Becker, commedia sulla riunificazione della Germania, mentre il cinema brillante spagnolo tende a essere caratterizzato da toni più caricati, sia nella deformazione fisica sia nella provocazione sessuale: in questa direzione, è esemplare una dark comedy come Crimen ferpecto (2004; Crimen perfecto) di Á. De La Iglesia. Ma una delle tendenze di maggior successo internazionale è costituita dalla cosiddetta commedia etnica, ambientata tra le minoranze e basata sui problemi dell'integrazione raccontati dal punto di vista dei conflitti familiari tra vecchie e nuove generazioni. Tra i maggiori successi spicca My big fat Greek wedding (2002; Il mio grosso grasso matrimonio greco) di J. Zwick, sulla comunità greca negli Stati Uniti, ma ve ne sono su quella pakistana e su quella indiana in Inghilterra (rispettivamente, East is East, 1999, di D. O'Donnell, e Bend it like Beckham, 2002, Sognando Beckham, di G. Chadha), su quella mediorientale in Svezia (Jalla! Jalla!, 2000, di J. Fares), su quella greco-turca (Politiki kuzina, 2003, Un tocco di zenzero, di T. Boulmetis) e così via, mentre K. Loach ne ha fornito una versione più problematica in Ae fond kiss... (2004; Un bacio appassionato).
Horror e fantascienza
Gli anni Novanta si sono chiusi con una serie di horror giovanili in cui venivano messe ludicamente in evidenza le situazioni stereotipate del genere: culmine di questa tendenza la trilogia Scream (1996-2000) diretta da W. Craven. Accanto a questo filone autoriflessivo, sfociato ben presto nella parodia vera e propria (Scary movie, 2000, di K.I. Wayans), si segnala un ritorno ai modelli anni Settanta, dove però il ripensamento delle origini del 'new horror' cade spesso nel semplice sfruttamento di titoli di culto attraverso la pratica del remake (The Texas chainsaw massacre, 2003, Non aprite quella porta, di M. Nispel; Dawn of the dead, 2004, L'alba dei morti viventi, di Z. Snyder). In questa ripresa c'è però stato spazio anche per il ritorno di G.A. Romero con il quarto episodio della sua epopea (Land of the dead, 2005, La terra dei morti viventi) o di una serie di piccoli horror capaci di mostrare ancora elementi di inventiva, come Jeepers creepers (2001; Jeepers creepers - Il canto del diavolo) di V. Salva, Joy ride (2001; Radio killer) di J. Dahl, Cabin fever (2002) di E. Roth, House of 1000 corpses (2003; La casa dei 1000 corpi) di R. Zombie o Session 9 (2001) di B. Anderson. Un caso a parte è invece costituito da M.N. Shyamalan, uno dei nomi di maggior rilievo: da The sixth sense (1999; The sixth sense - Il sesto senso) a The village (2004), i suoi thriller metafisici risultano angosciosamente sospesi tra una dimensione realistica e una fantastica, e immergono lo spettatore in un universo ai confini del mistero e dell'indicibile.
Al circuito internazionale del thriller-horror contribuiscono anche produzioni spagnole, francesi e tedesche, con autori come Aménabar (Abre los ojos, 1997, Apri gli occhi; The others, 2001), Balagueró (Los sin nombre, 1999, The nameless; Darkness, 2002), M. Kassovitz (Les rivières pourpres, 2000, I fiumi di porpora) oppure Ch. Gans (Le pacte des loups, 2001, Il patto dei lupi), ma la grande novità è costituita dall'importanza crescente dell'horror dell'Estremo Oriente, in particolare giapponese e coreano (per il quale v. oltre). Per quanto riguarda invece la fantascienza, il filone più vivace è quello che esplora clonazioni, realtà virtuali e universi paralleli, in una vertiginosa messa in crisi dell'identità, della memoria e del rapporto con il reale (Paycheck, 2003, di J. Woo; The island, 2005, di M. Bay; Eternal sunshine of the spotless mind, 2004, Se mi lasci ti cancello, di M. Gondry) che rientra in un più generale interesse nei confronti della percezione e della rappresentazione, volto a scombinare la linearità della narrazione tradizionale. Un'altra tendenza persistente è infine quella apocalittica, in film come 28 days later (2002; 28 giorni dopo) di D. Boyle, The day after tomorrow (2004) di R. Emmerich o War of the worlds di Spielberg che ipotizzano la fine della civiltà a causa di virus, catastrofi ecologiche o invasioni aliene: un filone che va a confluire in quello più generale del ditaster movie, già risorto negli anni Novanta al servizio dei nuovi effetti digitali, ma poi tornato con significati più complessi dopo l'attentato alle Twin Towers dell'11 settembre 2001.
Documentario
Il rilancio del documentario (v.), avvenuto nei primissimi anni del nuovo millennio è in buona parte da attribuirsi all'eccezionale successo ottenuto da M. Moore con Bowling for Columbine (2002; Bowling a Columbine) e Fahrenheit 9/11 (2004), e dalle ampie discussioni che il regista americano ha innescato per l'uso personale e incisivo, ma anche controverso, degli strumenti documentaristici. Sulla sua scia, hanno ottenuto maggior attenzione e distribuzione anche altri documentari d'autore a sfondo politico, tra cui The agronomist (2003) di Demme o Comandante (2004) di Stone, mentre in Italia la formula pamphlettistica è stata ripresa da S. Guzzanti in Viva Zapatero! (2005). Il fenomeno rispecchia un indubbio interesse del cinema contemporaneo nei confronti del documentario, testimoniato anche dal successo del francese Etre et avoir (2002; Essere e avere), realizzato da N. Philibert riprendendo tra documento e finzione la vita di un anno scolastico presso una scuola di campagna, ma si colloca anche in una più generale tendenza del cinema a esplorare le linee di confine tra la scrittura documentaristica, la narrazione, talvolta anche l'autobiografia. A tale ambito vanno del resto ricondotti molti docudramas, che hanno affrontato episodi storici e situazioni d'attualità adottando tecniche documentaristiche in un contesto di finzione, o viceversa. Un ritorno al successo dei documentari naturalistici si è avuto invece con opere come Le peuple, migrateur (2001; Il popolo migratore) di J. Perrin, J. Cluzaud e M. Debats, Deep blue (2003; Profondo blu) di A. Byatt e A. Fothergill, e La marche de l'empereur (2005; La marcia dei pinguini) di L. Jacquet.
I film di genere in Italia
La produzione di film di genere in Italia ha continuato a concentrarsi su commedie e film comici, che a ogni stagione conquistano i primi posti del box-office nazionale: Chiedimi se sono felice (2000), La leggenda di Al John & Jack (2002) di Aldo Giovanni e Giacomo, Merry Christmas (2001), Natale sul Nilo (2002), Christmas in love (2004) di N. Parenti, Il paradiso all'improvviso (2003) e Ti amo in tutte le lingue del mondo (2005) di L. Pieraccioni. Tra i comici, resta dominante la posizione di Pieraccioni, del trio Aldo Giovanni e Giacomo, della coppia formata da M. Boldi e Ch. De Sica che ha continuato a conquistare il box-office natalizio con commedie popolari come Natale a Miami (2005) di Parenti, film che ha segnato l'annunciata fine del sodalizio. È tornato al successo anche C. Verdone, che dopo aver tentato di reinventare radicalmente la propria immagine si è orientato su una commedia più solida e articolata con Ma che colpa abbiamo noi (2003), L'amore è eterno finché dura (2004) e Il mio miglior nemico (2006), mentre Benigni dopo La vita è bella (1997) è uscito dai confini del film comico tradizionale, come confermato da Pinocchio (2002) e La tigre e la neve (2005), e P. Villaggio ha interrotto dopo il 1999 la lunga serie di Fantozzi. A proseguire con successo nel solco della commedia nazionale sono soprattutto registi come P. Virzì (My name is Tanino, 2003; Caterina va in città, 2004), in parte A. D'Alatri (Casomai, 2003; La febbre, 2005) e G. Veronesi, sceneggiatore passato alla regia (Che ne sarà di noi, 2004; Manuale d'amore, 2005), mentre i fratelli C. e E. Vanzina si sono dedicati a piccole produzioni che guardano a un cinema popolare minore, rievocato con sincera passione cinefila (Il pranzo della domenica, 2003). Nell'ambito della commedia va anche segnalato l'affermarsi di un filone rivolto a un pubblico adolescenziale con successi giovanili come Tre metri sopra il cielo (2004) di L. Lucini, Che ne sarà di noi (2004) di G. Veronesi, Notte prima degli esami (2006) di F. Brizzi. Ma la novità di maggior risalto è costituita dal successo imprevisto di L'ultimo bacio (2001), che ha reso famoso il suo regista G. Muccino e ha imposto una formula a metà tra la commedia generazionale e il dramma sentimental-familiare, rilanciata anche dalle formule soap ormai molto frequentate dalle produzioni televisive nazionali: in questo ambito si collocano il film successivo del regista (Ricordati di me, 2003), La bestia nel cuore (2005) di C. Comencini e in parte anche l'opera di F. Ozpetek, per lo più imperniata su emozioni, angosce e riflessioni relative alla scoperta di una dimensione sconosciuta (Le fate ignoranti, 2001; La finestra di fronte, 2003; Cuore sacro, 2005).
Decisamente meno incisiva, invece, la produzione italiana nell'ambito di altri generi che godono di maggiore attenzione internazionale. Ridimensionatesi le ambizioni nate nel campo dell'animazione dopo il successo di La gabbianella e il gatto (1998) di E. D'Alò, va segnalato soprattutto il lavoro sui generi compiuto da G. Salvatores nel suo tentativo di uscire da temi e formule abituali del cinema italiano, passando dalla commedia generazionale a un cinema attento alle tendenze noir e pulp delle mode giovanili, con titoli come Denti (2000), Amnèsia (2002), Io non ho paura (2003). Nell'ambito del thriller la principale novità è costituita dai film dell'esordiente A. Infascelli (Almost Blue, 2000; Il siero della vanità, 2004), mentre D. Argento ha proseguito la sua produzione con Nonhosonno (2001) o Il cartaio (2003), mentre alcuni titoli hanno indicato una possibile rinascita del noir, sia con Romanzo criminale (2005) di M. Placido, sia con film ispirati ai romanzi di M. Carlotto (Il fuggiasco, 2003, di A. Manni; Arrivederci amore, ciao, 2006, di M. Soavi). La persistente marginalità del cinema italiano di genere coincide però con una crescente attenzione nei confronti del cosiddetto b-movie italiano degli anni Sessanta e Settanta, periodo in cui thriller, horror, peplum, western, poliziesco, musicarello, commedia erotica e altre formule di successo costituivano una parte rilevante della produzione. La stima internazionale nei confronti di autori e film popolari dell'epoca risale agli anni Sessanta, quando la critica francese celebrava M. Bava, R. Freda o V. Cottafavi, e prosegue poi con la rilettura critica degli anni Settanta: il fenomeno attuale riguarda però autori, film e filoni a lungo considerati minori e si nutre anche delle più recenti teorie sul trash e sul pulp, magari nella scia delle dichiarazioni entusiastiche di Tarantino e della sua partecipazione alla retrospettiva dedicata al b-movie italiano nel corso della Mostra del cinema di Venezia del 2004.
La produzione asiatica: il grande successo internazionale del film di genere
Dopo l'imponente affermazione dei film di Hong Kong nel corso degli anni Novanta del 20° sec., l'inizio del nuovo millennio appare caratterizzato da un ancor più ampio successo del cinema dell'Estremo Oriente sul mercato cinematografico internazionale. Uno dei fenomeni più rilevanti è quello dell'horror giapponese, con film che spaziano dalle storie di fantasmi alle più innovative mescolanze di generi. In quest'ultimo settore ha un particolare seguito di culto Miike Takashi, cui si devono invenzioni paradossali, violentissime e grottesche che vanno da Ōdishon (1999, noto con il titolo Audition), a Koroshiya 1 (2001, noto con il titolo Ichi the killer), o Bibita Q. (2001, noto con il titolo Visitor Q.), mentre altri protagonisti dell'ondata horror sono Nakata Hideo (Ringu, 1998, e Ringu 2, 1999; Honogurai mizu no soko kara, 2002, Dark water) e il più raffinato Kurosawa Kiyoshi (Kairo, 2001, noto con il titolo Pulse). Anche in questo caso, Hollywood ha tentato di adeguarsi alla nuova tendenza, realizzando remake di successi giapponesi (The ring, 2002, di G. Verbinski; Dark water, 2005, di W. Salles), producendoli in loco (The grudge, 2004, di Takashi Shimizu), chiamando negli Stati Uniti registi giapponesi di successo (The ring two, 2005, di Nakata Hideo), ma soprattutto cercando cautamente di inserire iconografia, situazioni narrative e soluzioni visive tipiche della produzione giapponese all'interno di un tessuto hollywoodiano.
Più recente il rilievo ottenuto dal cinema sud-coreano a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, quando l'immissione di nuovi capitali ha coinciso con l'affermarsi di una nuova generazione di registi 'cinefili'. Si è così sviluppata la produzione di 'film pianificati', progettati sulla base di indagini di mercato, contemporaneamente alla formazione di un linguaggio fortemente dinamico e originale, spesso fondato sulla contaminazione di g. e stili, tra horror, thriller, action e commedia. Il fenomeno si è imposto in misura ancora maggiore nei primi anni del 21° sec., con la produzione di blockbusters che si contrappongono ai prodotti hollywoodiani ricorrendo a strategie analoghe, e con un'esportazione che prima dilaga nei Paesi asiatici, quindi si affaccia anche sui mercati occidentali. Il Festival di Cannes del 2004 ha consacrato Park Chan-wook, autore della 'trilogia della vendetta' (Boksuneun naui geot, 2002, Mr Vendetta; Oldboy, 2003, Old boy; Chinjeolhan geumjassi, 2005, Lady Vendetta), ma altri nomi di spicco sono quelli di Kang Je-gyu (Swiri, 1999, noto con il titolo Shiri), Kim Sung-soo (Taeyangeun eobda, 1998, noto con il titolo City of the rising Sun), Bong Joon-ho (Salinui chueok, 2003, noto con il titolo Memories of murder), Kim Jee-woon (Janghwa, hongryeon, 2003, Two sisters), Im Sang-soo (Baramnan kajok, 2003, La moglie dell'avvocato; Geuddae geusaramdeul, 2005, noto con il titolo The President's last bang).
Anche la produzione di Hong Kong ha offerto segnali di ripresa dopo la crisi verificatasi alla fine degli anni Novanta: uno dei suoi principali protagonisti, Tsui Hark, è tornato a lavorare in patria (Seunlau ngaklau, 2000, Time and tide; Qi jian, 2005, Seven swords), mentre J. To si è affermato nel giro dei grandi festival europei (PTU, 2003; Dai si gein, 2004, Breaking news; Hak seh wui, 2005, Election) e S. Chow ha continuato brillantemente nella sua mescolanza di action, arti marziali e commedia (Siu lam juk kau, 2001, Shaolin soccer - Arbitri, rigori e filosofia zen; Gong fu, 2004, Kung fusion). Nel frattempo, anche il particolare genere cinese di avventura in costume e arti marziali (wu xia pian) viene esportato con successo, magari in chiave più edulcorata ed estetizzante, come è accaduto per Wo hu cang long (2000; La tigre e il dragone) di A. Lee, Ying xiong (2002; Hero) e Shi mian maifu (2004; La foresta dei pugnali volanti) di Zhang Yimou.
L'altra cinematografia asiatica che sta attirando grandi attenzioni è quella indiana, una delle più prolifiche del mondo, sia nel campo del melodramma sia in quello della commedia, del musical o dell'avventura. Alcuni film hanno tentato di avvicinare al gusto della cosiddetta Bollywood anche il pubblico occidentale (il modesto Bride & prejudice, 2004, Matrimoni & pregiudizi, di G. Chadha), ma il fenomeno sembra solo agli inizi, benché abbia già ottenuto discreta rilevanza: quella stessa globalizzazione che ha imposto il fenomeno dei blockbusters hollywoodiani, con la loro sintesi postgenerica, sta infatti rinnovando profondamente l'immaginario e le distinzioni abituali del cinema di genere con un movimento di natura opposta, che procede da mercati e culture specifiche.
Bibliografia
Genre and contemporary Hollywood, ed. S. Neale, London 2002; Cinema & generi, a cura di R. Venturelli, Recco 2005.