GENESI (la o il; v. Dante, Inf., XI, 107)
Primo libro della Bibbia (v. VI, p. 884), così chiamato nella versione greca, e di qui in quasi tutte le lingue; gli Ebrei lo intitolano dalla prima parola del testo bĕrešīt, i Tedeschi per lo più "1° libro di Mosè". Il nome più comune, Genesi, gli viene dal contenuto. È la storia delle origini, più esattamente la preistoria del popolo ebreo, iniziata sin dalle origini dell'uman genere, anzi del mondo intero, e inquadrata nella trama di dieci genealogie (nel testo ebraico tōledōt, in greco γένησις) di patriarchi e di popoli.
Tali genealogie sono disposte a guisa d'albero discendente, di cui la linea diretta dei progenitori degli Ebrei forma il tronco, le altre i rami. Ai nodi, il libro dà prima breve notizia dei rami laterali e poi torna al tronco principale per tesserne più in disteso la storia. Questo schema dà grande unità e armonia alla composizione del Genesi; ma i singoli racconti, che vi sono inquadrati, possono provenire da fonti diverse più antiche. Caratteristico che in alcuni Dio è chiamato Elohim, in altri Jahvè. Qui riterremo, come dato di fatto, questa distinzione in iahvista ed elohista: per l'autore e la composizione del libro v. pentateuco. Sotto questo aspetto il G. va diviso in tre grandi periodi: 1. le origini dell'uman genere (c. I-XI); 2. i tre patriarchi del popolo ebreo: Abramo, Isacco, Giacobbe-Israele (c. XII-XXXVI); 3. discesa di tutta la famiglia israelitica in Egitto, dove si venne formando a nazione distinta (c. XXXVII-L). Cambiano per ogni periodo i contatti sia letterarî sia storici con altri popoli, e le varie questioni di valore oggettivo. In fine tratteremo della cronologia per tutti i periodi.
Le origini (Gen., I-XI). - Hanno relazione specialmente con la letteratura sumero-accadica (v. babilonia, V, p. 745 segg.); ma bisogna ancora distinguervi 5 sezioni: 1. la cosmogonia (c. I); 2. il paradiso terrestre e la caduta dell'uomo (II-III); 3. le generazioni antidiluviane (IV-V); 4. il diluvio (VI-IX); 5. la dispersione dei popoli (X-XI).
La cosmogonia (Gen., I). - L'origine dell'universo ci è presentata a) con uno stile quasi lapidario; b) quale una creazione di Elohim (Dio), esclusa l'eternità sia del mondo sia della materia; c) in una successione di comandi efficienti, distribuiti in sei giorni. Sono tre caratteristiche della cosmogonia genesiaca o mosaica, che la differenziano da ogni altra. In forza di essa la creazione del mondo dal nulla è stata sempre uno dei cardini più inconcussi delle credenze giudaiche e cristiane.
Molto si è disputato invece sul senso esatto dei "sei giorni" tenuto conto del numero e dell'ordine. Il processo s'inizia con la creazione del "cielo e della terra" quale materia informe, caotica, immersa nelle tenebre. Con la produzione della luce e dell'alterna vicenda di luce e tenebre si chiude il primo giorno. Nel secondo il "firmamento" o cielo vien separato dalla massa fluida inferiore; nel terzo con la separazione degli elementi solidi dai liquidi, dei continenti dai mari, è formata la terra, che con un secondo comando viene subito rivestita di piante; nel quarto il cielo è costellato di astri, specialmente del sole e della luna, che determinano i mesi e gli anni. Nel quinto le acque si popolano di pesci e l'aria di uccelli; nell'ultimo infine la terra si popola d'animali, e l'uomo con atto solenne è creato sovrano della natura. Terminata la creazione, nel settimo giorno Iddio cessò o si riposò (ebr. šābat) dall'opera sua.
Il processo va dunque, nelle linee generali, dalla materia bruta all'organica e dagli organismi meno perfetti ai più evoluti; in simil guisa la geologia e paleontologia moderna. Ma la scienza esige migliaia di secoli alla lenta formazione della crosta terrestre ed alla successione dei varî periodi geologici; nei particolari poi stabilisce un ordine più volte diverso dal Genesi. Da ciò molti esegeti conservatori o concordisti del secolo scorso furono indotti a prendere la parola ebraica yōm "giorno", in lato senso di periodo di tempo, anche lunghissimo. Ma quand'anche la nuda parola potesse prendere tal significato, lo escluderebbe il contesto, che i singoli giorni della creazione divide espressamente in due fasi di sera e di mattino; né d'altra parte l'ipotesi toglie tutte le difficoltà. Ha qui la sua buona applicazione la dottrina di S. Agostino, fatta propria dalla Chiesa cattolica nell'Enciclica Providentissimus di Leone XIII (nov. 1893), che nel descrivere i fenomeni naturali la Bibbia non pretende a rigore scientifico e si contenta delle apparenze accessibili a tutti. Si conviene ora, che la divisione e distribuzione dell'opera creatrice in sei giorni è artificiale, ideata dall'autore del Gen., I, per qualche ragione pratica. E la ragione risalta abbastanza chiara del testo, cioè d'inculcare l'osservanza religiosa del sabato, mostrandone il prototipo nell'operato del Creatore. Meno bene altri la ripetono da visioni o contemplazioni sia del primo uomo (Hummelauer), sia degli Angeli (S. Agostino). Ancor meno si vede che connessione possa avere con le sette tavolette della cosmogonia babilonese (v. babilonia, V, 745), d'un'indole tutta differente.
Nel paradíso terrestre (Gen., II, 4- III, 24). - Si riprende il tema della creazione, ma concentrando tutta l'attenzione sull'uomo e suoi destini. La prima coppia umana, da Dio creata e posta in un giardino di delizie (v. eden), viveva felice, esente da ogni pena e persino dalla morte, a patto però di astenersi dal frutto d'un albero da Dio vietato. La donna, Eva, tentata da un genio malefico (serpente), ne mangia, ed anche l'uomo Adamo, per compiacerla, ne gusta. In pena della trasgressione del divieto divino i due sono cacciati dall'Eden e condannati, con tutti i loro posteri, a sostentarsi con fatica lavorando la terra, e a soggiacere poi alla morte.
Con questo racconto hanno qualche analogia: 1. la credenza di molti popoli, che i primi uomini godessero d'una felicità paradisiaca; 2. il mito che s'incontra sotto varie forme in Babilonia e in altri paesi, d'un uomo che per un istante ebbe in mano il segreto o il mezzo di sfuggire alla morte, ma per disgrazia lo perdette e per sempre. In fondo però c'è una triplice differenza, anzi opposizione, essenziale. In tutte le forme del detto mito all'uomo è prima e per sé destinata la morte; solo di poi e per eccezione potrebbe giungere all'immortalità; se la perde, non è colpa sua. Soltanto nel Genesi, al rovescio, il primo destino dell'uomo è l'immortalità, e poi per sua colpa incorre la morte. Le tracce di una "caduta dell'uomo" o "primo fallo", che si pretesero trovare su monumenti figurati in Babilonia, riposano su false interpretazioni. Una tinta babilonese si potrebbe ravvisare in qualche accessorio (albero della vita, cherubino, serpente?), dove il racconto biblico prende un colorito poetico, discretamente simbolico. Il suo valore sta nella sostanza, che, pur nella sua tragica catastrofe, dà la consolante assicurazione del finale trionfo del seme della donna sul serpente infernale. Qui è in germe l'idea cristiana del Redentore e della redenzione.
Le generazioni antidiluviane (Gen., IV-V). - Qui si dànno due liste genealogiche dei discendenti di Adamo: una iahvista (IV) di 8 generazioni della malvagia stirpe di Caino, empio e fratricida; l'altra elohista (V) di 10 generazioni della buona e religiosa prosapia di Set. Le due liste hanno parecchi nomi uguali ed altri simili, ma diverso ordine. Nella prima, di Caino, si ricordano i primi inventori delle arti (edilizia, musica, metallurgia) e l'introduzinne della poligamia. Ai patriarchi della seconda, i Setiti, si assegna lunghissima vita (intorno ai 900 anni; ma i numeri variano nei LXX e nel Samaritano; per Enoch, rapito a 365 anni, v. enoch) e (IV, 26) l'introduzione del culto religioso. La tradizione babilonese (Beroso e cuneiformi) ricorda dieci re antidiluviani, ai quali dà una vita di molte (da 20 a 70) migliaia di anni; vuole inoltre che già da allora si sia raggiunta un'alta civiltà e conosciuta persino la scrittura. Longevità e civiltà prima del diluvio sono i soli e vaghi punti di contatto fra le due tradizioni.
Il diluvio (Gen., VI-IX). - Presso molti popoli antichi e moderni in ogni parte del mondo si tramandò sotto varie forme il racconto di un immane diluvio, che sommerse tutto il paese ed annegò tutti gli abitanti eccetto una sola famiglia. È celebre nella letteratura classica il diluvio di Deucalione e Pirra. Della babilonese giunsero a noi molte redazioni (la più nota completa incorporata nell'epopea di Gilgamesh), che risalgono a una fonte sumerica. Con esse il racconto biblico, intreccio di due redazioni (una elohistica, l'altra iahvistica) s'accorda in tratti sì caratteristici, come l'approdo dell'arca salvatrice alle montagne d'Armenia (o del Kurdistan) e il triplice invio d'uccelli per esplorare lo stato della terra dopo il diluvio che dovette derivare dalla medesima fonte. Per quali vie, non è certo. Probabilmente ne portarono con sé il ricordo gli antenati degli Ebrei, quando emigrarono dalla Caldea in Palestina (v. sotto). Speciale alla tradizione ebraica è non solo il monoteismo puro, ma altresì il motivo morale del diluvio, cioè la punizione della malvagità umana.
Si disputò molto nel secolo scorso quale estensione abbia avuto il diluvio, secondo la Bibbia. Oggi si è d'accordo che non si estese a tutto il globo, perché né sarebbe possibile per ragioni fisiche, né il testo, a rigore, lo dice. Sommerse almeno tutta la terra allora abitata, sì che colpì tutto il genere umano? Su quest'altra questione i pareri sono divisi fra gli stessi conservatori. Altri adottano qui la medesima soluzione, cioè che per ragioni antropologiche dovette essere limitato ad alcune razze, né la Bibbia assolutamente vi si oppone. Essa vi comprende espressamente soltanto le stirpi dei Setiti e dei Cainiti. Di altri discendenti di Adamo, menzionati e inquadrati in V, 4, più non si cura, secondo lo schema sopra accennato. I più non credono decisive le ragioni addotte dall'antropologia contro l'universalità umana del diluvio (v. sotto). Nei recenti scavi di Ūr, la patria di Abramo, fu trovato (1928) a grande profondità, su uno strato con resti di civiltà progredita, un banco melmoso dello spessore di 3 e più metri, deposito certamente d'una colossale inondazione. Per la sua ristretta area, essa non si può identificare col diluvio babilonese-biblico ma può darci un'idea del fatto ricordato dalle due tradizioni. V. diluvio; noè.
La dispersione dei popoli (Gen., X-XI). - La tavola etnogeografica dei popoli (X), importante documento per l'antichità e l'ampiezza del suo orizzonte, non ha riscontro nelle antiche letterature; ma la maggior parte dei singoli popoli si ritrova sui monumenti cuneiformi o geroglifici. Vi è inserita una breve notizia sull'eroe babilonese Nemrod e sull'origine delle città della valle del Tigri. Tali città in massima parte sono identificate e celebri nella storia di quei paesi; Nemrod sembra doversi ravvisare in Nimurta (NIN-IB) dio della guerra e della caccia, che sarebbe un antico re divinizzato. Colore tutto locale ha pure la costruzione della famosa "torre di Babele", che avrebbe dato origine alla separazione dei popoli e delle lingue (XI,1-9); il modo di costruirla, a mattoni e bitume, è proprio di quel paese, e i templi eretti nelle città caldee sopra enormi torri piramidali (ziqqurat), specie quello di Babilonia, si vantavano "alti fino al cielo". Però nulla sinora di specificamente analogo al racconto biblico.
È evidente che in questi capi IV-XI il Genesi conservò ricordi babilonesi, che nel loro paese d'origine in parte andarono perduti.
La triade patriarcale (Gen., XII-XXXVI). - Questa, che è la parte centrale e più lunga del Genesi, ci presenta i progenitori degli Ebrei, emigrati di Caldea verso le regioni mediterranee, andar da nomadi errando per il paese che fu poi la Palestina, con temporanee escursioni nei paesi limitrofi. Trovano popolazioni d'altra razza, sedentarie, dedite all'agricoltura. Essi però, fedeli alla pastorizia, vivono in mezzo ad esse come stranieri, non hanno fisso domicilio, né posseggono un palmo di terra (Abramo per seppellire la consorte dovette comprarsi una spelonca); conservano le loro abitudini famigliari e sociali e un loro proprio diritto; praticano il monoteismo, sono favoriti d'apparizioni e visioni divine, innalzano altari e offrono sacrifizî. Abramo riceve la promessa di numerosa posterità e si rende insigne per la sua fede e ubbidienza agli ordini celesti. Non è un carattere forte, perché lo vediamo più volte trepidare per la propria vita e rischiar l'onore della consorte per salvarsi (c. XII e XX), e lasciarsi imporre dalla moglie puntigliosa (c. XXI); ma è cordiale, generoso, ospitaliero e dall'amor dei parenti sa trarre coraggio (c. XIV, che la critica non sa a quale fonte attribuire). Piuttosto pallida, in confronto degli altri due, è la figura d'Isacco, amante di pace, di solitudine e di selvaggina. Giacobbe è astuto, intraprendente, e abile nei suoi affaii, indurito alla fatica e alla lotta. Dalle due figlie dello zio Labano, che andò egli stesso in Mesopotamia a prendersi in ispose, è fatto padre di dodici figli (gli eponimi delle dodici tribù d'Israele), che gli sono cagione di molte amarezze.
Tale la vita dei patriarchi in Palestina per circa due secoli. È l'epoca in cui l'Oriente comincia per noi ad entrare nella luce della storia, grazie ai documenti esumati in copia nella valle del Nilo, sulle rive del Tigri e in Cappadocia, al centro dell'impero hittita. La cronologia sia biblica sia profana ci conduce ai primi secoli del secondo millennio a. C. In Babilonia regnava la dinastia amorrea, che dal legislatore Hammurabi ebbe tanto splendore, e stendeva lungi la sua influenza più culturale che politica. L'Egitto, tramontate già le glorie della VI dinastia, scendeva rapidamente la china della decadenza. Fra questi due ormai vecchi stati il giovane impero degli Hittiti dall'altipiano dell'Asia minore spingeva sempre più a sud le sue conquiste, precedute da espansione di popoli. Dalle adiacenze del medio corso dell'Eufrate sciamavano gli Aramei verso Occidente. Fra questa varia e tumultuosa spinta a sud-ovest, riuscì alle bande asiatiche degli Hyksos d'impadronirsi dell'Egitto. Di tali migrazioni e miscele di popoli il ramingare dei patriarchi ebrei in Palestina e vicinanze è un episodio e come un quadro in miniatura. Questa parte del Genesi, che ha uno sfondo così bene in armonia coi documenti superstiti di quei tempi, riposa certo su buone tradizioni e merita fiducia. Essa menziona la presenza di Etei e di Hurrei (Hurri, ebr. Ḥōrim) in Palestina, spiegataci soltanto dalle recenti scoperte; ricorda popoli scomparsi, riporta nomi di città poi cambiati, ritrae costumanze e istituzioni cessate. Pochi secoli dopo la faccia etnografica e sociale del paese era talmente mutata, che niuna fantasia poteva così ricostruire l'antica. Anche i figli di Giacobbe hanno in Genesi rapporti e situazioni del tutto differenti da quelle che più tardi presero le rispettive tribù (Levi, antenato di Mosè e della casta sacerdotale, perfido e crudele, è maledetto dal padre insieme con Simeone, che presto scomparve assorbito dalle tribù vicine). Altri sono i luoghi onorati dal culto dei patriarchi, altri i santuarî dell'età posteriore, eccetto un solo, Betel. Dei patriarchi medesimi non si nascondono le ombre, e anche le macchie; e se hanno visioni, non fanno però miracoli. Così non s'inventa, per gloria della nazione. L'ipotesi critica, che distribuisce il racconto fra tre autori o fonti diverse, ne aumenterebbe ancora il valore oggettivo, trattandosi di tre relazioni indipendenti e pure concordi nella sostanza dei fatti. Per i sistemi che ci vogliono vedere dei miti astrali, o personificazioni di popoli ecc. v. abramo; ebrei.
La storia di Giuseppe (XXXVII-L). - Una delle più belle pagine della letteratura umana per candore ed efficacia di narrazione, drammaticità di effetto, profondità psicologica ed elevatezza morale; ha tutto un colore egiziano, del paese cioè dove si svolge in massima parte la scena. Giuseppe, penultimo e prediletto figlio di Giacobbe, dagl'invidiosi fratelli è venduto schiavo, e trascinato in Egitto. Ivi, per colmo di sventura, non ostante la sua rara abilità ed onestà, anzi a cagione indiretta di esse, è buttato a languire in una prigione. Ma la sua saviezza, per cui previde terribili carestie e indicò i mezzi di prevenirle, lo porta all'alto seggio di viceré di Egitto. Allora ricorrono a lui per vettovaglie egiziani e stranieri, e fra questi anche i fratelli, a cui non si dà a riconoscere se non dopo averne provati i sentimenti di sincera affezione verso l'ultimo, fratello uterino di Giuseppe, e verso il vecchio padre comune. Trovatili migliorati dalla sventura, tutto perdona e fatta venir tutta la famiglia in Egitto, assegna loro una fertile regione, dove rapidamente crescono di numero e di opulenza. Così si spiega la calata di tutta la stirpe d'Israele in Egitto.
Ivi regnava allora l'anzidetta dinastia asiatica degli Hyksos, il che rende più verosimile l'innalzamento di un asiatico, quale Giuseppe, a tanta potenza; e spiega pure perché nei monumenti egiziani non si sia trovata menzione di Giuseppe e dei suoi atti; quella dominazione straniera in Egitto ha lasciato poche tracce, presto cancellate dalla reazione nazionale. Ma la testimonianza indiretta non potrebbe essere più splendida. "Da che l'Egitto è meglio conosciuto (scrive un egittologo) tutti i dotti senza riserve proclamano la meravigliosa esattezza del racconto biblico e la sua perfetta consonanza con gli usi, le istituzioni, la civiltà di quel tempo e di quel paese" (A. Mallon, Les Hébreuxen Egypte, Roma 1923, p. 67).
Cronologia. - Nel tronco principale delle sue tavole genealogiche il Genesi, ponendo accanto ai nomi anche numeri di anni, dà gli elementi di una cronologia completa per tutta l'estensione del suo racconto. Si divide in tre sezioni: dalla creazione al diluvio; dal diluvio alla nascita di Abramo; da questa alla calata di tutta la famiglia israelitica in Egitto.
Dalla creazione al diluvio. - La genealogia dei Setiti (Gen., V) per ognuno dei patriarchi pone tre date: l'età che aveva alla nascita del figlio che forma il seguente anello della catena; gli anni che sopravvisse; la durata intera della vita, che risulta dalla somma dei due primi numeri. A formare una cronologia può servire soltanto (si capisce) la prima serie di numeri, la cui somma aggiunta agli anni che l'ultimo, Noè, aveva raggiunti allo scoppiare del diluvio, ci darà la durata intera del periodo. Ma qui ci troviamo di fronte a una curiosa divergenza fra il testo ebraico (masoretico) e l'antichissima versione dei LXX. Mentre nel numero complessivo degli anni d'ogni individuo i due testi s'accordano pienamente (eccetto una leggiera differenza di 24 anni nell'ultimo), per gli anni alla nascita del figlio i LXX in sei casi (su nove) dànno cento di più che il testo masoretico, diminuendo poi d'altrettanto gli anni di sopravvivenza. Ne consegue che presso i LXX il genere umano risulta più vecchio di sei secoli, che non presso gli Ebrei. Al contrario nel testo (ebraico) samaritano tre patriarchi (su nove) alla nascita del figlio sono più giovani di 100, 120 e 130 anni rispettivamente in confronto col testo masoretico, e quindi il mondo è 350 anni più giovane. Di qui una delle cause d'incertezza. Il diluvio sarebbe accaduto nell'anno del mondo 1656 secondo l'ebraico, 2242 secondo i LXX, 1307 secondo il samaritano. Preferibili sono le cifre del testo masoretico, perché esenti dallo spirito di sistema che si manifesta, in diversa direzione, negli altri due.
Dal diluvio alla nascita di Abramo. - Il seguito della cronologia sta nella genealogia dei Setiti (XI), con due dati per ognuno: anni di età alla nascita del figlio e di sopravvivenza. Anche qui abbiamo lo stesso sistema di differenza fra il testo masoretico e i LXX: a sei progenitori sono nei LXX assegnati cento anni di più alla nascita del figlio, ad uno 50 di più che nel testo masoretico. In questo punto il samaritano si pone interamente dalla parte dei LXX contro l'ebraico rivale. Ma nell'altra serie di numeri (sopravvivenza) il samaritano sta col masoretico, i LXX abbassano le cifre (come al c. V), in modo da raggiungere quasi sempre il masoretico nella somma (non espressa) degli anni vissuti. Ciò mostra che anche qui l'ebraico masoretico è più sincero. I LXX soli hanno inoltre un individuo di più (Cainan) a cui assegnano le medesime cifre che al seguente. Abramo sarebbe nato dopo il diluvio, secondo l'ebraico 290 anni, secondo il samaritano 940, secondo i LXX 1070.
Dalla nascita di Abramo alla discesa in Egitto. - La durata di questo periodo è data da tre cifre poste a distanza nel racconto, ma uniformi in tutti i testi. Abramo aveva 100 anni alla nascita di Isacco (XXI, 5), questi 60 alla nascita di Giacobbe (XXV, 26), Giacobbe calò in Egitto a 130 anni (XLVII, 9); la somma dà 290 anni.
Questi i dati biblici. Per il primo periodo le tavolette cuneiformi 62 e 444 della collezione Well-Blondell edite da S. Langdon nel 1924 (due liste dei re antidiluviani con la durata del regno) dànno rispettivamente la somma di 456.000 e di 241.200 anni; alla prima si accosta Beroso con la somma di 432.000 anni. Per il periodo posteriore al diluvio, la medesima tavoletta 444 e Beroso registrano ancora dinastie di regni e re con la rispettiva durata. Ritenendo Hammurabi, della 3ª dinastia di Babilonia, come contemporaneo di Abramo (secondo la comune e probabile sentenza), si potrebbe anche per questa durata paragonare la cronologia babilonese eon la biblica. Ma non sapendosi se e fino a qual punto le varie dinastie siano state contemporanee, né se la lista sia completa, non possiamo servircene all'uopo. Per le prime dinastie si attribuisce ai singoli regni una lunghissima durata, analoga alla lunga vita degli antidiluviani.
Le scienze antropologiche sembrano esigere, per il formarsi e diffondersi delle razze umane, un tempo assai maggiore di quello che la Bibbia assegna ai tre periodi esposti. Se ciò fosse dimostrato, si può ammettere che le genealogie bibliche non siano complete, ma omettano parecchi anelli. Infatti la Bibbia stessa ha esempî di genealogie così accorciate e ridotte a certo numero d'anelli per aiuto della memoria.
Sulle cifre bibliche sopra esposte si fonda l'era del mondo usata nell'Impero bizantino secondo i LXX (5509 = 1 era volgare), e ancora in uso presso gli Ebrei secondo il testo ebraico (3761 = 1 era volgare).
Bibl.: Moltissimo è stato scritto, ma dobbiamo limitarci all'essenziale e più accessibile. - In genere: il commentario (latino) di F. Hummelauer (Parigi 1895) e i più recenti (ted.) di E. König (Gütersloh 1925) e P. Heinisch (Bonn 1930); J. Nikel, Genesis und Keilschriftforschung, Friburgo in B. 1903; id., Das Alte Testament im Lichte der alt-orient. Forschungen, I, Münster 1921. - Per Gen., I: V. Zapletal, Der Schöpfungsbericht, Ratisbona 1911; I. Rinieri, Bibbia e Babele. Il primo capo della Genesi, Siena 1910; L. Méchineau, L'historicité des trois prefers chapitres de la Genèse, Roma 1910; J. Feldmann, Paradies und Sündenfall, Münster 1913; J. Riem, Die Sintflut in Sage und Wissenschaft, Amburgo 1925; Th. T. Haluszczynskyj, De urbis Babel exordiis, Leopoli 1917; J. Plessis, Babylone et la Bible, in Supplément au Dictionnaire de la Bible, I, Parigi 1928. - Per Gen., II e III: W. T. Pilter, The Pentateuch: a historical Record, Londra 1928; H. J. Heyes, Bibel und Aegypten, Münster 1904; A. S. Yahuda, Die Sprache des Pentateuch in ihren Beziehungen zum Ägyptischen, Berlino 1929 (da adoperarsi con molta prudenza); A. Mallon, Les Hébreux en Égypte, Roma 1923. - Per la cronologia, A. Deimel, Veteris Testam. chronologia monumentis babylonico-assyriis illustrata, Roma 1912; E. Ruffini, Chronol. V. et N. Testam., Roma 1924.