GENETICA (XVI, p. 509)
Fra tutte le discipline biologiche la Genetica è forse quella che ha realizzato, in questi ultimi anni, i più notevoli progressi. Le indagini moderne, coronate da alcune notevoli scoperte, hanno pienamente consolidato le basi della genetica classica, e nel tempo stesso hanno fatto progredire di molto le conoscenze sull'intima struttura della materia vivente. Così la genetica è assurta ad una posizione di primo piano fra le scienze biologiche, come quella disciplina che, collegando e integrando oltre ai proprî dati, anche quelli di molte altre discipline, è giunta ad affrontare problemi biologici fondamentali, i quali trascendono i limiti, che già non erano angusti, di quello che era ed è il suo compito precipuo: lo studio della eredità biologica. Le più notevoli realizzazioni della genetica moderna sono: 1) la produzione sperimentale di mutazioni e la conseguente analisi della struttura del gene; 2) la conferma ed estensione della teoria cromosomica; 3) lo studio sperimentale della evoluzione.
Produzione sperimentale di mutazioni e teoria del gene. - Nel 1926, data di pubblicazione del volume di Th. H. Morgan, The theory ofgene, erano fermamente stabiliti su larga base sperimentale e generalmente accettati dai genetisti alcuni principî fondamentali fra cui: 1) la struttura discontinua del patrimonio ereditario, costituito da unità elementari, i geni, presenti in coppie allelomorfe e capaci di combinarsi, ad ogni atto generativo sessuale, in modi ch'erano stati precisamente analizzati; 2) la localizzazione dei geni nei cromosomi, in un ordine lineare costante; 3) la proprietà del gene di riprodursi dando origine ad altri geni in tutto simili a quello primitivo; 4) la facoltà dei singoli geni di variare per un cambiamento subitaneo, a cui fu dato il nome di mutazione; il gene mutato riproduce sempre altri geni simili a sé, purché non intervenga una nuova mutazione.
Del processo di mutazione si sapeva soltanto che è un fenomeno subitaneo, che avviene senza gradi intermedî, che si produce spontaneamente e non è individualmente prevedibile, che è molto raro e largamente indipendente dai comuni agenti esterni che costituiscono l'ambiente in cui vive un animale o una pianta. La mutazione è un fenomeno essenziale della genetica, sia dal punto di vista tecnico, in quanto soltanto la presenza di un gene mutato consente l'analisi genetica (es. soltanto la presenza del carattere pisello grinzoso, allelomorfo di pisello liscio, consentì al Mendel di studiare il modo con cui si eredita il carattere pisello liscio), sia dal punto di vista teorico e in particolare evoluzionistico, in quanto la mutazione è la sola variazione accertata del patrimonio ereditario, quindi la sola sorgente di caratteri nuovi. Molti tentativi s'eran fatti per produrre sperimentalmente le mutazioni, con l'intento di acquistare uno strumento atto a fornire mutazioni in abbondanza per gli scopi pratici della selezione delle razze, e a consentire l'analisi di un fenomeno di tanta importanza. Ma solo nel 1927, H. J. Muller annunziò d'avere scoperto l'agente mutagenico: i raggi X. Le indagini procedettero con alacre ritmo, per opera del Muller stesso e di altri ricercatori fra cui primeggia N. W. Timofeeff-Ressovsky, e, nel corso di un decennio, all'incirca, si pervenne all'acquisizione di risultati i quali consentirono la formulazione di una teoria sulla struttura del gene.
I risultati sono i seguenti: 1) non soltanto i raggi X, ma tutte le radiazioni ionizzanti (raggi α, β, γ, ultravioletti, ecc.) hanno potere mutagenico 2) la loro attività in questo senso è indipendente dalla loro natura ondulatoria o corpuscolare e da altre qualità (lunghezza d'onda) ed è invece direttamente proporzionale alla "dose" calcolata in unità Roentgen (r). In altri termini la quantità di mutazioni prodotte è direttamente proporzionale al numero delle ionizzazioni che tal dose di raggi è capace di produrre, in un dato volume di materia, nell'unità di tempo, in condizioni uniformi di temperatura e di pressione; 3) il numero delle mutazioni prodotte è proporzionale alla dose totale di raggi, sia essa applicata concentrata, cioè in breve tempo, o diluita in un tempo più lungo, o anche frazionata in parecchie applicazioni. Fra l'una e l'altra applicazione non vi è dunque alcun processo di restituzione alle condizioni primitive: le mutazioni prodotte durante l'applicazione delle varie frazioni della dose si sommano. È pertanto verosimile che la mutazione dipenda da una o più ionizzazioni avvenute entro un determinato ambito, in prossimità del gene. Ora il processo di ionizzazione, schematicamente, si può rappresentare come dovuto all'urto di un quanto di energia, o di una particella, che ha la conseguenza di distaccare un elettrone dall'orbita di un atomo. L'elettrone spostato finisce per andarsi a situare nell'orbita di un altro atomo: si forma così, in ultima analisi, una coppia di ioni (positivo quello da cui si è distaccato l'elettrone, cioè una carica negativa, e negativo l'altro, in cui è andato a situarsi l'elettrone).
Teoricamente si può stabilire che la curva di proporzionalità dell'effetto (mutazione) alla causa (ionizzazione) ha andamento diverso a seconda che per produrre un effetto è sufficiente un solo urto ionizzante (curve ad un urto) o ne sono necessarî due o più (curva a due, tre, ecc. urti). Cosicché contando il numero di mutazioni prodotte in un dato organismo da dosi crescenti di raggi si può costruire una curva di mutabilità e vedere a quale tipo appartenga la sua equazione. È risultato che le curve di mutabilità sono curve del tipo ad un sol urto. Pertanto se ne è concluso che un sol urto ionizzante è sufficiente a determinare un salto mutativo.
Si può perciò pensare che "un gene consti di una molecola, o più generalmente di un gruppo atomico con gli atomi ordinati stabilmente in una posizione definita, e che la mutazione consista in uno spostamento degli atomi, fino a raggiungere un diverso stato di equilibrio" (N. W. Timofeeff-Ressovsky). Lo spostamento degli atomi, cioè il loro riordinamento a costituire un edificio atomico diverso dal primo è conseguente alla formazione di una coppia ionica.
Parallelamente a queste ricerche sulla mutabilità indotta, si intensificarono le ricerche sulla mutabilità spontanea, la cui frequenza è definita come la percentuale di mutazioni che si originano per unità di tempo. Si constatò innanzitutto che esistono in natura sia mutazioni dirette sia mutazioni inverse, cioè un gene può mutare nel senso a → A e nel senso A → a, e ciò vale anche per le mutazioni indotte, dimostrando così che la mutazione ottenuta con i raggi non consiste nella distruzione del gene ma semplicemente in un suo cambiamento di stato. La frequenza di mutazione spontanea dipende dalla temperatura secondo la legge di van t'Hoff. Diversi geni e anche i diversi alleli di uno stesso gene hanno diversa frequenza di mutazione spontanea, caratteristica per ciascuno di essi. La mutabilità spontanea ha in genere frequenza molto bassa (in Drosophila circa l'1-2% dei gameti presenta qualche mutazione); il trattamento con i raggi aumenta la frequenza in modo molto notevole.
Se la mutazione indotta è dovuta all'apporto di energia fornita dai raggi ionizzanti, qual è la causa della mutabilità spontanea? Si è pensato subito all'azione delle radiazioni naturali (raggi cosmici, ecc.), ma accurati calcoli hanno dimostrato che la dose di radiazioni naturali a cui sono sottoposti gli organismi è troppo scarsa per dar ragione della frequenza delle mutazioni spontanee (ciò vale almeno per Drosophila in cui sono state eseguite queste ricerche). Si è allora pensato che nel corso della mutazione spontanea l'energia sia fornita da una fluttuazione termica di sufficiente ampiezza da superare i limiti di stabilità del gene. Questa ipotesi è la più plausibile che oggi si possa proporre. Pertanto, secondo questo modo di vedere, si può concepire il gene come un edifizio atomico notevolmente stabile la cui struttura può venire mutata - cioè trasformata in un'altra struttura stabile, in cui gli atomi sono diversamente disposti - in conseguenza di una variazione locale di energia degli elettroni di certi atomi, variazione che può essere determinata o per fluttuazione termica, o per apporto di energia per mezzo delle radiazioni.
L'aver esaminato la struttura del gene nella sua base fisica, e l'aver riconosciuto che a mantenere la sua compagine contribuiscono forze della stessa natura di quelle che legano fra loro gli atomi di una molecola, è certo una notevole conquista della biologia, come ha chiaramente indicato, fra gli altri, il fisico E. Schrödinger. Tanto più in quanto si è potuto dimostrare che anche nei batterî si trovano unità elementari che hanno le stesse proprietà dei geni, e che le particelle dei virus e dei batteriofagi risultano costituite da singole unità simili ai geni (virus piccoli) o dall'aggregazione di poche decine di queste (virus più grandi). Si è pertanto venuta consolidando l'opinione che queste particelle debbano considerarsi come le "unità biologiche elementari", dotate di due proprietà fondamentali della vita, la capacità di riprodursi e quella di mutare, le quali controllano tali processi negli organismi di cui fanno parte. Anche dal punto di vista chimico le unità biologiche elementari (geni cellulari, geni batterici e particelle dei virus) presenterebbero una notevole uniformità in quanto la loro attività è legata, in tutti e tre gli ordini di organismi, alla presenza di acidi nucleici (v. citolocia). Con varî metodi indiretti, in base allo studio dell'azione dei raggi ionizzanti, è possibile ottenere una stima del volume dei geni e delle particelle dei virus più piccoli. Queste stime concordano abbastanza bene, e collocano le dimensioni del gene e delle particelle dei virus più piccoli nell'ordine di poche diecine di millimicron (mμ) di diametro.
Mutazioni cromosomiche e del cariotipo. - Oltre alle mutazioni geniche di cui finora abbiamo discorso, si sono riconosciute altre due categorie di mutazioni. Le mutazioni cromosomiche consistono in alterazioni della compagine di un cromosoma. Ne sono conosciuti varî tipi: frammentazione, cioè rottura di un cromosoma in due o più pezzi; delezione, scomparsa di un pezzo di cromosoma; inversione: un segmento di cromosoma è girato di 180 gradi rispetto al normale, così che la sequenza dei geni è invertita; traslocazione: un segmento di un cromosoma si distacca e va ad attaccarsi ad un altro cromosoma. Le mutazioni cromosomiche sono assai ulili per lo studio della compagine genetica di un organismo, e hanno certamente grande importanza ai fini dell'evoluzione. Anch'esse si producono con notevole frequenza per mezzo dei raggi ad alta energia, con leggi non ancora completamente chiare, e si studiano particolarmente bene nei cromosomi salivari (v. più avanti).
Le mutazioni del cariotipo o del genoma consistono in un cambiamento del numero dei cromosomi. La più comune è la poliploidia, in cui il numero aploide n di cromosomi, anziché essere moltiplicato per 2, come di norma (diploidia) è moltiplicato per un fattore diverso da due, che può essere pari (tetra, esa, octo... ploidia) o dispari (tri, penta, epta... ploidia). La poliploidia è molto diffusa nel regno vegetale, rara negli animali. Anche per questo tipo di mutazioni si è trovato un agente sperimentale, la colchicina (A. F. Blakeslee e A. G. Avery, 1937). Questo alcaloide, come molte altre sostanze che furono sperimentate in seguito, sopprime la formazione del fuso senza altrimenti interferire con il processo della mitosi. Perciò i cromosomi si raddoppiano, come di n0rma, ma non vengono ripartiti fra due cellule. La cellula che aveva 2n cromosomi viene quindi a contenerne 4n (tetraploidia), e tale numero viene conservato nelle mitosi successive.
La produzione sperimentale della poliploidia presenta notevole interesse teorico per lo studio di questo processo, importantissimo nei fenomeni evolutivi delle piante, per lo studio della fisiologia della mitosi, e anche per la creazione di nuove razze di piante coltivate.
Sostanze mutageniche. - In questi ultimi anni anche la ricerca di sostanze chimiche aventi effetto mutagenico è stata coronata da successo. Ch. Auerbach e J. M. Robson (1944) hanno dimostrato che alcune sostanze usate come tossici di guerra (gas asfissianti) e in particolare l'iprite e suoi affini provocano mutazioni con frequenza paragonabile a quella delle radiazioni ionizzanti. In seguito questa proprietà è stata riconosciuta anche ad altre sostanze, come il fenolo e alcune sostanze carcinogenetiche. Non si è arrivati ancora a costruire una soddisfacente teoria circa il modo di azione delle sostanze mutageniche, ma indubbiamente i risultati sono di grandissima importanza.
La massima parte delle ricerche sulla produzione sperimentale di mutazioni sono state condotte sul moscerino Drosophila melanogaster, che è l'organismo meglio conosciuto dal punto di vista genetico. Tecniche speciali, ingegnose e complicate, sono state escogitate per rendere apprezzabili e misurabili le mutazioni, le quali, per essere per lo più recessive, e sempre eterozigote (uno solo dei due alleli cioè muta), facilmente sfuggono all'osservazione, per effetto della dominanza dell'allele non mutato. I risultati però sono generalizzabili, come si è potuto controllare sia negli organismi superiori sia nei microrganismi.
Venti anni or sono la mutabilità era un campo pressoché sconosciuto, per quanto riguarda il suo determinismo e il suo controllo sperimentale. Oggi invece possediamo strumenti atti a produrre tutti i tre tipi di mutazioni, con enorme vantaggio per il loro studio e per la comprensione del processo di cui stanno alla base, la evoluzione (v.).
Conferme ed estensioni della teoria cromosomica. - La teoria cromosomica, dovuta soprattutto all'opera di Th. H. Morgan e dei suoi collaboratori, ammette che i geni siano localizzati nei cromosomi in una ben definita sequenza. In conseguenza di questa localizzazione, i geni situati nello stesso cromosoma non sono liberi di ricombinarsi, ma sono l'un l'altro associati. In Drosophila si è infatti potuto dimostrare la presenza di quattro gruppi di associazione, corrispondenti appunto al numero aploide dei cromosomi. L'associazione (linkage) non è assoluta, ma può rompersi e consentirà la ricombinazione. La base fisica di questo scambio (crossing over) è data, secondo la teoria, dal fatto che, durante la meiosi in cui avviene l'appaiamento dei cromosomi omologhi, si attua fra questi uno scambio di segmenti (v. genetica, vol. XVI). Lo studio dello scambio ha permesso di stabilire la localizzazione dei singoli geni nei varî cromosomi.
La teoria aveva trovato ampie conferme e largo consenso fra i biologi, benché taluni ancora si ostinassero ad avversarla, quando, nel 1933-34 una nuova scoperta ne recò la più brillante dimostrazione. Nel 1933 E. Heitz e H. Bauer dimostrarono che le strutture già osservate da E. G. Balbiani nel secolo scorso nei nuclei giganteschi delle cellule che costituiscono le ghiandole salivari larvali di alcuni Ditteri, altro non erano se non cromosomi di dimensioni eccezionali e di struttura particolare. Nel 1934 Th. H. Painter chiarì ulteriormente la struttura di tali cromosomi, e riuscì a trovare in essi la localizzazione dei geni. Si tratta di bastoncelli le cui dimensioni lineari sono eguali a circa 150 volte quelle dei cromosomi delle cellule germinali. Trattati con i coloranti nucleari si presentano costituiti da una successione di bande (dischi) scure, che assumono il colore, alternate con bande chiare, non colorabili.
Studiando questi cromosomi in larve di Drosophila in cui vi sia qualche mutazione cromosomica (v. paragrafo precedente), il Painter riuscì a riconoscere i varî cromosomi proprî del corredo di questo animale: il cromosoma X o cromosoma sessuale, il II e III, lunghi, in forma di lettera v, e il IV piccolo, puntiforme. E si avvide di due fatti molto importanti: 1) che i cromosomi nelle ghiandole salivari sono in numero aploide; 2) che le strie o bande di ciascun cromosoma hanno caratteri morfologici e distribuzione assolutamente costante, talché, disegnandoli con cura, si può caratterizzare senza possibilità di dubbio ogni regione di un cromosoma.
Le indagini del Painter stesso, di C. B. Bridges e di molti altri hanno reso possibile di riconoscere sui cromosomi giganti la posizione dei geni quale era stata stabilita per mezzo della percentuale di scambio sui cromosomi "normali". La presenza dei cromosomi salivari in numero aploide è dovuta ad un fenomeno di appaiamento somatico analogo a quello che avviene nella meiosi. I cromosomi omologhi, invece di essere indipendenti, nelle cellule salivari dei ditteri, sono appaiati, quindi ogni cromosoma rappresenta in realtà una coppia. L'appaiamento avviene con la stessa precisione con cui si realizza nei bivalenti meiotici, cioè le regioni omologhe anzi i geni omologhi si appaiano.
Pertanto, se uno dei due cromosomi della coppia presenta una mutazione cromosomica, l'appaiamento con l'omologo che ha struttura diversa in un determinato segmento subisce delle alterazioni, che si manifestano in modi caratteristici e facilmente visibili. Partendo dalla mappa dei geni stabilita in base alla percentuale di scambio, e conoscendo la posizione di alcuni geni nel segmento che presenta la mutazione cromosomica, si è arrivati a identificarne la posizione sul cromosoma salivare riferendola alle bande scure. Così si sono potute costruire delle mappe salivari, in cui la posizione, il locus di ogni gene è stabilito con sufficiente precisione. E si è visto che l'ordine lineare dei geni è lo stesso che quello determinato con lo studio delle percentuali di scambio (mappa citologica), benché le distanze fra i varî geni non siano sempre equivalenti nelle due mappe.
Queste ricerche, oltre a recare una ulteriore conferma alla localizzazione cromosomica dei geni, la quale è ormai ampiamente dimostrata, hanno fornito un mezzo di indagine genetico-citologica, che si è rivelato prezioso nello studio di molti problemi. La facilità di riconoscere e localizzare esattamente molte mutazioni cromosomiche con una tecnica semplice e rapida qual è quella della preparazione dei cromosomi salivari, consente di studiare agevolmente la frequenza di tali mutazioni in una popolazione, le sue eventuali modificazioni in seguito a trattamenti sperimentali, le differenze con altre popolazioni, e molti altri importanti problemi.
Circa la studiatissima struttura dei cromosomi salivari, l'ipotesi che, sebbene contrastata, sembra la più plausibile, è che si tratti di un aspetto particolare di poliploidia somatica in cui i singoli elementi che si formano in seguito a mitosi, invece di separarsi pur rimanendo nello stesso nucleo (come nella normale poliploidia) rimangono uniti a fascio. Il cromosoma gigante sarebbe dunque costituito da un fascio di filamenti (cromonemi) ciascuno dei quali rappresenta un singolo cromosoma. Le bande scure risulterebbero dalla riunione di tanti cromomeri (uno per ciascun cromonema). Ognuna delle bande (almeno le più sottili) corrisponderebbe alla posizione di un sol gene.
L'importanza dei cromosomi per la genetica, venuta sempre più chiaramente affermandosi, ha dato impulso ad una notevole serie di ricerche sulla mitosi, sulla meiosi e sul metabolismo degli acidi nucleici, di cui è fatto cenno alla voce citologia (in questa App.). Dal punto di vista strettamente genetico hanno molta importanza gli studî sulla meiosi e sulle turbe che conseguono alla presenza di corredi cromosomici non equilibrati, sia per causa di poliploidia, sia per la presenza di grandi mutazioni cromosomiche. La distinzione fra eucromatina ed eterocromatina è pure geneticamente molto importante, in quanto si ritiene con buon fondamento che nella prima risiedano i geni più conosciuti perché hanno singolarmente effetti fenotipici molto marcati (major genes), mentre nella seconda avrebbero sede molti geni con azione coadiutrice e individualmente meno spiccata. L'importanza di questi "poligeni" per l'evoluzione e il loro comportamento rispetto alla selezione è stata recentemente studiata da K. Mather.
Tutte queste nozioni hanno contribuito a chiarire il significato dello scambio (crossing over) come meccanisno di controllo della ricombinazione dei geni, e la sua fondamentale importanza nella conservazione e nell'evoluzione dei sistemi genetici. In questo senso si può dire con H. J. Muller, che "crossing-over turns out to be the key process in sexual reproduction".
Altri indirizzi di ricerca. - Genetica evoluzionistica. - Vedi evoluzione (in questa App.).
Fenogenetica. - Si indica con questo nome, o con quello di fisiologia genetica, quel ramo della genetica che indaga il modo con cui i geni manifestano nel fenotipo le proprietà che stanno sotto il loro controllo. Come, p. es. il gene la cui presenza determina il color rosso degli occhi della Drosophila fa sì che durante lo sviluppo dell'immagine venga a prodursi e a depositarsi nell'occhio il pigmento rosso.
Questa parte della ricerca genetica che s'innesta sull'embriologia e sulla fisiologia tende a far rientrare i processi genetici nel quadro fisiologico, risolvendo l'incognita che sta fra il gene da un lato e il carattere dall'altro in una serie concatenata di processi ch'essa si propone di analizzare e di esprimere in termini biochimici o fisiologici noti. Studia nel contempo l'interazione e cooperazione dei geni che costituiscono il genotipo di un organismo, per ricomporre l'unità fisiologica che le necessità dell'analisi genetica avevano smembrato, e per togliere ai geni quell'aspetto di magici evocatori di un carattere che molti biologi non genetisti avevano criticato.
Lavoro lungo e dificile, che può dirsi soltanto iniziato. In alcuni casi particolarmente favorevoli, come, appunto, quello del colore dell'occhio di Drosopfila (G. W. Beadle e B. Ephrussi), e di Ephestia kuehniella (Kühn e collaboratori), e altri ancora, il problema è stato brillantemente risolto e si conoscono ora, dal punto di vista chimico ed embriologico, i principali anelli della catena di reazioni che, messe in movimento dal gene, si conchiudono nell'estrinsecazione del carattere.
Di particolare importanza sono gli studî sui "fattori letali" cioè su quelle mutazioni geniche che determinano la morte dell'individuo che le porta. Si è visto in molti casi quale dei processi embriologici è inibito o alterato da tali mutazioni: si tratta per lo più di caratteri talmente fondamentali e importanti (es. ossificazione, ematopoiesi, ecc. nei vertebrati) che l'organismo in cui questi non si sviluppano normalmente, muore. E si è raggiunta così ad un tempo la dimostrazione che la letalità non è un termine vago e generico, ma ben specificabile, e l'altra non meno importante, che anche i caratteri "fondamentali" dell'organismo (es. presenza di clorofilla nelle piante verdi, presenza di ossa nei vertebrati superiori, sviluppo della colonna vertehirale, ecc.) sono controllati da geni mendeliani. Questione che era stata messa in dubbio nei primordî della genetica.
Genetica umana. - Le ricerche in questo campo si sono molto estese, estrapolando con cautela le conclusioni raggiunte in base allo studio degli organismi inferiori e dei vertebrati, specialmente del topo. Adeguati metodi statistici sono stati elaborati per saggiare, sui dati necessariamente scarsi e incompleti, che è dato raccogliere nella specie umana, l'attendibilità di tali estrapolazioni. I risultati ottenuti, seppure scarsi ancora rispetto all'immensità del compito, rivestono grande interesse per la patologia e l'eugenica. Di notevole importanza, fra l'altro, sono le ricerche sulla genetica dei gruppi sanguigni (v. sangue, in questa App.).
Genetica dei microrganismi. - I microrganismi (funghi inferiori, protozoi, batterî, virus) si sono dimostrati materiale eccellente per lo studio di molti problemi genetici, non soltanto per la rapidità del loro ciclo vitale, ma soprattutto perché in essi è possibile analizzare alcuni dei processi biochimici elementari che sono controllati dai geni. Si è visto che particolari azioni enzimatiche (per es. una fermentazione alcoolica) o di sintesi (per es. sintesi dell'arginina) di cui sono capaci certi microrganismi, sono sotto il controllo di uno o più geni. E una mutazione di uno di essi può bloccare la serie delle reazioni biochimiche ad un dato punto. Ciò significa che il gene in questione, nella sua condizione "normale", determina quella definita reazione: se muta, la reazione non si effettua più.
Così per es. la muffa Neurospora è capace di sintetizzare tutte le sostanze necessarie alla formazione del proprio micelio a partire da sostanze inorganiche, carbonio organico e una vitamina (biotina). Diversi mutanti ottenuti con l'irradiazione, hanno perduto questa capacità, e hanno bisogni nutritivi speciali: p. es. un certo ceppo richiede arginina, un altro cresce agevolmente con arginina e citrullina, un terzo con arginina, o citrullina, o ornitina. L'analisi genetica dimostra che la catena di reazioni biochimiche che trasformano l'ornitina in citrullina e questa in arginina è controllata da determinati geni. Uno controlla la reazione citrullina → arginina; se è mutato la Neurospora non è capace di compiere queste reazioni e non cresce se non le si fornisce dell'arginina; un altro invece controlla la reazione ornitina → citrullina, e il ceppo mutato in questo gene non cresce se non gli si fornisce citrullina, oppure arginina.
Così, con ricerche di questo tipo, iniziate da G. W. Beadle, e oggi largamente coltivate, si riesce a stabilire con esattezza la reazione chimica che è controllata da ciascun gene. E poiché non poche reazioni biochimiche sono comuni a molti organismi, compresi quelli superiori, si possono fare, per questa via, ulteriori progressi nella conoscenza dell'intima natura delle azioni geniche. Si noti poi che questi studî hanno grande importanza pratica, per le industrie che si valgono dell'opera dei microrganismi.
Eredità citoplasmatica. - Fin dagli inizî varî biologi avevano criticato aspramente il predominio che i genetisti attribuiscono al nucleo nei fenomeni ereditarî, mostrando di trascurare la parte che può avere il citoplasma. Molte ricerche, ancorché avessero raggiunto risultati non molto chiari, dimostravano che il citoplasma deve pur avere un'importanza nella eredità. F. von Wettstein ha proposto il termine di plasmone, contrapposto a gene, per designare una supposta unità ereditaria citoplasmatica. In questi ultimi anni si sono avuti parecchi studî sull'argomento.
In particolare le ricerche recentissime di Ph. L'Héritier sulla Drosophila e quelle di T. Sonneborn sui parameci hanno dimostrato, o almeno reso molto probabile, l'esistenza di un tipo di eredità non direttamente legato al nucleo, ma dovuto a particelle citoplasmatiche, autoriproducentisi, che sono state chiamate "genoidi" o "plasmageni", e la cui affinità con i virus è stata sottolineata specialmente da C. D. Darlington (1944)
È ancora troppo presto per trarre conclusioni definitive al riguardo, ma è certo che questi fenomeni, collegati agli altri descritti da autori precedenti, integrano i dati della genetica classica, e schiudono nuove visuali.
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