Genghiz khan
Il grande capo mongolo che unificò gran parte dell’Asia
Il fondatore del vastissimo Impero mongolo fu non solo un grande guerriero accompagnato da una fama di estrema ferocia, ma anche un abile organizzatore delle tribù in cui il suo popolo era distribuito. I suoi successi furono ottenuti con rapidità fulminea e l’eco delle sue imprese fu enorme sia tra i cristiani sia tra i musulmani
Genghiz khan era il titolo onorifico che il capo mongolo Temujin assunse nella grande assemblea che nel 1206 vied riuniti tutti i capi tribù (dal turco khan «capo», mentre genghiz può forse significare «mare» od «oceano»: pertanto Genghiz khan equivarrebbe a «capo oceanico» o «universale»). Egli nacque intorno al 1167 da un capo tribù che rimase ucciso quando il futuro creatore dell’Impero aveva soli dodici anni nel corso di uno dei frequenti conflitti che opponevano i clan mongoli.
Solo dopo molti sforzi Temujin riuscì a recuperare il dominio che era stato del padre. Nel 1203 una serie di vittoriose imprese militari lo pose alla guida della Mongolia occidentale e nel 1206 anche di quella orientale. Si dedicò subito a riorganizzare le tribù dedite al nomadismo e alla rapina e inclini alla guerra intestina. Il risultato fu sorprendente.
I Mongoli su cui Genghiz khan era riuscito a estendere il suo dominio furono detti in Occidente Tatari o Tartari, estendendo a tutta l’etnia il nome tatar che definiva però solo una delle popolazioni della Mongolia orientale. L’assonanza tra questo nome e quello di Tartaro (ossia inferno) fu alla base di questa ridenominazione occidentale di quel popolo. A essa contribuì anche l’assonanza dei nomi Ung o Mungulu (così anche Marco Polo definì queste etnie) con quelli biblici di Gog e Magog (popoli barbarici di cui Satana si sarebbe servito per distruggere Gerusalemme). I Mongoli erano, insomma, creature infernali…
La leggenda che narrava l’estrema ferocia di Genghiz khan fiorì già durante la vita del capo mongolo. Di lui pure si celebrava la grande energia e astuzia, nonché un senso di giustizia capace, in determinate situazioni, di temperare la sua determinazione. A sottolineare queste sue caratteristiche furono, in egual modo, cristiani e musulmani, che dovettero subire e soccombere spesso di fronte ai suoi attacchi.
Dopo aver unito le varie componenti della società mongola Genghiz khan si volse alla conquista della Cina, di cui fino ad allora i Mongoli erano stati vassalli. Le cariche della cavalleria mongola erano travolgenti e il primo assalto si concluse nel 1211, sotto le mura di Pechino. Fu conclusa allora una pace, con la quale Genghiz khan si garantì la piena indipendenza dall’Impero cinese. Poi il conflitto riprese, nel 1215, e i Mongoli espugnarono Pechino. Dal 1209 le schiere di Genghiz khan erano però impegnate anche a Occidente, contro una serie di potentati turchi che si contrapponevano all’avanzata mongola in direzione degli attuali Iran e Russia meridionale. Fra il 1224 e il 1225 i nemici furono tutti sbaragliati e i Mongoli si trovarono a dominare su un territorio estesissimo.
Dopo queste vittorie, e mentre i suoi luogotenenti proseguivano l’avanzata verso ovest, il capo mongolo si recò in Cina, a completare la conquista di quell’Impero. Nel 1227 però morì. Il regno mongolo restò unito pur se diviso in quattro regioni, ciascuna delle quali era governata dai suoi quattro figli (e poi dai loro discendenti) che continuarono a convocarsi periodicamente nell’antica capitale mongola.
Genghiz khan riunì ma anche riorganizzò radicalmente le indisciplinate tribù mongole. Trasformò l’esercito in una macchina efficientissima gestita con rigore. Il successo che ottenne contro i potentati turchi generò nel mondo cristiano la speranza che Genghiz khan potesse costituire un formidabile strumento per combattere il mondo musulmano. Federico II e diversi pontefici cercarono di accordarsi con lui a tal fine, ma il progetto non ebbe seguito. Nei suoi domini Genghiz khan, che rimase fedele alla tradizione religiosa sciamanica (di tipo mistico e visionario), fu tollerante nei confronti delle altre fedi. I suoi successori, con l’eccezione del ramo cinese, finirono invece con l’islamizzarsi.