GENESINI (Canozi, Camozzi)
Famiglia di intarsiatori e intagliatori che operò tra la metà del Quattrocento e gli anni 1520-30 in territorio emiliano e veneto.
Capostipite fu Andrea di Iacopo, marangone (falegname) e, come sembra, apprezzato maestro al servizio degli Este (Fiocco, 1913, p. 337). Originario di San Felice sul Panaro, nel Modenese, si trasferì ben presto a Lendinara dove, in seguito a una lite familiare, stabilì la propria residenza, a parte alcuni soggiorni sia a Ferrara (con ogni probabilità per lavoro) sia a Mirandola. A Ferrara, dal matrimonio con Ondaria, nacquero oltre ai più famosi Cristoforo e Lorenzo anche Giovanni, Nascimbene, e, con qualche incertezza, Ludovico (Campori, p. 230).
La denominazione "Genesini" deriva probabilmente da un soprannome, divenuto ben presto cognome, di Iacopo, padre di Andrea. Solo in un secondo momento l'appellativo "Canozi" sarebbe stato affiancato al nome dei maestri lendinaresi: lo usò Lorenzo sottoscrivendo il suo De anima di Aristotele, stampato a Padova nel 1472; e Cristoforo, a Lucca, firmando nel 1488 il coro nella chiesa di S. Martino. L'origine di questo termine è del tutto ignota: certo è che diventò il cognome degli artisti e della loro famiglia, anche se almeno fino ai primi anni del Cinquecento risulta interscambiabile con quello di Genesini. Se a volte infatti i documenti riportano la doppia indicazione "de Canocis sive Zenexinis" (Bagatin, 1990, p. 145), più spesso si riscontra la dicitura di "Genesini" (Griguolo).
Di Giovanni, secondogenito di Andrea, i documenti sembrano attestare un'attività legata alla pratica della bottega paterna; nel 1434 è ricordato come "guardiano del reloio del Castelnuovo" presso Ferrara, attività che necessitava della perizia di un valido maestro lignario per la manutenzione e il buon funzionamento dei meccanismi degli orologi, spesso costruiti in legno. Le notizie su di lui sembrano poi perdersi dietro gli spostamenti e le orme paterne (Bagatin, 1990, pp. 19, 213).
L'attività della bottega costituita da Cristoforo fu portata avanti soprattutto da Bernardino e dal figlio di questo Daniele, che continuò almeno fino al 1512 i lavori al coro della cattedrale di Ferrara per poi trasferirsi a Modena entro il 13 ag. 1516, quando i monaci cassinesi di S. Pietro gli commissionarono un gruppo di tre sedili, oggi non più conservati, da collocare nel coro del monastero e, forse, la facciata della stessa chiesa di S. Pietro, realizzata dopo il 1518. L'ipotesi non è da escludere se si considera che a Modena Daniele fu stipendiato dalle autorità cittadine, dal 1525 al 1544, in qualità di "inzegnero" (ibid., p. 221).
L'opera della bottega di Lorenzo fu continuata dal genero Pietro Antonio Abbati; mentre dei figli di Lorenzo, nati dal matrimonio con Angela di Pietro Viviani, è appena documentata l'attività di Cesare, intagliatore a Venezia (ibid., p. 145), e nulle sono le notizie riguardanti Galasso e Andrea. Informazioni relative all'altro figlio di Lorenzo, Giovan Marco, sono fornite, invece, nel De divina proportione di Luca Pacioli che lo ricorda suo "compare" nonché degno erede delle doti paterne. Di lui Pacioli annovera alcune opere di tarsia, quali il coro di S. Francesco a Rovigo, allestito tra il 1488 e il 1493, e quello di una chiesa veneziana (forse S. Francesco della Vigna); esalta come opera di architettura la fortezza di Mirandola; e rammenta la sua attività di ingegneria idraulica, in qualità di inventore di una macchina per dragare i canali a Venezia. Secondo Caffi (p. 41), Giovan Marco fissò la residenza di famiglia a Rovigo e i suoi discendenti ebbero sepoltura nella chiesa cittadina di S. Antonio Abate.
Il linguaggio in chiave prospettica elaborato dai G., comune ad altre grandi botteghe nate nello stesso periodo, fu però caratterizzato dal riferimento ad archetipi pierfrancescani, soprattutto nella costruzione della figura umana. I prodotti usciti dalla loro bottega furono inizialmente lavori a intaglio ancora nella tradizione tardogotica, ma ben presto mostrarono una crescente sperimentazione dell'illusionismo prospettico, ottenuto attraverso un equilibrato, continuo gioco di integrazione tra artificio umano e possibilità offerte dalla naturalità della materia, tra la finzione delle ante che si aprono su orizzonti urbani, idealizzati o reali (Quintavalle), o su un repertorio di oggetti quotidiani e il colore modulato del legno (Röper-Steinhauer).
Fonti e Bibl.: L. Pacioli, De divina proportione, Venetiis 1509, c. 23r; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, ad vocem; M. Caffi, Dei Canozzi o G. lendinaresi maestri di legname del secolo XV celebratissimi, Lendinara 1878, pp. 4, 41; G. Fiocco, Lorenzo e Cristoforo da Lendinara e la loro scuola, in L'Arte, XVI (1913), pp. 273 s., 332, 337 s.; Id., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, Leipzig 1929, pp. 48 s., s.v.Lendinara; A.C. Quintavalle, Tarsie e urbanistica, in Critica d'arte, XI (1964), p. 40; M. Ferretti, I maestri della prospettiva, in Storia dell'arte italiana…, IV, Torino 1982, pp. 496 s., 510; F. Frisoni, Il coro ligneo della cattedrale di Ferrara, in La cattedrale di Ferrara, Ferrara 1982, p. 541; O. Baracchi, Cappelle di S. Pietro di Modena. Notizie storico-artistiche, in Il millenario di S. Pietro di Modena, II, Studi e documenti, Modena 1985, p. 106; L. Da Bandera, Tarsia (catal.), Roma 1989, p. 19; P.L. Bagatin, L'arte dei Canozzi lendinaresi, Trieste 1990, pp. 17-26, 145, 213, 221 (con bibl.); Id., La tarsia rinascimentale a Ferrara, Firenze 1991, ad indicem; A. Röper-Steinhauer, Untersuchungen zur illusionistischen Bildintarsie der Brüder Lorenzo und Cristoforo Canozi da Lendinara, Frankfurt am M. 1992, pp. 31 s.; P. Griguolo, in Il Santo, III (1993), pp. 337-345.