ANNESE, Gennaro
Nacque in Napoli nel 1604, da una "molto ragguardevole" famiglia di origine francese (Donzelli); "di vilissima natione" lo dice invece il Capecelatro, il quale fornisce anche le scarse e poco sicure notizie che si hanno sull'A. per il periodo precedente al 1647: egli sarebbe stato dapprima "birro", quindi fabbro, ed esercitando quest'arte sarebbe stato accusato di tagliare e falsificare monete. Dal procedimento giudiziario istituito contro di lui, dopo essere rimasto a lungo in carcere, sarebbe riuscito infine prosciolto. Con sicurezza si sa comunque che nel 1647 l'A. esercitava, in Napoli, ormai da molti anni, l'arte dell'armaiolo in una bottega presso la porta del Carmine e che godeva di una certa agiatezza e di molta popolarità nella contrada del Lavinaro. Durante i moti del luglio 1647 gli fu affidata dai popolari la custodia del torrione e della porta del Carmine, dove fece lavori di fortificazione.
Quando, in seguito al giuramento da parte del viceré duca d'Arcos dei "capitoli" in cui si dava piena soddisfazione alle richieste dei Popolari (13 luglio), la parte socialmente più elevata di questi, il cosiddetto "popolo civile", che sino allora aveva diretto i moti, ritenne appagate le proprie istanze, soprattutto per quanto riguardava la parità con i nobili nella rappresentanza cittadina, e decise di porre fine alle violenze e ai disordini e di ristabilire intera l'autorità del viceré, l'A. fu tra i capi popolari che si rifiutarono di deporre le armi: l'Arcos dimostrava chiaramente di essersi piegato alle concessioni soltanto per il timore della sollevazione popolare. La preoccupazione che egli sarebbe venuto meno agli impegni presi non appena fosse tornato padrone della situazione divenne generale tra gli strati popolari più bassi, più duramente colpiti dalle iniziative fiscali che avevano dato origine ai moti, quando il viceré, dopo la morte di Masaniello (16 luglio), diminuì il peso dei pani che era stato aumentato nei giorni della rivolta. Nuovi moti scoppiarono subito in tutta Napoli e i popolari, travolte le resistenze dei moderati, si impadronirono saldamente della città, costringendo il viceré a rinchiudersi in Castelnuovo.
L'A., nominato capitano dei popolari del Lavinaro, condusse i suoi all'assalto del monastero della Croce e di quelli di S. Luigi e di S. Spirito, occupando poi l'altura di Pizzofalcone sovrastante la reggia, malamente difesa dalle scarse truppe spagnole. Durante i mesi di agosto e settembre andò acquistando prestigio e autorità, divenendo uno dei più autorevoli capi del partito estremo, praticamente padrone della città. Invano gli esponenti del "popolo civile", soprattutto l'eletto del popolo Francesco Antonio Arpaia e il generalissimo del popolo Francesco Toraldo, si adoperarono per stabilire l'ordine e l'autorità del viceré: questa in teoria non era in discussione; in pratica l'A. e i suoi seguaci avevano deciso di rimanere in armi fino a che non fosse giunta da Madrid la ratifica delle concessioni vicereali e tanto meno erano disposti a concedere fiducia all'Arcos, quanto più vedevano i tentativi degli Spagnoli di reclutare dai dintorni di Napoli rinforzi, che i popolari disarmavano o costringevano fuori della cerchia delle mura, e di rifornire di viveri e munizioni i castelli in loro possesso. Appunto il diverso orientamento verso l'autorità spagnola provocò, il 18 settembre, un violentissimo scontro dell'A. con l'Arpaia e il Toraldo che volevano trasferire in Castelnuovo la polvere custodita nel torrione del Carmine: al suo rifiuto quelli tentarono di catturarlo e di ucciderlo, ma l'A. poté rifugiarsi nella chiesa di S. Lorenzo, donde lo trassero in salvo i suoi partigiani.
Ormai anche l'autorità degli esponenti ufficiali dei popolari era divenuta puramente nominale. L'A. e gli altri capi estremisti, Antonio Basso e Vincenzo d'Andrea, erano i soli capi riconosciuti e seguiti dal popolo napoletano. Sotto la loro direzione l'insurrezione assunse toni di grande violenza antinobiliare e antispagnola, cominciandosi a dare ascolto sempre più volentieri alla propaganda degli agenti francesi. Tuttavia sarebbe stato ancora possibile ristabilire la pace se da Madrid fosse arrivata la ratifica dei "capitoli".
Così, quando giunse in Napoli, il 13 ottobre, una flotta spagnola al comando di don Giovanni d'Austria, grande era l'attesa del popolo napoletano che "sperava di averne a riportare la finale confermazione dei suoi privilegi, con l'aggiunta insieme di alcuna nuova gratia, come è solito di farsi quando, la prima volta, un personaggio del sangue reale entra in qualche città, o Provincia" (Donzelli); ma non mancando anche voci opposte, di una imminente repressione meditata dal vicerè e dalla nobiltà, i popolari, e specialmente quelli del Lavinaro, fedeli all'A., si rifiutarono di fare atto di omaggio al giovane principe consegnando le armi, come il viceré, attraverso l'eletto Arpaia, richiedeva. Apparve subito chiaro quanto questa ripulsa fosse giustificata, ché don Giovanni, pur giunto con propositi di moderazione, si lasciò convincere dall'Arcos e dalla nobiltà che soltanto l'occupazione militare avrebbe garantito la pace in Napoli.Il 15 ottobre gli Spagnoli intrapresero la conquista della città. Della disperata resistenza che essi incontrarono l'A. fu animatore e organizzatore infaticabile e quando gli Spagnoli, sorpresi dalle imprevedute difficoltà, fecero profferte di pace, egli esortò a respingerle. In pochi giorni gli Spagnoli furono ricacciati e costretti nei castelli, mentre l'insurrezione si diffondeva nelle province dove si sostanziava di istanze municipali e antifeudali.
Era tuttavia chiara all'A. e agli altri capi della rivolta la necessità di una potente protezione: prese dunque consistenza l'idea di chiedere l'intervento della Francia e l'A., entrato in contatto col marchese di Fontenay, ambasciatore francese presso la S. Sede, ottenne la promessa di un considerevole aiuto di cinquanta vascelli, ventiquattro galere e un milione di ducati. Nelle trattative si inserì, offrendo il proprio appoggio, anche Enrico di Lorena, duca di Guisa, in quel tempo a Roma. Sfuggì allora all'A. e agli altri capi popolari il carattere personale dell'iniziativa del Guisa e l'offerta fu accolta. Il 21 ottobre l'A. fece giustiziare il generalissimo del popolo Francesco Toraldo, riconosciuto colpevole di connivenza con gli Spagnoli, e ne assunse la carica, che comportava il comando degli armati popolari. Due giorni dopo proclamò la libertà dal dominio spagnolo e la repubblica che pose sotto la protezione del re di Francia. Assunti tutti i poteri civili e militari del nuovo stato, l'A. si affiancò un comitato di otto consultori e convocò a Napoli i delegati delle città insorte contro i nobili e gli Spagnoli per concordare un'azione comune. Ma la situazione della repubblica era critica: occupati i castelli di Napoli dagli Spagnoli, chiuso il mare dalla loro flotta e iniziatasi una forte reazione nobiliare nelle province, la città era pressoché priva di ogni mezzo di sussistenza.
Durante la prima metà di novembre Napoli fu praticamente alla fame, ma l'A. represse con energia ogni voce di resa, e continuò la resistenza sino alla venuta da Roma, via mare, del duca di Guisa.
Benché questi non avesse con sé i tanto sperati rinforzi francesi, il suo arrivò rianimò i repubblicani: dotato di notevoli capacità militari, il duca, cui l'A. cedette il comando dell'esercito popolare, riuscì a spezzare il blocco intorno a Napoli e a far pervenire gli approvvigionamenti alla città affamata. Ben presto però un grave contrasto nacque tra l'A. e il Guisa, la cui intenzione di rendersi signore di Napoli si rivelava sempre più evidente: proposito che se da una parte lo rendeva sospetto al governo di Parigi, il quale si asteneva perciò dall'inviare i rinforzi promessi, dall'altra lo spingeva a tentare di esautorare l'A. e gli altri esponenti repubblicani, prendendo anche contatti e mirando, con qualche risultato, ad accordi con una parte almeno dei nobili, che egli riteneva possibili garanti della sua futura signoria.
L'A. e tutti i capi repubblicani si ritennero traditi da questi intrighi del duca e quando, il 18 dicembre, giunse di fronte a Napoli una flotta francese inviata dal Mazzarino in missione esplorativa al comando del duca di Richelieu, l'A. si adoperò per un'azione concorde nell'intento di esautorare il Guisa, in quel momento impegnato in azioni militari nei dintorni della città. Ma questi, accortosi del pericolo, si schierò con le truppe sul litorale inducendo il Richelieu, che aveva avuto ordine dal Mazzarino di non impegnarsi a fondo, a riprendere il largo. Il Guisa decise di rompere gli indugi e fattosi acclamare il 23 dicembre "duca della Repubblica" da una assemblea addomesticata, che privò l'A. di qualsiasi autorità, fece gettare in carcere alcuni dei più noti repubblicani. L'A., tuttavia, rimase in una posizione di grande prestigio e si sforzò di condizionare il potere del duca inducendolo ad affiancarsi nel governo un senato che ne garantisse la lealtà verso la repubblica. Ma il Guisa, deciso a non subire controlli o opposizioni, il 21 genn. 1648 fece mettere a morte, come ammonimento all'A., uno dei principali partigiani di lui, Antonio Basso. Da allora, pur durando la guerra con gli Spagnoli e i nobili, Napoli fu teatro di una serie di complotti dell'A. per togliere il potere al Guisa e di tentativi del Guisa per sbarazzarsi del suo avversario. La causa della repubblica appariva perduta all'A.: le sue insistenze presso il Fontanay per indurre il governo francese ad una energica azione in Napoli per eliminare il Guisa e ristabilire la repubblica non ebbero alcun risultato, poiché il Mazzarino, impegnato nelle trattative che condussero alla pace di Vestfalia, aveva perduto ogni interesse ad ampliare il teatro della guerra; d'altra parte, le province erano quasi tutte nuovamente in mano ai nobili e gli Spagnoli stringevano Napoli con rigido blocco. Soprattutto l'ambizione del Guisa aveva distolto la rivoluzione dai suoi fini originari.
L'A. cominciò a prestare orecchio sempre più attento alle proposte di pace che gli Spagnoli venivano facendogli attraverso il cardinale Filomarino, arcivescovo di Napoli, e quando questi, a nome di don Giovanni d'Austria e del nuovo vicerè conte d'Oñate, gli assicurò salva la vita e la concessione di un indulto generale agli insorti, si decise, il 5 apr. 1648, a far entrare in città gli Spagnoli, che con la cattura del duca di Guisa posero fine alla guerra. Per qualche tempo gli Spagnoli sembrarono tener fede ai patti, ma il 12 giugno l'A., accusato falsamente di aver ripreso contatti con i Francesi - il che anche sotto la tortura sempre si rifiutò di ammettere -, fu imprigionato in Castelnuovo. Sottoposto a processo, fu dal giudice Ferrante Monroi, reggente della Vicaria, riconosciuto colpevole e condannato a morte. Fu decapitato nella piazza del Castello il 22 giugno 1648.
Fonti e Bibl.: G. Donzelli, Partenope Liberata, Napoli 1647, passim;M. Bisaccioni, Historia delle guerre civili degli ultimi tempi, Venetia 1652, passim;P.A. de Tarsia, Tumultos de la Ciudad y Reyno de Napoles en el año de 1647..., León de Francia 1670, passim;F. Capecelatro, Diario... delle cose avvenute nel Reame di Napoli negli anni 1647-1650,a cura di A. Granito di Belmonte, I, Napoli 1850, pp. 231, 232;II, ibid. 1852, passim;III, ibid. 1854, passim;T. De Santis, Storia del Tumulto di Napoli,Trieste 1858, passim;G. Ganuccio, Il Masaniello ossia la Rivoluzione di Napoli nel 1647. Memorie,Napoli 1860, passim;O. Sauli, Inedita relazione dei tumulti napoletani del 1647,in Arch. stor. per le prov. Napol.,XV (1890),pp. 353-387, passim;A. Capograssi, La rivoluzione di Masaniello vista dal Residente Veneto a Napoli, ibid.,LXXII (1946),pp. 167-235, passim; L. A. Muratori, Annali d'Italia,XI, Milano 1749, pp. 227, 230-234;M.lle de Lussan, Histoire de la révolution de Naples 1647-48,Paris 1757, passim;D. A. Parrino, Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli..., II, Napoli 1770, passim;P.Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli,V, Napoli 1770, passim;G. B. Piacente, Le rivoluzioni nel Regno di Napoli,Napoli 1786,passim; M. Baldacchini, Storia napoletana dell'anno 1647, Italia 1846, passim;A.De Saavedra, Insurrection de Naples en 1647, Paris 1849, passim; S.d.R. [Salvatore de Renzi], Tre secoli di Rivoluzioni napoletane, Napoli 1866, passim;B. Capasso, Masaniello, Napoli 1895, passim;M. Schipa, Masaniello, Bari 1925, passim;R. Cianci di Sanseverino, Matteo Cristiano,Napoli 1914, passim; E. Vísco, La politica della Santa Sede nella rivoluzione di Masaniello, Napoli 1924, passim;G.Coniglio, Il Viceregno di Napoli nel sec. XVII,Roma 1955, pp. 283, 286.