Genetica. Razze e differenze etniche
La diffusione globale, negli ultimi 100.000 anni, dell'uomo anatomicamente moderno ha prodotto un insieme di variazioni fenotipiche che hanno esercitato, ed esercitano tuttora, una notevole influenza sulla vita degli individui e sull'esperienza dei gruppi sociali. Il breve periodo che ci separa dal nostro antenato comune e il continuo flusso genetico tra le popolazioni hanno prodotto una differenziazione genetica minore tra gruppi umani geograficamente distribuiti rispetto a quanto si osservi in altre specie di Mammiferi. Tuttavia, le differenze di aspetto hanno favorito la diffusione di concetti in materia di 'razza' e di 'etnicità' secondo cui sostanziali differenze congenite caratterizzerebbero gli individui.
La ricerca nella genetica umana sta producendo una quantità senza precedenti di dati relativi alle differenze genetiche tra individui e gruppi. Lo studio di tali differenze modificherà la nostra comprensione dell'origine e della natura delle patologie umane, ma può anche provocare notevoli controversie. In passato, concetti mutuati dalla genetica sono stati adoperati, sia all'interno sia al di fuori di questo settore della ricerca, per giustificare e reiterare discriminazioni razziali ed etniche. La tesi secondo la quale i gruppi etnici e razziali sarebbero caratterizzati da differenze biologiche sostanziali, ben definite e determinanti, ha contribuito a molte atrocità nel corso del XX sec. e condiziona tuttora le interazioni personali e le istituzioni sociali. A causa degli abusi verificatisi nel passato nell'utilizzazione delle conoscenze genetiche, i genetisti devono applicare categorie razziali ed etniche con particolare cautela. Analisi che non riconoscessero e ammettessero i numerosi meccanismi attraverso cui la caratterizzazione di razza, etnicità ed ereditarietà può essere correlata con le caratteristiche somatiche e le statistiche cliniche rischiano di rafforzare stereotipi ben radicati. Tuttavia, la ricerca genetica può anche contribuire a indebolire tali stereotipi, sottolineando l'origine complessa delle caratteristiche individuali e la stretta affinità biologica tra gruppi umani.
Il sequenziamento del genoma umano e l'attuale programma internazionale di classificazione degli aplotipi comuni in diverse popolazioni (il progetto HapMap) rendono quanto mai opportuno esaminare le relazioni complesse tra la ricerca genetica e le categorie di razza, di etnicità e di discendenza filogenetica. Il dialogo interdisciplinare è essenziale per garantire le potenzialità della ricerca ed evitare gli abusi, passati e futuri, che hanno riguardato diverse correnti di pensiero ispirate, non sempre correttamente, alla genetica. L'impiego nella genetica di categorie razziali ed etniche può infatti far pensare che le disuguaglianze di gruppo discendano direttamente da frequenze alleliche diverse e che l'influenza da parte dei meccanismi socialmente mediati sia ridotta. Allo stesso tempo, però, un'indagine attenta degli attributi biologici, ambientali, sociali e psicologici associati a tali categorie costituisce una componente essenziale della ricerca interdisciplinare sull'origine, la prevenzione e il trattamento di patologie diffuse, soprattutto se la loro prevalenza varia da gruppo a gruppo.
Le informazioni sulla storia delle nostre specie provengono da due principali fonti: i dati paleoantropologici e le inferenze storiche basate sulle attuali differenze genetiche rilevate negli umani. Nonostante la loro frammentarietà, da entrambe le fonti si desume un'analoga evoluzione storica.
Le evidenze fossili disponibili suggeriscono che gli uomini anatomicamente moderni si siano sviluppati in Africa ‒ negli ultimi 200.000 anni circa ‒ a partire da una popolazione umana preesistente. Sebbene sia difficile dare una definizione del concetto di 'anatomicamente moderno' in modo da includere ogni umano vivente ed escludere ogni forma umana arcaica, le caratteristiche fisiche generalmente accettate per definire la modernità anatomica sono il cranio elevato e arrotondato, la ritrazione facciale e l'apparato scheletrico leggero e gracile. I primi fossili con tali caratteristiche furono ritrovati in Africa Orientale e datati intorno a 200.000-160.000 anni fa. A quell'epoca, la popolazione di umani moderni sembra essere stata poco numerosa e localizzata. Popolazioni di uomini arcaici vivevano nel Vecchio Mondo, come i Neandertaliani in Europa, e una specie umana precedente, Homo erectus, si trovava in Asia.
I fossili dei primi uomini anatomicamente moderni rinvenuti fuori dall'Africa provengono da due siti mediorientali e risalgono a circa 100.000 anni fa, un periodo caratterizzato da un clima globale relativamente caldo; tuttavia, tale regione è stata nuovamente abitata da Neandertaliani nei millenni successivi, quando il clima nell'emisfero settentrionale tornò a raffreddarsi. Gruppi di umani anatomicamente moderni sembrano aver lasciato l'Africa in modo definitivo oltre 60.000 anni fa circa. Uno dei più antichi scheletri moderni ritrovati fuori dall'Africa proviene dall'Australia e risale a circa 42.000 anni fa, sebbene alcuni studi sui cambiamenti ambientali in quella regione facciano risalire la presenza dell'uomo moderno a oltre 55.000 anni fa. Attualmente, il più antico scheletro anatomicamente moderno scoperto in Europa proviene dai Monti Carpazi in Romania, e risale a circa 36.000-34.000 anni fa.
I dati sulla variabilità genetica umana attualmente disponibili confermano ed estendono le conclusioni basate sull'osservazione dei fossili. Le popolazioni africane mostrano una maggiore diversità genetica rispetto alle popolazioni del resto del mondo, il che suggerisce la comparsa dell'uomo in Africa e la successiva colonizzazione di Eurasia e Americhe. La variabilità genetica osservata fuori dell'Africa è generalmente compresa in quella osservata in Africa, come se i gruppi umani che migrarono da questo continente fossero stati poco numerosi e avessero portato con sé solo una parte della diversità genetica africana. Le caratteristiche della variabilità genetica farebbero pensare a un'espansione della popolazione in Africa seguita da una più recente nelle popolazioni non africane; le datazioni di queste espansioni sono confermate dai dati archeologici.
Alcuni aspetti della relazione tra l'uomo moderno e l'uomo arcaico rimangono oggetto di discussione. Studi realizzati sul DNA mitocondriale, sul cromosoma Y, su porzioni del cromosoma X e su molte (sebbene non tutte) regioni autosomiche del genoma supportano l'origine africana della storia dell'uomo, secondo cui uomini anatomicamente moderni apparvero dapprima in Africa Orientale e successivamente migrarono attraverso l'Africa e nel resto del mondo, con nessuna o scarsa ibridazione tra l'uomo moderno e le popolazioni arcaiche che esso gradualmente sostituiva. Tuttavia, diversi gruppi di ricercatori citano i fossili e le rilevazioni genetiche per accreditare una versione più complessa. Essi sostengono che uomini con caratteristiche moderne lasciarono l'Africa a più riprese in un periodo di tempo ampio e si mescolarono con popolazioni arcaiche in varie parti del mondo. Di conseguenza, nella loro interpretazione, il DNA autosomico proveniente dalle popolazioni arcaiche viventi al di fuori dell'Africa permane nelle popolazioni moderne e le popolazioni moderne di varie parti del mondo mostrano tuttora alcune somiglianze fisiche con le popolazioni arcaiche che abitarono quelle regioni.
Tuttavia, distinguere i possibili contributi dell'uomo arcaico extra-africano al genoma dell'uomo moderno è difficile, soprattutto a causa della coalescenza di diverse regioni autosomiche del genoma in epoca precedente alla separazione delle popolazioni umane arcaiche. Inoltre, studi sul DNA mitocondriale dell'uomo moderno e arcaico e sui cromosomi Y sopravvissuti suggeriscono che l'eventuale contributo genetico dell'uomo arcaico fuori dell'Africa debba essere esiguo, se non nullo. L'osservazione che la maggior parte dei geni studiati finora si mescolano nelle popolazioni africane porrebbe l'Africa all'origine di molte variazioni genetiche moderne, forse con qualche suddivisione nella popolazione africana ancestrale. I dati relativi al sequenziamento di centinaia di regioni del DNA potrebbero chiarire le dinamiche delle popolazioni associate alla comparsa dell'uomo anatomicamente moderno e alla misura del flusso genetico tra gli uomini moderni a partire da allora.
La descrizione completa delle diverse caratteristiche della variabilità genetica tra gli uomini e le altre specie necessita di ulteriori studi genetici sulle popolazioni umane e non umane. Ma secondo i dati raccolti finora la variabilità umana mostra diverse proprietà specifiche. Innanzitutto, rispetto a quello di altri Mammiferi, il patrimonio genetico dell'uomo è meno eterogeneo; si tratta di una scoperta che sembra contrastare il senso comune, data la grandezza e la distribuzione globale della nostra popolazione. Per esempio, le sottospecie di scimpanzé che vivono solo nell'Africa centrale e occidentale hanno livelli di diversità superiori rispetto all'uomo.
La distribuzione delle varianti all'interno di ciascuna popolazione umana e tra di esse si differenzia da quella di altre specie. I dettagli di tale distribuzione non possono essere spiegati brevemente, per la difficoltà di definire una 'popolazione', per la natura graduale della variabilità e per l'eterogeneità del genoma. In generale, tuttavia, il 5-15% della variabilità genetica si trova in gruppi numerosi che vivono in continenti diversi, mentre il resto della variabilità si osserva all'interno di tali gruppi. Tale distribuzione della variabilità genetica differisce da quanto si osserva in molte altre specie di Mammiferi, per le quali i dati a disposizione mostrano una maggiore differenziazione tra i gruppi. Anche la nostra evoluzione come specie ha lasciato segnali genetici in popolazioni regionali. Per esempio, oltre alla maggiore diversità genetica, le popolazioni dell'Africa tendono ad avere livelli inferiori di linkage disequilibrium rispetto alle popolazioni fuori dell'Africa. Questo fenomeno si deve in parte alla più alta densità delle popolazioni umane in Africa nel corso della storia umana e in parte al numero relativamente esiguo di uomini moderni che lasciarono l'Africa per colonizzare il resto del mondo. Le popolazioni che nel passato hanno subito una drastica riduzione numerica o rapide espansioni, come pure quelle formate dalla mescolanza di gruppi ancestrali precedentemente separati, possono invece avere livelli di linkage disequilibrium insolitamente elevati.
Molti altri fattori geografici, climatici e storici hanno contribuito alle caratteristiche della variabilità genetica umana osservata oggi nel mondo. Per esempio, la dinamica delle popolazioni associata alla colonizzazione, i periodi di isolamento geografico, l'endogamia socialmente rafforzata e la selezione naturale hanno condizionato le frequenze alleliche in alcune popolazioni. In generale, comunque, la vicinanza temporale rispetto al nostro antenato comune e il continuo flusso genetico tra gruppi umani hanno limitato la differenziazione genetica nella nostra specie.
Sebbene le differenze genetiche tra gruppi umani siano relativamente piccole, possono essere tuttavia sfruttate per classificare molti individui entro ampi raggruppamenti su base geografica. Per esempio, analisi al calcolatore di centinaia di regioni polimorfiche del DNA in campioni di popolazioni distribuite su scala globale hanno rivelato l'esistenza di clustering genetico associato in prima approssimazione a gruppi che nella storia hanno occupato grandi regioni continentali e subcontinentali.
Alcuni commentatori sostengono che tali proprietà della variabilità forniscano una giustificazione scientifica all'uso delle tradizionali categorie razziali. Essi affermano che la classificazione continentale corrisponde pressappoco alla divisione degli esseri umani tra Africani subsahariani; Europei; Asiatici occidentali e Africani settentrionali; Asiatici orientali; Polinesiani e altri abitanti dell'Oceania; nativi americani. Altri osservatori sostengono tesi diverse, secondo le quali gli stessi dati sottintendono le nozioni tradizionali di gruppi razziali. Secondo quest'ultima tesi, per esempio, le principali popolazioni considerate razze o sottogruppi all'interno di razze non si raggruppano necessariamente insieme. Così, campioni provenienti da India e Pakistan si associano agli Europei o agli Asiatici orientali piuttosto che distinguersi in raggruppamenti a sé. Invece, il campione relativo ai Kalash, una popolazione minore del Pakistan nord-occidentale, forma un raggruppamento specifico a un livello paragonabile a quello dei raggruppamenti delle regioni continentali maggiori.
La selezione del campione può avere un'influenza determinante sui risultati di tali ricerche. Gli studi di raggruppamento genetico spesso sono basati su campioni estratti da popolazioni ben separate e socialmente definite. Su un campione costituito da individui distribuiti geograficamente in modo più uniforme, il raggruppamento è molto meno evidente. Inoltre, dato che la variazione genetica umana è graduale, molti individui appartengono a due o più gruppi continentali. Perciò, l''eredità biogeografica' assegnata a ciascuno sarà geograficamente distribuita e caratterizzata da notevoli incertezze.
In molte regioni del mondo, i gruppi si sono mescolati in modo tale che molti individui hanno antenati relativamente recenti provenienti da regioni distanti. Sebbene l'analisi genetica di un numero consistente di regioni del DNA possa fornire stime della percentuale di antenati di una persona provenienti da popolazioni continentali distinte, tali stime potrebbero essere basate su una diversità fittizia delle popolazioni parentali, poiché i gruppi umani si sono scambiati partner su scala locale e globale nel corso della storia. Persino con un gran numero di marcatori, le informazioni utili per la stima delle proporzioni di individui o gruppi sono limitate, e le stime hanno un grado di affidabilità relativo.
La distribuzione di molti tratti fisici è simile alla distribuzione della variabilità genetica all'interno e tra le popolazioni umane (American Association of Physical Anthropologists 1996). Per esempio, circa il 90% della variabilità nella forma della testa umana si riscontra all'interno di ciascun gruppo umano, il 10% tra gruppi separati, con una variabilità maggiore della forma della testa tra gli individui con antenati africani recenti.
Mentre la variabilità delle altre caratteristiche fisiche segue la stessa distribuzione, il colore della pelle rappresenta un'eccezione notevole. All'interno di ciascun gruppo si osserva circa il 10% della variabilità nel colore della pelle, mentre il 90% è osservato tra un gruppo e l'altro. Tale distribuzione del colore della pelle e le sue caratteristiche geografiche indicano che questo attributo ha subito una forte pressione selettiva: i discendenti di popolazioni che vivevano nei pressi dell'equatore hanno la pelle più scura dei discendenti di quelle che vivevano alle alte latitudini. La pelle più scura sembra essere stata selezionata nelle regioni equatoriali per prevenire ustioni solari, tumori della pelle, la fotolisi dei folati e danni alle ghiandole sudoripare. Secondo l'ipotesi più accreditata, la pelle chiara alle alte latitudini permette al corpo di formare maggiori quantità di vitamina D, che contribuisce a prevenire il rachitismo. Tuttavia, quest'ultima tesi non è universalmente accettata e la pelle chiara alle alte latitudini potrebbe corrispondere semplicemente alla mancata selezione della pelle scura.
Dato che il colore della pelle ha subito una forte pressione selettiva, colori della pelle simili potrebbero essere stati generati da un processo di adattamento convergente, piuttosto che da una correlazione genetica. Gli abitanti dell'Africa subsahariana, le popolazioni tribali dell'India meridionale e gli aborigeni australiani hanno una pigmentazione della pelle analoga ma, dal punto di vista genetico, essi non si assomigliano più di altri gruppi geograficamente separati tra loro. Inoltre, in alcune parti del mondo dove popoli di diverse regioni si sono mescolati, la connessione tra il colore della pelle e l'eredità si è molto indebolita. In Brasile, per esempio, il colore della pelle non è strettamente associato con la percentuale di antenati africani recenti di ciascun individuo.
Un notevole dibattito ha riguardato il possibile valore adattativo di altre proprietà fisiche in alcuni gruppi, come l'insieme delle caratteristiche del volto osservate in molti Asiatici orientali e nord-orientali. Tuttavia, ogni caratteristica fisica è osservata in genere in diversi gruppi, ed è difficile dimostrare che la pressione selettiva ambientale abbia determinato le caratteristiche fisiche specifiche, poiché tali caratteristiche potrebbero derivare da selezione sessuale da individui indipendenti caratterizzati da certe peculiarità, o dalla deriva genetica.
L'importanza del senso della vista e la complessità delle relazioni sociali hanno probabilmente indotto gli uomini all'osservazione e alla riflessione circa le differenze fisiche tra individui e gruppi. Ma società diverse hanno dato interpretazioni molto diverse a tali specificità. Civiltà classiche, da Roma alla Cina, tendevano ad attribuire maggiore importanza all'affiliazione familiare o tribale piuttosto che all'apparenza fisica. Alcuni autori latini aderivano a una sorta di determinismo ambientale secondo cui il clima poteva influenzare l'aspetto e il carattere dei gruppi. Ma in molte civiltà antiche, individui con aspetti fisici molto diversi potevano divenire membri a tutti gli effetti di una società se crescevano al suo interno o ne adottavano le norme culturali.
Il termine inglese race (derivato probabilmente dallo spagnolo raza, che significa 'discendenza' o 'ceppo'), come molte convinzioni attualmente associate alla parola, fu coniato all'epoca delle esplorazioni europee. Quando gli Europei incontrarono popolazioni di regioni diverse del mondo, essi si interrogarono sulle differenze fisiche, sociali e culturali tra i gruppi umani. L'espansione del mercato degli schiavi africani, che gradualmente spodestò il precedente mercato schiavistico dal resto del mondo, generò un ulteriore incentivo a classificare i gruppi umani per giustificare il barbaro trattamento riservato agli schiavi africani. Basandosi su fonti classiche e sulle loro stesse relazioni ‒ per esempio, l'ostilità tra Inglesi e Irlandesi fu un potente stimolo alle prime speculazioni sulle differenze tra i popoli ‒ gli Europei iniziarono a catalogare sé ed altri entro gruppi sulla base dell'aspetto fisico e di comportamenti e abilità sufficientemente radicati. Si instaurò un insieme di 'credenze popolari' che associavano le differenze fisiche tra i gruppi a qualità intellettuali, comportamentali e morali ereditarie. Sebbene ideologie analoghe siano osservate in altre culture, esse non sembrano aver avuto la stessa influenza sulle strutture sociali che esercitarono in Europa e nelle regioni del mondo colonizzate dagli Europei.
Nel XVIII sec., le differenze tra gruppi umani divennero oggetto di investigazione scientifica. Dapprima gli studiosi si dedicarono alla classificazione e alla descrizione delle 'varietà naturali del genere umano', secondo il titolo che Johann Friederich Blumenbach diede al suo lavoro pubblicato nel 1775 (che stabilì le cinque categorie umane principali che tuttora influenzano alcune classificazioni razziali). Ma quando le scienze antropologiche presero forma nel XVIII sec., gli scienziati europei e americani iniziarono a tentare di spiegare le differenze culturali e comportamentali che essi attribuivano ai gruppi. Per esempio, essi misurarono la forma e le dimensioni del cranio e collegarono i risultati con le differenze tra i gruppi riguardo all'intelligenza e altre caratteristiche. Sia prima sia dopo la pubblicazione di On the origin of species (1859), in Europa infuriò il dibattito sull'origine comune dei diversi gruppi umani o sulla loro provenienza da creazioni o discendenze evoluzionistiche distinte.
Dal XVII al XIX sec., la fusione di credenze popolari sulle differenze di gruppo e spiegazioni scientifiche di tali differenze generò quella che uno studioso denominò 'ideologia della razza'. Secondo tale ideologia, le razze sono primordiali, naturali, durature e distinte. Alcuni gruppi potrebbero provenire da miscele di popolazioni in precedenza distinte, ma uno studio attento può individuare le razze ancestrali che si sono combinate per dare vita ai gruppi misti. Il concetto di razza trovò ampia applicazione in molte società. Il movimento eugenetico a cavallo tra il XIX e il XX sec. sosteneva l'autoevidenza dell'inferiorità biologica di particolari gruppi. In molte zone del mondo, l'idea di razza divenne una maniera di dividere rigidamente i gruppi sociali sulla base della cultura e dell'aspetto fisico. Le campagne di oppressione e genocidio spesso utilizzarono presunte differenze razziali per motivare atti disumani nei confronti di alcune minoranze.
Anche se l'idea di 'razza' stava diventando un potente principio dell'organizzazione di molte società, l'inadeguatezza di molti suoi assunti risultava evidente. Nel Vecchio Mondo, la variazione graduale dell'aspetto tra un gruppo e i gruppi adiacenti sottolineava che "una varietà del genere umano passa così gradualmente nell'altra che non si può individuare un limite netto tra l'una e l'altra", come osservò Blumenbach nei suoi scritti sulla variabilità umana. In alcune zone delle Americhe, la situazione era in qualche misura diversa. Gli immigrati nel Nuovo Mondo provenivano in maggioranza da regioni distanti del Vecchio Mondo ‒ Europa settentrionale e occidentale, Africa occidentale e, in seguito, Asia orientale ed Europa meridionale. Nelle Americhe, le popolazioni immigrate iniziarono a mescolarsi tra loro e con gli indigeni del continente. Negli Stati Uniti, per esempio, la maggior parte delle persone che si identificano come Afroamericani hanno qualche antenato europeo: in un'analisi dei marcatori genetici che hanno frequenze diverse nei vari continenti, l'eredità europea varia da una stima del 7% in un campione di Giamaicani fino a circa il 23% in un campione di Afroamericani di New Orleans. Analogamente, molte persone che si identificavano come Europei americani hanno qualche antenato africano o nativo, sia per matrimoni interrazziali sia per la graduale inclusione di persone con discendenza mista nella maggioranza della popolazione. In un'indagine tra gli studenti di college che si sono identificati come 'bianchi' in un'università americana nord-orientale, si è stimato che circa il 30% avesse meno del 90% di discendenza europea.
Negli Stati Uniti, con il passare del tempo si sono diffuse convenzioni sociali e legali che costringono gli individui di discendenza mista in categorie razziali semplificate. Un esempio è la 'regola della singola goccia' applicata in alcune leggi statali, secondo cui chiunque abbia anche un solo antenato afroamericano è considerato nero. Anche il censimento decennale realizzato a partire dal 1790 negli Stati Uniti ha rappresentato un incentivo a stabilire categorie razziali e catalogare le persone in tali categorie. In altri paesi delle Americhe, in cui la mescolanza tra gruppi è stata maggiore, le categorie sociali tendono a essere più numerose e fluide e le persone si muovono all'interno di esse sulla base dello status socioeconomico, della classe sociale, della discendenza e dell'aspetto.
Il programma di classificazione della popolazione degli Stati Uniti, sempre più mista, entro categorie nettamente distinte ha creato molte difficoltà. Secondo gli standard utilizzati in censimenti passati, molti milioni di bambini nati negli Stati Uniti appartengono a una razza diversa da quella dei genitori biologici. L'obiettivo di rilevare la mescolanza tra gruppi ha condotto alla proliferazione di categorie (come 'mulatto' o 'octoroon') e distinzioni basate sul 'grado di purezza del sangue' (blood quantum) che sono sempre meno correlate all'ascendenza affermata dai soggetti. L'identità razziale di una persona può mutare nel tempo, e le razze in cui ci si identifica possono differire da quelle assegnate. Fino al censimento del 2000, gli Ispanici dovevano identificarsi con una sola razza, nonostante la storica mescolanza in America Latina; anche per la confusione generata da tale categoria, il 42% degli Ispanici che hanno risposto al censimento del 2000 hanno ignorato le categorie razziali prefissate e hanno risposto 'altra razza'.
Quando nel XX sec. i problemi connessi al termine 'razza' divennero sempre più evidenti, per caratterizzare le differenze tra i gruppi furono adottate le parole 'etnia' (o 'gruppo etnico') ed 'etnicità'. Il criterio dell'etnicità di norma pone l'accento sulle qualità culturali, socioeconomiche, religiose e politiche dei gruppi umani, piuttosto che sulla loro discendenza genetica. Ciò può riguardare il linguaggio, la dieta, la religione, l'abbigliamento, i costumi, i sistemi di parentela o l'identità storica o territoriale.
Tuttavia, come strumento di analisi dei gruppi umani, anche l'etnicità mostra diversi limiti. Innanzitutto, attribuire un'identità etnica a un gruppo presuppone un grado di uniformità eccessivo rispetto a quello riscontrabile nella realtà. Negli Stati Uniti, il gruppo etnico 'ispanico' o 'latino' contiene gruppi come Cubani americani, Messicani americani, Portoricani e immigrati recenti dell'America Centrale. Unire tali gruppi in un'unica categoria potrebbe essere utile a fini burocratici o politici, ma non necessariamente conduce a una migliore comprensione dei gruppi.
Inoltre, quello di etnia, come pure di razza, è un concetto che può cambiare radicalmente in periodi o circostanze diversi. I gruppi etnici possono nascere e poi scomparire in seguito a importanti mutamenti storici o sociali. Gli individui potrebbero cambiare gruppo etnico durante il corso della propria vita oppure identificarsi con più di un gruppo. Un ricercatore, un medico o un funzionario governativo potrebbe assegnare a un individuo un'etnicità ben diversa da quella che si attribuirebbe egli stesso.
Infine, nonostante i tentativi di distinguere l''etnicità' dalla 'razza', i due termini sono spesso adoperati in maniera intercambiabile. I gruppi etnici possono condividere la credenza in una comune origine ancestrale, che pure può rappresentare una caratteristica essenziale di un gruppo razziale. Inoltre, i gruppi etnici tendono a favorire i matrimoni interni al gruppo, che provocano una coesione biologica indipendentemente dalla precedente esistenza di tale coesione.
Un'alternativa all'uso di categorie razziali o etniche nella ricerca genetica è rappresentata dalla categorizzazione degli individui in termini di discendenza. La discendenza può essere definita geograficamente (per es., Asiatici, Africani subsahariani o Nordeuropei), geopoliticamente (per es., Vietnamiti, Zambiani o Norvegesi) o culturalmente (per es., Bramini, Lemba o Apache). La nozione di discendenza ammette singole fonti predominanti o fonti multiple. La discendenza può essere attribuita a un individuo da parte di un osservatore, come avveniva nel censimento americano prima del 1960; può essere identificata da un individuo a partire da una lista di possibilità o con l'uso di termini attinti dall'esperienza personale; oppure può essere calcolata dai dati genetici per mezzo delle regioni del DNA con frequenze alleliche diverse da regione a regione, come descritto precedentemente. Almeno tra gli individui che partecipano alla ricerca biomedica, le stime genetiche della discendenza biogeografica in genere concordano con la discendenza autoassegnata, ma in una percentuale indefinita di casi ciò non avviene. Nonostante la sua natura apparentemente oggettiva, anche la discendenza è un modo inadeguato di categorizzare le persone. Interrogate sulla genealogia dei propri genitori o nonni, molte persone non sanno fornire risposte precise. In una serie di gruppi osservati nello Stato della Georgia, il 40% degli intervistati ha affermato di non conoscere abbastanza bene uno o più dei quattro nonni per poter affermare con certezza come essi si identificherebbero da un punto di vista razziale.
Paternità attribuite in maniera inesatta o adozioni possono separare la discendenza biogeografica dalla discendenza socialmente determinata. Inoltre, il numero dei nostri antenati, crescendo in modo esponenziale, fa della discendenza un criterio quantitativo più che qualitativo: 5 secoli (o 20 generazioni) fa, ogni persona aveva al massimo un milione di antenati. Per rendere la materia ancor più complicata, analisi recenti suggeriscono che qualsiasi persona oggi vivente abbia esattamente lo stesso insieme di antenati genealogici che hanno vissuto solo alcune migliaia di anni fa, sebbene abbiamo ricevuto la nostra eredità genetica in proporzioni diverse da quegli antenati. Infine, i termini razza, etnicità e discendenza descrivono solo una piccola parte della complessa rete di connessioni biologiche e sociali che collegano individui e gruppi l'uno all'altro.
I gruppi razziali ed etnici possono presentare differenze medie rilevanti nell'incidenza, la gravità e lo sviluppo di patologie, e nella risposta alle terapie. Negli Stati Uniti, gli Afroamericani hanno tassi di mortalità superiori rispetto ad altri gruppi razziali per 8 delle 10 principali cause di morte. Gli Ispanici americani hanno tassi di mortalità per diabete, patologie del fegato e malattie infettive più elevati rispetto ai non Ispanici. I nativi americani scontano tassi superiori di diabete, tubercolosi, polmonite, influenza e alcolismo rispetto al resto della popolazione americana. Gli Europei americani muoiono più spesso di cardiopatie e cancro rispetto ai nativi americani, agli Asiatici americani o agli Ispanici.
Numerose osservazioni indicano che le disuguaglianze etniche e razziali sul piano della salute sono dovute principalmente alle discriminazioni, alle disparità di trattamento, alla povertà, alla mancanza di accesso alle cure sanitarie, ai comportamenti collegati alla salute, al razzismo, allo stress e altre interazioni socialmente mediate. Il tasso di mortalità infantile per gli Afroamericani è circa doppio rispetto agli Europei americani ma, in uno studio su membri di questi due gruppi appartenenti all'esercito che quindi ricevevano cure attraverso lo stesso sistema sanitario, il tasso di mortalità infantile era sostanzialmente identico. Alcuni indicatori sanitari di immigrati recenti negli Stati Uniti dal Messico sono migliori rispetto a quanto si osserva tra i Messicani americani più assimilati dalla cultura locale. Il diabete e l'obesità sono più comuni tra i nativi americani che vivono nelle riserve americane rispetto a quelli che vivono all'esterno. I tassi di cardiopatia fra gli Afroamericani sono associati con i fattori di segregazione dell'area in cui vivono. Inoltre, negli Stati Uniti i rischi di molte malattie sono elevati per alcuni gruppi socialmente, economicamente e po-liticamente svantaggiati, facendo così pensare che le differenze socioeconomiche siano la causa principale di tali disparità.
Tuttavia, le diverse frequenze alleliche sicuramente contribuiscono alle differenze di gruppo nell'incidenza di alcune malattie monogeniche, ed essi possono determinare in parte l'incidenza di alcune malattie comuni. Per le patologie monogeniche, la frequenza degli alleli causali normalmente si correla meglio con la discendenza, sia essa familiare (per es., la sindrome di Ellis-van Creveld tra gli Amish della Pennsylvania), etnica (il morbo di Tay-Sachs nella popolazione ebrea aschenazita), o geografica (emoglobinopatie in persone i cui antenati vissero in regioni malariche). Nella misura in cui la discendenza corrisponde ai gruppi o ai sottogruppi razziali, l'incidenza delle malattie monogeniche può variare tra gruppi classificati in base alla razza o all'etnicità e gli operatori sanitari generalmente considerano tali caratteristiche nell'elaborazione delle diagnosi.
Persino in malattie comuni che coinvolgono numerose varianti genetiche e fattori ambientali, gli studiosi mettono in luce osservazioni che suggeriscono il coinvolgimento di alleli eterogeneamente distribuiti con effetti piccoli o medi. Gli esempi citati spesso riguardano l'ipertensione, il diabete, l'obesità e il cancro alla prostata. Tuttavia, in nessuno di questi casi si è attribuito alla variabilità allelica di un gene la responsabilità di una frazione significativa della diversa prevalenza della patologia nei gruppi, e il ruolo dei fattori genetici nel produrre tali differenze rimane incerto.
L'architettura genetica di malattie comuni è un fattore determinante di quanto le caratteristiche della variabilità genetica condizionino le differenze di gruppo nelle statistiche sanitarie. Secondo l'ipotesi 'stessa malattia/stessa variante genetica', le varianti presenti nella popolazione ancestrale prima della dispersione dell'uomo moderno dall'Africa giocano un ruolo importante nelle patologie umane. Le varianti genetiche associate al morbo di Alzheimer, la trombosi venosa profonda, il morbo di Crohn e il diabete di tipo 2 sembrano confermare questo modello. Tuttavia, la generalità di tale modello non è stata ancora accertata e, in alcuni casi, è in dubbio. Alcune malattie, come molti tumori comuni, non sembrano essere descritti efficacemente dal modello 'stessa malattia/stessa variante genetica'.
Un'altra possibilità è che malattie comuni sorgano per l'azione di combinazioni di varianti genetiche rare a livello individuale. La maggior parte degli alleli legati alle patologie scoperti finora sono rari e, rispetto alle varianti comuni, le varianti rare sono distribuite con maggiore probabilità in modo diseguale tra gruppi distinti per discendenza. Tuttavia, i gruppi possono ospitare insiemi di varianti rare distinti, magari parzialmente, e ciò ridurrebbe il contrasto tra i gruppi nell'incidenza della malattia.
Il numero di varianti che contribuiscono all'insorgere di una patologia e le interazioni tra tali varianti possono anch'esse condizionare la distribuzione delle patologie tra i gruppi. La difficoltà nella ricerca di alleli che contribuiscono a malattie complesse e nel riprodurre le associazioni positive indica che molte malattie complesse coinvolgono numerose varianti, piuttosto che un piccolo numero di alleli, e che l'influenza di ciascuna variante genetica dipende in modo decisivo dall'interazione con l'ambiente e con il genoma. Se servono molti alleli per aumentare la suscettibilità a una patologia, le probabilità che la combinazione necessaria di alleli si sia concentrata in un particolare gruppo solo attraverso la deriva genetica è bassa.
Le categorie etniche e razziali costituiscono un tema importante per la genetica al fine di evitare confusioni tra la sottostruttura della popolazione, l'esposizione ambientale e le statistiche cliniche. Gli studi di associazione possono dare risultati spuri se si confrontano casi in esame con soggetti con diversa frequenza allelica in geni non legati alla patologia studiata, sebbene l'importanza di questo problema negli studi sull'associazione genetica sia oggetto di dibattito. Con l'obiettivo di rilevare e tenere conto della sottostruttura della popolazione sono stati elaborati numerosi metodi, ma essi possono rivelarsi di difficile applicazione pratica.
La sottostruttura della popolazione può essere d'aiuto anche negli studi sull'associazione genetica. Per esempio, popolazioni generate da mescolanze recenti tra gruppi geograficamente separati talvolta presentano un linkage disequilibrium a distanza maggiore tra alleli di suscettibilità e marcatori genetici rispetto ad altre popolazioni. Le analisi genetiche possono utilizzare il linkage disequilibrium in tali mescolanze per cercare alleli patologici con meno marcatori di quanti siano necessari in altri casi. Gli studi di associazione sfruttano a volte le diverse esperienze di gruppi razziali o etnici, come i migranti, per cercare interazioni tra particolari alleli e fattori ambientali che potrebbero influenzare la salute.
La decisione di utilizzare categorie razziali, etniche e di discendenza filogenetica nella ricerca pone ai genetisti esigenze contrastanti. Da un lato, molti osservatori hanno avanzato argomenti forti per ridurre o addirittura eliminare l'uso delle categorie razziali ed etniche nella ricerca genetica. È stato infatti sostenuto che l'uso di tali categorie rafforzi l'opinione diffusa che le disuguaglianze cliniche siano causate da differenze genetiche indipendentemente dai meccanismi socialmente mediati. In questo modo, la ricerca genetica basata sul confronto tra popolazioni può stereotipare inavvertitamente i gruppi razziali ed etnici, sia diffondendo l'idea che tali gruppi siano nettamente delineati, sia associando i dati clinici a tutti gli individui appartenenti a un gruppo piuttosto che soltanto agli individui in cui si manifesta quel dato risultato. Inoltre, secondo i critici, un'eccessiva rilevanza attribuita alla componente genetica delle differenze cliniche sposta attenzione e risorse dai fattori noti di tali disuguaglianze, in particolare le disparità nelle terapie e gli svantaggi socioeconomici che incidono in modo sproporzionato sulle minoranze.
La ricerca genetica non fornisce prove del fatto che un gruppo sia superiore o inferiore a un altro, sebbene qualcuno continui a tentare di distorcere i dati genetici per rafforzare tali pregiudizi. La ricerca biomedica che accentua le differenze genetiche tra i gruppi, sostengono i critici di tali studi, soffre di un condizionamento intellettuale quanto la scienza della razza del XIX secolo. D'altro canto, razza ed etnia sono aspetti così determinanti di tante società che è difficile, e spesso sconsigliabile, ignorarle nella ricerca genetica. I membri di tali gruppi possono avere esperienze economiche, sociali e psicologiche disparate ed essere esposti ad ambienti molto diversi a causa della loro appartenenza a un gruppo particolare. Esperienze ed esposizioni ambientali diverse sono utili per indagare i meccanismi biologici che contribuiscono alle disparità cliniche tra i gruppi. Inoltre, razza, etnia e discendenza autoattribuite possono fornire misure della sottostruttura della popolazione che aiutano a evitare risultati falsamente positivi negli studi di associazione.
I genetisti possono risolvere il dilemma tentando di superare le categorie razziali, etniche e di discendenza nella propria ricerca. Invece di utilizzare queste categorie come sinonimi di fattori sociali, economici, ambientali, biologici o genetici molto più articolati, i ricercatori potrebbero provare a valutare direttamente tali fattori. Per esempio, considerando lo status socioeconomico attraverso i dati sulle aree censuarie si può ridurre in modo sostanziale l'elevato rischio di mortalità misurato nelle minoranze svantaggiate. Analogamente, la stima della discendenza biogeografica attraverso il genotipo può essere un sistema di controllo della sottostruttura della popolazione più efficace rispetto alla razza, all'etnia o alla discendenza autoattribuite.
Quand'anche l'uso di categorie razziali o etniche nella ricerca fosse considerato indispensabile, i ricercatori potrebbero evitare l'eccesso di generalizzazione adottando indicatori il più possibile specifici. Oggi, molte ricerche genetiche classificano la popolazione negli stessi termini vaghi dell'uso comune. Ma indicatori come Ispanico, Nero, Messicano americano, Bianco, Asiatico, Europeo o Africano possono avere significati ambigui o contraddittori tra i ricercatori, nei soggetti in esame e presso i non specialisti. L'utilizzo di classificazioni così ampie senza una loro attenta definizione può danneggiare la comprensione scientifica e far pensare che le distinzioni tra popolazioni socialmente definite siano ben accertate dal punto di vista genetico. I genetisti spesso adottano le categorie specificate nel censimento americano ‒ motivate da una sistema di norme che promuove la diversità negli studi di popolazione ‒ ma tali categorie sono attualmente utilizzate soprattutto a fini amministrativi e sociali e non furono concepite per scopi di ricerca genetica. Anche quando le categorie censuarie sono utilizzate per selezionare l'oggetto di ricerca e garantirne la diversità, i ricercatori possono analizzare i propri risultati sulla base di indicatori più specifici strettamente correlati al quesito scientifico cui si intende rispondere. Per esempio, indicatori basati sulla discendenza biogeografica possono essere adeguati per molti studi genetici, indicatori su base sociale possono essere più appropriati per le disparità sanitarie e per la ricerca clinica, ed entrambi i tipi di informazione possono essere utili per studiare l'interazione tra geni e ambiente.
Si possono assegnare gli individui a categorie specifiche della popolazione in molte maniere, e la migliore, ancora una volta, dipende dal quesito scientifico. Si può chiedere ai soggetti studiati di identificarsi con popolazioni geografiche o culturali definite dal ricercatore o dalla comunità locale in cui si svolge la ricerca. Le comunità e i ricercatori possono scegliere insieme le categorie attraverso un processo di consultazione o di coinvolgimento tra ricercatori e comunità. Le categorizzazioni comprendono anche la possibilità di appartenenere simultaneamente a più gruppi a un livello di organizzazione più o meno elevato.
Diverse riviste scientifiche, tra cui "Nature Genetics", "Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine" e il "British Medical Journal", hanno pubblicato linee guida secondo cui i ricercatori devono attentamente definire i termini adoperati in riferimento alle popolazioni; altre hanno chiesto ai ricercatori di giustificare l'uso di gruppi etnici o razziali nella ricerca. Ma l'applicazione di tali linee guida è stata diseguale e il loro rispetto rimane sporadico, né è cresciuta la consapevolezza fra i ricercatori delle difficoltà e dei rischi legati alla definizione delle popolazioni. Il superamento dell'uso di categorie razziali ed etniche nella ricerca in genetica richiederà con tutta probabilità una maggiore considerazione di un vasto numero di variabili supplementari. Tali variabili saranno differenti da studio a studio, ma anche un loro elenco parziale non potrà escludere il razzismo e la discriminazione, lo status socioeconomico, la classe sociale, il reddito personale o familiare, le condizioni ambientali, lo status assicurativo, l'età, la dieta e l'alimentazione, le pratiche e le convinzioni in materia di salute, il livello di istruzione, la lingua, la religione, l'affiliazione tribale, il Paese di nascita, il Paese di nascita dei genitori, la durata del soggiorno nel Paese di residenza e il luogo di residenza oltre alla variabilità genetica. La ricerca basata su un insieme così ampio di variabili richiederà la collaborazione di numerosi individui con formazione disciplinare diversa.
Un obiettivo particolare per i gruppi interdisciplinari sarà l'elaborazione di ricerche e la pubblicazione dei risultati in modo tale da trasmettere al pubblico la complessità dei sistemi biologici. All'interno della rete fittamente interconnessa dei fattori coinvolti nelle patologie complesse, l'influenza di ogni allele rende difficile dimostrare che una data variante 'causa' direttamente una particolare condizione. La comprensione sempre maggiore delle modalità in cui le condizioni di gestazione, le malattie infantili, l'obesità, l'esposizione alle tossine, lo stress e altri fattori determinano successive malattie mette in luce le molteplici interconnessioni tra i meccanismi biologici, le interazioni ambientali e gli eventi casuali.
Nonostante tale complessità, i ricercatori in genetica hanno un'opportunità unica di ridurre almeno parzialmente la confusione e la controversia che circonda le questioni di razza, etnia, discendenza e salute. Essi possono dimostrare l'irrilevanza delle etichette razziali nella risposta a molti quesiti scientifici e nella promozione della salute ‒ per esempio, chiarendo le diverse maniere in cui i fattori ambientali che condizionano molti gruppi interagiscono con i processi biologici nel provocare patologie comuni. Sottolineando la stretta affinità genetica tra membri di diversi gruppi, i ricercatori possono combattere l'opinione diffusa secondo cui i gruppi sono separati da differenze genetiche sostanziali. Grazie alla graduale comprensione delle origini complesse dell'aspetto, dei comportamenti e delle patologie umane, le modalità con cui viene condotta la ricerca genetica potranno determinare l'aumento o la diminuzione delle discriminazioni razziali o etniche nel corso degli anni.
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