COTTON, Genesi di
È così denominato dal bibliofilo inglese Robert Cotton, che lo acquisì prima del 1617, il codice Cott. Otho B.VI della British Library di Londra, che raccoglie i frammenti di centoventinove delle centosessantasei carte - centosessantacinque se si esclude la c. 2, che non è originale - di cui il manoscritto membranaceo si componeva prima dell'incendio che lo devastò nel 1731.Stando alla ricostruzione di Weitzmann e Kessler (1986, p. 10), la consistenza originaria del C. era di duecentoventuno carte, contenenti l'intero testo della Genesi nella versione greca dei Settanta e trecentosessanta miniature. Poiché nell'ultima pagina si leggeva la sottoscrizione di Thomas Wakefield, morto nel 1575 (Smith, 1696), è certo che il codice giunse in Inghilterra prima di quella data. È però improbabile che vi fosse pervenuto da Filippi per mano di due vescovi greci che lo avrebbero donato a Enrico VIII, come scrisse Richard James nel foglio volante un tempo allegato al volume (Smith, 1696; Grabe, 1778, pp. V-VI). Secondo alcune fonti Cotton lo ebbe in dono dal grecista e latinista John Fortescue, che a sua volta lo avrebbe ricevuto da Elisabetta I (Smith, 1696; Grabe, 1778); secondo altre dal re Giacomo I (Lettres de Peiresc, V, 1898, p. 469). Dal marzo 1618 al febbraio 1622 il codice fu prestato a Nicholas-Claude Fabri de Peiresc, che fece trascrivere tre pagine del testo e riprodurre da Daniel Rabel due miniature (Parigi, BN, fr. 9530, cc. 31-32). Un secondo prestito ebbe luogo nel gennaio 1630 a favore di Thomas Howard duca di Arundel, presso i cui eredi il codice rimase fino al 1693, quando John Cotton, nipote di Robert, riuscì a rientrarne in possesso. Nel 1702 il parlamento britannico accolse la donazione della biblioteca Cotton, insieme con la quale il manoscritto fu trasferito prima a Essex House e poi ad Ashburnham House, dove si verificò l'incendio. Alcuni dei frammenti superstiti furono copiati ad acquerello e poi incisi da George Vertue per il primo volume dei Vetusta monumenta rerum Britannicarum (1747). Di essi solo una parte, corrispondente a sette fogli, venne restituita allo Stato prima del 1847, quando fu utilizzata per la prima ricomposizione dei lacerti effettuata in quell'anno da Frederick Madden presso la British Library (Gotch, 1881, p. VI). Dei restanti frammenti copiati da George Vertue cinque andarono perduti, mentre gli altri, passati nel 1784 al Baptist College di Bristol, furono depositati anch'essi nel 1928 presso la British Library che li acquistò nel 1962.Insieme con il Genesi di Vienna (Öst. Nat. Bibl., theol. gr. 31), il C. è il solo manoscritto paleocristiano noto che sia esclusivamente dedicato al primo libro della Bibbia. Secondo Lowden (1992) doveva trattarsi di un volume a scopo didattico, forse destinato a un giovane membro della famiglia imperiale, e ciò spiegherebbe anche l'eccezionale quantità di illustrazioni.Le miniature erano riquadrate da sottili cornici e talvolta divise in due registri. Lo spazio era scandito ritmicamente, le figure dai grandi occhi e dalle movenze danzanti conservavano proporzioni naturalistiche e naturalistica era anche la tavolozza, nonostante l'abbondanza di lumeggiature d'oro. I contorni, spessi ma morbidi, tendevano a effetti più pittorici che grafici. Lo scriptorium del C. è stato generalmente localizzato in Egitto, con poche eccezioni in favore di Costantinopoli (Kondakoff, 1886; Bonner, 1962-1963, p. 23; Beckwith, 19792). Cavallo (1967) ha proposto, su basi paleografiche, la zona tra Alessandria e Antinoe e anche per le immagini i confronti più convincenti sono con opere di quell'ambito (Salmi, 1945; Weitzmann, Kessler, 1986, fig. 12). Le ipotesi di datazione oscillano tra il 5° e la metà del 6° secolo. Tuttavia lo stesso Weitzmann, un tempo principale sostenitore della cronologia più tarda (1955, pp. 126-127), ha di recente retrodatato il manoscritto al 475-500 (Weitzmann, Kessler, 1986, p. 31), datazione che coincide con quella avanzata per la scrittura da Cavallo (1967).Dal C. prende nome una versione iconografica della Genesi che godette di grande fortuna soprattutto nel Medioevo occidentale. Le origini, i canali di diffusione e le differenti ramificazioni della 'recensione C.' sono tuttora oggetto di discussione (v. Genesi). Certo è che il manoscritto londinese non ne fu il capostipite, poiché questo filone iconografico appare già attestato nel sec. 4° dalle pitture delle catacombe romane di via Latina. È stata pertanto ipotizzata l'esistenza di un archetipo miniato con una cronologia che spazia dal 2° al 4° secolo.Il C. è invece il prototipo di una sottofamiglia della quale fanno parte i mosaici duecenteschi dell'atrio di S. Marco a Venezia, il manoscritto tardotrecentesco dell'Histoire universelle (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2576) e quello del sec. 16° conservato nella stessa biblioteca viennese (theol. gr. 7). Queste tre opere sono le fonti più attendibili, dopo le copie di Daniel Rabel e George Vertue, per l'integrazione dei frammenti superstiti e per la ricostruzione di alcune delle miniature perdute. In particolare i mosaici marciani, che Tikkanen (1889) supponeva derivati dall'originale per il tramite di un manoscritto mediobizantino, sono stati considerati una copia diretta da Weitzmann (1955, p. 152; Weitzmann, Kessler, 1986, pp. 18-19) e da Kitzinger (1975, pp. 100-106), che ipotizzano conseguentemente la presenza del C. a Venezia nella prima metà del Duecento.Per la ricostruzione delle miniature sulle quali questi tre cicli non forniscono elementi di riscontro si è fatto variamente ricorso ad altre opere della 'recensione C.'. Secondo la classificazione di Weitzmann e Kessler (1986), sono da considerarsi fonti secondarie, in quanto derivate dal presunto archetipo senza la mediazione del codice londinese: la cattedra di Massimiano (sec. 6°, Ravenna, Mus. Arcivescovile), i frontespizi delle bibbie carolinge (Londra, BL, Add. Ms 10546, c. 5v; Bamberga, Staatsbibl., Bibl. 1, c. 7v; Parigi, BN, lat. 1, c. 10v), il c.d. paliotto di Salerno (Salerno, Mus. Diocesano; Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Skulpturengal.; Budapest, Szépmuvészeti Múz.; New York, Metropolitan Mus. of Art) e il Genesi Millstatt (Klagenfurt, Kärntner Landesarch., 6/19). Sono definite invece fonti terziarie le opere che costituiscono riflessi indiretti, ma ancora relativamente fedeli, della 'recensione C.': in Oriente i tessuti copti con Storie di Giuseppe; in Occidente soprattutto i codici inglesi delle parafrasi (Oxford, Bodl. Lib., Junius 11, fine sec. 10°; Londra, BL, Cott. Claud. B.IV, prima metà sec. 11°; Londra, BL, Egert. 1894, seconda metà sec. 14°), il distrutto Hortus deliciarum (già Strasburgo, Bibl. Mun.), la Bibbia di Velislav (Praga, Státni Knihovna, XIII C 124, prima metà sec. 14°) e quella di Rovigo (Accad. dei Concordi, 212, fine sec. 14°).
Bibl.:
Fonti inedite. - Londra, BL, Harley 6018, cc. 111r, 178v (1621 e 1630); Harley 694, c. 236r (1674); Harley 7055, c. 89 (1703); Add. Ms 4996, c. 37 (1706); Add. Ms 4696 (1718); Parigi, BN, fr. 9530, cc. 29, 31-32, 34-35; Collatio Geneseos e Cod. Cotton, Oxford, Bodl. Lib., Grabe 51; T. Madden, Diary, Oxford, Bodl. Lib., Eng. hist. C 169.
Fonti edite. - T. Smith, Catalogus librorum manuscriptorum bibliotecae Cottonianae, Oxford 1696, p. 70, tavv. XLIV-XLV; A Report from the Committee to View the Cotton Library, London 1732, p. 7ss.; D. Casley, A Catalogue of Manuscripts of the King's Library. An Appendix to the Catalogus of the Cottonian Library, Together with an Account of Books Burnt or Destroyed by a Late Fire, London 1734, p. 32; Vetusta monumenta rerum Britannicarum, a cura della Societas Antiquariorum Londini, I, London 1747, tavv. LXVII-LXVIII; S. Hooper, A Catalogue of the Manuscripts in the Cottonian Library with an Appendix Containing an Account of the Damage Sustained by the Fire in 1731, London 1777; J.E. Grabe, Collatio codicis Cottoniani Geneseos cum editione romana, a cura di H. Owen, London 1778; T. Astle, The Origin and Progress of Writing, London 18032 (1784), p. 70; P.J. Bruns, Bemerkungen über einige wichtige Lesarten der Cottonischen Griechischen Handschrift des ersten Buchs Moses, Repertorium für biblische und morgenländische Literatur 14, 1784, pp. 30-39; Lettres de Peiresc, a cura di P. Tamizey de Larroque, V, Paris 1898.
Letteratura critica. - J. Planta, A Catalogue of the Manuscripts in the Cotton Library Deposited in the British Museum, London 1802, p. 365; K. von Tischendorf, Reliquae ex incendio ereptae codicis celeberrimi Cottoniani, in id., Monumenta sacra inedita. Nova collectio, II, Leipzig 1857, pp. 93-176; R. Garrucci, Storia dell'arte cristiana nei primi otto secoli della Chiesa, III, Prato 1876, p. 44, tavv. 124-125; Catalogue of Ancient Manuscripts in the British Museum, a cura di E.M. Thompson, I, Greek, London 1881, p. 20; F. Gotch, A Supplement to Tischendorf's Reliquiae ex incendio ereptae codicis celeberrimi Cottoniani, London-Edinburgh 1881; N.R. Kondakoff, Histoire de l'art byzantin consideré principalement dans les miniatures, I, Paris 1886, pp. 91-92 (rist. New York 1970); J.J. Tikkanen, Le rappresentazioni della Genesi in San Marco a Venezia e loro relazione con la Bibbia cottoniana, Archivio storico dell'arte 1, 1888, pp. 212-223, 257-267, 348-363; id., Die Genesismosaiken von San Marco in Venedig und ihr Verhältnis zu den Miniaturen der Cottonbibel, Acta Societatis scientiarum Fennicae 17, 1889, pp. 207-357; H. Omont, Fragments du manuscrit de la Genèse de R. Cotton conservés parmi les papiers de Peiresc, MSAF 53, 1893, pp. 163-172; W.R. Lethaby, The Painted Book of Genesis in the British Museum, AJ 69, 1912, pp. 88-111; id., A Further Note on the Painted Book of Genesis in the British Museum, ivi, 70, 1913, p. 162; The Cottonian Genesis, BrMusQ 2, 1927-1928, pp. 89-90; C.R. Morey, Notes on East Christian Miniatures, ArtB 11, 1929, pp. 5-103: 5-7; H. Omont, Miniatures des plus anciens manuscrits grecs de la Bibliothèque Nationale du VIe au XIVe siècle, Paris 19292 (1902), pp. I-VI; L. Troje, Eine alte Schöpfungsdarstellung in San Marco, in R. 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